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Le impugnazioni penali. Modelli processuali, profili sistematici, orientamenti giurisprudenziali

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Bruno Sassani, Giorgio Spangher

GIORGIO SPANGHER

LEONARDO SURACI

Le impugnazioni penali

Modelli processuali, profili sistematici,

orientamenti giurisprudenziali

(4)

Realizzazione editoriale Via A. Gherardesca 56121 Pisa Responsabile di redazione Gloria Giacomelli Fotolito e Stampa

Industrie Grafiche Pacini

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume /fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.

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Introduzione p. 7

CAPITOLO PRIMO

Il sistema delle impugnazioni penali

Valori fondamentali e indispensabilità di modelli processuali organizzati per gradi

1. Valori, processo e sistema delle impugnazioni » 11

2. Fondamento e funzione delle impugnazioni.

La giustizia della decisione » 18

3. Sistema delle impugnazioni e principio di uguaglianza » 25

4. Le impugnazioni come effetto giuridico » 30

5. Impugnazioni, contraddittorio e verità » 35

6. Le massime delle Sezioni Unite » 47

CAPITOLO SECONDO

Giudizio d’appello e giusto processo

Riflessioni su un grado di giudizio ancorato alla tradizione e assiologicamente necessario

1. Introduzione: i lavori preparatori » 71

2. La natura del giudizio d’appello » 77

3. Logica del controllo, neutralità del giudice e immediatezza » 84 4. Costituzione e giudizio di appello: una estraneità soltanto apparente » 90

5. Le massime delle Sezioni Unite » 102

CAPITOLO TERZO Il giudizio in cassazione

Tra esigenze di giustizia sostanziale, unificazione del diritto e razionalità delle decisioni giudiziarie

1. La Corte di cassazione nel sistema » 115

2. Profili della funzione nomofilattica e ruolo delle Sezioni unite » 118

3. I motivi di ricorso per cassazione » 128

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5. Indicazione e argomentazione quali momenti (entrambi)

essenziali del motivare » 138

6. La motivazione nell’epoca del “limite testuale” » 144

7. Il problema del “travisamento della prova” » 150

8. Il processo e le prove. La prospettiva offerta dall’art. 606,

co. 1 lett. c) c.p.p. » 153

9. Poche considerazioni sulla riforma attuata con la l. 23 giugno 2017,

n. 103 » 162

10. Il “frutto maturo” della funzione conformativo-creativa

della Corte di cassazione: l’abnormità » 165

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1. Il processo penale è un meccanismo integrato governato da profili cultu-rali, finalistici e da aspetti strutturali che ne danno attuazione. Naturalmente, il secondo elemento è fortemente condizionato dal primo. Sotto quest’ultimo profilo sono noti i modelli nei quali storicamente si sono sviluppati i giudizi criminali. Invero, anche questi ultimi risultano condizionati dalla organizzazio-ne giudiziaria, strettamente conorganizzazio-nessa alla struttura istituzionale di ogni singolo Paese.

Essendo, tuttavia, il processo penale finalizzato ad accertare il giudizio di re-sponsabilità di un soggetto rispetto ad un possibile fatto di reato, pur con le ri-ferite implicazioni strutturali, lo strumento si è storicamente articolato secondo moduli sufficientemente consolidati in termini assoluti, pur risultando poi de-clinati con molte variabili, che tuttavia non ne alterano i canoni fondamentali.

Pur in questo contesto, naturalmente, quindi, i due meccanismi di accerta-mento sono – devono – essere governati da una intrinseca coerenza. Ciò non significa che siano mancate e manchino le commistioni tra i due modelli. Così i modelli inquisitori e accusatori, soprattutto il primo, hanno finito nel tempo per assorbire alcuni elementi dell’altro. Del resto, l’autoritarismo di cui si con-nota il primo sistema ha inevitabilmente finito per richiedere trasformazioni in senso garantista che sono state recuperate e riformulate sulla base di elementi presenti nell’altro schema, dando luogo ai sistemi misti.

Invero, queste definizioni non consentono di risolvere il problema del mo-dello processuale, prestandosi quasi sempre ad una sorta di truffa delle etichet-te. Peraltro, avendo scelto tra il popolo e i giudici, le prime conseguenze sono di default.

Il modello ha insita una matrice legata all’inquisitorietà temperabile. Infatti, l’ulteriore problema che la collocazione del modello prospetta impone di veri-ficare in concreto i poteri delle parti ed in particolare individuare chi e dove si forma la prova. Si tratta del criterio, l’unico sulla cui base valutare il processo così da definirne la vera natura, ammesso e non concesso che anche le succes-sive classificazioni possano conservare rilievo.

In altri termini, considerate le stratificazioni normative, i percorsi differen-ziati per gravità di reati, le scelte della premialità, la distribuzione dei poteri tra giudici, accusa, difesa, parti offese, il discorso sistematico diventa difficile e complesso.

Tuttavia, entro questi schemi, i percorsi processuali sono facilmente trac-ciabili, governati da alcuni cardini impostati secondo una logica difficilmente confutabile, nella misura in cui “tutto si deve tenere”. Nella struttura di base di ritrovano i criteri della progressione, della concentrazione e della non regres-sione.

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Naturalmente le scelte sono governate dalla razionalità, dalla esclusione di preclusioni (assolute o relative) e dal bilanciamento dei valori ritenuti sottesi alla funzione del processo, secondo una logica di ragionevolezza.

La riferita scelta a favore dei giudici, rispetto al popolo e l’incardinamento del processo dentro lo schema dell’inquisitorietà del rito, seppur bonificatosi nel tempo, alla luce dei criteri strutturali indicati, ha portato a concepire la struttura processuale secondo lo schema di una fase di indagini, seguita da una fase di giudizio, alla prima – ecco il problema del baricentro probatorio – collegata in modo variabile.

La possibile esattezza della decisione unita alla sua possibile erroneità, in quanto affidata ad un giudice togato e professionale, perciò teoricamente vali-do, ma anche al suo intimo convincimento (perciò non escludente l’erroneità), ha indotto nel tempo i costruttori del modello – a differenza del modello impo-stato sul popolo (giuria) - a delineare degli strumenti di controllo e di verifica delle decisioni.

Si è trattato di meccanismi variamente strutturati, ma che in ogni caso devo-no corrispondere alla funzione di controllo e di verifica, con possibile articola-zione orizzontale oppure verticale.

Storicamente la preferenza si è indirizzata verso la prima opzione aggan-ciandosi alla struttura ordinamentale della giurisdizione.

Si è trattato di un percorso lecito e progressivo che imperniato sulla posizio-ne apicale di una Corte di cassazioposizio-ne è venuto posizio-nel tempo a definire la colloca-zione intermedia rispetto al primo grado di un giudizio di appello.

Si trattava di costituire un sistema funzionale idoneo ad integrare i vari stru-menti di controllo in una prospettiva capace di venire incontro ad esigenze di-verse: esclusione di meccanismi di controllo ripetitivi, così da favorire la diver-sificazione funzionale; calibrare i poteri delle parti e quelli officiosi dei giudici; evitare iniziative dilatorie senza pregiudicare la finalità che potesse rimuovere gli errori di sostanza e di forma delle decisioni assunte; decidere le ricadute dell’accoglimento nel merito dei gravami, anche in relazione alla diversità delle patologie che trovano riconoscimento; individuare rimedi straordinari idonei a rimuovere il giudicato sia in relazione ad elementi sopravvenuti sia con riferi-mento a gravi lesioni procedurali.

Lungi dal trattarsi di assetti “definitivi” e consolidati si è trattato di una azio-ne progressiva di affinamento degli strumenti procedurali, ai quali erano iazio-nelu- inelu-dibilmente sottesi visioni diversificate e a volte contrapposte.

2. Per cogliere pienamente il senso dell’evoluzione che la materia ha avuto può non essere inopportuno richiamare quanto esposto da Carrara, nel Pro-gramma del Corso di diritto criminale, vol. II, Sezione III, Del giudizio crimina-le: “Compiuto mercè la sentenza il giudizio, è doveroso o correggerlo se vizioso; o eseguire la sentenza stessa, la correzione della sentenza criminale può essere richiesta o dalla sostanza, o dalla forma.

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Dalla sostanza, quando si pretenda che la sentenza sia intrinsecamente erro-nea. In tal caso può procurarsi l’emenda dell’ingiustizia, o con l’appello: questo apre il corso a nuovo giudizio integrale, ma però ne viene generalmente nega-ta la convenienza nelle materie criminali (specialmente nei giudizi gravi) per ragione di pubblico ordine o con la revisione, la quale più spesso si limita alla censura del ragionamento che ha diretto la prima sentenza, senza rinnovare il processo: o con la cassazione; quando la sentenza non censurabile nella parte del fatto, lo sia nella parte del diritto o nel rito che le dette vita.

