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Welfare sanitario e vincoli economici

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Academic year: 2021

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Università degli studi di Roma Sapienza

Dottorato in Diritto Pubblico, Comparato e Internazionale Curriculum “Diritto pubblico dell’economia”

XXXI ciclo

Tesi di dottorato

Welfare sanitario e vincoli economici

Dottorando Tutor

Dott.ssa Giorgia Crisafi Chiar.ma Prof.ssa Francesca Angelini

Coordinatore

Chiar.mo Prof. Fabio Giglioni

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INDICE

INTRODUZIONE 1

CAPITOLO I

IL DIRITTO ALLA SALUTE

SEZIONE I

L’oggetto del diritto alla salute

1. Cenni introduttivi 4

2. Breve evoluzione storica: dall’hospitalitas cristiana all’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità pubblica 7

2.1 segue…La Costituzione del 1948 e la tutela della salute 17

3. L’art. 32 della Costituzione come norma a fattispecie complessa. Il bene “salute” 23

4. I soggetti coinvolti. La Repubblica 25

4.1. segue…l’individuo 29

4.2. segue…la collettività 34

4.3. segue…gli indigenti 36

5. La tutela della salute come diritto fondamentale 37

6. Il diritto alla salute come diritto di libertà. A) Il diritto all’integrità psico-fisica 39 6.1. segue…B) Il diritto dell’individuo di non sottoporsi o di rifiutare le cure 42

7. Il diritto alla salute come diritto sociale 46

SEZIONE II

Le fonti del diritto sanitario

1. Premessa 50

2. Le altre fonti costituzionali: a) i principi fondamentali 51

2.1. segue…b) l’art. 38 54

(3)

3. La legislazione ordinaria 58

3.1. segue…Le tre riforme della sanità 59

4. Le fonti atipiche: a) i Patti per la salute 63

4.1. segue…b) i Piani di rientro 69

CAPITOLO II

UNIVERSALISMO E DECENTRAMENTO ALLA PROVA DEI VINCOLI DI BILANCIO

SEZIONE I

Modelli di finanziamento e accesso alle cure. Il ridimensionamento del Servizio sanitario nazionale 1. Introduzione. I possibili modelli di assistenza sanitaria 75 2. L’evoluzione del sistema di finanziamento della sanità in Italia: dal mutualismo al Servizio sanitario nazionale

e le sue riforme 80

3. Il modello attuale di finanziamento della sanità in Italia: a) la delega sul federalismo fiscale e il d.lgs n. 68 del

2011 98

3.1. segue…b) la riforma dell’art.81 della Costituzione 110

3.2. segue…c) il patto per la salute 2014-2016 e i successivi sviluppi finanziari del Servizio sanitario nazionale 116 3.3. segue…d) il d.p.c.m. del 12 gennaio 2017, di aggiornamento dei Lea 120 3.4. segue…e) la compartecipazione dei privati alla spesa sanitaria 126

4. Gli altri “pilastri” della sanità 129

5. Conclusioni 135

SEZIONE II

La sanità tra Stato e regioni: prove di una ri-centralizzazione delle competenze

1. Premessa 142

2. Il diritto alla salute tra Stato e regioni: a) l’assetto costituzionale delle competenze legislative 144 2.1. segue…b) l’organizzazione del Servizio sanitario nazionale 148

(4)

3. Il “coordinamento della finanza pubblica” come materia concorrente sui generis 157 3.1. segue…le esigenze di “coordinamento della finanza pubblica” e la compressione della competenza legislativa delle regioni in materia di “tutela della salute” 162 3.2. Il “coordinamento della finanza pubblica” come ratio del sistema dei Piani di rientro: la compressione dell’autonomia legislativa, organizzativa e finanziaria delle regioni in materia sanitaria 165 4. L’incompiuta autonomia di entrata delle regioni. La direzione centralista del d.lgs. n. 68 del 2011 177

CAPITOLO III

IL SERVIZIO SANITARIO SPAGNOLO E I SUOI RECENTI SVILUPPI

1. Premessa 182

2. Il diritto alla protezione della salute nella Costituzione spagnola del 1978 183 3. Il Servizio sanitario spagnolo dalla Ley general de salud del 1986 alla legge n. 33 del 2011 187 3.1. La riforma del 2012: il regio decreto-legge n. 16 del 2012 190 3.2. La riforma del 2018: il regio decreto-legge n. 7 del 2018 198 4. Le esigenze di contenimento della spesa e la “ricentralizzazione” delle competenze 199 5. Il diritto alla protezione della salute e il principio di estabilidad presupuestaria nella giurisprudenza del

Tribunale costituzionale 209

CONCLUSIONI 212

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(6)

INTRODUZIONE

Il presente lavoro è diretto a mettere in evidenza come le esigenze di bilancio abbiano influito sul sistema di welfare sanitario italiano, determinando, in particolare, una contrazione del suo carattere universale e un riaccentramento delle competenze in materia.

Le stringenti logiche di contenimento della spesa stanno generando un progressivo ridimensionamento del Servizio sanitario nazionale e una reintroduzione surrettizia di un modello di assistenza sanitaria di stampo assicurativo/contributivo, in cui scompare la considerazione di un quantum di tutela da assicurare indistintamente a tutti gli individui in regime di tendenziale gratuità.

Obiettivo della trattazione è quello di dimostrare l’inammissibilità di un simile processo.

Si tenterà, infatti, di evidenziare il carattere inalienabile del Servizio sanitario nazionale e, più in generale, del compito di tutela della salute, che deve considerarsi a tutti gli effetti una “funzione” dello Stato e, pertanto, indisponibile.

Tra le finalità essenziali dello Stato secondo il disegno costituzionale, cioè, deve ritenersi che rientri anche la tutela della salute. Ne sono sicuri indici, come si dirà, l’individuazione, da parte dell’art. 32 della Costituzione, della Repubblica quale unico soggetto responsabile del compito di tutelare la salute e l’espressa qualificazione del diritto alla salute come diritto “fondamentale”.

A tal fine, nelle pagine che seguono si concentrerà l’attenzione, dapprima, sulla struttura del diritto alla tutela della salute di cui all’art. 32 della Costituzione, secondariamente, sull’evoluzione e lo stato dell’arte del “paradigma” finanziario e organizzativo del Servizio sanitario nazionale.

In particolar modo, il primo capitolo, che prenderà le mosse da una breve ricostruzione dell’evoluzione storica dell’assistenza sanitaria in Italia, sarà diretto a mettere in evidenza di quali innovazioni sia stata foriera la Carta costituzionale rispetto al “bene” salute.

È noto, infatti, come la Costituzione del 1948 abbia determinato l’introduzione di un modello sociale di Stato, in contrasto con la precedente forma oligarchico-liberale. Ciò si è tradotto in una inedita attenzione per i diritti sociali, tra i quali, in primis, il diritto alla tutela della salute, che, come anticipato, il Costituente ha definito “fondamentale”.

Dunque, si procederà ad una analisi della disposizione di cui all’art. 32 della Costituzione, finalizzata a ricostruire i connotati che al diritto alla tutela della salute sono attribuiti dalla fonte suprema dell’ordinamento giuridico.

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L’esame, poi, si concentrerà sulle ulteriori fonti costituzionali del diritto alla tutela della salute, ossia le disposizioni di cui agli artt. 2, 3, 38 e 117 della Costituzione. Particolare attenzione sarà, inoltre, dedicata ai Patti per la salute e ai Piani di rientro, che rappresentano le fonti “atipiche” del diritto sanitario.

Il secondo capitolo, che si comporrà di due sezioni, sarà diretto a verificare l’impatto che la crisi economica e i conseguenti stringenti vincoli di bilancio hanno avuto sul Servizio sanitario nazionale e, in particolare, sui suoi caratteri dell’universalità dell’accesso alle prestazioni e del decentramento organizzativo e finanziario.

La prima sezione, che prenderà spunto da una breve ricostruzione degli alternativi approcci dei pubblici poteri all’assistenza sanitaria, storicamente registrati, descriverà l’evoluzione del sistema di finanziamento, a partire dal modello assicurativo/mutualistico, su cui, come si vedrà, si è basata l’assistenza sanitaria in Italia nei primi trent’anni della Repubblica, fino all’attuale “paradigma” finanziario. Quest’ultimo verrà ricostruito attraverso l’analisi delle seguenti tematiche: la legge delega n. 42 del 2009 e il conseguente d.lgs. n. 68 del 2011, che ha introdotto in ambito sanitario i concetti di fabbisogno e costo standard; la riforma dell’art. 81 della Costituzione; il Patto per la salute 2014-2016 e i successivi sviluppi finanziari del Servizio sanitario nazionale; il d.p.c.m. del 12 gennaio 2017, di aggiornamento dei livelli essenziali delle prestazioni; la compartecipazione dei privati alla spesa sanitaria.

