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La tutela della salute come diritto fondamentale

Nel documento Welfare sanitario e vincoli economici (pagine 42-44)

Come più volte sottolineato, la Costituzione italiana attribuisce al diritto alla salute la qualifica di diritto fondamentale. Tale affermazione non è scontata come potrebbe apparire prima facie.

Il diritto alla salute, infatti, che storicamente nasce come tipico diritto sociale, ha per lungo tempo subito la sorte di quest’ultima categoria di diritti, non molto tempo addietro affrancata da un asserita subalternità rispetto ai diritti di libertà. L’equivalenza fra diritti sociali e diritti di libertà “è stata infatti a lungo avversata, e la dottrina ha spesso negato ai primi la stessa «dignità» dei secondi”123.

Invero, la presunta inconciliabilità dei diritti sociali con i diritti di libertà affonda le proprie radici nella dottrina tedesca che, a commento della Costituzione di Weimar del 1919, nella tensione tra socialismo e liberalismo, attribuiva alla categoria dei diritti sociali un rango certamente inferiore (legislativo e non costituzionale)124. Tale standard di giudizio si ripropose, poi, all’indomani dell’entrata in vigore delle costituzioni democratiche, con la differenza in questo caso che ad essere in una relazione oppositiva inconciliabile erano lo Stato di diritto liberale e lo Stato sociale democratico. In particolare, secondo la formulazione più chiara di questa posizione125, “i classici diritti fondamentali si basano sull’idea di libertà (negativa) e quelli sociali sull’idea democratica di eguaglianza e poiché questi ultimi diritti importano inevitabilmente limiti e vincoli (non solo verso lo Stato, ma anche) verso gli originari portatori delle libertà fondamentali, tra i diritti liberali e quelli sociali esiste una tensione (che) è necessariamente e in ultima analisi irrisolubile. Questa opposizione

120 Cfr. B.CARAVITA, La disciplina costituzionale della salute, in Dir. Soc., 1984, 49.

121 Sulla nozione di indigenza medica si vedano, ex plurimis: Corte cost., sentt. nn. 185/1998, 309/1999. 122 Cfr. C.TRIPODINA, Art. 32 Cost., cit., 325.

123 Cfr. M.LUCIANI, Il diritto costituzionale alla salute, cit., 770.

124 Così A.BALDASSARRE, Diritti sociali, cit., 4, il quale sottolinea che, nell’esperienza tedesca degli anni ‘20 del Novecento, “il rapporto tra i classici diritti di libertà del singolo e i nuovi «diritti sociali» fu visto come un «cattivo compromesso» fra liberalismo e socialismo, la cui insolubile «contraddizione» andava risolta considerando soltanto i primi come «veri e propri diritti fondamentali» e derubricando i secondi a «principi programmatici» rivolti essenzialmente al legislatore futuro”.

125 Da attribuire secondo A.BALDASSARRE, Diritti sociali, cit., 4, a G.LEIBHOLZ, Der Strukturwandel der modernen Demokratie (1952), ora in Strukturprobleme der modernen Demokratie, Karlsruhe, 1967.

può perciò scomparire soltanto con la negazione di uno dei termini della stessa”, che non possono non essere i diritti sociali, data l’originarietà dei diritti di libertà e la loro sicura contrapposizione allo Stato totalitario126.

È chiaro che la tensione tra diritti di libertà e diritti sociali è conseguenza della, presunta, prodromica inconciliabilità tra libertà ed eguaglianza, che, invero, non ha ragion d’essere e risulta logicamente incompatibile con l’idea di democrazia.

L’ideale democratico, infatti, presuppone “che del demos facciano parte tutti coloro che si trovano in possesso di determinati requisiti formali, del tutto indipendenti dalla loro collocazione o dal loro ruolo sociale […] ciò che conta è che tutti siano posti in condizione di decidere delle cose comuni, con gli stessi identici diritti. In democrazia, insomma, non si pesa, ma si conta. E ad essere contate sono le teste di tutti e di ciascuno, il che significa che il suffragio universale è consustanziale all’idea stessa del governo democratico”127. Ora, è indubbio che il principio dell’universalità del suffragio si basi essenzialmente sull’ideale eguaglianza dei titolari di elettorato attivo. In altri termini, “contare e non pesare si può, solo se ciò che viene contato (le teste) viene presunto uguale”128.

Ciò significa che la democrazia contemporanea non può certamente fare a meno della libertà, ma non può prescindere neppure dall’eguaglianza, senza la quale l’universalità del suffragio, “che della democrazia è presupposto logico e storico”129, difetterebbe. Per dirla con Kelsen, la sintesi tra uguaglianza e libertà “è appunto la caratteristica della democrazia”130.

In questi termini è, pertanto, d’obbligo affermare che “egualitarismo e liberalismo sono solo parzialmente antitetici”131 e, anzi, debbano essere intesi come complementari. E, del resto, che il sistema costituzionale italiano abbia inteso risolvere positivamente la tensione tra i due termini ne è

126 A.BALDASSARRE, Diritti sociali, cit., 4, il quale ritiene la posizione riportata incapace “di superare i tradizionali confini dello Stato di diritto (liberale), e di reinterpretare questa formula di fronte ai mutamenti oggettivi comportati dall’avvento dei sistemi di democrazia pluralistica”.

127 Cfr. M.LUCIANI, Sui diritti sociali, in A.PACE (a cura di), Studi in onore di Manlio Mazziotti di Celso, Padova, Cedam, 1995, 105.

128 Ibidem. 129 Ibidem.

130 Così H.KELSEN, I fondamenti della democrazia, Bologna, Il Mulino, 1966, 8, il quale richiama la famosa frase di Marco Tullio Cicerone, De re publica, I, 31: “Itaque nulla alia in civitate, nisi in qua populi potestas summa est, ullum domicilium libertas habet: qua quidem certe nihil potest esse dulcius et quae, si aequa non est, ne libertas quidem est”. Più nel dettaglio, Kelsen nota che “nell’idea di democrazia […] si incontrano due postulati della nostra ragione pratica, reclamano soddisfazione due istinti primordiali dell’essere sociale. In primo luogo la reazione contro la costrizione risultante dallo stato di società, la protesta contro la volontà esterna davanti alla quale ci si deve inchinare, la protesta contro il tormento dell’eteronomia, è la natura stessa che, nell’esigenza di libertà, si ribella alla società. Il peso della volontà esterna, imposto dalla vita in società, sembra tanto più opprimente quanto più direttamente nell’uomo, si esprime il sentimento primitivo che egli ha del proprio valore, quanto più elementare, di fronte al capo, a chi comanda, è la vicenda di chi è costretto all’ubbidienza: «è un uomo come me, siamo uguali, che diritto ha dunque di comandarmi?». Così l’idea assolutamente negativa e a profonde radici antieroiche di uguaglianza si mette al servizio di un’altrettanto negativa esigenza di libertà. Dall’idea che noi siamo, idealmente, uguali, si può dedurre che nessuno deve comandare a un altro. Ma la esperienza insegna che, se nella realtà vogliamo essere tutti uguali, dobbiamo lasciarci comandare. Perciò l’ideologia politica non rinuncia ad unire la libertà con l’uguaglianza”.

riprova l’art. 3 della Costituzione, in cui libertà ed eguaglianza vengono “congiuntamente nominate come beni indivisibili e solidali tra loro”132.

Nel documento Welfare sanitario e vincoli economici (pagine 42-44)

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