Dalla forma della sentenza nasce il bisogno della emenda, quando si am-metta il suo annullamento per violazione del rito procedurale. Nel qual caso il tribunale che cassa per violata forma non emette alcun giudizio sul merito della questione. La convenienza di ammettere uno od altro metodo di emenda di una sentenza viziosa, è incontrastabile. Ed è pure evidente che tale emenda non può deferirsi agli stessi giudici che la pronunciarono, come si ebbe il coraggio di fare in Francia fino alla rivoluzione”.

Annotando queste sue affermazioni faceva, tuttavia, notare come “della con-venienza o meno di ammettere l’appello in criminale disputarono molti giuristi. È però universale quanto giusto il principio che dove si concede al condannato il rimedio dell’appello mai possa sull’appello di lui deteriorarsi la sua condi-zione. In quanto al rimedio della Cassazione anche questo ha i suoi oppositori. Una viva ed interessante disputa ad occasione del rimedio della Cassazione si è sollevata sul punto di sapere se i giudici supremi, qualora trovino nella denunciata sentenza una aperta violazione di legge, possano di questa valer-si per cassare, quantunque la difesa, o indolente o inesperta, non avesse nei motivi da lei dedotti richiamato quella violazione o quella nullità. I rigoristi vollero sostenere la negativa; ma i sommi principii di giustizia impongono che debba senza esitazione accettarsi l’affermativa; la quale ha prevalso in Francia, e recentemente ancora fra noi. Al riguardo si è affermato quanto sarebbe in-conveniente ed iniquo ridurre quel supremo Tribunale ad una condizione me-ramente passiva; imporgli di dare contro coscienza sua la propria sanzione ad un giudicato manifestamente ingiusto e vizioso; e condannare un innocente a subire la pena per la incuria del suo patrono. Ciò che nobilita quel supremo Tri-bunale è la sua alta missione di conservatore della legge; eccitata una volta la sua giurisdizione, esso non può aver limiti di sterili forme nella tutela del sacro palladio che gli è confidato. I metodi stabiliti dalle varie legislazioni moderne per aprire l’adito alla ritrattazione di una sentenza condannatoria passata in giudicato quando si dubiti infetta da errore, sono così varii e minuziosamente difformi che è impossibile definirne teoricamente le condizioni in un punto di vista scientifico”.

3. Su questi profili, dagli innegabili risvolti pratici in quanto coinvolgono i diritti riconosciuti ai cittadini dalla Costituzione, dai Trattati e dalle Convenzioni sovranazionali, si soffermano le riflessioni sviluppate nel presente lavoro.

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Nel tempo la molteplicità delle fonti e del loro stratificato strutturarsi, ha contribuito a far emergere il peso delle decisioni delle varie Corti nazionali e sovranazionali e della giurisprudenza, più in generale.

Al di là dei dati normativi, anche in relazione allo sviluppo dinamico della società, ai ritardi e ai vuoti delle previsioni di legge, il possibile riferimento ai principi ed ai valori della Corte, ha permesso una progressiva evoluzione della materia, che ne ha affinato struttura e funzioni.

Sotto questa prospettiva, pur essendo significativa, in quanto suscettibile di far emergere “dal basso” le criticità della macchina giudiziaria, sono soprattutto le decisioni che definiscono con una certa stabilità ed autorevolezza i percorsi processuali, costituendo una nuova ed evolutiva prospettiva sistematica alla materia.

Il dato appare ulteriormente rafforzato dalla modifica introdotta all’art. 618, comma 1-bis, c.p.p., relativamente al valore da assegnare alle questioni di dirit-to definite dal Supremo Collegio riunidirit-to. Per questa ragione il lavoro da condirit-to dell’elaborazione giurisprudenziale, in quanto suscettibile di definire i contor-ni della materia dei gravami, in una dimensione non statica, ma dinamica in quanto suscettibile di arricchirsi, modularsi nel tempo alla luce delle rinnovate sensibilità degli operatori della giustizia.

Va, altresì, sottolineato come questo elemento stante i ritardi ed i silenzi del legislatore, bloccato dalle contrapposizioni nel delineare gli orizzonti dell’a-zione riformatrice – sempre più necessaria – si completi anche attraverso il “dialogo tra le Corti”, così da costituire una rete di orientamenti idonei alla stabilizzazione ed al consolidamento, evitando frammentazioni e divaricazioni ricostruttive, così da determinare incertezze, fughe in avanti ovvero incompren-sibili arretramenti.

Tutto questo rafforza la logica del lavoro che tenendo conto dei modelli storici, si evolve sia sotto il profilo normativo, sia sotto quello pratico-operativo, inteso l’aspetto nobile della elaborazione di sistema.

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Il sistema delle impugnazioni penali

Valori fondamentali e indispensabilità

di modelli processuali organizzati per gradi

Sommario: 1. Valori, processo e sistema delle impugnazioni. – 2. Fondamento e

funzio-ne delle impugnazioni. La giustizia della decisiofunzio-ne. – 3. Sistema delle im-pugnazioni e principio di uguaglianza. – 4. Le imim-pugnazioni come effetto giuridico. – 5. Impugnazioni, contraddittorio e verità. – 6. Le massime delle Sezioni Unite.

1. Valori, processo e sistema delle impugnazioni.

Le disposizioni normative, è noto, costituiscono l’insostituibile strumento di salvaguardia (di) e mediazione (tra) valori che, nell’insieme del loro essere e secondo la prospettiva del loro possibile evolversi, sorreggono il sistema del diritto obiettivo e danno ad esso uno scopo, un fine verso il quale quel sistema nel suo complesso tende.

I valori, quindi, costituiscono un sistema sovraordinato che fornisce, al siste-ma norsiste-mativo che al primo si ricollega, una ben definita dimensione politica e culturale connotata da un più o meno complesso orizzonte finalistico.

«L’umana esistenza» – si è detto in ambito filosofico1 – «ha bisogno di darsi

una serie di significati oggettivi per compiere sé stessa, nel pensiero come nell’azione» e sono proprio i valori che danno all’esistenza «un senso e, per così dire, una direzione di sviluppo».

Il diritto, è stato insegnato – e si tratta di un insegnamento dal quale occor-re partioccor-re perché da esso si dipana la trama della dimensione giuridica della realtà, quella, cioè, del “dover essere” (sollen) – costituisce un insieme di valori dell’agire umano, derivanti da una vita comune e resi manifesti da una comune esperienza e cultura2.

Valori, comunità e cultura sono termini che necessariamente concorrono a comporre il concetto del diritto, non potendo un sistema giuridico essere concepito come prodotto dell’esistenza e dell’esperienza umana3 in assenza

1 OpOcher, Valore (filosofia), in Enc. dir., XLVI, 111.

2 La definizione, è inutile dirlo, è di Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche, I, Il concetto

del diritto, Milano, 1992, 393.

3 Come insegna OpOcher, Esperienza giuridica, in Enc. dir., XV, 736, la funzione culturale, e

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definiti-di fasi – eventualmente organizzate secondo modelli rudefiniti-dimentali, ma comun-que insostituibili ed ineliminabili – di manifestazione e valutazione di interessi all’interno di una comunità – anche essa, eventualmente, in modo rudimentale – strutturata.

Il diritto costituisce il prodotto (il più importante fra tutti, probabilmente) di un modello culturale che diviene soltanto in seconda battuta politico-organiz-zativo: quel modello, cioè, che la società manifesta formalmente con mezzi dati e diffonde al fine di generare innanzitutto i fondamenti del vivere comune, quei valori sommi la cui essenza dota la comunità di precisi tratti identificativi e la cui ablazione o il cui decisivo ridimensionamento rendono quella comunità – semplicemente – non più “quella”4.

Anche nel processo – in quello penale, innanzitutto – si proietta la dimen-sione (non il livello, si badi bene) culturale della società, la quale ne plasma i meccanismi di funzionamento perché ad essi deve affidarsi tutte le volte in cui la commissione di un fatto (penalmente rilevante, si dice) esige che l’autore subisca l’inflizione – anche essa somministrata secondo un modello assiologi-camente orientato – della sofferenza che costituisce l’essenza della pena crimi-nale5.

Non è un caso, infatti, che – come è stato evidenziato da chi si è sforzato di definire i tratti caratteristici dei modelli processuali di tipo inquisitorio ed accusatorio – la storia del processo penale «è un po’ la storia del loro alternar-si nelle legislazioni dei vari popoli e, a partire da un certo momento, del loro combinarsi in forme intermedie, caratterizzate da una maggiore incidenza ora dei principi dell’uno ora di principi dell’altro sistema»6.