Di particolare importanza sarà, poi, l’indagine degli strumenti finanziari che costituiscono il c.d. “secondo pilastro” della sanità, ossia il sistema di fondi integrativi e sostitutivi del Servizio sanitario nazionale, nonché del sistema delle assicurazioni private aziendali, che vanno a comporre il c.d. “terzo pilastro” della sanità.

La seconda sezione, invece, si focalizzerà sugli effetti che la crisi economica ha avuto sui rapporti tra Stato e regioni in materia di organizzazione e finanziamento del sistema salute.

Dunque, dopo una ricostruzione dell’assetto competenziale, legislativo, organizzativo e finanziario, che secondo il disegno costituzionale dovrebbe governare le relazioni tra centro e periferia, si tenterà di dimostrare come esso abbia subito profonde alterazioni dovute all’esigenza di contenimento delle spese.

A tal fine, si analizzerà, in primo luogo, la trasformazione, legittimata dalla giurisprudenza costituzionale, del “coordinamento della finanza pubblica” da materia attribuita alla competenza concorrente di Stato e regioni a veicolo di interventi statali limitativi dell’autonomia costituzionalmente riconosciuta agli enti regionali.

Conseguentemente, sarà oggetto di approfondimento il sistema dei Piani di rientro, i quali, trovando la propria ratio nella nuova conformazione riconosciuta alla materia del “coordinamento

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della finanza pubblica”, costituiscono una particolare forma di ingerenza dello Stato nell’autonomia legislativa e financo politica delle regioni.

L’esame sarà completato da una breve digressione sullo stato di attuazione dell’autonomia di entrata degli enti regionali.

A conclusione della trattazione, nel terzo capitolo si svolgeranno alcune riflessioni in un’ottica comparata, al fine di comprendere quali conseguenze la suddetta crisi abbia avuto sul sistema sanitario di un altro Stato membro dell’Unione europea.

Quale Paese per la comparazione è stata scelta la Spagna per due diverse ragioni. Vi è, innanzitutto, un’analogia strutturale con il nostro ordinamento, dal momento che entrambi adottano, pur con differenze sostanziali, un modello di gestione del sistema sanitario decentrato, corrispondente all’opzione per una forma autonomistica di Stato, che la Costituzione spagnola del 1978 ha mutuato dalla Costituzione italiana del 1948.

Da un punto di vista strettamente economico, poi, i due Paesi si sono trovati ad affrontare, al momento dello scoppio della crisi del 2008, una situazione di deficit simile.

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CAPITOLO I

Il diritto alla salute

SEZIONE I

L’oggetto del diritto alla salute

SOMMARIO: 1. Cenni introduttivi; - 2. Breve evoluzione storica: dall’hospitalitas cristiana all’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica; - 2.1. segue…la Costituzione del 1948 e la tutela della salute - 3. L’art. 32 come norma a fattispecie complessa. Il bene “salute”; - 4. I soggetti coinvolti. La Repubblica; 4.1. segue…l’individuo; - 4.2. segue…la collettività; - 4.3. segue…gli indigenti; - La tutela della salute come diritto fondamentale; - 6. Il diritto alla salute come diritto di libertà. A) Il diritto all’integrità psico-fisica; - 6.1.

segue…B) Il diritto dell’individuo di non sottoporsi o di rifiutare le cure; - 7. Il diritto alla salute come diritto

sociale.

1. Cenni introduttivi

L’attuale sistema sanitario è sicuramente il frutto di un percorso storico complesso, strettamente implicato con la costituzione dello Stato sociale di diritto, secondo la formula con la quale la Legge fondamentale tedesca indentifica l’ordinamento costituzionale germanico1.

Se, infatti, il diritto alla salute può essere considerato un connotato imprescindibile dei moderni Stati sociali di diritto, esso, invece, era certamente assente nel modello classico di Stato di diritto, quale Stato liberale, che, com’è noto, “si presentava con una struttura per così dire elementare e minima in quanto preordinato alla realizzazione dei compiti fondamentali, e comunque irrinunciabili, di un ordinamento ispirato al principio-guida del «lassez faire, lassez passer»”2.

1 Così R.FERRARA, Principi di diritto sanitario, Parte I, Torino, Giappichelli, 1995, 9. Sul concetto tedesco di Stato sociale si veda, in particolare, G.A.RITTER, Storia dello Stato sociale, Bari – Roma, Laterza, 2007, 15 ss, secondo il

quale “il concetto di Stato sociale in Germania risale sicuramente a Lorenz von Stein, che già alla metà del XIX secolo parlò di democrazia sociale e più tardi di Stato sociale: lo Stato deve «salvaguardare, con il suo potere, l’assoluta eguaglianza del diritto contro tutte le differenze [di classe] a favore della singola persona; è in questo senso che noi lo chiamiamo Stato di diritto. Con il suo potere esso deve infine promuovere il progresso economico e sociale di tutti i suoi appartenenti, in quanto il progresso dell’uno è sempre la condizione e molto spesso la conseguenza del progresso di un altro; è in questo senso che parliamo di Stato sociale»”.

2 Cfr. R.FERRARA, Principi di diritto sanitario, cit., 9. Come, infatti, sottolinea A.BALDASSARRE, Diritti sociali, in Enc. giur., XI, 1989, 1, l’intera costituzione dello Stato liberale si fondava sul parallelismo fra imperium e dominium: “come il sovrano aveva potere sulla collettività a lui sottoposta per le azioni socialmente (pubblicamente) rilevanti (sovranità), così l’individuo era considerato signore delle facoltà che il potere pubblico (ordinamento oggettivo)

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Il diritto dell’individuo alla tutela della salute non poteva rientrare nella scala dei valori degli Stati a carattere monoclasse, caratterizzati da un’organizzazione sociale censitaria che si rifletteva inevitabilmente sulle istituzioni rappresentative, determinandone valori e scelte politiche3.

Le costituzioni liberali sancirono sì il diritto alla vita e all’inviolabilità della persona, ma “senza spingersi a specificare dei diritti di carattere economico-sociale e tanto meno un diritto alla salute”4.

È solo con le costituzioni contemporanee che si ha un pieno riconoscimento dei diritti sociali5. Solo nelle costituzioni posteriori alla prima guerra mondiale6, prima fra tutte la Costituzione tedesca di Weimar del 1919, si verifica quel fenomeno di “razionalizzazione del potere”7, che consiste “nel sottomettere al diritto il complesso di tutti i fattori sociali della vita, fra i quali, oltre a quelli inerenti alla personalità umana, anche quelli che si riferiscono alle relazioni sociali e agli interessi che ne discendono […]”8.

In questo nuovo approccio al dispiegarsi della vita sociale, lo Stato riconosce e garantisce i diritti fondamentali dell’individuo, ancorandone la tutela alle fonti supreme dell’ordinamento giuridico, le costituzioni appunto9.

riconosceva come sue personali, vale a dire era signore delle sue proprie capacità e dei suoi beni o, in una parola, della sfera di azioni a lui imputata dall’ordinamento obiettivo come «spazio vitale»”. In altri termini “il concetto di diritto soggettivo – di cui le libertà civili, politiche ed economiche rappresentavano inizialmente una sorta di sublimazione più politica che giuridica – era allora ricalcato, secondo i postulati del classico individualismo liberale, sull’idea della libertà naturale del singolo: sull’idea, cioè, che la «persona» coincide, sotto il profilo giuridico, con il «soggetto di volontà» che crea i rapporti giuridici per mezzo delle sue proprie volizioni (Willensmacht, potere di volontà, atti di volontà), in quanto signore assoluto (dominus) della sfera d’azione a lui «riconosciuta» dall’ordinamento oggettivo (facultas agendi, agere licere). Rispetto a questa concezione «individualistica» la legge era considerata come l’elemento di razionalizzazione del contesto, come una norma oggettiva neutrale che, commisurando i molteplici spazi di libertà dei singoli in modo che questi non fossero in conflitto fra loro (legge come limite) rendeva possibile l’azione creativa degli individui”.

