PREMESSA ... 4
CAPITOLO I ORIGINE ED EVOLUZIONE DEL DIRITTO AL SILENZIO IN INGHILTERRA 1. NEMO TENETUR SE DETEGERE: L’ESPERIENZA BRITANNICA ... 7
1.1 IL PRINCIPIO TRA SISTEMA ACCUSATORIO E INQUISITORIO ... 7
1.2 LA POLIVALENZA SEMANTICA ... 13
2. LA GENESI DELL’ISTITUTO NEL REGNO UNITO ... 23
2.1 CENNI STORICI ... 23
3. L’EVOLUZIONE NORMATIVA ... 31
3.1 PREMESSA ... 31
3.2 IL CRIMINAL EVIDENCE ACT DEL 1898: LA TESTIMONIANZA VOLONTARIA ... 32
3.3 LE JUDGE’S RULES ... 41
3.4 POLICE AND CRIMINAL EVIDENCE ACT DEL 1984: IL RIDIMENSIONAMENTO DEI POTERI DEGLI ORGANI DI POLIZIA GIUDIZIARIA ... 43
4. PROGETTI DI RIFORMA ... 48
4.1 IL DIBATTITO CULTURALE E PARLAMENTARE ANTERIORE AL 1994 ... 48
4.2 THE CRIMINAL LAW REVISION COMMITEEE’S ELEVENTH REPORT (1972) ... 52
4.3 REPORT OF THE ROYAL COMMISSION ON CRIMINAL PROCEDURE (1981) ………...59
4.4 REPORT OF THE HOME OFFICE WORKING GROUP (1990) ... 65
4.5 REPORT OF THE ROYAL COMMISSION ON CRIMINAL JUSTICE (1993) ... 69
CAPITOLO II LE LIMITAZIONI OPERATE DALLA RIFORMA DEL 1994 1. ALL’ORIGINE DELLA RIFORMA: IL FALLIMENTO DELLA DISCIPLINA NORDIRLANDESE ... 73
1.1 IL CRIMINAL EVIDENCE NORTHERN IRELAND ORDER ACT 1988 ... 73
2. IL CRIMINAL JUSTICE AND PUBLIC ORDER ACT (1994) ... 85
2.1 INTRODUZIONE: IL CORPUS NORMATIVO ... 85
2.2 IL RIGHT TO SILENCE ALLA LUCE DELLA RIFORMA ... 90
3. ANALISI DELLA DISCIPLINA CONTENUTA NELLA PARTE TERZA DEL CRIMINAL JUSTICE AND PUBLIC ORDER ACT .. 94
3.1 LA FASE DELL’INTERROGATORIO ... 97
3.1a LA SECTION 34 ... 99
3.1b L’IMPORTANZA DELLA CAUTION ALL’INTERNO DELLA NUOVA NORMATIVA ... 110
3.1c LA PROBLEMATICA DELLA AMBUSH DEFENCE ... 114
3.2 LE SECTIONS 36-37 ... 117
3.3 LA FASE DEL TRIAL ... 121
3.3a INTRODUZIONE ... 121
3.3b LA SECTION 35 ... 123
3.4 LA SECTION 38 ... 128
CAPITOLO III LA RILEVANZA DEL DIRITTO AL SILENZIO NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CEDU NEI RIGUARDI DEL REGNO UNITO 1. LO HUMAN RIGHTS ACT DEL 1998 E IL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI DELLA CEDU. ... 131
1.1 INTRODUZIONE ... 131
2. GLI EFFETTI DELLE LIMITAZIONI OPERATE DAL CJPOA SULLA GIURISPRUDENZA DELLA CEDU ... 137
2.1 INTRODUZIONE: IL RUOLO DELLA CORTE EUROPEA 137 2.2. LA PRIMA PRESA DI POSIZIONE DELLA CORTE RIGUARDO AL RIGHT TO SILENCE: JOHN MURRAY V. UNITED KINGDOM (1996) ... 138
2.3 IL PROCEDIMENTO DINNANZI ALLA CORTE EUROPEA ... 142
2.4 CASI IN ESAME: INTRODUZIONE ... 153
2.4.a AVERILL V. THE UNITED KINGDOM (2000) ... 155
2.4b ALLAN V. THE UNITED KINGDOM (2002) ... 158
2.4.c O’DONNELL V. THE UNITED KINGDOM (2015) ... 161
3. LA DIRETTIVA EUROPEA DEL 27/1/2016: IL RAFFORZAMENTO DEI DIRITTI DELL’IMPUTATO ... 168
CAPITOLO IV
LA LEGISLAZIONE POST-TERRORISTICA
1. INTRODUZIONE ... 173
2. RESTRIZIONI ALL’ESERCIZIO DEI DIRITTI PER I SOSPETTATI DI ATTI TERRORISTICI ... 176
2.1. IL TERRORISM ACT DEL 2000 ... 176
2.2 L’ANTI-TERRORISM, CRIME AND SECURITY ACT 2001 . 181 2.3 IL TERRORISM ACT 2006 ... 184
3. IL RESPONSO DELLA CORTE EDU: IBRAHIM AND OTHERS V. UNITED KINGDOM (2016) ... 186
3.1 INTRODUZIONE ... 186
3.2 LE CIRCOSTANZE DEL CASO ... 187
3.3. IL PROCEDIMENTO ... 188
3.4. IL CASO DEL QUARTO RICORRENTE ... 193
3.5 LE STATUIZIONI DELLA CORTE EUROPEA ... 195
3.6 OSSERVAZIONI CONCLUSIVE ... 198
CONCLUSIONI ... 202
“Guilt lies in words spoken or deed done, not in silence; and neither your court or any court in the world can hold me guilty of keeping silent”
PREMESSA
Il Right to Silence è considerato una garanzia imprescindibile del processo penale ed il suo stretto legame con la libertà morale dell’imputato fa sì che esso costituisca un importante terreno per verificare la possibilità di approdare, a livello comparatistico, ad un nucleo comune di principi in ordine alla disciplina del rito penale 1. In particolare nel Regno Unito, storicamente considerato la culla del diritto al silenzio, in virtù della sua tradizionale avversione verso i procedimenti inquisitori, si è assistito ad una progressiva e rapida valorizzazione dello stesso, elevato, per anni, al rango dei diritti assoluti. Tuttavia, l’eventualità che la persona sottoposta alle indagini (o l’imputato) diventi essa stessa fonte di prova nell’ambito del procedimento instaurato nei propri confronti risulta essere uno dei temi più affascinanti, ma allo stesso tempo dibattuti, dell’esperienza giudiziaria penale britannica. La stessa collaborazione dell’indagato o imputato all’accertamento penale viene considerata “ da sempre in bilico tra
facoltà e obbligo, tra libera scelta e imposizione, più o meno esplicita ”2. A seguito dell’emanazione del Criminal Justice and Public Order
Act 1994, l’ordinamento inglese sembra aver attuato
1 In questi termini, E. AMODIO, Diritto al silenzio o dovere di collaborazione?, in
Riv. dir. proc., 1974, p. 408.