E non è casuale, parimenti, che l’alternarsi dei vari modelli sia coinciso con l’affermarsi o meno, nell’ambito delle comunità di riferimento, dei valori fon-danti delle società democratiche, con strutture interne diversificate e variamen-te caratvariamen-terizzavariamen-te su diversi piani a seconda del grado di diffusione di essi7.

Il processo penale costituisce un esperimento conoscitivo8 il quale si colloca,

dunque, nel segmento i cui punti delimitativi sono definiti dalla verificazione

va, quella di richiamare filosofi e giuristi ad una più immediata consapevolezza delle dimen-sioni “umane” e quindi del carattere essenzialmente problematico del fenomeno giuridico».

4 «Possiamo dire che il valere di un valore» – nota OpOcher, Valore, cit., 123 – «è tanto più

oggettivo quanto più esprime i dati essenziali e perciò, difficilmente trasformabili nel modo di essere dell’esistenza e quanto più riesce a mantenere nello sviluppo storico la propria fun-zione e ad adattare il proprio “significare” allo spirito dei tempi».

5 palazzO, Corso di diritto penale. Parte generale, Ed. VI, Torino, 2016, 15.

6 cOnsO, Vero e falso nei principi generali del processo penale italiano, in Riv. it. dir. proc. pen.,

1958, 291, 290.

7 «Il regime politico totalitario» – fa notare TOnini, Manuale di procedura penale, Ed. XX,

2019, 11 – «trova nel sistema processuale inquisitorio lo strumento di potere più efficace. […] Viceversa, un processo di tipo accusatorio è connaturale ad un regime politico garantista».

8 cOnTi, La verità processuale nell’era “post-franzese”: rappresentazioni mediatiche e scienza

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del fatto – e dalla previsione normativa che di questo fornisce la qualificazione giuridica in termini di rilevanza penale – e dall’inflizione della punizione.

Costituisce, in altri termini, il ponte che collega (ed in cui si sviluppa, da un certo punto in poi e secondo ben delineate direttrici) il momento delle affer-mazioni – normative, imputative, probatorie – a quello degli effetti e, infine, a quello delle conseguenze reali, queste ultime consistenti, in presenza di deter-minati esiti della dinamica accertativa, nella privazione o limitazione di diritti fondamentali della persona9.

Il sistema delle impugnazioni10 è una sequenza di meccanismi complessi,

dotato nel suo insieme di una dimensione polifunzionale che lo colloca al ser-vizio di valori fondamentali per la conservazione della comunità sociale.

Come ogni prodotto della socialità, esso è il punto di convergenza di valuta-zioni politiche le quali sintetizzano pulsioni di diversa matrice, scaturenti molto spesso (sempre più spesso!) da istanze poco sedimentate che esigono risposte normative a sfondo sensazionale.

Nell’ambito del sistema delle impugnazioni trovano spazio, in posizione pa-ritetica ed in rapporto di mutua alimentazione, giustizia del caso singolo e di-mensione sociale dell’accertamento.

La previsione di un sistema di verifica delle determinazioni del giudice – quello che, cioè, in passato è stato definito come il momento di passaggio da un’ipotesi ad un giudizio11 – mediante appositi strumenti di controllo, infatti,

ne rafforza il grado di fondatezza (giustizia del caso singolo) e ne garantisce, inoltre, l’accettazione sociale (dimensione sociale dell’accertamento).

Le affermazioni, naturalmente, devono essere entrambe dimostrate ma, po-nendole momentaneamente da parte, appare ovvio che si tratta di un sistema che sia sul versante della configurazione del diritto (soggettivo) che su quelli della predisposizione dei mezzi e della regolamentazione degli itinerari pro-cessuali deve affidarsi all’ordinamento giuridico, la più importante, come detto, proiezione della dimensione culturale di un popolo al quale, in quanto porta-tore di valori e titolare della sovranità, non può sottrarsi la prerogativa di mo-dellare – in modo culturalmente orientato, verrebbe a questo punto da dire – le forme di regolamentazione del conflitto tra Stato e cittadino.

Il sistema delle impugnazioni, quindi, in quanto prodotto culturale deve es-sere pervaso da un’esigenza di stretta legalità, connotazione propria dello stato di diritto12 la quale non a caso – ai sensi dell’art. 111, co. 1 Cost. ma, ancora

Cogne a Garlasco, a cura di cOnTi, Milano, 2016, 1

9 Come sottolinea palazzO, Corso, cit., 12, la pena è «il segno distintivo del diritto penale». 10 La materia, almeno fino alla riforma attuata con la l. 20 febbraio 2006, n. 46 (c.d. legge

Pecorella), è definita «sonnecchiosa» da KOsTOris, Le impugnazioni penali, travagliato terreno

alla ricerca di nuovi equilibri, in Riv. dir. proc., 2008, 916.

11 FOschini, Sistema del diritto processuale penale, I, Milano, 1956, 168.

12 L’espressione, fa notare zagrebelsKy, Il diritto mite, Torino, 1992, 20, è «certamente una

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prima, degli artt. 25, co. 2 e 3 e 101, co. 2 Cost. – deve plasmare (non soltanto i meccanismi formativi della prova, ma)13 la dinamica processuale nella sua

interezza14, di talché non può sottrarsi ad una disciplina stringente dei diversi

profili che, sul piano generale, ne connotano sia la presenza che la funzione. Aprendo per un attimo una parentesi che attiene ai lineamenti caratteristici del sotto-sistema normativo che qui interessa, deve subito rimarcarsi – come è stato fatto da più parti e come si ribadirà meglio in seguito – che quella delle impugnazioni è materia che senz’altro «avrebbe meritato una maggiore attenzione da parte del nuovo codice di procedura penale»15, il quale, sia pure

nell’ambito di un disegno complessivo non privo di tratti innovativi sotto diversi profili16, non ha invece posto in discussione le direttrici di fondo del modello17.

Emblematico, sotto questo aspetto, il passaggio della relazione al progetto preliminare del codice del 1988 in cui si rimarca come le direttive della nuova legge di delega riguardanti le impugnazioni «ricalcano in linea generale quelle della delega del 1974, che già lasciava inalterata l’impostazione tradizionale del nostro sistema processuale mediante la previsione di tre gradi di giudizio ordinario, due di merito ed uno di legittimità, e della impugnazione

straordi-nozione generale e iniziale, anche se non, come è stato detto per denunciare un certo suo abuso, un concetto vuoto o una formula magica. Lo Stato di diritto indica un valore e accenna solo a una direzione di sviluppo dell’organizzazione dello Stato, ma non contiene in sé precise implicazioni. Il valore è l’eliminazione dell’arbitrio nell’ambito delle attività facenti capo allo Stato e incidenti sulle posizioni dei cittadini. La direzione è l’inversione del rapporto tra il potere e il diritto che costituiva la quintessenza del Machtsstaat e del Polizeistaat: non più rex facit legem, ma lex facit regem».

13 Il principio di legalità – sottolinea, occupandosi dello specifico tema della prova, nObili,

Il “diritto delle prove” ed un rinnovato concetto di prova, in Commento al nuovo cpp, coordinato da chiavariO, II, Torino, 1990, 381 – esprime con proprietà ed efficacia l’impronta complessiva

del nuovo codice poiché, «senza riproporre un anacronistico regime di prove legali, afferma robustamente che il conoscere giudiziale – in quanto implica esercizio di potere – costituisce un’attività giuridicamente regolata: tale, perciò, da incontrare vincoli della più varia natura». V., altresì, sanTOriellO, Legalità processuale, in Dig. disc. pen., Agg. VI., 324.

14 Notava spangher, C’era una volta il processo penale…, in Dir. pen. proc., 2002, 1154, come

un processo penale che smarrisse il principio di stretta legalità perderebbe il suo stesso signi-ficato e la sua più profonda essenza.

15 spangher, Impugnazioni penali, in Dig. disc. pen., VI, 218.

16 Ed infatti, evidenzia in relazione al giudizio d’appello spangher, Questioni aperte in tema di

oggetto del giudizio penale d’appello, in Riv. dir. proc., 1996, 703, esso – ma anche la disciplina complessiva delle impugnazioni – solo apparentemente non è stata sfiorata dalla riforma del processo penale.

17 Come fa notare laTTanzi, Una legge improvvida, in Impugnazioni e regole di giudizio

nel-la legge di riforma del 2006. Dai problemi di fondo ai primi responsi costituzionali, a cura di bargis, capriOli, Torino, 2007, 490, la delega ha fissato per le impugnazioni pochi principi e

pochi criteri direttivi, riproducendo sostanzialmente il modello del codice abrogato, come se – aggiunge criticamente l’Autore – «su un processo di tipo accusatorio potesse innestarsi un sistema di impugnazioni pensato per un processo di tipo inquisitorio».

