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Il sistema delle impugnazioni, si è detto poco sopra, concorre (tra l’altro) alla realizzazione del valore fondamentale costituito dalla giustizia della decisione, epilogo di un accertamento che, sul versante dinamico, si è svolto in conformità con le regole di un processo a sua volta “giusto”, strumento (l’unico strumento, afferma con inedita ma opportuna risolutezza l’art. 111 Cost.!) di attuazione di una giurisdizione (insieme di organi e funzioni) che ha acquisito la piena consapevolezza dei limiti intrinseci di qualsiasi accertamento riconducibile all’agire umano e che, per questo, si è dotato di forme e meccanismi capaci di

111 Falzea, Voci, cit., 305.

112 Come chiarito da Cass. pen., Sez. un., 27 settembre 1995, n. 10372, il diritto di impugnare

non può essere esercitato per ottenere soltanto l’esattezza teorica della decisione.

113 Secondo la Corte di cassazione, per esempio, la verifica della sussistenza dei requisiti

dell’attualità e della concretezza che necessariamente devono connotare l’interesse della par- te che propone impugnazione, va effettuata, tra l’altro, sulla base di una valutazione sia della idoneità del mezzo di impugnazione proposto a rimuovere gli effetti lesivi del provvedimento impugnato che dei risultati favorevoli che dall’eventuale esito positivo dell’impugnazione possono scaturire. V., infatti, Cass. pen., Sez. un., 25 giugno 2009, n. 29529.

concorrere al conseguimento del risultato finale in cui si sintetizza l’essere della giurisdizione stessa.

«Per secoli» – è stato, infatti, rimarcato – «gli operatori giuridici sono rima- sti come affascinati da quello che potrebbe dirsi il mito della verità, ed hanno creduto che l’uso accorto di determinati strumenti materiali e giuridici potesse fornire rappresentazioni esatte della verità, verità storica o verità scientifica che essa fosse. Donde uno sforzo, sincero in tutte le sue manifestazioni, di perfezio- nare questi strumenti, e che si concentrò in modo particolare nello strumento del processo: il giudice deve ricercare la verità, e la sua sentenza contiene la verità accertata, anzi è la verità»114.

Ogni considerazione – di carattere politico (momento della valutazione) e legislativo (momento della elaborazione tecnica) – relativa alla conformazio- ne o meno di un modello di accertamento articolato su plurimi livelli deve, pertanto, relazionarsi anche con giudizi di valore che guardino allo scopo del processo e, in un’ottica di questo tipo, è indispensabile considerare la natura ed i limiti (cognitivi, soprattutto) del processo stesso per cogliere la dimensione funzionalistica delle impugnazioni quali garanzia ineliminabile per l’esattezza e l’accettabilità sociale dell’accertamento finale, funzione che priva di neutralità la scelta legislativa sul sé e ne colloca l’esito sul crinale della indefettibilità di sistema.

I profili che entrano in gioco sono diversi e tutti dotati di indiscutibile com- plessità, attinenti come sono ad una dimensione (quella della spiritualità)115 nel

cui ambito il relativismo – delle conoscenze, delle metodologie, dei percorsi e dei processi – tende a porre ogni assunto su di un terreno sdrucciolevole.

Il processo, orbene, non può fare a meno di confrontarsi con il suo carattere essenziale di accadimento “terribilmente umano”116, dunque di fenomeno nel

cui ambito si diffonde prepotentemente un alone di generale discutibilità delle conclusioni e relativamente al quale, conseguentemente, le norme giuridiche – i cui effetti, non a caso, devono essere concepiti in termini reali, ossia come valori legati alla realtà biologica, psichica e spirituale della vita umana117 – pos-

sono disciplinare la dinamica ma giammai prestabilire il fine (la verità, si dice in maniera suggestiva) e dare ad esso, addirittura, una impegnativa – quanto improponibile e difficilmente accreditabile – qualificazione (assoluta).

114 giannini, Certezza pubblica, in Enc. dir., VI, 770.