3 Così R.FERRARA, Principi di diritto sanitario, cit., 11.

4 C.LEGA, Il diritto alla salute in un sistema di sicurezza sociale, Istituto di medicina sociale, Roma, 1952, 31. 5 Sul riconoscimento dei diritti sociali si vedano: M.BENVENUTI, Diritti sociali, Torino, Utet, 2013, 12 ss; ID., Diritti sociali, in Dig. Disc. pubbl., V Aggiornamento, 2012; G. A.RITTER, Storia dello Stato sociale, cit.; D.BIFULCO,

L’inviolabilità dei diritti sociali, Napoli, Jovene, 2003; A.BALDASSARRE, Diritti sociali, cit., 1-10; G.CORSO, I diritti sociali nella Costituzione italiana, in Riv. Trim. dir. pubbl., 3/1981; M.S.GIANNINI, I diritti economici e sociali della

persona umana nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, in Riv. Mal. E Inf. Prof., 1959.

6 Sulle Costituzioni che riconoscono il diritto alla salute si veda: PERGOLESI, La tutela della salute nelle costituzioni, in Difesa sociale, vol. III, 1952.

7 L’espressione è di M.GUETZEVITCH, Le nuovelles tendences du droit constitutionnel, Paris, 1936, cap. 1. 8 C.LEGA, Il diritto alla salute in un sistema di sicurezza sociale, cit., 31.

9 Come sottolinea C.LEGA, Il diritto alla salute in un sistema di sicurezza sociale, cit., 31, il fenomeno è abbastanza recente. Nonostante alcuni lo facciano risalire alla Magna Charta libertatum inglese del 1215, da parte di altri si ritiene, invece, che questo documento abbia natura contrattuale privata perché, in sostanza, contiene delle rinunce da parte del Sovrano a certe sue prerogative nei confronti di determinate categorie di sudditi e previe concessioni fatte da queste ultime”. Invero, “i primi esempi di riconoscimento si trovano molto più tardi, nella seconda metà del sec. XVIII, nei Bills of Rights degli stati coloniali nordamericani”, di ispirazione giusnaturalistica. “Ad esempio in quello dello Stato di Virginia, del 1776, alla sezione I si afferma: That all men are by nature equally free and independent and have certain inherent rights, of which, when they enter into a state of society, they cannot, by any compact, deprive or divest their posterity; namely, the enjoyment of life and liberty, with the means of acquiring and possessing property, and pursuing and obtaining happiness and safety”. È, tuttavia, doveroso sottolineare che, come nota A.BALDASSARRE, Diritti sociali,

cit., 1, in particolare a proposito degli artt. 21 e 22 della Costituzione francese del 1793, “anche nelle rarissime (e mai effettive) costituzioni dell’epoca nelle quali sono apparsi originariamente i diritti sociali – in particolare il diritto all’istruzione, il diritto al lavoro o quello all’assistenza in caso di bisogno – questi non sono mai stati concepiti, e neppure

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Se ci si pone in un’ottica storico-politica, non si può non constatare come l’introduzione dei diritti sociali sia strettamente connessa, sia, anzi, la conseguenza della trasformazione dello Stato oligarchico-liberale dovuta all’irruzione sulla scena politica delle grandi masse. Ebbene, se da un punto di vista organizzativo e strutturale tale “processo evolutivo portò alla radicale trasformazione dei sistemi elettorali, alla fine dell’«Honoratiorenparlament», all’affermarsi delle grandi organizzazioni politiche di massa, e con esse dello Stato di partiti”, sul piano dei rapporti Stato-cittadini, lo stesso processo determinò “l’affermarsi di nuove situazioni giuridiche soggettive attive, godute da questi nei confronti del primo, concretizzantisi non più solo in pretese all’astensione da parte dello Stato, alla conservazione di una sfera privata autonoma, ma anche e soprattutto in pretese all’attivo intervento pubblico, al concreto impegno dello Stato per il miglioramento sociale ed economico dei singoli”10.

L’evoluzione verso una forma di Stato nella quale ai diritti sociali venisse riconosciuto un ruolo centrale (Stato sociale appunto) è certamente da imputare all’intrecciarsi di complessi processi pratici, più che a precise impostazioni teoriche. Infatti, se da un lato, i governi ai quali si deve il riconoscimento dei diritti sociali sono stati estremamente disomogenei sotto il profilo ideologico11, dall’altro, altrettanto variegate sono state le forze sociali e le relative istanze che hanno determinato la spinta decisiva verso la realizzazione dello Stato sociale12.

nominati, come diritti (soggettivi) veri e propri, ma piuttosto come doveri (unilaterali) della società, se pure enfaticamente definiti come sacri e inderogabili, verso particolari categorie di cittadini particolarmente bisognose”.

10 Cfr. M.LUCIANI, A proposito del diritto alla salute, in Dir. soc., 1979, 409, il quale evidenzia che “queste nuove situazioni soggettive non possono peraltro essere confuse con quelle, presenti anche nel sistema dello Stato autoritario, che ancor oggi definiamo con il nome di «diritti civici», e che si concretano anch’esse in pretese ad un’azione positiva da parte dei poteri pubblici. In primo luogo, mentre i diritti civici non sono qualificabili come veri e propri diritti ma soltanto come interessi, possono ben esserlo i diritti sociali, sia che si accolga la tesi al proposito più restrittiva, che ne postula la natura di diritti perfetti qualora abbiano un contenuto patrimoniale, sia che si accolga la tesi più ampia, che li ritiene tali qualora per essere soddisfatti abbisognino soltanto dell’intervento di strutture pubbliche già esistenti anziché della creazione di strutture ad hoc. In secondo luogo, ed è ciò che più conta, mentre i diritti civici presuppongono che i rapporti fra Stato e cittadini si svolgano (in un senso o nell’altro, ma sempre) nella logica del rapporto dicotomico autorità-libertà, i diritti sociali postulano l’esistenza di un sistema in cui l’intervento statale non sia solo limitativo o comunque imposto al singolo ab extra, ma costituisca esso stesso elemento del miglioramento delle condizioni personali di quello”.

11 Così A.BALDASSARRE, Diritti sociali, cit., 2, il quale evidenzia che “in Germania l’assicurazione obbligatoria per tutti i lavoratori dell’industria, per gli invalidi e per gli anziani fu propugnata (sin dal 1881) e poi realizzata (con due leggi del 1884 e del 1889) dal conservatore Bismarck; in Italia le prime fondamentali realizzazioni furono opera di governi conservatori (si pensi alla legge Crispi del 1890) e soprattutto del regime fascista; in Inghilterra e in Francia, i massimi sforzi nella stessa direzione furono opera di governi a dominanza socialista; negli Stati Uniti d’America essenziale fu l’esperienza di una presidenza liberal-progressista, come quella di F. D. Roolsvelt; e, infine, non può essere trascurato il grande contributo dato nello stesso senso dai governi dominati da partiti cattolici, soprattutto in Germania, in Italia, in Belgio e in Olanda”.

12 In questo senso A.BALDASSARRE, Diritti sociali, cit., 2. Si trattò in particolare di: “imprenditori e datori di lavoro, propensi ad addossare sulle istituzioni pubbliche (e quindi su tutti i cittadini) l’onere di prestazioni sociali la cui erogazione avrebbe avuto per loro il vantaggio di ridurre i costi del lavoro, di prevenire la conflittualità sociale e di regolare le altrimenti incontrollabili dinamiche relative all’accesso e all’uscita dal mercato del lavoro in tempi di gravi crisi e di grandi riconversioni industriali (non è un caso che i principali diritti sociali furono propugnati o riconosciuti in prossimità di due gigantesche crisi economiche quella del 1873 e quella del 1929); i sindacati industriali desiderosi di dare risposte immediate, in termini di servizi e di diritti, alla tumultuosa massa di lavoratori che le rivoluzioni industriali del secolo XIX avevano trasformato in un soggetto sociale e politico di primaria importanza; i vertici delle amministrazioni pubbliche, che, spinti ora da coinvolgenti ideologie tecnocratiche ora da improcrastinabili esigenze

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2. Breve evoluzione storica: dall’hospitalitas cristiana all’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità pubblica

La storia dell’assistenza sanitaria in Italia affonda le proprie radici nella c.d. hospitalitas cristiana, un sistema di stampo religioso che, nato nel Medioevo con lo scopo di assistere i pellegrini e sviluppatosi in tutta la sua importanza soprattutto nel XIII secolo, divenne luogo privilegiato ed esclusivo di cure.

Fino all’avvento dello Stato sociale, l’assistenza al malato si manifestò come atto di liberalità verso “gli ultimi”, come beneficenza, e a tale modello restarono estranee le figure del diritto alle cure e del corrispondente dovere pubblico alla prestazione sanitaria13.