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naria della revisione»18, ragione per la quale il legislatore ha optato per «una

scelta [definita] di pigro ossequio verso la tradizione»19.

Riallacciando i fili della riflessione, anche la definizione della funzione del sistema, dovrebbe a questo punto essere chiaro, costituisce affare squisitamen-te giuridico, essendo il frutto di una valutazione di insquisitamen-teressi i quali, positiva-mente considerati, divengono valori che si pongono a monte di un itinerario che, in vista della protezione di essi, assume forme appropriate e ben delineate.

Lo studio del sistema delle impugnazioni, dunque, bene si colloca nell’am-bito della teoria dell’efficacia giuridica e della nozione (preliminare ad essa) di norma giuridica20, la quale, si ha modo di leggere in una fondamentale opera

di teoria generale del diritto, «a differenza della legge fisica, [che] stabilisce una necessità di fatto e perciò incide sul mondo dei fatti, […] pone un dover essere che si riferisce al piano dei valori»21.

«Per ciascuna norma giuridica» – si legge nella stessa opera – «esiste un corrispondente valore giuridico in cui l’interesse della comunità viene a speci-ficarsi»22, di talché, accogliendo una siffatta premessa, diviene essenziale

indi-viduare il valore (o i valori) che, attraverso la predisposizione del sistema delle

18 cOnsO, grevi, neppi MOdOna, Il nuovo cpp. Dalle leggi delega ai decreti delegati, IV, Il progetto

preliminare del 1988, Milano, 1990, 1235. Come non mancano di osservare grevi, neppi MO -dOna, Introduzione al progetto preliminare del 1988, in cOnsO, grevi, neppi MOdOna, Il nuovo cpp,

cit., 110, esaminando le direttive della delega «si ha l’impressione che sia mancata la volontà politica, o la fantasia, di operare scelte volte a ridimensionare drasticamente il tradizionale si-stema delle impugnazioni: soprattutto non si è tenuto presente, da un lato, che la Costituzione non attribuisce rilevanza costituzionale all’appello, e, dall’altro, che il processo penale italia-no, secondo dati di comune esperienza, è caratterizzato da una utilizzazione assolutamente eccessiva dei mezzi di impugnazione».

19 KOsTOris, Le modifiche al codice di procedura penale in tema di appello e di ricorso per

cassa-zione introdotte dalla c.d. «legge Pecorella», in Riv. dir. proc., 2006, 633.

20 V., da ultimo, guasTini, Norma giuridica, in Dig. disc. priv., Agg. VI, 645, il quale definisce la

norma giuridica una prescrizione dotata di struttura condizionale ed a contenuto generale e astratto.

21 Falzea, Voci di teoria generale del diritto, Ed. III, Milano, 1985, 257, il quale chiarisce poco

oltre (290) che il diritto è un valore reale oggettivo, ossia «una realtà che l’uomo trova nella sua vita, e definisce nel suo linguaggio e nella sua cultura, come base di valori positivamente validi al di là di ogni volontà arbitraria e di ogni mera soggettività». Pertanto, continua, «se si conviene di chiamare interesse questo valore oggettivo reale, secondo la felice intuizione di Jhering che opponeva interesse a volontà (una intuizione però incompleta e utilizzata piut-tosto per il diritto soggettivo che per il diritto oggettivo) è lecito dire che il fondo del diritto è l’interesse».

22 Falzea, Voci, cit., 336. V., inoltre, cOTTa, Diritto naturale, in Enc. dir., XII, 652, per il quale è

difficile contestare che «le regole positive, pur non essendo esse stesse dei giudizi di valore, siano l’espressione e il risultato normativo dei giudizi di valore coi quali il legislatore (chiun-que esso sia), presa conoscenza di una realtà storicamente data, assume ragionata posizione nei confronti di essa». Secondo MOdugnO, Ordinamento giuridico (dottrine generali), in Enc. dir.,

XXX, 688, «[l]’ordinamento giuridico, nel suo aspetto normativo, è dunque un “insieme” o complesso di norme, ossia di valutazioni o qualificazioni “esclusive”, relativamente all’ordi-namento dato, di un quid, di un oggetto».

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impugnazioni, la comunità giuridica intende salvaguardare, ben sapendo che quanto più elevato è il livello di essi (sino ad arrivare, in ipotesi, a quello dei valori fondamentali, manovrabili soltanto entro certi limiti finanche da un po-tere di tipo costituente) tanto più si riducono i margini di manovra del sistema politico sul versante della determinazione degli effetti giuridici, nel senso che più difficoltosa diviene l’adozione di soluzioni politiche e legislative volte sia al superamento (o al sostanziale ridimensionamento) del sistema medesimo, sia alla modulazione di profili dinamici incoerenti con le premesse (appunto) di valore che sorreggono il sistema complessivo.

Si è parlato, appena sopra, di effetti giuridici e la terminologia sembra ap-propriata, essendo le scelte politiche valutazioni che, tradotte in opzioni nor-mative, configurano un sistema di effetti (giuridici) associati a fatti secondo una logica di tipo condizionalistico.

L’effetto giuridico, sottolinea la dottrina a cui si sta facendo ripetutamente riferimento, costituisce il «fenomeno giuridico per eccellenza»23: esso non

espri-me una necessità di fatto, bensì «una necessità assiologica, la necessità di un valore: appunto un’esigenza, un dover-essere»24 ed il giurista «si occupa in via

di principio delle conseguenze, diciamo pure, ideali delle norme ch’egli studia e non deve preoccuparsi di stabilire se queste conseguenze si produrranno realmente. Un problema, quest’ultimo, del tutto diverso, e rimesso, se mai, al politico o al sociologo. In linea di metodo, compito del giurista in quanto giuri-sta è di acclarare le esigenze che il diritto pone; mentre d’altra parte è un’ovvia verità di fatto che in moltissimi casi tali esigenze restano irrealizzate, cosicché la loro necessità – vista in questa luce – è chiaramente ideale, non reale»25.

Perché, si è detto al fine di distinguere la condizionalità fisica da quella giu-ridica, mentre «le proposizioni della fisica enunciano rapporti di condizionalità tra due fatti, nelle proposizioni giuridiche sono espressi rapporti di condiziona-lità tra un fatto e un valore: più analiticamente: tra un fatto del mondo reale e un valore dell’agire umano»26.

A questo punto la cornice definitoria dovrebbe essere completa ed il percor-so di una analisi relativa alle impugnazioni sufficientemente delineato, poten-dosi quest’ultimo semplificare mediante la ricerca della risposta da dare a due interrogativi.

Guardando in alto, occorre chiedersi se vi è un valore (o un sistema di valori) fondamentale (o fondamentali) al servizio del quale (o dei quali) le impugnazio-ni – così come, eventualmente, il processo tutto – si pongono.

A cosa servono, in altre parole, le impugnazioni? Sono strumenti asettici rispetto al quadro degli interessi che uniforma la comunità sociale o sono

ele-23 Falzea, Efficacia giuridica, in Enc. dir., XIV, 435. 24 Falzea, Voci, cit., 259.

25 Falzea, Voci, cit., 256. 26 Falzea, Voci, cit., 263.

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menti di un disegno complessivamente posto a garanzia della conservazione di essa?

Già da adesso può sostenersi che un sintomo dell’esistenza di un orienta-mento assiologico fondamentale lo si può rinvenire – oltre che nella circostanza che già a livello costituzionale vengono predeterminate sia norme fondamenta-li in ordine alla metodologia formativa della prova (contraddittorio), sia specifici e indefettibili modelli di verifica (ricorso per cassazione) – già nel fatto che il legislatore abbia scelto di indicare in sede normativa una rigidissima regola di giudizio (art. 533 c.p.p.)27 valevole per il processo penale e diversa da quella

propria del processo civile: differenza la quale, in linea con la presunzione di non colpevolezza (anche essa) costituzionalmente stabilita28, «evidenzia come

siano diversi i criteri di giustizia di queste due procedure e come diverse siano le finalità – ulteriori rispetto a quella della mera ricostruzione dell’accaduto – che i due processi intendono perseguire»29.

Guardando verso il basso, invece, occorre analizzare la struttura del sistema, per verificarne l’effettiva funzionalità30: le norme, e dunque gli effetti giuridici,

ci si deve chiedere, sono idonei a realizzare i valori che si saranno individua-ti?31.