2 Sul punto, cfr. M.C. GASTALDO, Premesse allo studio delle dichiarazioni
spontanee rese alla polizia giudiziaria dalla persona sottoposta alle indagini, in Riv. it. dir. e proc. pen., fasc. 2, 2000, 544 ss.
un’inversione di rotta rispetto alla precedente normativa garantistica, introducendo, per giudice e giuria, la possibilità di trarre inferenze negative dal contegno omissivo serbato dal soggetto sottoposto a procedimento penale.
Sulla stessa linea è stata, successivamente, emanata la normativa anti-terroristica che, al dichiarato fine di proteggere la minata democrazia, ha ulteriormente contribuito ad affievolire la tutela apportata dal Right to Silence, un tempo ritenuta irriducibile. Il presente lavoro si propone di ricostruire le tappe di questa “erosione” e verificare fino a che punto la stessa possa considerarsi tollerabile e giustificabile.
Un posto di rilievo sarà, infine, riservato alla dimensione europea, allo scopo di osservare l’impatto che la disciplina limitativa del diritto al silenzio ha avuto nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, alla luce dei principi introdotti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Non va, infatti, dimenticato che la stessa Corte Europea ha riconosciuto che “there can be no doubt
that the right to remain silent under police questioning and the privilege against self-incrimination are generally recognised international standards which lie at the heart of the notion of a fair procedure under Article 6 “3.
3 “Non c'è dubbio che il diritto a rimanere in silenzio di fronte alle domande poste
dagli ufficiali di polizia e il privilegio contro l’auto-incriminazione siano generalmente riconosciuti come norme internazionali che giacciono al cuore della stessa nozione di giusto processo sancita dall'articolo 6”, Murray v. United Kingdom, application
CAPITOLO I
ORIGINE ED EVOLUZIONE DEL DIRITTO AL
SILENZIO IN INGHILTERRA
1. NEMO TENETUR SE DETEGERE: L’ESPERIENZA BRITANNICA
1.1 IL PRINCIPIO TRA SISTEMA ACCUSATORIO E INQUISITORIO
Nell’ambito delle garanzie processuali, il principio del nemo
tenetur se detegere viene definito come “la prima massima espressione del garantismo processuale accusatorio” 4. Si spiega così perché il dibattito relativo alla rilevanza del diritto al silenzio, considerato la sua più lucida estrinsecazione, abbia da sempre rivestito un’importanza fondamentale all’interno della legislazione processual penalistica.
La tematica in questione assume una portata sistematica di ampio raggio che va a ricomprendere i valori di fondo del processo penale, “dal mito della ricerca della verità materiale, alla salvaguardia
del diritto di difesa, dalle esigenze della difesa sociale alla tutela della persona dell’imputato; dalla ricorrente tentazione di ripristinare strumenti di acquisizione delle “fonti “ e dei risultati di prova ad impronta inquisitoria, alla sempre più diffusamente sentita necessità di
riaffermare, contro, o almeno a fronte, di ogni potere dello Stato taluni insopprimibili diritti dell’uomo“5.
Una prima teorizzazione del diritto al silenzio, seppur in ambito filosofico, risale al XVII secolo con gli scritti di Thomas Hobbes. Egli infatti affermava “ un uomo interrogato […] intorno ad un
delitto che ha commesso , non è tenuto a confessare , senza garanzia di perdono, perché nessuno […] può essere obbligato ad accusare se stesso”
6.
Nel sistema inglese, tradizionalmente avverso all’utilizzo della tortura 7, l’evoluzione di tale principio è stata intimamente legata alla grande lotta tra i due modelli rivali di processo penale: il sistema accusatorio delle corti di common law e il sistema inquisitorio delle corti ecclesiastiche.
È da sottolineare come il principio del nemo tenetur se detegere 8 abbia conosciuto un più rapido sviluppo nei paesi di common law. Ciò è dovuto in primis al carattere spiccatamente accusatorio del processo ivi affermatosi9.
55 In questi termini A. GIARDA, Persistendo ‘l reo nella negativa, Giuffrè, Milano ,1980, pg. 5.
6 T. HOBBES, Leviatano, trad.it., Editori riuniti, Roma, 2002. pg. 151 ss.
7 Seppur in circoscritti periodi storici, la tortura venne usata anche nel Regno Unito, in particolare durante i secoli XV e XVI, specialmente riguardo ai processi concernenti la sicurezza dello stato.
8 Nei paesi di common law è espresso nella massima «nemo tenetur seipsum
prodere»
9 Si pensi, in particolare, al divieto sancito dallo statuto di Carlo I del 1641 di deferire il giuramento ex officio all’accusato dinnanzi alle corti ecclesiastiche. O ancora al V emendamento della Costituzione federale degli Stati Uniti
In Italia e nei Paesi dell’Europa continentale, dove, per lungo tempo, è prevalsa la logica del modello inquisitorio, il riconoscimento di tale principio è avvenuto solo in seguito, grazie alla spinta dei pensatori illuministi.
Uno degli argomenti a favore si rifaceva al carattere contra
naturam di ogni dichiarazione autoincriminatrice e criticava gli
strumenti utilizzati per costringere l’imputato a incolparsi 10. Nota è l’opinione di Cesare Beccaria che, a proposito dell’imposizione del giuramento ex officio 11, affermava “ Una
contraddizione fralle leggi e i sentimenti naturali all’uomo nasce dai giuramenti che si esigono dal reo , acciocchè sia un uomo veridico, quando ha il massimo interesse di esser falso, quasi che l’uomo potesse giurar daddovvero di contribuire alla propria distruzione ”. Osservava
inoltre riguardo la tortura “ch’egli è un voler confondere tutti i
rapporti, l’esigere che un uomo sia nello stesso tempo accusatore e accusato”. Seppur si esprimesse in questi termini, Beccaria non
esitava a pronunciarsi a favore di pene severe per imputati reticenti 12. Tale insegnamento venne recepito in alcuni sistemi
d’America, laddove si afferma che nessuno “può essere obbligato in qualsiasi
causa penale a deporre contro sé medesimo”.
10 Cfr. V. GREVI, Nemo Tenetur se Detergere, Interrogatorio dell’imputato e diritto
al silenzio nel processo penale italiano, Giuffrè editore, Milano,1972, pg. 10.
