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La motivazione nell’epoca del “limite testuale”.

Tra esigenze di giustizia sostanziale, unificazione del diritto e razionalità

6. La motivazione nell’epoca del “limite testuale”.

Si tratta di profili problematici di notevole rilievo che non erano stati trascu- rati nel corso dei lavori preparatori, i tratti di iniquità del modello improntato sulla previsione del limite testuale essendo stati posti in evidenza, sia pure nel- la limitata prospettiva dell’integrazione della violazione prevista dall’art. 606, co. 1 lett. d) c.p.p., dalla Corte di cassazione e dal mondo accademico allorché rilevarono come «[s]arebbe irragionevole [precludere al ricorrente] la possibi- lità di far valere l’esistenza di un verbale di prova decisiva […] acquisita al processo e trascurata dal giudice al punto di non farne menzione, neppure con motivazione implicita, nell’esporre i fatti e gli argomenti addotti a sostegno del dispositivo»136.

Ed infatti, in una prima fase della giurisprudenza di legittimità il “limite testuale” del sindacato sulla motivazione è stato utilizzato per escludere che il “travisamento del fatto” – questione, questa, che si è trascinata nel corso degli anni ricevendo risposte rigide e riscuotendo scarse simpatie137 – potesse

costituire vizio della motivazione, deducibile mediante ricorso per cassazione, implicando l’accertamento del vizio «un esame comparativo tra quanto ritenuto in ordine a quel fatto nel provvedimento gravato di ricorso e quanto ricavabile, in termini di palese evidenza, dagli atti del procedimento»138.

134 di chiara, Le modifiche, cit., 206. V., inoltre, le critiche di galaTi, Le impugnazioni, in Diritto

processuale penale, Ed. IV, II, 2001, 509.

135 cOrderO, Procedura penale, cit., 1148.

136 cOnsO, grevi, neppi MOdOna, Il nuovo cpp, cit., 1327. Lo stesso ordine di rilievi era stato

posto dalla Facoltà di giurisprudenza dell’Università degli studi di parma.

137 MiTTOne, Qualche riflessione sulla legge n. 46 del 2006, in Impugnazioni e regole di giudizio

nella legge di riforma del 2006. Dai problemi di fondo ai primi responsi costituzionali, a cura di bargis, capriOli, Torino, 2006, 508.

138 V., fra le tante, Cass. pen., Sez. II, 4 aprile 2005, Mangone; Cass. pen., Sez. I, 11 gennaio

Ma la Corte, acquisita la consapevolezza dei rischi, anche sul piano della legittimità costituzionale, connessi al limite di rilevabilità del vizio di motiva- zione139, ha progressivamente cercato di temperarne gli effetti asserendo in-

nanzitutto che la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione di cui all’art. 606, co. 1 lett. e) c.p.p. possa emergere dal raffronto fra i motivi d’appello – ossia, da un atto di parte in cui può ricorrere un errore percettivo non diverso da quello in cui è incorso il giudice – ed il testo della decisione impugnata140.

Successivamente, con specifico riferimento all’ipotesi di ricorso proposto contro una sentenza d’appello di riforma di una sentenza di assoluzione im- pugnata dal pubblico ministero141, la Suprema Corte ha esteso il meccanismo

di rilevabilità del vizio includendo, tra gli atti di riferimento, le memorie e gli atti con cui la difesa, nel contestare il gravame del pubblico ministero, abbia prospettato al giudice d’appello l’avvenuta acquisizione dibattimentale di altre e diverse prove, favorevoli e nel contempo decisive, pretermesse dal giudice di primo grado142.

1993, Tacus; Cass. pen., Sez. I, 21 dicembre 1992, Zuncheddu; Cass. pen., Sez. I, 13 novem- bre 1991, Buda.

139 V., in particolare, lOzzi, La ricorribilità, cit., 1308, il quale prospetta la violazione degli

artt. 3 e 24 Cost. per effetto della disparità di trattamento che si crea, in ordine alla ricorri- bilità in cassazione per il travisamento del fatto o per l’omessa valutazione di una prova a difesa, a seconda che l’omissione sia o no rivelata dal testo del provvedimento impugnato. Ipotizza, inoltre, la violazione dell’art. 111, co. 6 Cost., essendo incompatibile con il dovere motivazionale «una normativa, che rende insindacabile un provvedimento giurisdizionale, il quale abbia completamente ignorato le prove a difesa senza che ciò emerga dal testo del provvedimento impugnato».