Senza dimenticare, naturalmente, che, dovendo (da un punto di vista as-siologico-reale) l’effetto fornire la soluzione di un problema generale di vita in quanto definisce un interesse giuridico che la norma tutela perché ne risulta in prospettiva il trattamento giuridicamente migliore della situazione degli inte-ressi sociali o individuali definita nella fattispecie, esso «si determina

compiu-27 Secondo palierO, Il «ragionevole dubbio» diventa criterio, in G. dir., 2006, 10, 63, il principio

dell’oltre ogni ragionevole dubbio «costituisce innegabilmente: in atto, una scelta di civiltà dell’ordinamento italiano; potenzialmente, una rivoluzione copernicana nell’accertamento processuale del fatto e della responsabilità giuridico-penale».

28 Come rileva Paulesu, Presunzione di non colpevolezza, in Dig. disc. pen., IX, 670, l’art. 27,

co. 2 Cost. si caratterizza per una evidente polivalenza funzionale, di talché ne esce esaltata tanto la funzione di regola di trattamento quanto la funzione di regola probatoria e di giu-dizio: «Solo la presunzione di non colpevolezza, quale tassello indefettibile del principio di “stretta giurisdizionalità”, riesce a cogliere la regola dell’onere della prova a carico dell’accu-sa imponendo di riaffermare l’originaria situazione di innocenza (o di non colpevolezza) nel caso di dubbio insoluto sul fatto».

29 sanTOriellO, Il vizio di motivazione tra esame di legittimità e giudizio di fatto, Milanofiori

Assago, 2008, 56.

30 Da parte di molti, evidenzia KOsTOris, Le impugnazioni penali, travagliato terreno alla

ricer-ca di nuovi equilibri, cit., 916, il nostro sistema delle impugnazioni è considerato una ingom-brante eredità dei sistemi misti, dove mirava a compensare le scarse garanzie attribuite alla difesa in primo grado.

31 «In altri termini» – insegna, richiamando gli approdi della Interessen-Jurisprudenz, Falzea,

Voci, cit., 294 – «il significato delle norme si estende alla sostanza degli interessi sociali di cui la comunità giuridica, Stato o altro che sia, persegue la tutela».

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tamente non in funzione della singola norma (qualunque cosa essa sia) ma in funzione dell’intero sistema»32.

Infatti, se da un lato «[l]’ordinamento giuridico è […] innanzi tutto, composi-zione di “elementi” in “insieme” o in “sistema” al fine di realizzare un suo “or-dine”»33, non deve dimenticarsi, dall’altro, che «[n]on esiste […] propriamente

ordinamento giuridico bensì si danno tanti ordinamenti, quanti sono i gruppi o le classi sociali che costituiscono la trama della società complessiva [e che] questi ordinamenti possono poi manifestarsi in modo tendenziale e incompiu-to, interferire con altri ordinamenti in fieri o già compiuti e sistemati, possono rappresentare il turbamento per altri “ordini”»34.

2. Fondamento e funzione delle impugnazioni. La giustizia della decisione.

«Per comprendere il senso e la portata delle disposizioni generali che nel codice precedono la disciplina dei singoli mezzi di impugnazione dobbiamo prendere le mosse dal concetto stesso di impugnazione», è stato detto da atten-ta dottrina al fine di predisporre uno schema logico che possa servire all’analisi di un segmento del procedimento penale intorno al quale si sono da sempre concentrate multiformi attenzioni ed accese dispute, ovvero si sono sperimen-tati momenti di acuta prospettazione riformistica35.

La stessa dottrina, con la compiutezza espositiva che ne caratterizza l’inces-sante impegno, non ha mancato di fare notare che «[i]l termine, dal punto di vista etimologico, viene dal latino pugnare, che significa lottare»36.

Seguendo siffatto schema metodologico, nell’ambito del quale si individua nella sentenza “l’oggetto di questa lotta”, l’impugnazione penale può essere definita come «quel rimedio esperibile da una parte al fine di rimuovere un provvedimento giurisdizionale svantaggioso, che si assume errato, mediante il controllo operato da un giudice differente da quello che ha emesso il provve-dimento medesimo»37.

32 Falzea, Voci, cit., 305, secondo la cui costruzione l’intero sistema giuridico di interessi

che in ogni norma deve riaffermare la propria unità può bene configurarsi a sua volta come un interesse unico, anzi l’interesse fondamentale di cui è portatrice la comunità giuridica. Si tratta, soggiunge altrove (313), della chiave di ogni interpretazione sistematica. Come rileva OpOcher, Valore, cit., 123, «vi è tra i valori una profonda solidarietà, nel senso che tutti

sorreg-gono l’umana esistenza e, per così dire, ritmano, nel positivo come nel negativo, la grandezza e la miseria dell’uomo».

33 MOdugnO, Ordinamento giuridico, cit., 678.

34 MOdugnO, Ordinamento giuridico, cit., 684. Osserva FrOsini, Ordinamento giuridico (filosofia),

in Enc. dir., 649, che «fra gli ordinamenti si verifica una osmosi continua nello spazio e anche nel tempo».

35 TOnini, Manuale di procedura penale, cit., 919. 36 TOnini, Manuale di procedura penale, cit., 919. 37 TOnini, Manuale di procedura penale, cit., 919.

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Sfiorando una diversa e risalente prospettiva, le impugnazioni sono state de-finite come «attività processuali determinanti una nuova fase del procedimento nella quale, con maggiori garanzie funzionali soggettive (giudice superiore) si controlla o si rinnova la fase processuale anteriore»38.

Cambiando angolazione, dunque ponendosi su un versante di inquadra-mento che guarda propriamente alla funzione di garanzia delle impugnazioni, esse sono state definite, altresì, «come rimedi giuridici predisposti a garantire le parti contro l’errore di una decisione»39.

Entra fin da subito in gioco, così, una dimensione di valore che la nozione stessa di funzionalità garantistica bene sintetizza e che si traduce inevitabil-mente in problematiche di macro-struttura complessiva del processo.

D’altra parte, come è stato puntualmente osservato, «la funzionalità e la cre-dibilità di un sistema processuale dipendono dalla maggiore o minore idoneità dello stesso ad evitare l’errore giudiziario o, quanto meno, a mitigarne gli ef-fetti e le più drammatiche conseguenze»40, di talché, se da un lato «è

addirit-tura banale osservare che il rito criminale costituisce prima d’ogni altra cosa un esperimento conoscitivo»41, dall’altro «l’intero evolversi del processo penale

può essere riguardato oggi come una lotta continua ed incessante contro l’er-rore»42, al punto che «il problema dell’errore, della sua prevenzione e del suo

costante superamento [è] immanente al processo penale e al metodo prescelto per raggiungere tramite esso la conoscenza»43.

38 vannini, Elementi di diritto processuale penale italiano, Milano, 1941, 119. Ma v., anche

Manzini, Istituzioni di diritto processuale penale, Ed. XI, Padova, 1954, 262. Secondo la

defi-nizione offerta da ranieri, Manuale di diritto processuale penale, Padova, 1956, 364,

l’impu-gnazione è «l’attività processuale con la quale la parte o chi la sostituisce o la rappresenta o, eccezionalmente, altro soggetto che ne ha interesse, si duole, dicendone i motivi, della decisione di un giudice inferiore, che ritiene ingiusta, e che chiede al giudice superiore che, riconosciuta la fondatezza della sua doglianza, provveda alla riforma o all’annullamento della decisione stessa». V., infine, galaTi, Le impugnazioni, in Diritto processuale penale, Ed. IV, II,

2001, 435, per il quale le impugnazioni «sono […] strumenti processuali offerti alle parti […] per provocare un controllo su un provvedimento del giudice».

39 leOne, Impugnazioni (diritto processuale penale: principi generali), in Enc. giur., XVI, 1, al

quale si rinvia anche per l’importante esposizione sul versante classificatorio. Ma v., anche, id., Trattato di diritto processuale penale, III, Impugnazioni. Processo di prevenzione criminale.

Esecuzione, Napoli, 1961, 3. V., poi, Tranchina, Impugnazione (diritto processuale penale), in

Enc. dir., XX, 700; valenTini, I profili generali della facoltà di impugnare, in Le impugnazioni

penali, diretto da gaiTO, Torino, 1998, 191.

40 dalia, Riflessioni in tema di errore giudiziario, in Studi in ricordo di Giandomenico Pisapia,

II, Milano, 2000, 223.

41 cOnTi, La verità processuale nell’era “post-franzese”, cit., 1. 42 carini, Errore e rimedi, in Dig. disc. pen., Agg. IV, 258.