11 Per la ricostruzione storica del giuramento ex officio e il suo utilizzo nell’ordinamento inglese, vedi infra, § 1.3.
12 C. BECCARIA, Dei Delitti e delle Pene. “colui che nell’esame si ostinasse di non
rispondere alle interrogazioni fattegli, merita una pena fissata dalle leggi, e pena delle più gravi che siano da quelle intimate, perché gli uomini non deludano così la necessità dell’esempio che devono al pubblico.”
processuali europei , dove per decenni si continuarono ad applicare pene corporali con il solo scopo di indurre l’imputato a confessare13. Motivo per cui non sarebbe corretto riconoscergli il merito di aver fondato un vero e proprio diritto al silenzio. La procedura inquisitoria colloca l’imputato in una posizione di assoluta centralità rispetto all’attività istruttoria. Si pretende, infatti, che esso fornisca ogni informazione utile alla ricostruzione del fatto storico. Il fine della ricerca della verità materiale e della repressione dei reati giustifica il ricorso ad ogni espediente ad eruendam veritatem. Come è stato efficacemente osservato, “il sospetto è il presupposto dell’interrogazione […] quasi
inavvertitamente, il sospetto del commesso reato genera il sospetto che il silenzio o la risposta totalmente o parzialmente negativa dell’interrogato sia un artificio per nascondere la verità. Di tale stato d’animo la tentazione di premere sull’interrogato…per ottenere una risposta positiva, balza quasi irresistibile” 14.
Ed è proprio il passaggio da un sistema di tipo inquisitorio basato su una ricerca ossessiva della confessione, considerata come
regina probationum, ad un sistema di tipo accusatorio, volto alla
13 Si pensi, ad esempio, alla “Istruzione” redatta da Caterina II di Russia (1767) nella quale fu quasi integralmente trasfusa la suddetta proposta di Beccaria, essendosi stabilito che “celui qui par opiniâtreté ou par caprice ne veut pas répondre
aux questions qu’on lui fat en justice, mérite d’être puni ”, con l’ulteriore
precisazione che la pena determinata per legge, dovesse essere “des plus
sévères, afin quel es cupables servent inévitablement d’exemple au peuple, come cela mérite “. Cfr., Code russe ou Instructions adressées par sa Majesté l’Impératrice de tous les Roussies àla Commission établie puor travailler àl’exécution du projet d’un nouveau Code de loix (cap. X, § 181); cfr. anche V. GREVI. op. cit., nota pg. 14
formazione di un sapere attraverso lo strumento del contraddittorio, che ha permesso al il diritto al silenzio di prendere sempre più terreno.
È In linea con i canoni del rito accusatorio che l’imputato non venga considerato “ la persona che più di tutte ha da contribuire ad
illuminare i giudici con le sue conoscenze”15, ma sia lasciato libero di rifiutare il proprio contributo a riguardo e, per di più, debba essere reso consapevole della facoltà di non rispondere che gli compete. Inoltre, esso, in virtù del diritto di autodeterminazione, non deve subire alcun condizionamento e nessuna imposizione ai fini di garantire un’azione libera e consapevole. L’organo dell’accusa dovrà dunque ricercare altrove le prove utili a suffragare i fatti in questione16. È , appunto, in questo contesto che nasce l’affermazione secondo cui “l’obiettivo che l’accusatore
deve perseguire non è più la confessione ma la prova oggettiva di reità”17.
Possiamo dunque osservare come l’imputato, da “ bestia da
confessione ” 18, sia diventato titolare di tutta una serie di diritti e garanzie, tra le quali la facoltà di non collaborare alla propria condanna .
15 Cfr. A.H. HAMMELMAN, Aspetti del diritto probatorio anglosassone, in Jus, 1950, pg. 387.
16 V.GREVI, op. cit., pg. 76 s.
17 MALINVERNI, La riforma del processo penale, Torino, 1970, cit., pg. 133. 18 F. CORDERO, Procedura penale, 7 ed., Milano, 2003, pg. 25.
Non si può, pertanto, non cogliere una correlazione, evidenziata già nel pensiero illuminista, tra l’affermazione del diritto di autodeterminazione dell’imputato e l’esclusione di una presunzione di colpevolezza a carico dello stesso. Su questa linea si era espresso anche Carrara , affermando che “È chiaro, come il
riconoscimento all’imputato della libertà di tacere presupponga un sistema processuale in cui l’imputato reticente non abbia alcun obbligo di “ purgarsi ” e sia cioè, presunto innocente, o comunque non colpevole
“ 19 . Risulta, così, evidente come “Together these rights and
obligations underpin the right to a fair trial and are inextricably linked; the abrogation of one right is likely to impact the other ”20.
Nell’ambito delle prove il diritto al silenzio è stato più generalmente concepito come un diritto e un privilegio allo stesso tempo. Il privilegio così inteso, comprende sia il diritto dell’imputato di non testimoniare al suo stesso processo, sia la decisione del testimone di non rivelare informazioni autoincriminanti 21 . Nel bilanciamento degli interessi, dunque, comunemente si accorda la preferenza alla libertà morale e
19 CARRARA, Programma del corso di diritto criminale, parte gen., vol. II, 11° ed., Firenze, 1924, pg. 273
20 “insieme, questi diritti e doveri stanno alla base del diritto ad un giusto processo e
sono indissolubilmente legati; l’abrogazione di uno è destinata ad incidere sugli altri
“, CAVANAUGH K. A., Emergency Rule, Normalcy Exception: the Erosion of the
Right to Silence in the United Kingdom, in Cornell International Law Journal, Vol.
35, 2002 pg. 491 ss.
21 Cfr. SUSAN EASTON, The Case for the right to Silence, Ashgate, London, 1998, pg.1.
personale dell’individuo piuttosto che alla garanzia di repressione dei reati, che certamente si otterrebbe se a tutti i soggetti del procedimento penale fosse imposto un dovere incondizionato di collaborazione con la giustizia, fino al punto di autoincriminarsi.
Lo ius tacendi viene comunemente fatto rientrare nel novero dei diritti assoluti, risulta, pertanto, essere incomprimibile anche per volontà dello stesso titolare. Tuttavia nel corso di questa trattazione vedremo come, in realtà, una tutela incondizionata possa arrivare a pregiudicare altri diritti parimenti garantiti, per cui, esistono situazioni particolari in cui tale diritto deve essere limitato. Per comprendere a fondo la rilevanza del diritto al silenzio e i motivi per il quale esso, in determinate circostanze, debba passare in secondo piano, è necessario partire da un’analisi dei significati che il principio del nemo tenetur se detegere ha assunto nell’ordinamento inglese.
1.2 LA POLIVALENZA SEMANTICA
Il principio del nemo tenetur se detegere non ha un significato univoco. Esso, infatti, non denota un singolo diritto, ma fa riferimento ad un disparato gruppo di immunità che differiscono tra loro per natura, incidenza o importanza. Risulta essere di particolare effetto l’affermazione secondo cui esso “ si presenta
(a tratti) enigmatico e capace di incidere sulla struttura base dell’illecito penale ”22 .
