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Tra esigenze di giustizia sostanziale, unificazione del diritto e razionalità

1. La Corte di cassazione nel sistema.

«Il termine “Corte di cassazione”» – è stato evidenziato – «ha la sua precisa origine nel senato consulto del 28 floreale anno II (18 maggio 1803) che diede all’istituto il nome di Cour de Cassation, del quale il nostro non è che la tradu- zione […] [L]a nuova denominazione del Tribunal del Cassation, costituito nel periodo rivoluzionario, consacrava il definitivo riconoscimento della suprema magistratura come organo giurisdizionale, e il suo inserimento nell’ordinamen- to giudiziario dello Stato»1.

L’intuizione degli illuministi che fosse la legge e non il giudice a fare giu- stizia2 prefigurava un disegno di spostamento del baricentro del sistema che

richiedeva, per avere prospettive di successo, diverse condizioni, tra le quali una rimodulazione della struttura verticistica dell’organizzazione giudiziaria ed una ferrea limitazione dell’ambito dei poteri di sindacato di un organo non più di vertice (appunto: un tribunal).

Sebbene la Cassazione si sia sempre più andata inserendo nell’orbita del processo come un grado di esso3, la caratterizzazione poliedrica delle funzioni

che essa svolge ne fanno un organo affatto peculiare, inserito sì nel sistema

1 saTTa, Corte di cassazione (dir. proc. civ.), in Enc. dir., X, 797.

2 iacOviellO, Giudizio di cassazione, cit., 628, il quale evidenzia come si trattasse di una in-

tuizione «per quell’epoca sconvolgente».

delle impugnazioni ma con una proiezione che, sotto diversi aspetti, sembra affine (in un’ottica complementare) a quella del legislatore.

Non già, però, nel senso acquisito dall’ideale illuminista e sintetizzato nella felice espressione «arma della legge puntata contro il giudice»4, ma nel signifi-

cato – contrapposto a quell’ideale – di soggetto dotato di una peculiare funzio- ne interpretativa degli atti normativi, gestore quasi unico del passaggio dalla disposizione alla norma.

La legge processuale e l’ordinamento giudiziario, come si è già visto, riser- vano alla Suprema Corte di cassazione il giudizio sui ricorsi finalizzati all’an- nullamento delle sentenze e degli altri provvedimenti del giudice e il ricorso costituisce il rimedio unico e necessariamente collocato all’interno del sistema delle impugnazioni attraverso il quale la Corte viene posta nelle condizioni di assolvere a siffatta funzione5.

La funzione tipicizzante e caratteristica della Corte, infatti, è delineata dalla disposizione programmatica6 contenuta nell’art. 65, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12

e consiste nell’assicurare l’esatta osservanza – lo sguardo del legislatore sem- brava rivolto all’esigenza di rimediare alle forme (tutte le forme) di “violazione di legge” di cui, qualche anno dopo, parlerà l’art. 111, co. 7 Cost.7 – e l’uniforme

interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale8.

Comunemente definita come “funzione di nomofilachia”9, essa consiste,

come tutti sanno, in un’attività unificatrice della giurisprudenza, alla quale si

4 iacOviellO, Giudizio di cassazione, in Trattato di procedura penale, diretto da Spangher, V,

Impugnazioni, Milanofiori Assago, 2009, 628.

5 Come sottolinea bellavisTa, Corte di cassazione (dir. proc. pen.), in Enc. dir., X, 830, «il ricor-

so per cassazione, strumentalmente, è l’idoneo rimedio giuridico attraverso il quale la Corte di cassazione può assolvere la sua alta funzione di Corte suprema regolatrice della giurisdi- zione penale, interprete massima del diritto, fuori dei casi di sindacatori costituzionalità di una norma di legge, demandati ad alto supremo giudice, la Corte costituzionale».

6 Così, come già detto, saTTa, Cassazione, cit., 458.

7 L’opportunità di conservare la possibilità di un ricorso indifferenziato alla Suprema Corte,

assicurata dalla norma costituzionale, è messa in dubbio da KOsTOris, Le impugnazioni penali,

travagliato terreno alla ricerca di nuovi equilibri, in Riv. dir. proc., 2008, 916.

8 Fa notare saTTa, Cassazione, cit., 458, la «singolarissima adozione del termine dottrinale

di “diritto oggettivo”, che non si trovava nella vecchia legge sull’ordinamento giudiziario». Con ciò, sottolinea pisani, La «unificazione» della Cassazione in materia penale, in Riv. dir. proc.,

2010, 1338, «si voleva dire (e sottolineare: l’unità del diritto come obiettivo, da conseguirsi tendenzialmente attraverso il mezzo della interpretazione uniforme delle norme. Che era poi, a sua volta, il risultato strumentale verso cui aveva puntato, per diversi decenni, l’unificazione della Cassazione, cioè degli “organi unificanti”».