43 carini, Errore e rimedi, cit., 258. Come è noto, il superamento dell’errore giudiziario, ossia

quello consacrato in una sentenza passata in giudicato, è reso possibile grazie alla predispo-sizione dei mezzi d’impugnazione c.d. straordinari. V., in relazione al più importante di siffatti rimedi, spangher, Revisione, in Dig. disc. pen., XII, 131; MarcheTTi, La revisione, in Trattato di

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Se la decisione giudiziale, dunque, ha «la funzione, meravigliosa e terribile, di cristallizzare i modelli della verità legale [essa] [p]er non tradire nella sua stessa essenza la missione che le è propria […] dev’esser conforme […] così all’ordine del reale […] come all’ordine giuridico [poiché ogni] non conformità all’ordine del reale od all’ordine giuridico […] è causa d’ingiustizia della pro-nuncia. Ecco dunque l’esigenza formidabile dell’apprestamento di un rimedio contro l’ingiustizia della pronuncia giudiziale penale»44.

Sebbene le impugnazioni non siano sul piano astratto (rimanendo fedeli alla cornice definitoria sopra declinata, verrebbe da dire: allorché anassiolo-gicamente intese) imprescindibili nell’ambito di un ordinamento processuale, il quale può del tutto escluderle stabilendo che una determinata decisione sia, ancorché resa in un procedimento di prima istanza, definitiva45 – anche se, è

stato detto, «per negare fondamentale spazio al controllo e alla conseguen-te esigenza di riparazione dell’errore bisognerebbe dimostrare in premessa l’autosufficienza di un sistema con giudizio e “verdetto” unico, e, ancor pri-ma, l’attitudinale infallibilità della procedura attraverso la quale si sia giunti a quest’ultimo»46 – chi in dottrina ha avuto l’occasione di soffermarsi sull’analisi

del fondamento razionale delle impugnazioni non ha potuto fare a meno di no-tare come la previsione di un sistema articolato – ma, naturalmente, circoscritto entro limiti ben definiti per esigenze di garanzia della certezza dei rapporti giuridici, limiti tuttavia mobili nei sistemi in cui opera un organo supremo di giustizia titolare di una funzione nomofilattica – di rimedi impugnativi declina, per necessità logica, le idee di giustizia, tempestività e certezza47.

Si tratta di idee che infittiscono la carica assiologica di altrettanti principi fondamentali48, nessuno dei quali può avanzare pretese di fuoriuscita da un

44 del pOzzO, Impugnazioni (Diritto processuale penale), in NN.D.I, V, 408. Ma v., anche, FO

-schini, Sistema del diritto processuale penale, II, t. 1, Milano, 1961, 211, il quale ravvisa nello

sviluppo in gradi del processo lo strumento diretto al «perfezionamento e alla rettificazione del giudicare».

45 leOne, Impugnazioni, cit., 2. Ma v., invece, Manzini, Trattato di diritto processuale penale

italiano, Ed. VI aggiornata da cOnsO, pisapia, IV, Del procedimento penale-Inizio dell’azione

pe-nale-Istruzione-Dibattimento-Impugnazioni-Esecuzione, Torino, 1972, 596, per il quale «in un bene ordinato regime giurisdizionale l’ammissione di simili mezzi [è] indispensabile».

46 carini, Errore e rimedi, cit., 264.

47 rinaldi, Impugnazioni (in generale), in Dig. disc. pen., Agg. IV, t. 1, 446. Ma v., anche, Tran

-china, Impugnazione, cit., 700; de carO, MaFFeO, Appello, in Dig. disc. pen., Agg. X, 44, per i

quali la verifica del giudizio di primo grado «nasce da un’elementare esigenza di giustizia costruita, per un verso, sull’esaltazione del concetto di “sentenza giusta”, epilogo del proces-so democratico o comunque conclusione di un suo segmento procedurale, e, per altro verproces-so, sulla necessità di prevedere meccanismi che consentano la rimozione dell’errore giudiziario». Il concetto di giustizia e quello di certezza, però, erano stati posti all’origine del sistema delle impugnazioni già da del pOzzO, Appello (diritto processuale penale), in NN.D.I., I, 750.

48 Come osserva, di recente, guasTini, Principi del diritto, in Dig. disc. priv., Agg. VI, 686, i

principi «sono norme fondamentali nel senso che danno fondamento e/o giustificazione as-siologica (etico-politica) ad altre norme».

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sistema sorretto da delicatissimi equilibri, la rottura di essi potendo mettere in crisi l’ordinato evolversi dei rapporti giuridici e, in campo penalistico, l’effetti-vità del processo di attuazione dell’ordinamento conformemente al principio di irrinunciabile protezione dei diritti della persona49.

Il tema è, allora, quello già individuato dalla dottrina e la pregnanza di esso vale in relazione ad ogni forma di decisione che abbia incidenza sulle situazio-ni giuridiche soggettive50: «occorre chiedersi fin dove sia possibile conciliare

stabilità dei provvedimenti giudiziali penali, certezza delle sottostanti situazioni

giuridiche e tempestività del relativo accertamento con le più elementari esi-genze di giustizia»51.

Punto centrale del meccanismo, questo, a fronte degli interrogativi posti dal quale sembra essere chiaro (e non è inutile ribadirlo), però, che la tempestività e la certezza entrano sì a pieno titolo nel labirinto di pesi e contrappesi che, nel loro insieme, bilanciano il sistema52, ma non hanno (né possono e né devono

avere) il crisma di valori capaci di sorreggere da soli meccanismi di chiusura del sistema stesso, presentando margini di cedevolezza anche marcati in fun-zione di garanzia dell’ideale di giustizia, quest’ultima posta alla sommità dell’i-potetica scala gerarchica dalla previsione fondamentale contenuta nell’art. 111, co. 1 Cost. ma, soprattutto, alla luce di una disposizione, l’art. 25, co. 2 Cost., dalla quale la Corte costituzionale ha estratto un principio, tutt’altro che ovvio, di doverosa punizione delle condotte penalmente sanzionate53.

Al di là delle considerazioni che la dottrina ha svolto circa l’effettiva capa-cità della disposizione costituzionale di declinare una simile direttiva54, infatti,

49 carini, Errore e rimedi, cit., 260.

50 Difatti, anche rispetto alla materia delle misure cautelari – personali e reali – si pone un

problema di ponderazione dell’accertamento già effettuato con i rimedi correttivi di eventuali errori valutativi, ponderazione realizzata anche in questo settore attraverso la predisposizio-ne di diversificati mezzi d’impugnaziopredisposizio-ne. V., per un esame di questo sottosistema di verifica, Furgiuele, Il riesame, in Trattato di procedura penale, diretto da spangher, II, Prove e misure

cautelari, t. 2, Le misure cautelari, Milanofiori Assago, 2008, 479; id., L’appello cautelare, ivi,

541; vignOni, Ricorso per cassazione, ivi, 561.

51 carini, Errore e rimedi, cit., 260.

52 L’esigenza di bilanciamento tra valori in conflitto nell’ambito del processo penale è posta

in risalto, da ultimo, da dOMiniOni, Un conflitto endemico tra interessi di persecuzione penale e di

efficienza giudiziaria, in PenaleDP, 27 maggio 2020,

53 C. cost., 26 marzo 1993, n. 111. Il principio viene rievocato, inoltre, da C. cost., 30

dicem-bre 1993, n. 478.

54 Come è noto, dubita che un siffatto principio possa essere enucleato dall’art. 25 Cost., nO

-bili, Scenari e trasformazioni del processo penale, Padova, 1998 99, per il quale «come ognuno

sa, si tratta di una storica affermazione di garanzie nell’ambito del diritto penale sostanziale. Ed ecco l’operazione che ha condotto ripetutamente a rivisitare il principio di legalità, non solo per spostarsi al piano della procedura penale […] ma anche per farlo in termini opposti alle garanzie. Vengono sostanzialmente enucleate, dalla formulazione di quella regola, due parole: “punire”, “forza” (di legge). Su di esse risulta poi teorizzata una sorta di immedesi-mazione del giudice penale con la cosiddetta potestà punitiva. Così il divieto ex art. 25. 2 è reinterpretato come “principio che rende doverosa la punizione delle condotte penalmente

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sembra chiaro che, una volta acquisita la volontà della Corte costituzionale di utilizzare la norma predetta come parametro direttamente influente sulle scelte legislative di matrice processuale penale, una semplice esigenza di coerenza rispetto a siffatto valore consiglia di avere cura di salvaguardare qualsiasi isti-tuto processuale capace di condurre alla rigorosissima determinazione delle condotte – che devono essere quelle, soltanto quelle e necessariamente quelle, entrando altrimenti in tensione la strutturazione e l’accettazione sociale del sistema – da sanzionare.