L’impiego polisenso del brocardo latino talvolta genera equivoci ed incertezze concettuali, essendo stato spesso richiamato con riguardo ad un gamma di comportamenti piuttosto eterogenei e in realtà, non consente di individuare in termini costantemente univoci l’ambito di riferimento del principio in questione23.
È indubbio che tale principio ricomprenda il privilegio contro l’autoincriminazione, ma, è altrettanto evidente come esso risulti collegato alla presunzione di innocenza, al diritto ad un giusto processo e come esso possa essere considerato un importante mezzo di protezione della libertà individuale. In alcuni casi, è stato esteso fino ad abbracciare, accanto all’ipotesi del silenzio, la diversa ipotesi del mendacio proveniente dall’imputato.
Interessante notare come un copioso numero di sentenze e testi giurisprudenziali24 faccia riferimento alla cornice di diritti espressa nel caso Smith v. Director of Serious Fraud Office del 1992 25. Si deve, infatti, a Lord Mustill il merito di aver stillato una lista
22 D.TASSINARI, Nemo tenetur se detegere. La libertà dalle autoincriminazioni nella
struttura del reato, Bononia University Press, Bologna, 2012, pg 480.
23 In argomento cfr., V. GREVI, op. cit., pg 35.
24 Per esempio, la lista di immunità è stata adottata in Weissensteiner v R [1993] HCA 65; (1993) 178 CLR 217; (1993) 68 A Crim R 251, Azzopardi v R [2001] HCA 25; 205 CLR 50; 179 ALR 349; 75 ALJR 931, Jones v R [2005] NSWCCA 443; e in
The Right to Silence Report a cura della NSW Law Reform Commission 2000.
di immunità che, secondo la sua opinione, possono essere ricomprese all’interno del diritto al silenzio26. In particolare esso include:
1. Un’immunità generale, dall’essere costretti, sotto minaccia di pena, a rispondere a domande poste da altre persone o enti. 2. Un’immunità generale, dall’essere costretti a rispondere a
domande potenzialmente incriminanti.
3. Un’immunità posseduta da tutte le persone sospettate di un reato, dall’essere costretti a rispondere alle domande poste da ufficiali di polizia o altri in simili posizioni.
4. Un’immunità dall’essere costretti a testimoniare e dall’essere costretti a rispondere alle domande poste sul banco degli imputati.
5. Un’immunità specifica posseduta da soggetti che sono stati accusati di un reato dall’essere costretti a rispondere alle domande poste loro dagli agenti di polizia o da persone in una simile posizione di autorità;
6. Un’immunità specifica, posseduta dagli imputati nella fase
processuale, dall'avere un commento negativo basato sul rifiuto
26 Si ritiene necessario precisare che Lord Mustill non fa esplicita menzione del principio del nemo tenetur se detegere, bensì utilizza l’espressione “The right of
silence “in un’accezione equivalente. A questo proposito afferma, infatti, che
“This expression arouses strong but unfocused feelings. In truth it does not denote any
single right, but rather refers to a disparate group of immunities, which differ in nature, origin incidence and importance, and also as to the extent to which they have already been encroached upon by statute”.
di rispondere alle domande poste prima dell’inizio del processo, o sul rifiuto testimoniare al processo27.
Ciascuna di queste immunità è di fondamentale importanza in quanto concerne la protezione dei cittadini contro l’abuso di potere da parte degli organi investigativi e di polizia.
Sebbene Lord Mustill non avesse la pretesa di fornire un elenco esaustivo delle immunità che compongono il diritto al silenzio, la sua lista sembra essere stata ampiamente adottata da giudici e commentatori senza ulteriori aggiunte.
Per una più chiara individuazione della portata precettiva del
nemo tenetur se detegere e delle conseguenti implicazioni
riconnesse alla sua vigenza nel sistema anglosassone è preferibile circoscrivere la nostra analisi a tre situazioni soggettive che, sulla scorta dell’esperienza maturata negli ordinamenti di common law, risultano esaurirne l’ambito applicativo:
1. Il diritto a non essere interrogato (the right not to be
questioned).
27 LORD MUSTILL, [1992] 3 All ER 456, pg. 463-464. cit. “ .. (i) the immunity
from being compelled on pain of punishment, to answer questions posed by other persons or bodies, (ii) the general immunity from being compelled to answer questions to which the answers may be incriminating, (iii) the immunity of persons suspected of criminal responsability from being compelled to answer questions of any kind by police officers, (iv) the immunity from being compelled to answer questions in the dock, (vi) the immunity of persons charged with criminal offences from being asked questions by the police and (vii) the immunity of persons tried from being subjected to adverse comment on the failure to answer questions before the trial or to give evidence at trial”
2. Il diritto a non autoincriminarsi (privilege against self
incrimination).
3. Il diritto al silenzio (right to silence).
Il c.d. “right not to be questioned”, tipico della più risalente tradizione del processo di common law, consente all’imputato di sottrarsi in toto all’interrogatorio da parte dell’autorità̀, liberandolo dall’obbligo di presentarsi a deporre su fatti che riguardino la propria responsabilità̀. Sottrae dunque l’imputato da ogni possibile suggestione da parte dell’autorità , “ persino da
quella che potrebbe derivare dal solo fatto della creazione di un rapporto dialogico intrinsecamente viziato dalla differente posizione degli interlocutori “ 28.
Per altro aspetto, il c.d. “privilege against self-incrimination” garantisce all’individuo, quando deponga di fronte all’autorità̀ pubblica senza essere gravato da una formale accusa 29, di non poter essere costretto a fornire un contributo conoscitivo tale da condurre alla sua stessa incriminazione. Si atteggia, pertanto, come eccezione al dovere di verità.
Infine, il c.d. “Right to Silence” comporta che l’indagato o l’imputato sottoposto ad interrogatorio abbia il diritto di non rispondere alle domande che gli vengano poste, senza che il silenzio costituisca di per sé elemento di prova in malam partem.
28 Cfr. E. AMODIO, op. cit., pg. 412.
29 Come testimone, o persona informata sui fatti, oppure sottoposta a ispezione o ad una inchiesta amministrativa.
Rappresenta dunque l’esclusione volontaria del rapporto dialogico tra inquisito ed autorità.
Possiamo notare come la tutela della libertà morale e dell’interesse difensivo dell’imputato, che viene espressa dai tre modelli, abbia un carattere graduale : si passa dalla soppressione totale dell’interrogatorio come atto processuale consentito, ad un regime in cui l’interrogatorio può venire ad esistenza solo se l’imputato lo consente, per finire ad una situazione soggettiva che dà al teste o all’inquisito sottoposto alla deposizione testimoniale il potere di serbare un “silenzio parziale” su alcune circostanze 30. È, perciò, evidente come il principio processuale trovi applicazione sin dalla fase delle indagini di polizia e si estenda ad ogni successiva fase del processo.