115 Si fa riferimento, ovviamente, a Falzea, Introduzione alle scienze giuridiche, cit., 381. 116 TOnini, cOnTi, Il diritto delle prove penali, Milano, 2014, 2. Esso, chiarisce FOschini, Sistema

del diritto processuale penale, II, Milano, 1968, 273, «è un fenomeno di vita della collettività organizzata, attraverso il quale la stessa realtà giuridica reagisce conservandosi ed evolven- dosi». V., inoltre, cOnsO, Considerazioni in tema di contraddittorio nel processo penale italiano,

in Riv. it. dir. proc. pen., 1966, 413; bellavisTa, Il processo come dubbio, in Riv. it. dir. proc. pen.,

1967, 772, il quale ribadisce il valore relativo delle certezze giudiziali in ragione dei limiti umani che connotano ogni giudizio.

Come osservava, oramai diversi anni addietro, la dottrina, «un solo giudice può non avere dubbi, dato che è il signore della certezza: il Creatore. Ma le sue creature, solo attraverso il dubbio, l’angoscioso ma onesto dubbio, possono arrivare alle loro relative certezze. Non plus ultra»118.

La verifica della fondatezza dell’attribuzione di un fatto tipico – ad un sog- getto che il nostro ordinamento, non si dimentichi mai, presume essere “non colpevole”119 – appartiene, infatti, ad una dimensione del processo che rifugge

da qualità sostanziali suscettibili di essere formalizzate in enunciati normativi. Il processo non è un fenomeno trascendentale, bensì un segmento – ancor- ché dotato di tratti peculiari in ragione della delicatezza degli interessi in gioco – della complessa fenomenologia che caratterizza quella che, si è già visto poco sopra, autorevolissimi studiosi hanno definito “sfera spirituale” e dell’insieme di appartenenza finisce inevitabilmente – non può essere diversamente – con il condividere connotazioni e limiti.

Esso, come è stato abbondantemente detto, sotto il profilo dinamico costitu- isce una fattispecie complessa a formazione successiva120, consistendo in una

sequenza ordinata di atti ciascuno dei quali è dotato di una propria, specifica funzione all’interno di un meccanismo progressivo destinato a conseguire un determinato risultato121.

«[I]l processo» – è stato persuasivamente osservato guardando alla sequenza fenomenica che ne costituisce l’essenza da un punto di vista formale – «[con- siste in] una serie ed un insieme di atti che si muovono verso un determinato scopo, giustificatore della stessa funzione del processo»122.

118 bellavisTa, Il processo come dubbio, cit., 773.

119 Per un’analisi approfondita del principio costituzionale si rinvia, ovviamente, a paulesu,

Presunzione di non colpevolezza, cit., 670, il quale, esaminandola nel suo profilo di regola di giudizio, evidenzia che essa si è imposta come garanzia politica per l’imputato, perché consi- dera prevalente, nel dubbio, l’interesse individuale di libertà (inteso qui nel peculiare aspetto del diritto al riconoscimento dell’innocenza) di fronte alla pretesa punitiva dello Stato. Essa, quindi, «nulla aggiunge ai poteri decisori del giudice, ma determina solamente il contenuto ipotetico della decisione, indicando a quali condizioni la colpevolezza può dirsi accertata». V., inoltre, FiOriO, La presunzione di non colpevolezza, in Fisionomia costituzionale del processo

penale, a cura di dean, Torino, 2007, 119.

120 Secondo dalia, pierrO, Giurisdizione penale, in Enc. giur., XV, 5, ciò che caratterizza siffatta

nozione è «il collegamento dinamico di tutti gli atti che compongono la serie procedimentale verso l’atto finale da cui scaturisce l’effetto al quale il procedimento è deputato e che viene, quindi, denominato atto-procedimento o atto totale». Per una dettagliata analisi della temati- ca v., inoltre, di priscO, Procedimento (dir. priv.), in Enc. dir., XXXV, 836; Fazzalari, Procedimento

e processo (teoria generale), in Enc. dir., XXXV, 819.