140 Cass. pen., Sez. un., 30 aprile 1997, Dessimone. L’indirizzo delle Sezioni unite è stato ri-

badito, successivamente, in Cass. pen., Sez. II, 3 gennaio 2005, Artusa; Cass. pen., Sez. IV, 26 settembre 2003, Benincasa e altri; Cass. pen., Sez. III, 24 settembre 2003, Pg. appello Milano e altro in proc. Artico.

141 In questo caso, ovviamente, il meccanismo escogitato dalle Sezioni unite non può opera-

re, difettando un atto d’appello dell’imputato assolto.

142 Cass. pen., Sez. un., 24 novembre 2003, Andreotti. Contestualmente, però, Cass. pen., Sez.

V, 18 giugno 2003, Pugliese, ha ritenuto semplicemente di escludere la deducibilità del vizio in sede di legittimità «giacché il controllo demandato alla Corte di cassazione ha ad oggetto solo l’accertamento della mancanza o dell’illogicità manifesta della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e non può esplicarsi in indagini extratestuali diretti a verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove, costituenti i dati fondanti della deci- sione, siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo». Critico rispetto all’orientamento delle Sezioni unite, bargi, Ricorso per cassazione,

cit., 530, il quale lo definisce «espressione esemplare di alchimia dialettica, atteso che non si riesce a comprendere come in concreto il ricorrente possa provare la richiesta dimostrazione del vizio e, soprattutto, come la Corte possa verificarne l’esistenza, senza allontanarsi dal te- sto del provvedimento». Manifesta perplessità, poi, lOzzi, La ricorribilità, cit., 1308, secondo il

quale esso, oltre a realizzare una forma mascherata di cognitio facti ex actis, non è comunque in grado di porre la disposizione al riparo da possibili censure di legittimità costituzionale. Il rimedio, visto con riferimento al sistema dell’epoca (id est: limite testuale) è stato ritenuto

Le aperture della giurisprudenza, e soprattutto i limiti intrinseci di esse143,

ribadiscono l’importanza del rapporto tra la previsione di limitazioni alla dedu- cibilità dei vizi di motivazione e la compiutezza informativa.

Questo aspetto, come è noto, è stato approfondito nella veste di corollario della svolta in senso accusatorio impressa dalla codificazione del 1988, os- servandosi come il principio del contraddittorio, che pervade l’intero processo essendo ispirato ad una epistemologia falsificazionistica, non può arrestarsi sulla soglia della motivazione ma deve permeare la stessa in modo da riflettere il conflitto dialettico delle parti processuali144.

Spinta da una visione aperta alle conseguenze necessarie del paradigma pluralistico che regge le dinamiche probatorie del processo, la dottrina ha sot- tolineato che una motivazione che voglia essere in linea con esse deve essere caratterizzata da completezza, correttezza argomentativa ed analiticità, nel sen- so che: «la completezza impone al giudice di fornire la spiegazione del perché un certo fatto è stato ritenuto provato nell’an e nel quomodo e sulla base di qua- li prove ovvero sulla base di quali argomenti logici; la correttezza è sinonimo di coerenza intrinseca dell’argomentazione e di corrispondenza degli elementi di prova utilizzati dal giudice a quelli emersi nel dibattimento; l’analiticità implica il dovere del giudice di esaminare partitamente ogni questione, di fatto e di diritto, necessaria per giungere alla decisione finale, in antitesi ad un approccio generico e schematico»145.

La complementarità della disposizione regolativa del contenuto della moti- vazione rispetto alla previsione di cui all’art. 606, co. 1 lett. e) c.p.p. – secondo il medesimo schema relazionale che unisce l’obbligo costituzionale di motivare ai limiti costituzionali del controllo in cassazione (art. 111 co. 7 Cost. – ha de- terminato un progressivo modellamento della qualità dell’obbligo dalla prima delineato ad opera della Corte di cassazione, realizzandosi per via giurispru- denziale un livellamento verso il basso degli standards contenutistici prescritti dall’art. 546 c.p.p., soprattutto attraverso un notevole ampliamento degli spazi riservati alla motivazione implicita, l’abuso del ricorso alla quale rispetto ai settori delle risultanze processuali e delle deduzioni delle parti era stato eviden- ziato già diversi anni addietro dalla dottrina146.

meritorio da KOsTOris, Le impugnazioni penali, travagliato terreno alla ricerca di nuovi equilibri,

cit., 916.

