SULLE QUESTIONI DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DEGLI ARTICOLI 13 E 14 DELLA L 40/2004.
2.3.7 Diagnosi pre-impianto al vaglio della CEDU.
Oltre alla nostra magistratura anche la CEDU è intervenuta sulla legge 40/04. In questo caso la pronuncia incide pesantemente su un altro aspetto essenziale della normativa206, la questione inerente ai requisiti per l'accesso alla PMA e la collegata vicenda della ammissibilità della diagnosi genetica di pre-impianto. Il percorso vissuto dalla L. n.40 – come si è visto – è stato segnato da numerose battute d’arresto che hanno di fatto stravolto e svuotato l’originaria formulazione della l. n.40/2004207. Venuti meno, in punto di diritto, i dubbi sulla legittimità della diagnosi genetica pre-impianto (per le coppie sterili/infertili)208 rimane ancora controversa la questione per le coppie che sterili non sono, posto che l’art. 4 della L. 40/2004 statuisce sull’inderogabilità circa la presenza di uno stato di sterilità/infertilità come condizione patologica che la coppia deve necessariamente presentare per l’accesso alle tecniche. Nel caso di specie una coppia, dopo aver avuto la prima figlia, aveva scoperto di essere portatrice sana di fibrosi cistica, malattia che aveva colpito la primogenita. La donna era rimasta nuovamente incinta ma anche il feto, dagli esami svolti, risultava affetto dalla grave malattia genetica e la donna aveva abortito. I coniugi, quindi, avevano chiesto di utilizzare le tecniche di fecondazione in vitro di tipo omologo al fine di poter effettuare la diagnosi preimpianto per individuare l’anomalia genetica dell’embrione. Tuttavia, poiché la legge n. 40 del 2004 consente l’accesso alla procreazione medicalmente assistita solo alle coppie sterili e, con decreto dell’11 aprile 2008, alle coppie nelle quali l’uomo è affetto da malattie virali trasmissibili per via sessuale (come i soggetti colpiti dal virus dell’HIV e dall’epatite B e C), in considerazione della circostanza che in questi casi l’uomo è equiparato a un soggetto non fertile, la coppia non aveva potuto utilizzare la procreazione assistita e quindi la diagnosi preimpianto, in quanto il marito non si trovava in una delle condizioni suindicate. A differenza di altre coppie di aspiranti genitori, i coniugi non si rivolsero alla
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Fino alla pronuncia della CEDU la questione dei requisiti per l’accesso era stata affrontata dai giudici interni solo con un’isolata ordinanza dal Trib. di Salerno nel 2010.
207Come rileva V. Ivone, L’inizio della vita e la diagnosi preimpianto, Milano, 2012, 143 ss. 208
Vedi i precedenti TAR Lazio n. 398/2008, in Guida dir., 2008, n 6, 60 ss.; Corte Costituzionale 151/2009, in Giur. Cost., 2009, 3, 1696; Trib. di Bologna 29 giugno 2009, in Dir. fam. E pers., 2009, 1854; Trib. Salerno13 gennaio 2009, in Fam. e dir., 2010, 5, 476.
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magistratura italiana per ottenere l’accesso alla diagnosi preimpianto, ma adirono direttamente la Corte di Strasburgo ai sensi dell’art. 35 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ritenendo l’assenza di rimedi interni effettivi, anche alla luce del divieto legislativo. I ricorrenti lamentarono di non poter accedere alla diagnosi preimianto al fine di selezionare un embrione che non fosse affetto da tale patologia e sostennero che a tale tecnica possono accedere categorie di persone delle quali essi non fanno parte. A questo titolo invocarono gli articoli 8 e 14 della Convenzione209. Per i ricorrenti « il diritto al rispetto della decisione di diventare o non diventare genitore210» rientra nel concetto di diritto al rispetto della vita privata e familiare211. Per questo motivo, sostennero i ricorrenti, lo Stato deve astenersi dall’interferire nelle scelte dell’individuo di diventare o meno genitore e per di più dovrebbe porre in essere delle misure per consentire la piena libertà agli individui che vogliono realizzare una simile scelta212. A seguito delle osservazioni dei ricorrenti e del Governo italiano, la Corte decise che il divieto stabilito dalla legge n. 40 del 19 febbraio 2004 che impedisce il ricorso alla fecondazione omologa in vitro a una coppia fertile in tal caso portatrice sana di fibrosi cistica e, di conseguenza, alla possibilità di avvalersi della diagnosi preimpianto era contrario alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Ha infatti rilevato la Corte le incongruenze213 dell’ordinamento italiano sul tema della procreazione assistita, mettendo in risalto le contraddittorietà di un sistema che mostra di essere inadeguato ai tempi e incoerente. La Corte ha ritenuto inoltre di non poter non tenere conto « da un lato, dello stato di angoscia della ricorrente, la quale, nell’impossibilità di procedere ad una diagnosi preimpianto, avrebbe come unica prospettiva di maternità quella legata alla possibilità che il figlio sia affetto dalla malattia in questione, e, dall’altro, della sofferenza derivante dalla scelta dolorosa di procedere, all’occorrenza, ad un aborto terapeutico214». Per questi motivi215 la Corte ha ritenuto che l’ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto
209Corte Europea dei Diritti dell’uomo del 28 agosto 2012- Causa Costa e Pavan, in Riv. dir.