A fronte di un’originaria carenza di qualsiasi modalità acquisitiva del sapere dell’imputato, stante l’operatività del Right
to Silence e del Right not to be questioned, sul finire del XIX sec si
affermò la regola secondo cui “the defendant is competent but not
compellable witness for the defence “. Venne così legittimata
l’operatività dell’istituto della testimonianza volontaria da parte dell’imputato31.
Si presentò così, all’interno del sistema britannico, un’apparente antinomia che divenne oggetto di discussione da parte della
30 Cfr. E. AMODIO, op. cit., pg. 414.
31 L’istituto della testimonianza volontaria verrà esaminato nel dettaglio al § 3.2.
dottrina: negli ordinamenti di common law, il principio del nemo
tenetur se detegere risulta avere una diversa attuazione nella fase
dell’inchiesta di polizia ed in quella successiva davanti al magistrato. Nella prima l’inquisito deve obbligatoriamente essere edotto della facoltà di non rispondere, mentre nella seconda può chiedere di essere sentito come testimone sotto giuramento, con la conseguente sottoposizione alla cross
examination.
Possiamo dunque cogliere un apparente contraddizione logica in un sistema in cui si affianca al Right to Silence e al Right not to be
questioned, la possibilità di apportare deduzioni difensive
accreditate con il vaglio della cross examination, a mezzo di un istituto all’apparenza inconciliabile con la logica del brocardo
“nemo tenetur se detegere “ 32. L’attribuzione all’imputato della facoltà di prestare giuramento sembrerebbe, infatti, svalutare la credibilità delle dichiarazioni eventualmente rese senza giuramento e sarebbe logico supporre che in questo stadio processuale “ la libertà di scelta dell’imputato venga ad essere
concretamente condizionata dal timore che il mancato esercizio di quel diritto rechi nocumento alla sua posizione di fronte all’organo giudicante ”33.
In realtà la diversa applicazione del principio si giustifica proprio in termini di maggior e minor tutela dell’imputato nelle fasi
32 Cfr. V. PATANÉ, op. cit., pg. 280. 33 V. GREVI, op. cit., pg. 87
processuali interessate. È, peraltro, evidente come l’indagato, essendo inserito in un contesto meno garantito, necessiti di una maggior tutela rispetto all’imputato. Il primo viene inevitabilmente a trovarsi in una posizione più debole, in quanto nella fase investigativa non è presente un giudice e c’è la concreta possibilità che non venga data piena attuazione al diritto di difesa ove non venga garantito l’intervento del difensore o non venga autorizzato il colloquio con questi in tempo utile prima dell’interrogatorio.
La presenza del giudice e la garanzia della pubblicità permettono una tutela più penetrante della libertà morale dell’individuo e rendono concepibile l’assunzione di uno status più gravoso in funzione della valorizzazione probatoria di dichiarazioni pro se. Con la deposizione testimoniale volontaria, infatti, si inserisce all’interno del processo la cognizione di fatti favorevoli al
defendant che, altrimenti, rimarrebbe preclusa. Non si vuole,
dunque, cogliere l’occasione per estorcere una confessione o ottenere l’ammissione di fatti a lui sfavorevoli. Motivo per cui l’imputato non si trasforma in uno strumento di una oggettiva ricerca della verità materiale, ma diventa un veicolo di un’ esperienza conoscitiva offerta al controllo dell’accusa e al vaglio del giudice proprio perché ritenuta essenziale per il proprio interesse difensivo34.
34 Cfr. E. AMODIO, op. cit., pg. 414.
In conclusione, prima di andare ad analizzare nel dettaglio l’evoluzione della disciplina anglosassone in materia probatoria, vale la pena introdurre un elemento che, a prima vista, sembrerebbe andare ad intaccare parte di quella tutela incondizionata che, fino ad ora, abbiamo fato rientrare nel raggio di applicazione del principio.
Come abbiamo detto in precedenza, tra le garanzie dello ius
tacendi rientra anche il fatto che il silenzio non possa costituire un
elemento di prova contro chi lo esercita.
Tuttavia, andando a ricostruire le tappe evolutive del diritto in questione, noteremo come in realtà giudice e giuria, a determinate condizioni, possano effettivamente trarre conseguenze pregiudizievoli dal rifiuto di rendere dichiarazioni. Lo stesso Lord Mustill, nella sentenza summenzionata, dopo aver elencato la lista di immunità afferma che “This area of law seems to
be best understood through its exceptions. The point at which silence is not tolerated, and at which the law compels disclosure, or allows adverse inference from silence, is the point at which the underlying immunity ceases to apply”35.
Andremo dunque a vedere come, nel paese che per primo ha valorizzato e dato attuazione al diritto al silenzio, si assista, in realtà, ad una tendenziale destrutturazione della law of evidence. La common law sembrerebbe, infatti, aspirare ad un sistema
35 “Questo ambito del diritto sembra essere meglio compreso attraverso le sue
eccezioni. Il punto in cui il silenzio non è tollerato, e in cui la legge obbliga a parlare, o consente inferenze negative dal silenzio, è il punto in cui le suddette immunità cessano la loro applicazione “.
probatorio più snello e lineare, eliminando le regole, talvolta prive di valore pratico, che ne ostacolano l’operatività. 36.
36 Cfr E. AMODIO, Libero convincimento e tassatività dei mezzi di prova: un
2. LA GENESI DELL’ISTITUTO NEL REGNO UNITO
2.1 CENNI STORICI
La tematica del diritto al silenzio, come più volte ribadito, affonda le sue radici negli ordinamenti processuali di common
law, dove le scelte di fondo, sul piano della politica legislativa, si
sono sempre caratterizzate, in linea con i postulati teorici
dell’adversary system, come chiara opzione in favore di un modello
ispirato alla tutela dei valori della libertà e dignità dell’individuo 37.
Come è stato affermato “ Non è invero senza significato, sul piano
storico, che proprio nel sistema inglese il principio del nemo tenetur se detegere abbia trovato riconoscimento con largo anticipo rispetto agli altri paesi europei e che in particolare sia stato terreno fertile di elezione per la nascita del diritto al silenzio ”38.
Per comprendere le motivazioni sottese alle scelte legislative inglesi, che hanno portato alla nascita e all’ affermazione del Right
to Silence quale garanzia fondamentale, non possiamo dunque
prescindere dall’analisi del contesto politico culturale inglese che ha permesso tale sviluppo.
La nascita del diritto al silenzio si deve principalmente all’avversione, manifestatasi nell’ambiente giuridico inglese, nei
37 V.PATANÈ, op.cit, pg.273. 38 Cfr V. GREVI, op.cit, pg.20.
confronti dei comportamenti inquisitori che prevedevano l’uso di trattamenti disumani e obbligavano l’imputato a produrre contra
se instrumenta propria.