Traspare una dimensione quantitativa della riflessione la quale, però, si co-niuga con solide considerazioni sul versante qualitativo.

Quanto appena detto vuole altresì significare, infatti, che la conformazione dei suddetti istituti deve avvenire secondo parametri strutturali fortemente in-trisi di valori garantistici, dal momento che il divenire – più o meno articolato che sia, ma meglio non risparmiarsi allorquando si tratta di garanzie55,

seguen-do una prospettiva che i costituenti sembrano avere ben chiara allorquanseguen-do hanno cronologicamente relazionato l’inviolabilità della difesa ad una procedu-ra articolata in stati e (appunto) gprocedu-radi – del processo si correla alla indispensabi-le necessità di superare (sempre nel rispetto dei diritti inviolabili della persona) le barriere erette a protezione di una presunzione, quella di non colpevolezza, che quale principio naturale del processo56 l’art. 27, co. 2 Cost. estende fino al

definitivo epilogo della vicenda processuale.

La presunzione di innocenza, infatti, «ha una portata metodologica che su-pera i confini del giudizio di primo grado ed investe il complesso iter proces-suale, e, cioè, i diversi momenti dell’accertamento della verità dei fatti […] [e], pur accreditandosi in modo diverso, nel progressivo sviluppo verso l’epilogo processuale, in ragione del maggiore graduale spessore dell’accertamento pro-batorio, tuttavia conserva la sua potenzialità garantistica in relazione alla deci-sione conclusiva dei rispettivi gradi di accertamento»57.

Giustizia, tempestività e certezza, dunque, tutti insieme legati da un idea-le garantistico che conformi strutture e dinamiche del processo penaidea-le e del sistema delle impugnazioni in particolare, senza del quale diviene concreto il pericolo che il primo dei valori sopra richiamati (giustizia) disperda la

pro-sanzionate […] e quella storica garanzia per l’individuo – trasformata in forme di supremazia del giudice penale e della funzione del reprimere – risulta infine assunta quale nuovo para-metro per denunziare la illegittimità di varie norme (procedurali) che limitino il suo potere di conoscere ed il suo operare».

55 Come fa notare spangher, Riformare il sistema delle impugnazioni?, in La ragionevole durata

del processo. Garanzie ed efficienza della giustizia penale, a cura di KOsTOris, Torino, 2005, 108,

il giudizio d’appello costituisce una garanzia importantissima, la cui eliminazione verrebbe percepita come un segnale all’insegna della repressione.

56 bargi, Il ricorso per cassazione, in Le impugnazioni penali, diretto da gaiTO, II, Torino, 1988,

459. La definizione è ricondotta a Massa, Motivazione della sentenza (dir. proc. pen.), in Enc.

giur., XX, 1.

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pria carica assiologica e finisca con l’essere fagocitato (soprattutto) dal secondo (tempestività).

È stato detto in maniera apprezzabile e ampiamente condivisibile che «il bi-sogno di soddisfare la prima esigenza (giustizia) induce a non accontentarsi di un solo giudizio, sul presupposto che il verdetto unico potrebbe essere errato o ingiusto o comunque perfettibile […]; l’esigenza di ottenere il secondo risultato (tempestività) porta a contenere la domanda ipertrofica di ricorsi nell’intento di scongiurare il rischio di un troppo grave e conseguente allungamento dei tempi medi di durata dei processi; l’aspettativa a conseguire comunque la terza aspirazione (certezza) conduce ad attribuire all’ultimo giudizio di una serie con-venzionalmente prestabilita i connotati della irripetibilità e della definitività, ai quali viene correlata l’autorità di giudicato (nella duplice articolazione sostan-ziale e formale)»58.

Il sistema delle impugnazioni, dunque, è lo strumento attraverso il quale la comunità giuridica persegue l’obiettivo di realizzare il valore fondamentale costituito dalla giustizia della decisione giurisdizionale59.

Non vi è spazio in questa sede, ovviamente, per approfondire il complesso di problematicità che accompagna ogni sforzo di definizione del valore della giustizia, ossia di quella «umanissima idea che, dal più profondo del cuore de-gli uomini, sale all’orizzonte incorruttibile delle forme, carica di tutta la dispera-zione e di tutta la speranza che alimentano le alterne vicende della condidispera-zione umana»60.

L’espressione assume un carattere fortemente ideologico e già questo con-sente di allontanare l’ideale di giustizia dall’obiettivo di “proclamare la verità”, anche perché «la verità trionfante attraverso la giustizia, filtra sempre dal pri-sma delle strutture ideologiche o, che è lo stesso, delle dimensioni culturali e strutturali di una determinata società, in una determinata epoca»61.

58 gaiTO, Impugnazioni e altri controlli: verso una decisione giusta, in Le impugnazioni penali,

diretto da gaiTO, Torino, 1998, 15. Il passaggio è stato ripreso, successivamente, da rinaldi,

Impugnazioni, cit., 446, nonché, quindi, da MarandOla, Le disposizioni generali, in Trattato di

procedura penale, diretto da spangher, V, Impugnazioni, Milanofiori Assago, 2009, 2.

59 Lo sottolinea, altresì, de carO, Il sistema delle impugnazioni penali: legittimazione, forme e

termini, in Procedura penale. Teoria e pratica del processo, diretto da spangher, MarandOla, ga -ruTi, Kalb, IV, Impugnazioni. Esecuzione penale. Rapporti giurisdizionali con autorità straniere,

Milanofiori Assago, 2015, 5. Ma v., pure, le parole di saTTa, Corte di cassazione (dir. proc. civ.), in

Enc. dir., X, 806, per il quale «la giustizia è solo una aspirazione dell’ordinamento, che appun-to per quesappun-to istituisce vari gradi di giudizio, senza alcun riferimenappun-to in concreappun-to alla giustizia o alla ingiustizia della sentenza». In ambito giurisprudenziale, il valore della giustizia (rectius: correttezza) della decisione – definito l’obiettivo “ultimo” del processo – è stato rimarcato da C. cost., 23 maggio 2019, n. 124.

60 OpOcher, Giustizia (filosofia), in Enc. dir., XIX, 557.

61 OpOcher, Giustizia, cit., 557. Censura il sovrabbondante ricorso alle espressioni “giustizia”

e “verità” nel lessico della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, da ultimo, cecchi, Si

fa di nuovo vivo il vecchio principio di non dispersione della prova?, in Dir. pen. proc., 2020, 2, 226, per il quale «appare rischioso appellarsi a concetti di “verità” e di “giustizia” senza

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spe-È, più realisticamente, necessario muovere dal carattere “drammatico” dell’idea di giustizia la quale «non può affermarsi senza negare, esaltare senza comprimere, salvare senza perdere»62, per riuscire ad abbinare la visione di una

giustizia come risultato a quella di una giustizia come metodo63, da plasmare

secondo un equilibrato dosaggio delle attività dell’affermare (ovvero: negare), esaltare (ovvero: comprimere), salvare (ovvero: perdere).

La decisione, dunque, è “giusta” se sopraggiunge all’esito di un processo che garantisce l’operare di modelli probatori epistemologicamente affidabili e, allo stesso tempo, si confronta con il rischio di errori mediante la predisposizio-ne di momenti di verifica: un processo “giusto”64, appunto, l’unico in grado di

conseguire un socialmente accettabile – e storicamente verificabile, attraverso un puntuale adempimento dell’inalienabile obbligo di motivazione65

supera-mento della presunzione di non colpevolezza.

Tendenzialmente in linea, peraltro, con un risalente insegnamento per il quale i principi di giustizia «sono previsti dalla Costituzione come compiti da perseguire da parte dei poteri pubblici»66 e, quindi, conformemente con quello

che è lo scopo del processo, così individuato da chi si è posto il correlato inter-rogativo: «Come per il processo civile si risponde: ne cives ad arma veniant. Ma a questa finalità di pace civica, se ne aggiunge un’altra per il processo penale, che ha un suo scopo specifico e particolare, alternativo, duplice: impunitum non

relinqui facinus; innocentem non condemnari. Non solo il processo sorge perché

tramonti la ragion fattasi, cessi la privata vendetta, ma perché sia fatta giusti-zia. Non basta il ne cives ad arma veniant, è pur necessario che solo il colpevole sia punito, e con la giusta pena, e che l’innocente venga protetto e tutelato»67.

Non è, d’altra parte, casuale – ed il dato non può lasciare indifferenti perché è sintomatico di una connotazione finalistica che si compenetra con i modelli ma, anche, con le istituzioni – che al vertice del sistema giudiziario sia stata

cificare che la verità di cui si va parlando e scrivendo è “soltanto” quella processuale e che la giustizia è quella che discende dalla celebrazione del giusto processo ai sensi dell’art. 111 Cost.».