internaz. 2013, 01, 119 con nota di L. Poli
210 Evans c. Regno Unito n. 6339/05 § 71, CEDU, 2007, 1. http://hudoc.echr.coe.int 211§48 CEDU 28 agosto 2012, in www.echr.coe.int.
212§49CEDU 28 agosto 2012 , in www.echr.coe.int. 213
La Corte riguardo alle osservazioni del governo italiano rileva che: «in materia il sistema legislativo italiano manca di coerenza . Da un lato esso vieta l’impianto limitato ai soli embrioni non affetti dalla malattia cui i ricorrenti sono portatori sani ; dall’altro , autorizza i ricorrenti ad abortire un feto affetto da quella stessa patologia»§64CEDU, 28 agosto 2012
214
66§ CEDU 28 agosto 2012., cit. www.echr.coe.int
215Per una disamina più approfondita della decisone della CEDU del 28 agosto 2012 vedi G.
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della loro vita privata e familiare sia stata sproporzionata. Pertanto, l’articolo 8 della Convenzione è stato violato nel caso di specie. Riguardo all’articolo 14 della Convenzione invece la Corte rileva che «in materia di accesso alla diagnosi preimpianto, le coppie di cui l’uomo sia affetto da malattie virali sessualmente trasmissibili non sono trattate in modo diverso rispetto ai ricorrenti. Il divieto di accedere alla diagnosi in questione interessa, infatti, qualsiasi categoria di persone. Questa parte del ricorso è quindi manifestamente infondata e deve essere rigettata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione216». La decisione appena esaminata è divenuta definitiva dal momento che lo scorso 11 febbraio 2013 un collegio di cinque giudici della Corte europea dei diritti dell'uomo ha rigettato, con provvedimento non motivato la richiesta di rinvio alla Grande Camera presentata dal governo italiano contro la sentenza della Seconda sezione resa il 28 agosto 2012 nel caso Costa e Pavan c. Italia (n. 54270/10). Come è noto, nel sistema disegnato dalla Convenzione il rinvio alla Grande Camera di un caso già deciso in primo grado è consentito soltanto laddove la questione oggetto del ricorso sollevi gravi problemi di interpretazione o di applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli, o comunque un'importante questione di carattere generale, a giudizio del collegio della Grande Camera (art. 43 CEDU). Nel caso in questione la richiesta di rinvio del Governo italiano è stata rigettata, e dunque la sentenza della Camera CEDU si è fatta definitiva ai sensi dell’art. 44 § 2 della Convenzione. Sicuramente questa decisione è destinata ad avere una ripercussione nel nostro ordinamento. Infatti si ricordi, a tal proposito, che le norme della Convenzione europea hanno un rango sub costituzionale nel nostro ordinamento e, quindi, in caso di contrarietà tra leggi interne e Convenzione, le disposizioni nazionali devono essere dichiarate incostituzionali per contrarietà all’articolo 117 della Costituzione. Non solo. I giudici nazionali devono interpretare le norme interne alla luce delle disposizioni convenzionali come interpretate da Strasburgo.
della sentenza della Corte edu. Costa-Pavan C. Italia del 28 agosto2012, in Rivista di Studi dello stato, 15 novembre 2012.
71 2.3.8 Il difficile bilanciamento tra la tutela dell’embrione e la tutela della salute della madre.