121 «Processo penale» – secondo ranieri, Manuale di diritto processuale penale, cit., 162 – «è il

complesso degli atti consecutivi, collegati da un unico fine e disciplinati dal diritto processua- le penale, che vengono posti in essere dal giudice e da altri soggetti, per accertare l’esistenza delle condizioni di fatto e di diritto indispensabili perché si possa giungere a ottenere, in un caso concreto, il provvedimento giurisdizionale (penale)».

122 bellavisTa, Lezioni di diritto processuale penale, Milano, 1973, 1. Ma v., inoltre, id., Il proces-

«Processus viene da procedere» – si fa notare – «e nella sua etimologia espri- me un meccanismo in movimento: una serie di atti, appunto, che, attraverso vari momenti o fasi, procedono da qualche cosa verso altra qualche cosa»123.

Orbene, nell’ambito di questa straordinaria sequenza di atti e operazioni124

si realizza il «momento più difficile e drammatico dello scontro tra individuo e società»125, tra una pretesa punitiva – per usare una terminologia tanto diffusa

quanto efficace126 – che si soggettivizza e viene rappresentata al fine di ripri-

stinare l’ordine sociale violato dalla commissione del reato e l’istintiva, innata tendenza all’affermazione dell’interesse individuale di libertà di colui che, di quella istanza sociale di natura ripristinatoria, è destinatario e della cui realiz- zazione è, eventualmente, vittima.

Il processo è, dunque, un fenomeno umano127 oltremodo complesso, nel

quale le speranze e le emozioni della persona che ne è protagonista si incon- trano (ma, verrebbe meglio dire, si scontrano) con le pretese di una comunità che esige e richiede protezione di fronte agli allarmanti elementi di turbativa introdotti dall’azione delittuosa.

La scienza, di cui gli infiniti aspetti della fenomenologia umana – tra questi, dunque, anche il processo – costituiscono oggetto di studio, ha lentamente ma

è «il complesso degli atti giuridici diretti all’esercizio della giurisdizione». Negli stessi termini v., ancora, dalia, pierrO, Giurisdizione penale, cit., 5, i quali identificano il processo con il pro-

cedimento giurisdizionale, ossia con «quella combinazione causalmente vincolata di atti pro- tesi al raggiungimento dello scopo giuridico conclusivo, rappresentato dalla cosa giudicata». Evidenzia, altresì, carpOni schiTTar, Modi dell’esame e del controesame, Milano, 2001, 61, come

il processo sia qualcosa che si snoda nel tempo, aggiungendo tassello dopo tassello, finché il mosaico si chiude con la pronuncia della sentenza irrevocabile. V., da ultimo, le precisazioni concettuali di FurFarO, I procedimenti nel processo penale (concetti, collegamenti, classificazio-

ni), Pisa, 2018, 13.

123 bellavisTa, Lezioni di diritto processuale penale, cit., 1. Ma v., anche, Manzini, Istituzioni di

diritto processuale penale, cit., 15, il quale individua nel processo penale un rapporto giuridico «complesso e progressivo». Mette in evidenza TaOrMina, Diritto processuale penale. Teorie gene-

rali, Torino, 2014, 16: «Le attività integranti l’esercizio della funzione giudiziaria teleologica- mente diretta all’accertamento delle responsabilità penali ed eventualmente all’applicazione della pena, reclamano, quasi per vocazione, la categoria del procedimento».

124 La quale, evidenziano TOnini, cOnTi, Custodia cautelare e struttura del processo: come perse-

guire una durata ragionevole, in Dir. pen. proc., 2003, 3, 359, richiede necessariamente, anche in condizioni fisiologiche, uno svolgimento temporale.