In tutta l’esperienza pre-repubblicana la tutela della salute venne intesa in senso assai riduttivo. Era, infatti, esclusivo dovere del singolo individuo occuparsi del mantenimento del proprio stato di salute, secondo l’impostazione tipica dello Stato liberale, mentre l’intervento dei pubblici poteri si manifestava, quando non in forma di beneficienza, primariamente quale tutela dell’interesse dello Stato al mantenimento dell’ordine pubblico, quale “difesa del corpo sociale dagli oneri e dai pericoli rappresentati dalle persone affette da malattia”14.

In proposito, sono eloquenti le parole di Cammeo, il quale sosteneva: “è evidente che ad ogni singolo spetta di vegliare da sé medesimo alla conservazione della propria salute, non essendo compito dello Stato di surrogarsi all’individuo e di provvedere a tutti i bisogni di lui. Ma è altrettanto evidente che lo Stato ha un grande interesse alla conservazione della salute dei singoli, poiché appunto laddove difettano le malattie si ha una popolazione sana e numerosa, e la sanità e il numero della popolazione è un presupposto necessario della potenza dello Stato; nello stesso modo come lo Stato ha interesse alla cultura intellettuale dei singoli, poiché la istruzione del popolo determina il progresso della nazione”15.

pratiche, hanno concorso a realizzare un’organizzazione statale sempre più potente ed efficiente, che risultasse in grado di erogare servizi sociali, a fianco delle tradizionali prestazioni di ordine, e di legittimare la propria azione come risposta razionale e imparziale alle aspettative e ai diritti (sociali) dei cittadini; i vari movimenti di democratizzazione dello Stato, che si sono battuti con successo per la garanzia della libertà «positiva» e per l’ampliamento della partecipazione politica, oltreché per l’introiezione delle finalità del progresso sociale e della uguaglianza fra i cittadini nei paradigmi di legittimazione del potere politico”.

13 Come rileva R.FERRARA, Principi di diritto sanitario, cit., 13, assistenza e beneficenza, sono espressioni con “le quali si designano fenomeni profondamente diversi (ed anzi, per tanti versi, radicalmente antagonisti) rispetto a quello moderno, ed attuale, della tutela della salute. Il concetto stesso di beneficenza (sia pubblica che privata) postula, infatti, per definizione, una relazione sia fattuale che giuridica al di fuori di una qualsiasi logica giuridica di obbligo e/o obbligazione certi e definibili, mentre dall’altro, la nozione di assistenza è intrinsecamente polisemica ed ambigua, in quanto si applica, con una certa indifferenza, a più campi di intervento e di azione dei pubblici poteri: assistenza generica, assistenza sociale, assistenza scolastica ecc…”.

14 Cfr. P.SANTANIELLO, Sanità pubblica, in Dig. Disc. Pubbl., XIII, 1997, 547.

15 F.CAMMEO, Sanità pubblica, in V.E.ORLANDO (a cura di), Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, Milano, Società Editrice Libraria, 1908, 213-14.

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Tale impostazione, come si avrà modo di evidenziare più avanti, condizionò inevitabilmente l’organizzazione della sanità nel suo complesso. Se l’ispirazione primaria del sistema assistenziale era, infatti, la tutela dell’ordine pubblico, ciò si tradusse, sotto il profilo organizzativo, in una attribuzione delle responsabilità esclusivamente ad autorità amministrative, a discapito dell’elemento tecnico16.

La prevalenza di funzioni amministrative su quelle tecniche nell’amministrazione dell’assistenza sanitaria, soprattutto a livello periferico, prevarrà fino alla costituzione del Ministero della sanità, avvenuta con la legge n. 296 del 1958, con la quale le competenze del prefetto, fino a quel momento assolutamente preminenti, diverranno residuali, “poiché pur presiedendo il consiglio provinciale di sanità, pur conservando la potestà di emanare i provvedimenti di urgenza, [verrà] sostituito in pieno, a livello periferico, dal medico provinciale e dal veterinario provinciale”17.

Ebbene, i primi anni del XIX secolo vennero segnati dalla legislazione napoleonica. Il “Regolamento di polizia medica, sanità continentale e sanità marittima” del 5 settembre 1806 dotò il neonato Regno d’Italia di un sistema di sanità pubblica, facente capo al Ministero dell’Interno e affidato in prevalenza alla gestione delle Prefetture.

L’assetto “napoleonico” dell’apparato di igiene pubblica, concepito e configurato come parte dell’amministrazione del Ministero degli Interni, incaricata principalmente della funzione di ordine pubblico, condizionò lo sviluppo della sanità pubblica, che si manifestò principalmente sotto forma di esercizio di poteri autoritativi di limitazione della sfera dei diritti individuali allo scopo di tutelare l’interesse collettivo.

A seguito dell’unità d’Italia e, soprattutto, in virtù della “nuova coscienza politica, che individuò nel processo elaborativo delle leggi il passaggio necessario per consolidare la presenza del Regno”18, si manifestò l’intenzione di disciplinare un sistema assistenziale centralizzato, perlomeno da un punto di vista burocratico. In realtà, l’intervento dei pubblici poteri, in questa primordiale fase dello Stato

16 Su tali rilievi si veda P.SANTANIELLO, Sanità pubblica, cit., 547.

17 Cfr. G. DE CESARE, Sanità (dir. amm.), in Enc. Dir., XLI, 1989, 254. L’A. sottolinea, peraltro, che “se l’organizzazione centrale sanitaria ha avuto linee sempre piuttosto semplici, più complessa è sempre stata la situazione dei servizi sanitari periferici e dei relativi titolari di uffici; questa maggiore complessità nasce anche dal fatto che le leggi vigenti in Europa, e quindi in Italia, relative alla sanità pubblica, presentano e, soprattutto, presentavano situazioni in netta contrapposizione, a seconda della preminenza nel corpo sanitario dell’elemento amministrativo o invece dell’elemento tecnico; predominava il primo sistema nella legislazione francese, dove la tendenza all’accentramento è sempre stata viva, ed in quella spagnola; preferivano invece il secondo sistema la Germania, l’Olanda, la Norvegia, la Danimarca, oltre all’Unione Sovietica e agli Stati Uniti. Per quanto concerne l’Italia dapprima, nel 1865, con la legislazione del Regno di Sardegna, ricalcata su quella francese, fu seguito il criterio amministrativo, per cui gli organi creati per la sanità pubblica non avevano assolutamente competenza tecnica”. Infatti, come si vedrà, la l. n. 2248/1865, All. C., attribuì “la materia sanitaria all’autorità amministrativa: nei comuni provvedevano i sindaci, poi i sottoprefetti e i prefetti, infine il Ministero degli Interni. Soltanto con la legge di riforma del 22 dicembre 1888, n. 5849, mentre al centro la competenza rimaneva sempre del Ministero degli Interni, ed in Provincia continuava ad essere esercitata dal prefetto, a lato dei sindaci fu posta una figura tecnica rappresentata dall’ufficiale sanitario comunale”. Cfr. G.DE CESARE, Sanità

(dir. amm.), cit., 253.

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unitario, si indirizzò più alla formalizzazione della“pratica umanitaria della beneficenza pubblica che alla costruzione di una pur embrionale rete di strutture pubbliche deputate all’erogazione di un pur limitato ventaglio di prestazioni sanitarie, a differenza di quanto si verificò (con le c.d. leggi Casati) nel campo della pubblica istruzione statale”19.

Un primo esempio di una simile intenzione politica fu rappresentato dalla c.d. legge Rattazzi (legge n. 753 del 1862), con la quale si introdusse una disciplina di coordinamento delle Opere pie, definite dalla stessa legge come enti morali aventi la finalità di “soccorrere le classi meno agiate, […] di prestare loro assistenza, educarle, istruirle ed avviarle a qualche professione”20, tra le quali rientravano anche gli ospedali per gli infermi, incaricati di provvedere alla cura gratuita degli indigenti.

Tuttavia, la prima vera regolamentazione organica del settore si deve alla legge n. 2248/1865, allegato C, che “realizzava per la prima volta una regolamentazione unitaria e uniforme, seppure incompleta e inorganica, della organizzazione della sanità pubblica”21.

La normativa in oggetto confermava l’approccio di un assetto della sanità strettamente dipendente da preoccupazioni di ordine pubblico.

Con la legge n. 2248, infatti, si istituì l’Ufficio centrale presso il Ministero degli Interni, cui fu affidata la direzione dell’amministrazione sanitaria che a livello periferico veniva accordata alle cure dei Prefetti e dei Sindaci. Accanto all’apparato politico-amministrativo fu istituito a ogni livello territoriale un corrispondente organo tecnico scientifico di supporto: il Consiglio superiore di sanità, i consigli provinciali di sanità e i consigli sanitari di circondario.