143 Ben evidenziati da lOzzi, La ricorribilità, cit., 1312.

144 iacOviellO, Motivazione, cit., 768. V., nello stesso senso, lOzzi, La ricorribilità, cit., 1310. 145 rigO, La sentenza, cit., 696.

146 aMOdiO, Motivazione, cit., 228. Come spiegato dalla giurisprudenza di legittimità, la figura

ricorre quando i motivi della soluzione di una determinata questione devono intendersi lo- gicamente contenuti e indirettamente svolti nelle considerazioni e nelle ragioni esposte per dare conto della soluzione adottata rispetto ad altra questione, distinta dalla prima e la cui trattazione implica necessariamente, per imprescindibile presupposto logico, anche la tratta- zione della prima questione. V., in particolare, Cass. pen., Sez. IV, 13 giugno 2005, n. 30386.

Costituisce massima ricorrente, infatti, quella secondo cui il dovere di moti- vazione della sentenza è adempiuto, ad opera del giudice del merito, attraverso la “valutazione globale” delle deduzioni delle parti e delle risultanze proces- suali, non essendo necessaria l’analisi approfondita e l’esame dettagliato delle predette ed essendo invece sufficiente che si spieghino le ragioni che hanno determinato il convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le dedu- zioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata147.

Trasferendo, così, lo schema logico di motivazione sul versante del controllo in cassazione, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato – il quale, come già visto, non soltanto deve sus- sistere graficamente e deve essere intellegibile148, ma deve anche connotarsi di

effettività esplicativa, ricorrendo altrimenti un’ipotesi di motivazione apparente censurabile quale caso specifico di violazione dell’art. 125 c.p.p.149 – propende

verso una verifica limitata al fatto che essa sia:

a. “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudi- cante ha posto a base della decisione adottata;

b. non “manifestamente illogica”, ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;

c. non internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incon- gruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le afferma- zioni in essa contenute;

d. non logicamente “incompatibile” con altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione150.

Nei settori normativi in cui la Corte di cassazione pretende l’adempimento di un dovere di motivazione rafforzata, poi, il controllo si estende fino a compen- diare l’adempimento di quell’obbligo di secondo grado sulla base di caratteri- stiche che la Corte stessa delinea nella sua giurisprudenza.

Ed allora, esemplificando in relazione a specifici segmenti normativi, si può notare che «una sentenza la quale determini un overruling per avere effettiva- mente tale ambizione e per poter incidere sulle valutazioni interpretative del

147 V., tra le tante, Cass. pen., Sez. VI, 4 maggio 2011, n. 20092; Cass. pen., Sez. IV, 24 ottobre

2005, n. 1149; Cass. pen., Sez. IV, 4 giugno 2004, n. 36757.

148 Cass. pen., Sez. V, 24 ottobre 2005, Panza.

149 V., recentemente, Cass. pen., Sez, VI, 4 dicembre 2014, n. 50946.

150 Cass. pen., Sez. VI, 15 marzo 2006, n. 10951. V., in termini critici rispetto ad un modello

di controllo poco attento alla connotazione dialettica del processo, Santoriello, Il vizio di mo- tivazione, cit., 161.

giudice di merito, deve avere il carattere della consapevolezza dell’intenzione del mutamento della giurisprudenza e deve essere sostenuta da un tessuto ar- gomentativo della motivazione rafforzato rispetto al precedente e caratterizzato da esaustiva persuasività»151.

Quando si entra nel campo della rinnovazione dibattimentale in grado di appello, poi, la Corte deve verificare che il giudice abbia compiutamente ar- gomentato circa la configurabilità dell’apprezzamento diverso da quello del primo giudice come l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano minato la permanente stabilità del primo giudizio.

Il compito del giudice di legittimità, si ribadisce in ogni occasione, non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano for- nito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre152.

Operazioni di tipo diverso – consistenti nella pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o nell’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa – trasformerebbero la Corte nell’en- nesimo giudice del fatto e, con una imponente virata verso la terza istanza, le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappre- sentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione153.