9 V., tra i numerosi contributi sul tema, FurFarO, Nomofilachia, in Dig. disc. pen., Agg. VI,

336. Evidenzia saTTa, Corte di cassazione, cit., 798, come sia dato sentire «nell’enfasi e nel-

la genericità di queste parole l’eco delle antiche enfilades rivoluzionarie». Come sosteneva carneluTTi, Principi del processo penale, Napoli, 1960, 305, la conservazione e la custodia del

valore giuridico costituito dalla giurisprudenza implica la necessità di separare il giudizio di diritto dal giudizio di fatto, separazione che giustifica il giudizio in cassazione.

aggiunge quella di regolare i conflitti e le competenze rispetto alle varie giuri- sdizioni.

Funzione connessa alla posizione, propria della Corte di cassazione, di prin- cipale interprete del diritto, fatto salvo il limite costituito dal sindacato di legitti- mità costituzionale della legge non interpretabile in maniera costituzionalmen- te conforme, riservato alla Corte costituzionale ma al quale la prima concorre mediante il suo ruolo chiave – soprattutto attraverso le Sezioni unite – nella formazione del c.d. diritto vivente, valorizzato dalla Corte costituzionale stessa quale oggetto del sindacato di costituzionalità10.

La compenetrazione dell’organo – programmaticamente orientato all’assol- vimento di funzioni di carattere generale, ossia proiettate in direzione dell’in- tera comunità e trascendenti la singola, specifica controversia – con il mezzo instaurativo della correlativa fase giudiziale rende la Corte organo di concretiz- zazione del diritto oggettivo su diversi piani.

Essa, in primo luogo, conforma e fa vivere nella realtà il diritto sostanziale e, così facendo, rende effettiva la dotazione delle relazioni umane del requisito – come già detto, a struttura variabile secondo gli intendimenti della cassazione – della giuridicità scaturente dalla legge.

In secondo luogo, la giurisprudenza di legittimità conforma gli istituti del di- ritto processuale, nel senso che di essi modella struttura e geometrie funzionali in direzione, talvolta, di un loro perfezionamento intrinseco; altre volte, attuan- do invece soluzioni deformanti che ne compromettono la coerenza sistematica e la dimensione assiologica.

Ma la “programmazione normativa” delle peculiari funzioni della Corte di cassazione determina una situazione di inedita (come già visto) immedesima- zione organico-funzionale la quale, coagulandosi con la processualizzazione del ruolo e delle attività di essa – si tratta, ancora una volta, di un riflesso di quella compenetrazione dell’organo con la funzione di cui si è già detto11 – por-

ta l’organo stesso a determinare l’estensione, la profondità, i limiti e gli effetti giuridici della propria funzione e delle proprie attività nell’ambito del sistema processuale.

Come si è già avuto modo di fare notare, la Corte fa tutto questo allorquan- do maneggia strumenti delicatissimi e fondamentali per il funzionamento del sistema processuale.

10 Sottolinea la centralità dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte di cassazione ri-

spetto alla formazione del diritto vivente, tra gli altri, garavelli, Corte di cassazione nel diritto

processuale penale, in Dig. disc. pen., VI, 544. Sulla dottrina del diritto vivente v., su tutti, za- grebelsKy, La giustizia costituzionale, Bologna, 1988, 288, per il quale quella di diritto vivente

«è formula che allude alle applicazioni del diritto formalmente vigente, di per sé in attesa di vivere nelle sue applicazioni». A livello enciclopedico v., invece, le voci di MengOni, Diritto

vivente, in Dig. disc. civ., VI, 445.

Si può pensare, per citare soltanto alcuni di essi, al vizio di motivazione – è la Corte, infatti, a regolare i rapporti tra gli artt. 125 e 606 c.p.p., così come è sempre la Corte a determinare forme, profondità e tecniche del relativo con- trollo manovrando politicamente i confini tra “legittimità” e “merito”12 oppure

costruendo il dovere motivazionale su livelli diversificati13 – all’annullamento

senza rinvio – la Corte, stabilisce quando il rinvio è superfluo ai sensi dell’art. 620 c.p.p., di talché non si fa luogo al seguito processuale dinanzi al giudice del merito – e alla rettificazione di errori non determinanti annullamento ai sensi dell’art. 619 c.p.p.

Ma la capacità conformativa del proprio ruolo emerge in tutta la sua pre- gnanza e con la maggiore incidenza possibile, soprattutto, allorché la Corte, facendosi carico di esigenze trascurate – talvolta volontariamente trascurate – dal legislatore ma esemplificative di valori fondamentali per la conservazione della comunità, elabora essa stessa strumenti di controllo – emblematico, come si avrà modo di vedere, il caso dell’abnormità – dei quali delinea presupposti, strutturazione ed effetti secondo logiche di chiusura del sistema.