Venivano sottoposte alla vigilanza dell’amministrazione sanitaria, principale incaricato dei compiti di igiene pubblica, anche le c.d. Opere pie, ovvero gli ospedali per gli infermi cui la legge n. 753 del 1862 aveva attribuito il compito di provvedere alla cura gratuita degli indigenti.

L’attività di assistenza agli indigenti, invero, secondo la legge sull’ordinamento comunale e provinciale (r.d. n. 3702 del 1859, poi riprodotta con alcune modifiche nell’allegato A della citata legge del 1865), costituiva una funzione propria dei comuni, ai quali spettava, in particolare, la tenuta del c.d. elenco dei poveri e il pagamento delle rette per i ricoveri di questi negli ospedali22.

L’assistenza sanitaria, infatti, “veniva concepita quale parte integrante dell’assistenza latu sensu sociale che rappresentava una competenza primaria dell’ente di base: le cure gratuite agli indigenti

19 R.FERRARA, Principi di diritto sanitario, cit., 14. 20 Cfr. art. 1, l. n. 753/1862.

21 Cfr. E.JORIO, Diritto sanitario, cit., 14.

22 R.BALDUZZI,D.SERVETTI, La garanzia costituzionale del diritto alla salute e la sua attuazione nel Servizio sanitario nazionale, in R.BALDUZZI,G.CARPANI (a cura di), Manuale di diritto sanitario, Bologna, Il Mulino, 2013, 14.

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non erano altro che una delle forme di pubblica beneficenza, accanto alla tutela degli orfani, al gratuito patrocinio o ai patronati scolastici”23.

Neppure in seguito, allorché la sottoposizione al controllo pubblico della rete ospedaliera si fece più marcato, le attività di assistenza sanitaria vennero ispirate da quella funzione di benessere tipica dello Stato sociale, “restando loro estranea tanto un’autonoma finalità di tutela della salute della persona quanto l’assunzione in capo ai pubblici poteri del dovere di perseguire tale scopo”24.

La pandemia colerica degli anni 1883 e 1884 rivelò l’insufficienza della legislazione di unificazione amministrativa e spinse l’allora capo del Governo Agostino Depretis a commissionare un progetto di “Codice per la pubblica igiene”. Il progetto avrebbe impresso all’amministrazione sanitaria una valorizzazione delle figure tecnico-professionali rispetto a quelle politico-amministrative; il che avrebbe comportato una più celere integrazione delle attività assistenziali con quelle di prevenzione. Tuttavia, la morte di Depretis e il cambio di marcia del Governo, con la nomina di Francesco Crispi a presidente del Consiglio dei Ministri, impedirono, al c.d. “Codice Bertani”, dal nome dell’igenista cui la redazione del progetto era stata affidata, di giungere ad approvazione.

In età crispina, la legge n. 5849 del 1888 rappresentò “una importante riforma del sistema, in quanto disegnava l’architettura di una nuova e più funzionale organizzazione, meno burocratica, della sanità pubblica, più radicata nelle realtà territoriali e più in linea con i bisogni espressi dalla periferia”25.

La normativa accentuava il legame dell’apparato sanitario con la funzione di ordine pubblico. La legge riformava l’Ufficio centrale sanitario, trasformandolo in una direzione del Ministero dell’Interno (Consiglio superiore di sanità) e attribuendogli prevalentemente compiti di natura consultiva; ricostituiva i Consigli provinciali di sanità, anch’essi con funzioni, per lo più, consultive nei confronti del prefetto, che li presiedeva; istituiva, le figure dell’Ufficiale sanitario comunale, e del medico provinciale; prevedeva la vigilanza pubblica sulle professioni sanitarie.

Dunque, l’organigramma dell’amministrazione sanitaria generale, che rimarrà inalterato fino ad epoca fascista, delineato dalla legge del 1888 prevedeva al vertice il Ministero dell’Interno26,

23 Ibidem.

24 Cfr. R.BALDUZZI,D.SERVETTI, La garanzia costituzionale del diritto alla salute e la sua attuazione nel Servizio sanitario nazionale, cit., 15.

25 Cfr. E.JORIO, Diritto sanitario, cit., 14.

26 Sull’attribuzione della responsabilità dell’assistenza sanitaria al Ministero dell’interno sostiene F.CAMMEO, Sanità pubblica, cit., 267-8: “In Parlamento taluno si fece eco del desiderio in modo solenne manifestato da molti igienisti di creare un apposito Ministero di salute pubblica, ma coloro stessi i quali accennavano a tale idea, pur ammettendone la bellezza teorica, apertamente riconoscevano non esserne possibile l’applicazione pratica allo stato attuale delle cose. Sarebbe certo bene che responsabile dell’amministrazione sanitaria di fronte al Parlamento ed al paese fosse un uomo tecnico, il quale potesse dirigere il suo ufficio con uniformità di vedute scientifiche; ma non è facile trovare oggidì un uomo versato nei rami della politica e della giurisprudenza, che nel medesimo tempo riunisca in sé la qualità di igienista. Ma, anche se ciò non fosse, la vita dei Ministeri per le condizioni dei nostri Parlamenti è così breve, che a chiunque nonostante la maggiore alacrità sarebbe quasi impossibile reggere a lungo le redini di questo nuovo Ministero della sanità, ed i vantaggi che si spererebbero dalla uniformità dei provvedimenti sarebbero in gran parte frustrati dal non lungo tempo

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coadiuvato, in funzione consultiva, dal Consiglio superiore di sanità27, i Prefetti con compiti giuridico-amministrativi nelle province28, assistiti dai medici provinciali29, dai veterinari provinciali

concesso allo scienziato per attuare i suoi concetti […] dovendosi pertanto attribuire la tutela della sanità ad un Ministero investito anche di altre funzioni, la scelta non poteva cadere che su quello dell’interno, poiché egli meglio di altri vigila a mezzo dei suoi subalterni sovra l’azione dei corpi locali, dei Comuni e delle provincie, e poiché la tutela della sanità si collega per molti lati alla polizia preventiva esercitata dagli uffiziali di pubblica sicurezza dipendenti dal Ministero stesso”.

27 In particolare, ai sensi dell’art. 5 della l. n. 5849/1888, il “Consiglio superiore di sanità porta la sua attenzione sui fatti riguardanti l’igiene e la sanità pubblica del Regno, dei quali sarà informato dal Ministero dell’Interno; propone quei provvedimenti, quelle inchieste e quelle ricerche scientifiche che giudicherà convenienti ai fini dell’Amministrazione sanitaria; dà parere sulle questioni che gli saranno deferite dal ministro dell’Interno. Il suo parere deve essere chiesto: su tutti i regolamenti da emanarsi dal ministro riguardanti l’igiene e la sanità pubblica; sulle questioni di massima cui possono dar luogo i regolamenti locali d’igiene; sui grandi lavori di utilità pubblica per ciò che riguarda l’igiene; sui ricorsi contro le deliberazioni dei prefetti e dei Consigli provinciali sanitari sulle materie indicate da questa legge, sui quali la decisione spetta al ministro dell’interno; sui ricorsi al ministro dell’interno, di cui all’art. 16 della presente legge; sui ricorsi relativi a contestazioni già decise dai prefetti tra i comuni e gli ufficiali sanitari, e sui ricorsi di comuni, cittadini e di corpi morali contro il servizio ed i personale sanitario degli ospedali od istituti privati; sui regolamenti per la coltivazione del riso a norma dell’art. 1 della relativa legge del 12 giugno 1866”. A tal proposito, sostiene F.CAMMEO, Sanità pubblica, cit.,

265: “non è da credersi che esso sia in uno stato di dipendenza e di soggezione rispetto al Ministero ed all’ufficio tecnico ministeriale, ché anzi, come fu chiarito nelle discussioni in seno alla Camera dei deputati, essendo questo Consiglio superiore composto dei dotti più eminenti in medicina ed in igiene che vanti la patria nostra, spetta ad esso dirigere in senso uniforme l’opera del ministro e dei suoi agenti, cosicché il Consiglio sia considerato come la mente del ministro, e gli impiegati dell’uffizio tecnico siano considerati come il braccio di esso”.

28 Le attribuzioni del prefetto consistevano in poteri di vigilanza sull’igiene e la sanità pubblica della provincia, poteri ordinatori, consistenti nell’adozione di tutti i provvedimenti d’urgenza necessari in caso di malattie infettive; poteri concessori in senso lato (poteri di nomina del segretario del Consiglio provinciale sanitario e dell’ufficiale sanitario comunale; approvazioni tutorie, quali l’approvazione del licenziamento dei medici condotti, dell’apertura di armadi farmaceutici, dei regolamenti comunali, dell’apertura o soppressione di cimiteri comunali, delle autorizzazioni ai privati, della sepoltura in cappelle gentilizie, del trasporto dei cadaveri fuori dal territorio comunale); poteri di controllo: in particolare, il potere di decidere sulle contestazioni a lui proposte, con ricorso gerarchico, sui provvedimenti del sindaco. Su tale ricostruzione si veda F.CAMMEO, Sanità pubblica, cit., 276-8.