Come più volte detto la legge italiana sulla procreazione assistita si basa su una prevalenza accordata alla tutela del concepito. La tutela del concepito viene fatta rientrare « sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, tra i diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti e garantiti dall’articolo 2 della Costituzione, denominando tale diritto come diritto alla vita, oggetto di specifica salvaguardia costituzionale217», per quanto residuino numerose incertezze relative alla precisa determinazione di quando si possa parlare di concepito, cioè di quale sia il momento della fecondazione assistita in cui si formi l’embrione218. Alcuni integrano questa tutela con il diritto del concepito ad essere garantito nella propria aspettatativa di nascere sano, ricavato dagli articoli 2 e 32 Cost.219 e del valore della dignità umana. E’ però possibile individuare un altro valore: la protezione della maternità, che trova espressa tutela costituzionale nell’articolo 31 comma 2 della Costituzione. E viene completata con i diritti alla vita e alla salute della donna gestante, desumibili dal combinato disposto degli articoli 13 e 31 della Costituzione220; va inoltre ricordato che la Corte Costituzionale ha ritenuto nella nota sentenza n. 27 del 1975 che il diritto alla vita e alla salute della madre debbono essere ritenuti prevalenti in un eventuale bilanciamento con il diritto alla vita dell’embrione in quanto « non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare». In questo difficile bilanciamento il legislatore ha preso posizione al riguardo il 19 febbraio 2004 con la legge 40, affermando che nelle pratiche di procreazione medicalmente assistita devono essere assicurati «i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». L’embrione, sin dal momento del concepimento, viene riconosciuto come soggetto portatore di diritti, da trattarsi al pari di tutti gli altri. L’assunto posto alla base della legge è dunque quello della perfetta equivalenza tra persona umana e embrione. Dopo però quasi dieci anni dall’entrata in vigore della l. 40/2004 si può constatare come numerose siano state le decisioni in materia che
217Sono parole della Corte Costituzionale, sentenza n. 35/1997§2, in www.giurcost.org.
218Su tale questione vedi Di Lieto De Falco, Diritti della persona e problematiche fondamentali.
Dalla bioetica al diritto costituzionale, Torino, 2004, 125 ss.
219 Cassano, Le nuove frontiere del diritto di famiglia, Milano, 2000, 2 ss.
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hanno dato un’interpretazione diversa di alcuni aspetti della legge rispetto a quella originariamente utilizzata. Oggi un’interpretazione «costituzionalmente orientata» tiene conto di un valore fondamentale; il diritto alla salute della donna, molte volte limitato o prevaricato da quello dell’embrione221. La difficoltà sta nell’operare un «bilanciamento» tra gli interessi coinvolti che emerge con maggior vigore se si ha riguardo alle contestazioni di carattere etico/scientifico, prima ancora che giuridico, sollevate in merito alla diagnosi pre-impianto. Le argomentazioni di carattere scientifico rilevano la non completa attendibilità della tecnica -che richiederebbe, in ogni caso, una successiva amniocentesi per un effettivo riscontro della diagnosi formulata sull’embrione in vitro e che potrebbe dar luogo ad esiti falsamente positivi con successiva soppressione dell’embrione – nonché la pericolosità della biopsia embrionale che potrebbe ledere o addirittura causare la morte dell’embrione e l’estrema limitatezza dell’indagine, dal momento che permette di individuare la presenza solo di alcune tra le patologie geneticamente trasmissibili. Viceversa, i sostenitori della diagnosi fanno leva proprio sulla possibilità di diagnosticare alcune tra le più diffuse malattie genetiche. Quanto invece alle argomentazioni di carattere etico, l’obiezione principale che viene sollevata circa l’ammissibilità della diagnosi pre-impianto riguarda il suo utilizzo ai fini di una selezione eugenetica. Come già detto in precedenza in Italia l’ordinamento giuridico appare particolarmente rigoroso nel vietare pratiche di tipo eugenetico: oltre alle già ricordate disposizioni in materia di procreazione medicalmente assistita che espressamente vietano «ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti» (art. 13), la legge n. 194/1978 prevede che l’interruzione volontaria della gravidanza possa avvenire solo per finalità di tutela della salute psicofisica della donna (artt. 4 e 6), non esistendo, quindi, nell’ordinamento italiano un aborto eugenetico222.
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Come ad esempio nella decisione del Trib. di Catania 3 maggio 2004, in Dir. E Fam., 2005, 1, 97.
222Anche la giurisprudenza, seppure giunta ad affermare « un diritto a nascere sano», nega la
configurabilità di un « diritto a non nascere ». Così, Corte di Cassazione 11 maggio 2009, n. 10741 secondo cui “la mancanza di consenso informato non può dar luogo a risarcimento anche nei confronti del nascituro poi nato con malformazioni, oltre che nei confronti della gestante-madre; ciò perché, in base alla condivisibile esperienza di questa Corte, non è configurabile nel nostro ordinamento, un diritto a non nascere se non sano perché, in base alla L.194 del 1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza, e in particolare agli artt.4 e 6 nonché all’art.7, c.3, che prevedono la possibilità di interrompere la gravidanza nei soli casi in cui la prosecuzione o il parto comportino un grave pericolo per la salute o la vita della donna, deve escludersi nel nostro ordinamento il cd. aborto eugenetico”.Anche in ambito comunitario, il timore verso un passato
73 Capitolo III
LA FECONDAZIONE ETEROLOGA TRA ORDINAMENTO INTERNO E