Una prima forma di garantismo processuale , si manifestò con l’introduzione del “Right to confrontation”, il diritto a confrontarsi con il proprio accusatore, le cui origini sono ricondotte al processo celebrato nel 1603 contro Sir Walter Raleigh39, accusato di cospirazione sotto Giacomo I. Tale diritto determinò il radicarsi della rule against hersay, e cioè il divieto di utilizzare come prova dichiarazioni rese fuori dal contraddittorio con l’accusato. Quest’ultima regola imponeva, pertanto, che le dichiarazioni rese dai testimoni fossero sottoposte al vaglio della
cross examination da parte dell’accusato. Sotto tale profilo, il
diritto a confrontarsi rappresenta, dunque, una particolare specie di controesame che ricomprende una garanzia particolare, e cioè la presenza del giudice che, vedendo in prima persona il comportamento del testimone, potrà valutare le dichiarazioni da esso rese 40.
39 L’impianto accusatorio era fondato sulle dichiarazioni dell’asserito complice Lord Cobham: nonostante le reiterate richieste dell’imputato di essere messo a confronto con il suo accusatore, la Star Chamber rifiutò la richiesta e lo condannò a morte. Solo successivamente si venne a sapere che le dichiarazioni incriminanti rese, sulle quali era stata pronunciata la sentenza di condanna, erano state rese sotto tortura e di seguito rigettate. Il clamore suscitato dalla vicenda e l’indignazione dell’opinione pubblica fecero si che il riconoscimento del diritto a confronto si radicasse progressivamente nella common law. Per ulteriori approfondimenti vedi V. PATANÈ, op. cit., pg 276.
40 C.CONTI, L’imputato nel procedimento connesso, Diritto al silenzio e obbligo di
I principali filoni dottrinali che si sono, nel tempo, occupati di ricostruire l’origine del Right to Silence e del Privilege against self
incrimination comunemente riconducono le radici dei principi in
questione all’opposizione alle regole previste dalle tre tipologie di corti operanti nel XVII secolo:
1. La Court of Star Chamber41
2. La Court of High Commission for Ecclesiastical Causes 3. Le Equity courts
Un primo orientamento ritiene che la prima inequivocabile espressione del privilegio contro l’autoincriminazione si sia avuta all’interno della disputa sulla legittimità del giuramento ex officio, il così detto oath de veritate dicenda, in uso soprattutto nelle corti ecclesiastiche. Secondo tale pratica, l’accusato avrebbe dovuto giurare di rispondere in modo veridico ad ogni domanda che gli venisse posta. In realtà le dichiarazioni rese venivano poi utilizzate come prova incriminante e spesso come strumento per
Anglo-American System of Evidence in Trials at Common Law, III ed., Boston,1940,
vol.V.
41 La Court of Star Chamber era composta da giudici e consiglieri privati e, inizialmente, veniva utilizzata come supplemento alla giustizia dei tribunali del popolo. Ha raggiunto una grande popolarità sotto Enrico VIII, per la sua capacità di far rispettare la legge e fornire rimedi adeguati quando le altre corti, a causa della corruzione, non erano in grado di farlo. Tuttavia, il suo utilizzo durante il regno di Carlo I ha fatto si che diventasse un simbolo di oppressione contro avversari parlamentari e puritani. Tratto dall’enciclopedia online al sito: www.britannica.com.
punire i trasgressori delle leggi della Chiesa 42 . Questo creò un generalizzato antagonismo da parte di cattolici e puritani che, seppur professando ideali molto diversi, si unirono nella causa comune contro il giramento inteso come strumento di repressione.
Il diritto al silenzio trovò il suo primo riconoscimento storico, nel 1637, a seguito del Processo contro John Lilburne, famoso partigiano di Cromwell, meglio conosciuto come “Freeborn John”. Accusato di aver stampato libelli eretici e sediziosi, nel corso del processo a suo carico, si rifiutò di prestare giuramento e di rispondere con obbligo di verità alle domande rivoltegli, venendo, di conseguenza, severamente punito dalla Star
Chamber. Tuttavia egli impugnò la decisione ed ottenne
l’annullamento dalla Camera dei Lords nel 164843.
A tal proposito viene attribuito grande rilievo allo statuto di Carlo I, con il quale, nel 1641, contemporaneamente all’abolizione della Court of High commission for Ecclesiastical causes e della Star
Chamber, venne sancito il divieto di deferire i giuramento ex officio
all’accusato di fronte alle corti ecclesiastiche con il preciso intento di evitare che, in tal modo, l’accusato fosse costretto a rilasciare dichiarazioni autoincriminanti 44. Il medesimo divieto fu ribadito
42 L. LEVY, Origins of the fifth amendment: The Right against self incrimination ,2nd. ed., New York, 1986.
43 Cfr C. CONTI, op.cit, pg. 6 ss.
44 Cfr WIGMORE, Evidence in trials at common law, vol III, a cura di Mcnaugton, Boston, 1961, pgg. 283-289.
venti anni più tardi in uno statuto di Carlo II con riguardo anche a “ any others oath “ in forza del quale un individuo “ may be
charged or compelled to confess any criminal matters ”45.
Un secondo orientamento ritiene, invece, che il principio sia emerso in seguito alla più sentita polemica contro i metodi utilizzati dalla Star Chamber, la corte di prerogativa regia, utilizzata principalmente per censurare ideali politici, intercettare opinioni eretiche e identificare i dissidenti. A tal fine, era solita servirsi di torture, mutilazioni, pubbliche umiliazioni46 e imprigionamenti . Il rischio di subire uno di questi trattamenti sottoponeva l’imputato a quello che è stato definito “the cruel
trilemma of punishment for refusal to testify, punishment for truthful testimony or perjury, and the consequential possibility of punishment”47.
Una delle caratteristiche più perniciose di questa corte era l’utilizzo dell’interrogatorio e della testimonianza giurata come “fishing expedition”: l’accusato veniva spinto a parlare sotto giuramento prima di essere incriminato. In questo modo venivano prodotte le prove di un crimine di cui l’accusato non
45 WIGMORE, Nemo tenetur seipsum prodere, in Harvard Law rev. ,1891, pg.82. 46 Lett. “pillory”, tipo di umiliazione pubblica in voga nel medioevo, alternativa alla gogna e consitente nel legare il sospetto su una carrozza scoperta ed esporlo al pubblico scherno. Da qui il detto “mettere alla berlina”. Vedi S. EASTON, op. cit., pg 1.
47 “Il crudele trilemma: subire una punizione per essersi rifiutato di testimoniare, per
aver testimoniato il vero o per aver commesso spergiuro.”, vedi Caltex (1993) 118
era a conoscenza, in quanto i fatti non gli erano ancora stati addebitati.