29 Il quale, oltre ad essere componente del Consiglio provinciale di sanità, ai sensi dell’art. 11 della l. n. 5849/1888, “si tiene in corrispondenza con gli ufficiali sanitari comunali per tutto ciò che riguarda l’igiene e la sanità pubblica; veglia sul servizio sanitario e sulle condizioni igieniche dei comuni, sugli istituti sanitari in tutta la provincia e sulla esecuzione delle leggi e dei regolamenti sanitari; informa il prefetto di qualunque fatto possa interessare la pubblica salute, gli propone i provvedimenti d’urgenza reclamati dalla pubblica incolumità; promuove dal prefetto la convocazione del Consiglio provinciale di sanità per sottoporgli le questioni e averne il parere in tutte le materie sulle quali deve essere per legge sentito; dà voto sulle deliberazioni dei consorzi e sui capitolati relativi per i servizi medico, chirurgico ed ostetrico, sulla nomina degli ufficiali sanitari comunali, sulle contestazioni fra i medici ed i municipi, i corpi morali ed i privati per ragione di servizio; espone al prefetto i bisogni e i desiderati attinenti ad interessi igienici della provincia; ispeziona le farmacie della provincia, assistito, ove occorra, da un chimico o da un farmacista; propone al prefetto i provvedimenti disciplinari contro il personale sanitario contro gli esercenti sottoposti alla vigilanza dell’autorità sanitaria nei casi e nei modi determinati dai regolamenti speciali e contro gli esercenti non autorizzati; redige la relazione annuale sullo stato sanitario della provincia”.

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e dal Consiglio provinciale di sanità30, infine, i sindaci a livello comunale31, coadiuvati dall’ufficiale sanitario comunale32.

Da un punto di vista tecnico, l’assistenza sanitaria gratuita ai poveri spettava ai comuni33, che vi provvedevano attraverso medici condotti stipendiati dagli stessi enti, ove non esistessero Opere pie che vi provvedessero in tutto o in parte. In quest’ultimo caso, i comuni venivano esonerati e obbligati esclusivamente a completare l’azione degli enti morali34.

L’istituzione delle figure del medico provinciale e dell’Ufficiale sanitario comunale, con funzioni di sussidio nei confronti del prefetto, l’uno, e del sindaco, l’altro, segna il passaggio, a tali livelli di governo, da un modello di gestione dell’assistenza sanitaria esclusivamente amministrativo ad uno in cui emerge l’elemento tecnico, senza, tuttavia, diventare preponderante. Il mutamento politico derivò “dal timore di molti parlamentari consci della mancanza di esperti tecnici in questi uffici puramente amministrativi, i quali prevedevano, non senza ragione, che la materia sanitaria, affidata al sindaco e al prefetto, sarebbe diventata materia residuale degli uni e degli altri”35.

30 Ai sensi dell’art. 9 della l. n. 5849/1888, “il Consiglio provinciale di sanità porta la sua attenzione su tutti i fatti riguardanti l’igiene e la salute pubblica nei vari comuni della provincia; propone al prefetto quei provvedimenti e quelle investigazioni che giudica opportuni; dà parere su tutte le questioni che gli saranno deferite dal prefetto. Il suo parere sarà richiesto: sui regolamenti locali d’igiene prima di essere trasmessi al ministro dell’interno; sui regolamenti speciali per la coltivazione del riso indicati nell’art. 1 della legge 12 giugno 1866, n. 2967; su quelli per la macerazione delle piante tessili, e sopra altri regolamenti speciali a scopo igienico; sui consorzi comunali per il servizio medico-ostetrico e veterinario; sulle contestazioni tra sanitari e municipi, corpi morali e privati per ragioni di servizio sanitario ed igienico; sui provvedimenti disciplinari contro il personale sanitario, contro gli esercenti sottoposti alla vigilanza dell’autorità sanitaria e gli esercenti illegalmente; sulle discipline da applicarsi alle industrie manifatturiere ed agricole e le cautele igieniche richieste a tutela dei lavoratori; sui provvedimenti igienici da imporsi agli stabilimenti pubblici, o di pubblico accesso, o di riunione; sulla relazione intorno lo stato sanitario della provincia, compilato dal medico provinciale, da spedirsi ogni anno al ministro dell’interno colle osservazioni del Consiglio ove occorreranno, e sui rapporti del veterinario provinciale; sui reclami contro le decisioni dei sindaci intorno alla salubrità delle case ed ai lavori nocivi all’igiene, di cui agli artt. 38 e 40; e sugli altri casi indicati da questa e da altre leggi”.

31 In particolare, a livello comunale avevano funzioni in materia di sanità pubblica il Consiglio comunale (cui venivano attribuite: l’emanazione dei regolamenti sanitari; la nomina, la sanzione e il licenziamento dei medici condotti; l’adozione delle delibere sulle spese necessarie alla pubblica igiene gravanti sul comune; il controllo dell’opera del sindaco e della Giunta in sede di responsabilità politica), la Giunta comunale, che poteva sostituirsi al Consiglio in caso di urgenza e non aveva funzioni proprie se non la sorveglianza delle industrie insalubri e pericolose, il sindaco, il quale in materia sanitaria non agiva come capo del comune ma come ufficiale del Governo. Tra le varie attribuzioni del sindaco, spicca per importanza il potere di emanare ordini, in casi contingibili e urgenti che minacciassero l’igiene pubblica, con gli unici limiti dell’esistenza di una situazione di urgenza, imprevedibilità e del rispetto dei principi generali della legislazione. Su tale ricostruzione si veda F.CAMMEO, Sanità pubblica, cit. 285-6.

32 Il quale, ai sensi dell’art. 13 della l. n. 5849/1888, “vigila sulle condizioni igieniche e sanitarie del comune e ne tiene costantemente informato il medico provinciale; denunzia sollecitamente a quest’ultimo e contemporaneamente al sindaco tutto ciò che nell’interesse della sanità pubblica possa reclamare speciali e straordinari provvedimenti, non che le trasgressioni alle leggi ed ai regolamenti sanitari; assiste il sindaco nella vigilanza igienica e nella esecuzione di tutti i provvedimenti sanitari ordinati sia dall’autorità comunale, sia dalle autorità superiori; raccoglie tutti gli elementi per la relazione annuale sullo stato sanitario del comune, uniformandosi alle istruzioni che riceverà dal medico provinciale”.

33 Così l’art. 3, l. n. 5849/1888. 34 Così l’art. 14, l. n. 5849/1888.

35 Cfr. G.DE CESARE, Sanità, cit., 253. L’importanza dell’affiancamento di figure tecniche a figure amministrative è anche nelle parole di F. CAMMEO, Sanità pubblica, cit., 265-6, laddove dichiara: “nelle singole province è capo

dell’amministrazione sanitaria il prefetto, e poiché anche ad esso mancano quelle speciali cognizioni che sono richieste dai progressi della scienza moderna, anch’esso [come il Ministero dell’Interno è coadiuvato dal Consiglio superiore di sanità] è coadiuvato da una persona tecnica che è il medico provinciale […] invece ultimo anello della catena è in ogni comune il sindaco, il quale nelle sue funzioni è coadiuvato da un medico che prende il nome di uffiziale sanitario comunale

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La legge n. 6972 del 1890 operò in maniera significativa sull’assistenza ospedaliera, trasformando le Opere pie in Istituzioni pubbliche di beneficenza (Ipab, Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) e sottoponendole alla tutela delle giunte amministrative provinciali e ad una minuziosa regolazione di diritto pubblico. Il provvedimento, in sostanza, determinò la pubblicizzazione delle Ipab36, nonostante la normativa non prevedesse la gestione diretta da parte dello Stato e la devolvesse, invece, alle Congregazioni di carità, ai corpi morali, ai consigli, alle direzioni od altre amministrazioni speciali istituite dalle tavole di fondazione o dagli statuti regolarmente approvati37. La legge, inoltre, disciplinava il finanziamento delle Ipab e lo ancorava a una pluralità di fonti patrimoniali (investimenti e rendite), private (rette a carico dei privati individuali e delle mutue, lasciti, donazioni ecc…), pubbliche (rette a carico dei comuni e delle province o, in casi limitati, dello Stato).