Si tratta di un modello di controllo il quale, se da un lato tende a ribadire la legittimazione della Corte di cassazione ad effettuare un sindacato esteso alla verifica dei canoni logici che presiedono alle forme del ragionamento giudi- ziale, con particolare riferimento alla compatibilità razionale fra premesse e conclusioni e, finanche, al (nodo dolente costituito) dalla scelta di massime di esperienza che non contrastino con il buon senso o – come si usa dire richia- mando la semantica dei lavori preparatori – con i limiti di una plausibile op- portunità di apprezzamento154, dall’altro, se non adottato secondo una rigoro-

151 Cass. pen., Sez. un., 24 novembre 2016, Amato.

152 V., per citare una presa di posizione tra le tante, Cass. pen., Sez. un., 13 dicembre 1995,

Clarke.

153 Cass. pen., Sez. VI, 20 aprile 2006, Strazzanti.

154 La giurisprudenza è pacificamente orientata nel senso di ritenere suscettibili di valutazio-

sissima sagomatura, male si presta a rendere censurabile dinanzi alla Suprema Corte l’ipotesi costituita dall’omessa valutazione di un elemento di prova che, quindi, è acquisito nel corso del processo ma del tutto trascurato al momento della deliberazione.

Invero, la rimozione per via giurisprudenziale del dovere, imposto dall’art. 546 c.p.p., di esporre le ragioni per le quali sono state ritenute inattendibili le prove contrarie – dovere che, è stato correttamente ribadito, «rappresenta una conseguenza della concezione dialettica della prova assunta a fondamento del nuovo modello di processo penale»155 – depotenzia notevolmente la possibilità

di fare valere quella che, a tutti gli effetti, si traduce in una lacuna dell’argo- mentazione ed il depotenziamento difficilmente si presta ad essere bilanciato dalla nuova strutturazione del vizio di motivazione allorché non si abbia ben chiara la differenza tra la censura in discorso e il motivo di ricorso proteso sem- plicemente a fornire una ricostruzione alternativa del fatto, quest’ultimo impli- cante una verifica che la giurisprudenza anche recente esclude possa essere di pertinenza della Suprema Corte156.

Anche se, bisogna dire, la Corte di cassazione ha puntualizzato la distinzione tra le diverse tipologie di vizio di motivazione, chiarendo che con i motivi di ricorso non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà – sia essa intrinseca ovvero con un atto probatorio ignorato quando esistente o affermato quando mancante – su aspetti essenziali, tali da imporre una diversa conclusione del processo157.

Pur ribadendosi, pertanto, l’inammissibilità di doglianze che attacchino la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitino una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evi- denzino ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’at-

delle massime di esperienza. V., tra le altre, Cass. pen., Sez. un., 31 maggio 2000, Jakani. In ambito dottrinario v., invece, cOrderO, Procedura penale, cit., 1147: «Eccome sono sindacabili

le massime di esperienza. Se non lo fossero, ogni conclusione farneticata sarebbe invulnera- bile».

155 sanTOriellO, Il vizio di motivazione, cit., 244.

156 Propende, invece, per l’ammissibilità di una verifica di questo tipo, sanTOriellO, Il vizio di

motivazione, cit., 250. Ma v., altresì, iacOviellO, Giudizio di cassazione, cit., 702. In giurispru-

denza v., invece, Cass. pen., Sez. un., 19 giugno 1996, De Francesco.

157 Cass. pen., Sez. VI, 31 marzo 2015, n. 13809. V., tra l’altro, Cass. pen., Sez. II, 18 giugno

2015, Albini e altri, la quale ha statuito che il ricorrente che intenda denunciare contestual- mente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi di moti- vazione deducibili ai sensi dell’art. 606, co. 1 lett. e) c.p.p., ha l’onere – sanzionato a pena di aspecificità, e quindi di inammissibilità del ricorso – di indicare su quale profilo la motivazio- ne asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica. L’orientamento, fondato anche sul presupposto che non può attribuirsi alla Corte la funzione di rielaborare l’impugnazione al fine di estrarre il motivo suscettibile di utile scrutinio, è stato da ultimo ribadito da Cass. pen., Sez. II, 19 settembre 2019, Onofri.

tendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singo- lo elemento, viene rimarcata la censurabilità della contraddittorietà estrinseca della motivazione, ossia di quella inconciliabilità enunciativa che scaturisce dal confronto tra la motivazione e le risultanze acquisite e non valutate158.