62 OpOcher, Giustizia, cit., 557.

63 Come fa notare FassOne, Giudice arbitro-giudice notaio o semplicemente giudice?, in Quest.

Giust., 1989, 3, 583, il nuovo codice di procedura penale impone che il processo non sia più caratterizzato da un dinamismo o da uno scopo, ma da un metodo. Si tratta di considerazioni riprese, in ambito enciclopedico, da bresciani, Organi giudiziari penali, in Dig. disc. pen., IX,

132.

64 cecchi, Si fa di nuovo vivo il vecchio principio di non dispersione della prova?, cit., 226. 65 La quale, evidenzia infatti bargi, Il ricorso per cassazione, cit., 460, «è direttamente

funzio-nale alla effettività della tutela inerente al principio enunciato dall’art. 27, 2° co., Cost.».

66 zagrebelsKy, Il diritto mite, cit., 123. Sulla funzione anche “programmatica” dei principi,

accanto a quelle “interpretativa” ed “integrativa”, v. barTOle, Principi del diritto (dir. cost.), in

Enc. dir., XXXV, 494.

67 bellavisTa, Il processo come dubbio, in Riv. it. dir. proc. pen., 1967, 763. La probabilità di un

più esatto accertamento, rilevava del pOzzO, Impugnazioni, cit., 409, è maggiore quando si

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posta la Corte di cassazione, la quale, prima ancora che organo deputato ad assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale, è dall’art. 65, r.d. 30-1-1941, n. 12 (legge sull’or-dinamento giudiziario) definito “organo supremo di giustizia”68.

3. Sistema delle impugnazioni e principio di uguaglianza.

Uno studio combinato di soggetti, strumenti e dinamiche che compongono il sistema permette di collocare l’obiettivo di protezione dei diritti soggettivi nell’ambito di una funzione più ampia e superiore, che guarda al diritto ogget-tivo (sistema giuridico) e, intromettendosi nella delicatissima fase di passaggio dalla disposizione alla norma, incardina l’attività che ne scandisce i tratti (l’in-terpretazione)69 nel percorso di garanzia ed effettiva realizzazione dei valori

della certezza del diritto e dell’eguaglianza dinanzi alla legge di tutti i cittadi-ni70.

Come insegnava diversi anni addietro un illustre ed indimenticabile prota-gonista della vita politica del Paese, «[la] legge può essere appresa e riportata nella realtà con significati e contenuti diversi, a seconda del modo di intendi-mento da parte dell’interprete-giudice»71.

Difatti, continua la riflessione che chiama in causa un valore fondante degli ordinamenti democratici, «vi sono dei giudici che contemporaneamente, in sedi diverse o anche nella stessa sede, comunque nello stesso contesto sociale e storico, giungono a intendere in modo radicalmente diverso, o in modo sensi-bilmente diverso, la stessa norma di legge»72.

Ed allora, in una situazione in cui l’attività ermeneutica di matrice giurisdi-zionale ha carattere diffuso ed è suscettibile di condurre ad esiti diversificati per

68 iacOviellO, Giudizio di cassazione, in Trattato di procedura penale, diretto da spangher, V,

Impugnazioni, Milanofiori Assago, 2009, 680.

69 Come insegna guasTini, Norma giuridica, cit., 645, la prescrizione in quanto significato

designa il contenuto dell’atto prescrittivo, ossia il significato dell’enunciato prescrittivo «quale risulta dall’interpretazione dell’enunciato stesso».

70 Come non manca di fare notare iacOviellO, Giudizio di cassazione, cit., 628, «[i]l principio

di ègalitè – una delle idee forti della Rivoluzione francese – richiedeva certezza del diritto e giustizia delle sentenze».

71 MOrO, Lezioni di Istituzioni di diritto e procedura penale (tenute nella Facoltà di Scienze

Politi-che dell’Università degli Studi di Roma), raccolte e curate da TriTTO, Bari, 2005, 312. Evidenzia

cesarini sFOrza, Diritto (principio e concetto), in Enc. dir., XII, 634, come «nella applicazione

delle leggi vi è il rischio di interpretazioni arbitrarie o erronee da parte degli organi statali che debbono applicarle, e questa è una delle maggiori cause della insicurezza giuridica». V., inoltre, guasTini, Norma giuridica, cit., 645

72 MOrO, Lezioni di Istituzioni di diritto e procedura penale, cit., 312. D’altra parte, osserva

MOnaTeri, Interpretazione del diritto, in Dig. disc. priv., X, 54, «poiché il significato della norma

interpretata sarà sempre il risultato dell’applicazione di un criterio interpretativo sarà sempre, in questo senso, una creazione dell’interprete».

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una molteplicità di ragioni, «che cosa rimane della obiettività della legge […]? Che cosa rimane di questa essenziale garanzia […]? Garanzia costituita dal fatto che a disciplinare i comportamenti umani vi sia un pronunciamento preventivo ed obiettivo da parte del legislatore; quello che ci faceva dire che la giustizia è uguale per tutti, perché la legge è stata formulata senza guardare a nessuno in particolare e, quindi, come qualche cosa che, rigorosa o indulgente, sarebbe stata egualmente applicata a tutti i soggetti che in quel momento, nel quale la norma è formulata, non sono presenti. Che cosa rimane di questa garanzia di una legge non disegnata in considerazione delle persone e dei casi concreti, ma disegnata in termini generali ed astratti? Che cosa rimane di questa obietti-vità se la legge, passando per il libero, incoercibile tramite della consapevolez-za, della intelligenza del giudice, si presenta in modo diverso a giudici diversi e, quindi, viene applicata con contenuto diverso, come se si trattasse di diverse norme per disciplinare casi analoghi, riscontrabili nella realtà sociale?»73.

«[V]i è certezza [del diritto]» – dunque – «se chi compie atti giuridicamente ri-levanti può fare affidamento sulle precedenti interpretazioni delle norme che li regolano [mentre] vi è eguaglianza [dei cittadini dinanzi alla legge] se la legge da applicare risulta dai giudici uniformemente interpretata»74.

La legge processuale e l’ordinamento giudiziario, come è noto, riservano alla Suprema Corte di cassazione75 – ossia, è stato rimarcato in chiave storica,

al prodotto dell’intuizione illuministica secondo la quale il centro del sistema giuridico doveva essere spostato, per salvaguardare i valori dell’eguaglianza e della giustizia, dal processo alla legge76 – il giudizio sui ricorsi finalizzati

all’an-73 MOrO, Lezioni di Istituzioni di diritto e procedura penale, cit., 312. V., d’altra parte, pisani, La

«unificazione» della Cassazione in materia penale, in Riv. dir. proc., 2010, 1338, il quale nella ricostruzione del percorso di unificazione della Corte di cassazione lascia emergere, altresì, come l’unificazione era considerata, nel dibattito sviluppatosi nell’Ottocento, la premessa fon-damentale per l’unificazione dell’interpretazione e, quindi, per la garanzia dell’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge. A tale proposito, successivamente, lucchini, Elementi di

proce-dura penale, 1921, 463, definiva la pluralità di Corti di cassazione esistenti nel Regno d’Italia «un paradosso in uno Stato governato da un solo sistema di leggi».

74 paulesu, Conflitti interpretativi in cassazione, principio di diritto e valore del «precedente» nel

processo penale, in Riv. dir. proc., 2019, 1050.

75 «Il termine “Corte di cassazione”» – rileva saTTa, Corte di cassazione, cit., 797 – «ha la sua

precisa origine nel senato consulto del 28 floreale anno II (18 maggio 1803) che diede all’i-stituto il nome di Cour de Cassation, del quale il nostro non è che la traduzione […] la nuova denominazione del Tribunal del Cassation, costituito nel periodo rivoluzionario, consacrava il definitivo riconoscimento della suprema magistratura come organo giurisdizionale, e il suo inserimento nell’ordinamento giudiziario dello Stato».

76 Come osserva iacOviellO, Giudizio di cassazione, cit., 628, la Corte di cassazione «nasce da

un sogno che ha attraversato i secoli: che sia la legge e non il giudice a fare giustizia». Anche se, fa notare spangher, Suprema Corte di cassazione (ricorso per), in Dig. disc. pen., XIV, 123, «[i]

l radicato convincimento che sia necessario garantire unità di indirizzo all’azione giudiziaria, assicurando l’omogeneità nell’interpretazione e nell’applicazione della legge, senza per que-sto “ingessare” il sistema, ha poque-sto da tempo il problema della presenza al vertice della strut-tura giudiziaria d’una Suprema Corte regolatrice, non disgiunta dalla presenza d’uno Stato

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