125 ricciO, Il pacchetto di innovazioni procedurali riporta al vecchio rito inquisitorio, in Dir. e

giust., 2002, 34, 13. V., diversi anni prima, Massa, Aspetti della riforma del processo penale, in

Riv. it. dir. proc. pen., 1963, 732, il quale individua nel processo penale un «dramma […] in cui si discute – e non bisogna mai dimenticarlo – il più sacro bene del cittadino, cioè la sua libertà individuale».

126 bellavisTa, Appello, cit., 757, per esempio, nel ricostruire i motivi ontologici della conser-

vazione di un secondo grado di giudizio, definisce l’azione penale come un’istanza di verifica- zione sulla esistenza o meno di una “pretesa punitiva” in relazione ad una fattispecie dedotta in giudizio.

necessariamente – messa, infatti, alle strette da una realtà che «troppo spesso smentiva tante verità»128 e «di fronte all’avvertenza di molti filosofi, che poneva

in dubbio la possibilità di raggiungere la verità nelle cose terrene»129 – superato

ogni illusione circa la capacità di conseguire, in ciascuna delle sue articolazioni tematiche, conoscenze assolute ed incontestabili130 ed alla consapevolezza di

questo limite gnoseologico deve adeguarsi la tecnica ricostruttiva dei fatti in- terna al processo penale.

«Un esito degli studi epistemologici non sempre presente ai giuristi, ma or- mai divenuto patrimonio generale della cultura filosofico-scientifica contem- poranea» – è stato, infatti, detto in epoca oramai abbastanza risalente – «è co- stituito dal riconoscimento che qualunque risultato di un’indagine fattuale è dipendente dal contesto in cui quest’ultima si svolge, dalla metodologia seguita e dalle finalità prefissate»131.

In altri termini, se, come è stato acutamente rilevato, «non è umanamen- te concepibile né istituzionalmente esatto che il meccanismo processuale sia predisposto per accertare (nel significato etimologico del rendere certo) la ve- rità»132, non è conseguentemente accettabile l’adattamento del sistema proces-

suale a strutture epistemiche concepite in funzione dell’accertamento di un oggetto ormai espulso dall’universo delle capacità cognitive umane133.

La stessa regola di giudizio racchiusa nell’espressione “al di là di ogni ragio- nevole dubbio”, ritenuta operativa nell’ambito del nostro sistema processuale a prescindere dalla modifica dell’art. 533, co. 1 c.p.p.134 in quanto dotata di un

128 giannini, Certezza pubblica, cit., 770. 129 giannini, Certezza pubblica, cit., 770.

130 Lo rileva, efficacemente, uberTis, Argomenti di procedura penale, II, Milano, 2006, 117. Ma

v., ancora prima, id., Sisifo e Penelope. Il nuovo codice di procedura penale dal progetto prelimi-

nare alla ricostruzione del sistema, Torino, 1993, 49.

131 uberTis, Sisifo e Penelope, cit., 49. Vengono riprese, nell’opera, le analisi effettuate già

qualche anno prima ed esposte in id., La conoscenza del fatto nel processo penale, Milano,

1992, 1.

132 MelchiOnda, Prova (Dir. proc. pen.), in Enc. dir., XXXVII, 649. Ma v., anche, TOnini, cOnTi, Il

diritto delle prove penali, cit., 2, ove si spiega che «l’accertamento processuale e la verità sto- rica sono due grandezze ontologicamente diverse, separate da un salto logico». Oltre che, di recente, MancusO, Il regime probatorio dibattimentale, Milano, 2017, 2. E, da ultimo, cecchi, Si

fa di nuovo vivo il vecchio principio di non dispersione della prova?, cit., 226.

133 L’idea del processo penale come strumento idoneo a conseguire verità materiali ha carat-

terizzato il corso dei lavori preparatori dell’abrogato codice di rito e da esso è stata recepita in tutte quelle disposizioni che accordavano al giudice ed alle parti processuali poteri finalizzati alla “ricerca della verità”. Il codice attuale rifugge, invece, da ogni tentazione di finalizzare il compimento di atti processuali alla ricerca della verità e, sul piano terminologico, siffatta scelta si è tradotta nella messa al bando di un’espressione che, in effetti, appare soltanto nelle disposizioni che contemplano le varie formule di giuramento. In senso critico rispetto a siffatta soluzione v., come già detto, capriOli, Verità e giustificazione nel processo penale, in Riv.

it. dir. proc. pen., 2013, 620.