In principio, veniva invocata quella che è stata definita “vague
[latin] maxim” secondo la quale nessuno può essere costretto ad
accusare sé stesso. Solo quando i dissidenti unirono le forze con i
common lawyers, in particolare con Lord Coke48, furono in grado
di portare la disputa di fronte alle corti e tradurre la massima in una rule of law che poi è diventata il privilegio contro l’autoincriminazione49.
Si ritiene, pertanto, che il privilege against self incrimination si sia sviluppato in questo periodo, cristallizzando una generale avversione, e la conseguente condanna delle pratiche degli Stuart, che sarebbe da li a poco culminata nella Rivoluzione inglese.
Possiamo dunque notare come, in realtà, i due orientamenti propongano una versione analoga del diritto al silenzio, che si identifica nel diritto dell’imputato a non collaborare alla propria condanna nel corso dell’interrogatorio del giudice.
Una recente ricostruzione, più innovativa rispetto alla teoria classica, farebbe risalire le prime applicazioni processuali del
48 Sir Edward Coke (1552-1634) è stato un politico e giurista inglese, tra i più celebri dell'Età elisabettiana.
49 Cfr RICHARD. H. HELMHOZ, Origins of the Privilege against
Self-Incrimination: the Role of the European Ius Commune, in New York University Law Review, 1990, pg 964.
privilege against self-incrimination, già dall'inizio del XVII secolo,
nella procedura adottata dalle equity courts. Solo sul finire dello stesso secolo, la regola sarebbe stata applicata dalle corti di
common law, in un primo momento come eccezione al dovere di
verità proprio del testimone e poi estesa all'imputato nella diversa forma del "right" not to be questioned. A partire da questa normativa, dunque, le regole legali a limitazione del potere del giudice di interrogare l'imputato risultano essere consolidate a tal punto che all'inizio del 1700 si può considerare affermato il principio nemo tenetur se detegere dell'imputato, secondo la espressione tipica del processo di common law, e cioè come generale diritto dell'imputato a non essere interrogato dal giudice e a rifiutare di rendere qualsiasi dichiarazione, a prescindere che essa sia o meno autoincriminante50.
In una prospettiva comparatistica, è opinione diffusa, tuttavia, che nonostante il sistema inglese abbia gettato le basi per la nascita del diritto al silenzio, quest’ultimo non abbia assunto la forma di garanzia fondamentale nell’immediato, come invece è avvenuto nel sistema americano. È stato infatti osservato come nelle dichiarazioni parlamentari e nelle petizioni che hanno portato all’espulsione degli Stuart il principio venga raramente menzionato. A questo proposito, come osserva Wigmore, “the
privilege “creeping” into English life rather than being seen as a mayor constitutional landmark as it was in the Unite states and it may be that
50 Cfr A.M. CAPITTA, Le limitazioni deel diritto al silenzio nella riforma del processo
this lukewarm acceptance is one reason why the right to silence has been
more strongly guarded in the US than in UK “51.
È comunque indubbio che l’affermazione del principio abbia rappresentato una svolta epocale all’interno del sistema processuale inglese. In primis l’imputato è passato dall’essere il principale strumento per la propria condanna all’essere un testimone non attendibile. Esso deve essere considerato “innocent
until proven guilty” quindi deve essere libero di rimanere in
silenzio di fronte ai suoi accusatori. Il sistema di giustizia criminale non tollera le “compulsory interrogations e il right to silence è diventato una protezione procedurale per l’individuo contro il potere dello stato52: “It’s the right which provides the
fundamental bases for the common law rules governing the admissibility and reception of confessional evidence” 53.
51 ‘’ il privilegio “che striscia “nel sistema inglese, piuttosto che essere considerato un
principio costituzionale come avviene negli Stati Uniti; questa tiepida accettazione è uno dei motivi per i quali tale diritto è stato più fortemente custodito negli Stati Uniti, rispetto al Regno Unito “, WIGMORE, Evidence in trials at common law, vol III, a
cura di Mcnaugton, Boston,1961, pgg. 283-289.
52 BARBARA ANN HOCKING, LAURA LEIGH MANVILLE, What of the right
to silence: still supporting the presumption of innocence, or a growing legal fiction?,
in Macquaire law journal, n.1, vol.1, 2001.
53 M.ARONSON, J. HUNTER, Litigation: evidence and procedure, Australia, 5th ed.,1995, pg.326.
3. L’EVOLUZIONE NORMATIVA 3.1 PREMESSA
Per una chiara ed esaustiva analisi dell’evoluzione e della rilevanza assunta dal Right to silence nel Regno Unito, è indispensabile iniziare dall’esame delle tappe evolutive che lo hanno caratterizzato dalla nascita sino al momento della sua concreta limitazione, attuata tramite il Criminal Justice and Public
Order Act nel 1994.
Procederemo, pertanto, alla disamina delle singole legislazioni che ne hanno permesso lo sviluppo, facendo specifico riferimento alla sua attuazione nella fase investigativa e in quella del trial, in particolare:
• La normativa del Criminal Evidence Act del 1898; • Le Judge’s rules del 1912;
• Il Police and Criminal Evidence Act del 1984
Inizieremo dall’analisi dell’atto che ha introdotto l’istituto della testimonianza volontaria, permettendo il superamento dell’impasse creatosi, negli anni precedenti, in ambito di acquisizione di materiale probatorio proveniente dell’imputato. Sposteremo poi l’attenzione alla disciplina della fase investigativa. In primis, con la disamina delle parziali garanzie e degli obblighi sanciti all’interno delle Judge’s Rules, per poi passare al vaglio della normativa del Police and Criminal Evidence
Act, tramite la quale esse sono state riconfermate, legalizzate e
3.2 IL CRIMINAL EVIDENCE ACT DEL 1898: LA TESTIMONIANZA VOLONTARIA
Nei procedimenti di common law, sul finire del XIX secolo, in virtù del principio del right not to be questioned e del right to silence, emersi a causa della “long – standing adversion” alle interrogazioni forzate e all’utilizzo della tortura da parte della Star Chamber, si era creata una situazione in cui l’imputato non poteva essere chiamato a rispondere ad alcuna domanda, o a rendere alcuna dichiarazione, salvo che non lo desiderasse egli stesso. A maggior garanzia dell’imputato, venne inoltre stabilito che il giudice dovesse renderlo consapevole, sin dalla primary examination, dell’inesistenza di un obbligo in tal senso e della possibilità che le dichiarazioni eventualmente rese potessero, in seguito, essere utilizzate contro di lui.
La situazione è notevolmente mutata con l’emanazione del
Criminal Evidence Act nel 1898 54 , che è stato definito “ a mayor
landmark which made the defendant a competent, but not compellable witness in his own trial “ 55.