La legislazione ottocentesca presa in considerazione evidenzia un crescente coinvolgimento dei pubblici poteri nel settore sanitario, con la graduale formazione di un apparato amministrativo organico incaricato dell’assolvimento delle due funzioni di ordine pubblico e beneficenza pubblica. Ciò, tuttavia, non può essere ritenuto il segno di un mutamento culturale ed esempio, seppur primigenio, dell’intervento pubblico nell’assistenza sanitaria intesa in senso stretto. Infatti, le coordinate culturali dello Stato liberale rimangono immutate e invariato rimane, pertanto, l’approccio alla salute individuale come “problema dal quale la collettività deve difendersi mediante azioni di prevenzione e contenimento delle malattie, al più fornendo «benevolmente» assistenza ai settori emarginati della società che non possono provvedervi da soli, senza che la sua tutela sia ricollegata alla dignità della persona umana titolare del bene”38.

Non si dimentichi a questo proposito che le società della fine del XIX secolo erano caratterizzate da un’alta morbilità, dovuta soprattutto alle scarse condizioni di igiene pubblica, e che conseguentemente numerose malattie avevano attitudini endemiche e, financo, epidemiche. Ciò, “in connessione e in conseguenza della cultura dell’epoca, rendeva del tutto improbabile una pur relativa riconduzione delle aspettative di tutela del cittadino-utente nel campo della salute a categorie concettuali quali quelle del diritto fondamentale o dello stesso diritto sociale, e proiettava, al contrario, sul terreno della gestione dell’ordine pubblico ogni problematica attinente alla salute dell’uomo”39.

[…] era dunque necessario che anche ai sindaci forniti soltanto di una cultura media generale fossero aggiunte persone, le quali potessero comprendere l’importanza dell’ufficio ad esse attribuito e promuovere con sicura scienza gli ordini meglio adatti in ogni luogo per la remozione delle cause di insalubrità […]”.

36 Su questi rilievi R.BALDUZZI,D.SERVETTI, La garanzia costituzionale del diritto alla salute e la sua attuazione nel Servizio sanitario nazionale, cit., 15.

37 Così l’art. 4, l. n. 6972/1890.

38 Cfr. R.BALDUZZI,D.SERVETTI, La garanzia costituzionale del diritto alla salute e la sua attuazione nel Servizio sanitario nazionale, cit., 16.

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Durante il XIX secolo si inserì nel percorso di evoluzione della sanità in Europa il fenomeno della mutualità, in forma di libera associazione tra i lavoratori, in un primo tempo, in quella di assicurazione obbligatoria a carico dei datori di lavoro, secondariamente40.

In particolare, “accanto alla condizione di indigente, se ne aggiunse un’altra, quella di lavoratore che consentiva anch’essa di accedere gratuitamente alle cure mediche, benché le due situazioni ricorressero a sistemi e canali di finanziamento ben distinti”41.

Anche in Italia si consolidò un rapporto strutturale tra le embrionali forme di previdenza sociale e l’assistenza sanitaria ai lavoratori, attraverso la costituzione delle c.d. società di mutuo soccorso, ossia “associazioni con lo scopo principale di dare ai soci sussidi in caso di malattia o in altre eventualità che interessa[va]no la loro famiglia o l’esercizio della loro professione ricavandone i mezzi principalmente dai contributi dei soci”42.

Tali società, in brevissimo tempo accresciutesi “in numero e in potenza”43, vennero regolamentate con la legge n. 3818 del 1886, che riconobbe incentivi fiscali a quelle che avessero acquisito personalità giuridica44.

Ancora, con la legge n. 1473 del 1883 si assicurò sostegno pubblico alla Cassa nazionale di assicurazione per gli infortuni sul lavoro degli operai, costituita per convenzione tra Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio e i principali istituti di credito e casse di risparmio. La cassa, “amministrata in un primo tempo direttamente dal Comitato esecutivo della Cassa di risparmio delle province lombarde, operava in regime di concorrenza con altri enti, non esistendo ancora né un sistema di assicurazione obbligatoria né un ente pubblico competente in regime di monopolio”45.

40 Le prime istituzioni mutualistiche dei lavoratori, fondate sul principio della solidarietà tra i soci, sorsero in Inghilterra con la denominazione di Friendly Societies, su cui si veda G.A.RITTER, Storia dello stato sociale, cit., 60, il

quale rileva che tali organizzazioni “incoraggiate dalla legge, spesso appagavano anche parte dei bisogni sociali degli aderenti – soprattutto operai specializzati e artigiani – e alla fine del XIX secolo assicuravano contro le malattie circa 4.250.000 – 4.500.000 persone”.

41 Cfr. R.BALDUZZI,D.SERVETTI, La garanzia costituzionale del diritto alla salute e la sua attuazione nel Servizio sanitario nazionale, cit., 17.

42 Cfr. G.CANNELLA, L’assicurazione contro le malattie e contro la tubercolosi, in (a cura di) U.BORSI F. PERGOLESI, Trattato di diritto del lavoro, Le assicurazioni sociali, Vol. 4, parte seconda, Padova, Cedam, 1959, 14.

43 Cfr. G.CANNELLA, L’assicurazione contro le malattie e contro la tubercolosi, cit., 16, il quale ricorda che “le società di mutuo soccorso sorgono per prime in Piemonte, di là si diffondono nelle altre regioni, crescono in numero e in potenza e da 12, quante se ne contano in Piemonte nel 1848, arrivano a 4.896 nel 1885. Esse prendono, non di rado, parte nei conflitti tra industriali e lavoratori, si aggregano alle locali camere del lavoro, esercitano influenza anche negli scioperi ed alcune di esse assumono anche un carattere politico, ma la funzione preminente rimane sempre quella dell’aiuto reciproco tra gli associati e soprattutto quella dell’assistenza nel caso di malattia”.

44 Tuttavia, come rileva G.CANNELLA, L’assicurazione contro le malattie e contro la tubercolosi, cit., 16, “per la diffidenza verso questa legge, ritenuta una legge di polizia nascondente una minaccia contro la libertà della organizzazione operaia, solo pochissime società chiedono il riconoscimento giuridico”.

45Cfr.R.BALDUZZI,D.SERVETTI, La garanzia costituzionale del diritto alla salute e la sua attuazione nel Servizio sanitario nazionale, cit., 17.

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Soltanto nel 1898, con la legge n. 80, fu, per la prima volta e solo parzialmente46, introdotta l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro. In particolare, i datori di lavoro venivano obbligati a stipulare contratti con libera scelta dell’istituto assicuratore, al fine di ottenere una copertura assicurativa dagli stati patologici derivati dagli infortuni o dalla contrazione delle malattie professionali riconosciute47.

Nello stesso anno con la legge n. 350 del 1898 venne, poi, istituita la Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai, primo grande istituto pensionistico italiano, al quale vennero in seguito affidate anche attribuzioni di tipo sanitario (come, ad esempio, l’assicurazione contro la tubercolosi).

Nei primi anni del Novecento, i governi del Regno consolidarono il sistema sanitario pubblico e il sistema previdenziale, che sostanzialmente divenne “il maggior «pagatore» delle prestazioni sanitarie a beneficio dei lavoratori”48.

Nel primo senso, il r.d. n. 45 del 1901, contenente il “Regolamento generale sanitario”, istituì l’Ufficio sanitario comunale e il laboratorio di sanità pubblica. Ancora, il r.d. n. 466 del 1906 istituì i consorzi sanitari, ossia entità intercomunali nel cui ambito potevano essere organizzati tutti i servizi di igiene e assistenza sanitaria operanti a livello comunale.

Nel secondo senso, invece, la legge n. 520 del 1910 estese l’assicurazione professionale obbligatoria e la tutela della maternità mediante l’introduzione di un’apposita assicurazione obbligatoria.

46 Come rileva F.QUARANTA, Le origini dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (testimonianze vercellesi), in Riv. Inf. Mal. Prof., 3/2013, 313, “la sfera d’applicazione della nuova disciplina era circoscritta agli opifici industriali con più di cinque operai e l’obbligo dell’assicurazione poteva essere adempiuto sia presso la Cassa nazionale infortuni che presso compagnie private autorizzate ad operare nel Regno. Erano esonerati da quest’obbligo gli imprenditori che avessero fondato casse consorziate debitamente riconosciute, con almeno 500 operai assicurati, o gli industriali riuniti in sindacato d’assicurazione mutua con non meno di 4.000 operai. L’indennità in capitale per morte e inabilità permanente assoluta era pari cinque salari annui e non mai minore di 3.000 lire, ma non era esclusa la possibilità di essere convertita in rendita presso la costituenda Cassa nazionale di previdenza (antesignana dell’attuale Inps) che sarebbe sorta con legge n. 350 del 17 luglio 1898. Anche se rimanevano momentaneamente esclusi dalla tutela assicurativa gli infortuni agricoli e le malattie professionali, a giudizio degli storici la legge n. 80/1898 segnò la nascita ufficiale dello Stato sociale in Italia”.