134 Modifica introdotta dall’art. 5, l. 20 febbraio 2006, n. 46. Sulla regola di giudizio v., innan-

solido fondamento nel sistema costituzionale – in particolare negli artt. 2, 3, co. 1, 25, co. 2 e, soprattutto, 27 Cost. – sì da costituire diritto vivente135, è con-

siderata formula di sintesi che, nella combinazione di sostantivi ed avverbi136

che ne connota la struttura, «costituisce oggi la traduzione normativa espressa del principio costituzionale della presunzione di innocenza»137 e, apertamente,

esprime la strutturale inidoneità del processo penale a condurre verso l’acqui- sizione di certezze assolute138.

La suggestiva e trasparente espressione costituisce uno dei segni più impor- tanti del lento e quasi sempre inconsapevole processo di adeguamento della scienza giuridica alle nuove correnti delle nuove scienze, correnti nell’ambito delle quali la probabilità prende il posto della certezza ed il pluralismo quello dell’assolutismo logico139.

Essa, si è acutamente osservato da parte della dottrina, «riassum[e] la ten- sione tra due poli: da un lato, la consapevolezza che la verità affermata, come ogni verità storica, non potendo essere raggiunta deduttivamente, non ha nulla di logicamente necessario e, quindi, è sempre esposta al rischio di errore; ma, dall’altro, il riconoscimento che l’assunto di colpevolezza ha trovato solida con- ferma nelle prove presentate, resistendo ad ogni tentativo di falsificazione»140.

zio. Legge 20 febbraio 2006, n. 46, Milano, 2006, 87. Nonché, piergallini, La regola dell’“oltre

ragionevole dubbio” al banco di prova di un ordinamento di civil law, in Impugnazioni e regole di giudizio nella legge di riforma del 2006. Dai problemi di fondo ai primi responsi costituzionali, a cura di bargis, capriOli, Torino, 2007, 361.

135 V., da ultimo, sOMMa, “Oltre ogni ragionevole dubbio”. Una formula enfatica da contestualiz-

zare: meglio, da evitare, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, 366.

136 L’aggettivo “ragionevole, si evidenzia in TOnini, cOnTi, Il diritto delle prove penali, cit., 76,

«conferisce un crisma di oggettività al dubbio che, dunque, appare ragionevole quando può essere espresso attraverso categorie logiche e, dunque, può essere esternato attraverso una motivazione corretta nella forma e nella sostanza, idonea a superare il vaglio del principio di non contraddizione».

137 TOnini, cOnTi, Il diritto delle prove penali, cit., 73.

138 V., tra gli altri, garOFOli, I nuovi standards valutativi e gli epiloghi decisori nel giudizio, in La

nuova disciplina delle impugnazioni dopo la “legge Pecorella”, a cura di gaiTO, Milanofiori As-

sago, 2006, 77. Sulle regole di giudizio nell’ambito del processo penale v., da ultimo, dinacci,

Regole di giudizio (dir. proc. pen.), in Dig. disc. pen., Agg. VIII, 644.

139 giannini, Certezza pubblica, cit., 770.

140 Ferrua, Progetto Pittelli: una riforma dannosa che allontana il giusto processo, in Dir. e giust.,

2002, 34, 11. Ma v., poi, la trattazione di TOnini, cOnTi, Il diritto delle prove penali, cit., 72. Come

precisato, di recente, da Cass. pen., Sez. un., 3 aprile 2018, n. 14800, il canone del ragione- vole dubbio, per la sua immediata derivazione dal principio della presunzione di innocenza, esplica i suoi effetti conformativi non solo sull’applicazione delle regole di giudizio e sulle diverse basi argomentative della sentenza di appello che operi un’integrale riforma di quella di primo grado, ma anche, e più in generale, sui metodi di accertamento del fatto, imponen- do protocolli logici del tutto diversi in tema di valutazione delle prove e delle contrapposte ipotesi ricostruttive in ordine alla fondatezza del tema d’accusa: la certezza della colpevolezza per la pronuncia di condanna, il dubbio originato dalla mera plausibilità processuale di una ricostruzione alternativa del fatto per l’assoluzione.

Ed infatti, la giurisprudenza ha attribuito un significato coerente alla regola di giudizio espressa dalla norma, regola la quale impone di pronunciare sen- tenza di condanna quando il dato probatorio acquisito lascia fuori solo even- tualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in

rerum natura, ma la cui concreta realizzazione nella fattispecie concreta non

trova il benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose della normale razionalità umana141.

Ma l’estraneità di una pretesa rivolta alla ricerca di verità assolute rispetto ai fini del processo sarebbe connaturata, ancora prima, al “principio di ragione” posto alla base della regola probatoria e di giudizio compendiata nella formula “oltre ogni ragionevole dubbio”, ossia la regola secondo cui “è molto peggio condannare un innocente che lasciar libero un colpevole”142: essa, come è evi-

dente, esplicita il pericolo dell’errore nell’accertamento e pone le basi per dota- re il sistema di adeguati (purtroppo non risolutivi) anticorpi.

Detto questo ragionando sui principi, v’è da aggiungere che è anche la con- notazione del fenomeno processuale quale sequenza di atti necessariamen- te collocata in un frangente temporalmente (spesso anche molto!) successivo al fatto oggetto di accertamento143 ad imporre la relativizzazione di qualsiasi

“conclusione processuale”, virando il sistema verso dinamiche in cui la for- mazione del convincimento giudiziale che sostanzia la “verità processuale”144

avviene sulla base di “affermazioni probatorie” che il giudice utilizza circolar- mente come risultati di esperimenti i quali, a loro volta, si concretizzano in ulteriori affermazioni finalizzate alla verifica delle prime145.

141 Cass. pen., Sez. I, 26 maggio 2010, n. 19933.

142 V., sulla connessione tra la regola ed il principio predetti, sTella, Etica e razionalità del

processo penale nella recente sentenza sulla causalità delle Sezioni Unite della Suprema Corte di cassazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, 767. Ma v., in precedenza, id., Giustizia e modernità.

La protezione dell’innocente e la tutela delle vittime, Milano, 2001, 132. Per ulteriori riflessioni sulla fondamentale regola di giudizio racchiusa nella formula “oltre ogni ragionevole dubbio” v., tra gli altri, cenTOnze, La corte d’Assise di fronte al “ragionevole dubbio”, in Riv. it. dir. proc.

pen., 2003, 673; zaccaria, Art. 533, in Cpp commentato, a cura di gaiTO, Milanofiori Assago,

2012, 3362; capriOli, L’accertamento della responsabilità penale “oltre ogni ragionevole dubbio”,

in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 51; canziO, L’“oltre il ragionevole dubbio” come regola probatoria

e di giudizio nel processo penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 303; rigO, La sentenza, in Trat-

tato di procedura penale, diretto da spangher, IV, t. II, Milanofiori Assago, 2009, 622; Ferrua, Il

giusto processo, Bologna, 2007, 193.

143 TOnini, cOnTi, Il diritto delle prove penali, cit., 1. Come osserva dinacci, La rinnovazione dell’i-

struzione dibattimentale nel giudizio di rinvio, in Cass. pen., 2007, 3500, «[i]l processo ha il suo effetto finale in una decisione e questa è il risultato di una ricostruzione retrospettiva dei fatti contenuti nell’imputazione».

144 Quella, cioè, che in TOnini, cOnTi, Il diritto delle prove penali, cit., 5, viene definita come

«quel risultato che si ottiene attraverso l’impiego di tutti e soli gli strumenti accertativi di cui