47 La legge si ispirava alla c.d. teoria del “rischio professionale”, di derivazione tedesca, secondo la quale a causa del pericolo insito nelle strutture dell’industria correlato alle esigenze della produzione, la relazione causale fra lo svolgimento del lavoro (l’occasione di lavoro) e l’infortunio (determinato da causa violenta) garantiva il diritto al risarcimento ed annullava, seppur parzialmente, la responsabilità civile dell’imprenditore. Il premio sarebbe così gravato - e soggiace tuttora - a totale carico del soggetto assicurante, trovando la sua giustificazione nel principio che è proprio il datore di lavoro che crea le condizioni del rischio e, in ogni caso, fruisce dei vantaggi del lavoro di chi a quel rischio è esposto. L’imprenditore, infatti, mette in opera impianti meccanici, elettrici, termici, i quali, nella normalità del loro funzionamento, possono divenire causa di danno. Siccome da tali macchinari egli trae un vantaggio, il profitto, è giusto che il danno venga per intero posto a suo carico, indipendentemente dai criteri della colpa, sia essa padronale od operaia, del caso fortuito, della forza maggiore (escluso, ovviamente il dolo e il cosiddetto “rischio elettivo”). Il premio assicurativo, in definitiva, deve essere considerato un costo abituale dell’impresa, come gli ammortamenti o le altre riparazioni”. Cfr. F.QUARANTA, Le origini dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali

(testimonianze vercellesi), cit., 311.

48 Così R.BALDUZZI,D.SERVETTI, La garanzia costituzionale del diritto alla salute e la sua attuazione nel Servizio sanitario nazionale, cit., 17.

(21)

L’evento legislativo più significativo del periodo fascista è certamente il r.d. n. 1265 del 1934 con il quale si approvò il “Testo unico delle leggi sanitarie”, riforma e riordino di tutta la disciplina preesistente. Con il Testo unico si provvide, tra l’altro, a: disciplinare l’ordinamento e attribuire le funzioni all’amministrazione sanitaria, centrale e periferica; definire i compiti degli uffici sanitari provinciali e di quelli comunali, nonché di quelli istituiti presso gli scali marittimi, aerei e di quelli di frontiera terrestre; definire le attribuzioni del sindaco, quale massima autorità sanitaria locale; istituire nei comuni le condotte mediche e ostetriche; organizzare i servizi di assistenza e di profilassi demandati alla Provincia; disciplinare l’esecuzione del servizio farmaceutico; disciplinare l’esercizio delle professioni sanitarie principali e ausiliarie; disciplinare l’esercizio delle attività soggette a vigilanza sanitaria49.

Anche il sistema previdenziale venne sottoposto a riforme, con la costituzione di numerosi enti parastatali, l’accorpamento di enti preesistenti e l’istituzione di un regime di monopolio pubblico a loro beneficio.

Con r.d.l. 264 del 1933 convertito in legge n. 860 del 1933, ad esempio, la Cassa nazionale di assicurazione per gli infortuni sul lavoro degli operai venne fusa con altri enti minori nel nuovo Istituto nazionale fascista per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro; ancora, la Cassa nazionale per le assicurazioni sociali fu ricostituita nell’Istituto nazionale fascista della previdenza sociale.

Infine, con la legge n. 138 del 1943 venne istituita l’assicurazione obbligatoria contro le malattie affidata ad un unico ente di diritto pubblico, l’Istituto nazionale assicurazioni malattie (INAM).

All’indomani del secondo conflitto mondiale fu istituito, con decreto luogotenenziale n. 417 del 1945, in sostituzione della Direzione generale della sanità pubblica, l’Alto Commissario per l’Igiene e la Sanità pubblica, alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio del Ministri. A tale organismo, che costituisce il primo esempio di ente nazionale deputato alla tutela della salute pubblica, vennero attribuite funzioni di coordinamento e vigilanza tecnica sulle organizzazioni sanitarie e sugli enti, aventi lo scopo istituzionale di combattere e prevenire le malattie sociali, nonché tutela e vigilanza sulla Croce Rossa, sull’Opera nazionale per la protezione della Maternità e dell’Infanzia e sull’Istituto di malariologia “Ettore Marchiafava”50.

L’assetto organizzativo dato alla sanità con l’istituzione dell’Alto Commissario risultò insoddisfacente per ragioni sia di ordine costituzionale che amministrativo. Da un lato, l’Alto Commissario, dipendendo pur sempre dalla Presidenza del Consiglio e non essendo un ministro, “non aveva la possibilità di partecipare a quelle decisioni politiche che comportassero anche profili

49 Su tale ricostruzione si veda E.JORIO, Diritto sanitario, cit., 16. 50 Cfr. E.JORIO, Diritto sanitario, cit., 16.

(22)

sanitari”51. Dall’altro, l’Alto Commissario soffriva una peculiare ingerenza prefettizia, in quanto ad esso doveva rivolgersi per l’attuazione di alcune sue direttive52.

L’Alto Commissario non riuscì, dunque, “a svolgere affettivamente quel ruolo di centro di riferimento politico che la legge ad esso attribuiva, schiacciato com’era, da un lato dalle competenze in materia mantenute in capo ai prefetti, dall’altro dai poteri di sorveglianza sugli enti di assistenza ospedaliera affidati al Ministero dell’interno”53.

2.1 segue…La Costituzione del 1948 e la tutela della salute

L’approvazione della Costituzione del 1948 segnò il passaggio definitivo dall’idea che la tutela della salute fosse esclusivamente un affare di sicurezza pubblica all’ideale, tipico dello Stato sociale, che la salute fosse in primo luogo un diritto del singolo, che lo Stato ha il dovere di tutelare predisponendo egli stesso tutte le condizioni necessarie per il suo esercizio.

Invero, il mutamento di cui si discute non è privo di segni anticipatori. Un’organizzazione del sistema salute sempre più composita, infatti, di cui nel corso del tempo si sono fatti carico i pubblici poteri, “ha posto le basi, una volta apertasi la via al libero e democratico affermarsi del c.d. Stato pluriclasse, per la conquista della scena da parte dei diritti sociali”54.

Vero è, però, che proprio la formulazione del diritto accolta in Costituzione ne evidenzia lo spirito innovatore.

Tuttavia, la strada che condusse al riconoscimento costituzionale della salute come vero e proprio diritto soggettivo non fu agevole. L’ostacolo più grande fu “rappresentato dalle stesse origini storiche del diritto alla salute, nato come tipico diritto sociale ed espressione quindi – specie nella sua veste di interesse positivo ad una protezione attiva dell’intera vita psico-fisica dell’uomo, più che in quella di mero interesse negativo all’intangibilità della semplice integrità fisica – di esigenze del tutto

51 Cfr. G. DE CESARE, Sanità, cit., 250-1, il quale non manca di sottolineare che “è pur vero che l’Alto Commissario poteva partecipare al Consiglio dei ministri quando erano all’ordine del giorno specifici problemi sanitari, senonché non sempre la materia sanitaria veniva specificamente individuata, al fine di consentire la partecipazione dell’Alto Commissario; in quegli anni c’era piuttosto la tendenza a trascurare il profilo sanitario delle singole materie […] non partecipando a decisioni di indirizzo politico del gabinetto, l’Alto Commissario rimaneva estraneo alla formazione della volontà politica, per cui risultava un mero esecutore di volontà altrui; e tale estraneità fu tanto più grave, in quanto in quell’epoca si ricostruivano le linee dello Stato democratico, si prendevano decisioni ancor oggi determinanti”.

52 Così G. DE CESARE, Sanità, cit., 251, secondo il quale “con l’istituzione dell’Alto Commissario si era detto che il prefetto dovesse agire per conto dell’Alto Commissario, senonché il prefetto era allora ritenuto un organo tipicamente politico, strettamente collegato al Ministero degli interni, tanto che sempre difficile è stata la differenziazione delle diverse attribuzioni”.

53 Cfr. P.SANTANIELLO, Sanità pubblica, cit., 548.

54 Cfr. R.BALDUZZI,D.SERVETTI, La garanzia costituzionale del diritto alla salute e la sua attuazione nel Servizio sanitario nazionale, cit., 19.

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