Per mezzo di tale atto, infatti, da un lato, è stata ribadita la piena libertà dell’imputato di non rilasciare dichiarazioni, o di rilasciarne in via informale, dall’altro è stata riconosciuta al medesimo, la facoltà di deporre in veste di testimone per la
54 L’atto pubblicato per la prima volta nel 1898, è ancora in vigore, salvo modifiche marginali.
55 “un punto di riferimento, che ha reso l’imputato un testimone competente, ma non
difesa, quindi sotto giuramento, e con tutti i rischi impliciti nella
cross examination 56.
In questo modo venne legittimato l'istituto della testimonianza volontaria, per mezzo del quale, è possibile notare come la regola tradizionale del Right not to be questioned si colori di contorni meno preclusivi per la difesa, poiché diventa possibile acquisire, attraverso l'esame e il controesame dell'imputato, la prova a discarico di fatti che il più delle volte non sarebbero potute essere oggetto di cognizione per la mancanza o l'inidoneità degli altri mezzi di prova.
Nel contesto delle dichiarazioni giurate dell'imputato e, quindi, intrinsecamente alla struttura dell'atto testimoniale si collega il
Privilege against self incrimination, il quale acquista una
collocazione differente rispetto all'originario privilege, storicamente collegato all'abolizione del giuramento ex officio. Alla base dell'esercizio di tale principio nel processo inglese della fine dell'800 sta, dunque, la volontarietà nel rendere la deposizione sotto giuramento57.
In primis, l’atto stabilisce che l’imputato è libero di scegliere di
testimoniare per la difesa ma non può essere costretto a deporre in giudizio contro la propria volontà, essendo preclusa qualsiasi possibilità per il prosecutor di obbligarlo a prestare testimonianza:
“Every person charged with an offence, shall be a competent witness for
56 Cfr V. GREVI, op.cit., pg. 78. 57 A.M. CAPITTA, op.cit., pg
the defence at every stage of the proceedings, whether the person so charged is charged solely or jointly with any other person. Provided as follows:
a) A person so charged shall not be called as a witness in pursuance of this Act except upon his own application;
b) The failure of any person charged with an offence to give evidence shall not be made the subject of any comment by the prosecution;
c) Nothing in this Act shall affect the right of the person charged to make a statement without being sworn.58”
Il problema di fondo era quello di prefigurare uno strumento probatorio che, senza intaccare la libertà morale dell'accusato fosse in grado di accreditare la veridicità delle sue affermazioni: la soluzione è stata quella, appunto, di configurare l’imputato come testimone “competent “ma non “compellable “.
Le esigenze di veridicità riconnesse al carattere di prova riconosciuto alle dichiarazioni dell'imputato che abbia scelto di deporre come testimone, si ritengono adeguatamente garantite dalla prestazione del giuramento e della correlativa sanzione penale in caso di perjury e dal diritto della controparte di sottoporre il dichiarante alla cross examination 59.
Dal momento in cui l’imputato sceglie di rendere testimonianza, infatti, la sua posizione viene assimilata a quella di qualsiasi altro testimone, quindi potrà essere sottoposto all’esame incrociato ed
58 Criminal Evidence Act, 1898, section 1. 59 Cfr V. PATANÈ, op.cit, pg. 282.
essere escusso sui fatti addebitategli:
“A person charged and being a witness in pursuance of this Act may be
asked any question in cross-examination notwithstanding that it would tend to criminate him as to the offence charged”
Risulta evidente, pertanto, che nel caso in cui un imputato sia stato accusato di molteplici crimini, non può decidere di testimoniare solo riguardo ad uno. Infatti, dal momento in cui egli si presenta sul banco dei testimoni può essere contro esaminato su ogni accusa. È inoltre stabilito che se l’imputato è stato accusato insieme ad un altro soggetto, egli non può chiamare il co-imputato a testimoniare a suo favore, almeno che egli non acconsenta.
L’ imputato può volontariamente assoggettarsi a un obbligo di verità in relazione al fatto addebitatogli, nel proprio procedimento, solo quando il processo è pervenuto ad una fase in cui si realizzano a pieno i principi della pubblicità, del contraddittorio, dell'immediatezza, e in cui lo stesso contesto di assunzione del contributo conoscitivo pro sé, offerto al controllo dell'accusa e al vaglio dell'organo giudicante (terzo ed imparziale), riduce al minimo il rischio di una coartazione della libertà morale60.
60 Ibid., pg. 283.
Inoltre, proprio in virtù della sua particolare situazione processuale, l’atto, ai commi seguenti, prevede ulteriori garanzie. È stabilito, infatti, che egli non possa essere contro esaminato in relazione a fatti riguardanti il proprio bad character, ossia i fatti ulteriori rispetto a quelli relativi al reato per cui si procede, nonché i fatti riguardanti la propria moralità e condotta di vita, che non risultino “ in connection with the investigation or prosecution
of that offence ”61.
Da notare che, la disposizione appena menzionata, non si limita a riconoscere un privilegio, inteso come eccezionale facoltà di non rispondere a determinati fatti, bensì statuisce un vero e proprio divieto di rivolgere domande che abbiano per oggetto i temi ricordati. La dottrina, pertanto, ha definito la garanzia in oggetto come uno “shield” (scudo)62. Tuttavia, tale preclusione è destinata a venire meno qualora l’imputato dovesse rendere determinate dichiarazioni, per effetto delle quali si verifica l'ampliamento dell'area esaminabile. In particolare, l’imputato è obbligato a deporre con obbligo di verità anche sulla propria condotta di vita e su ulteriori reati che egli abbia commesso, se nel corso dell’esame incrociato egli “ ha dato prova contro un coimputato nel
61 La norma in oggetto stabilisce “A person charged and called as a witness in
pursuance of this Act shall not be asked, and if asked shall not be required to answer, any question tending to show that he has committed or been convicted of or been charged with any offence other than that wherewith he is then charged, or is of bad character “, Criminal Evidence Act art 1, comma 3.
medesimo procedimento ”63. La ratio sottesa a questa disposizione consiste nella tutela del coimputato coinvolto nelle dichiarazioni, il quale deve avere la possibilità di dimostrare che le dichiarazioni del suo accusatore non sono attendibili. A tal fine l’accusato ha il potere di controesaminarlo , come se fosse un comune testimone, senza alcun limite di oggetto64.
Si può ,pertanto, notare come in casi tassativamente previsti, la protezione accordata all'accused offertosi come teste viene ad essere sacrificata a fronte di altre esigenze altrettanto meritevoli di tutela65.
Dalle parole dell’atto si evince, comunque, che la testimonianza da parte dell’accusato è vista più come un diritto che come un dovere.
La legge, in definitiva , concede all’imputato tre scelte: testimoniare sotto giuramento, stare in silenzio, o fare una
63 CEA 1898, sect.1, subsect. 3, lett. iii, lett. “He has given evidence against any
other person charged in the same proceedings”. Nella sua originaria formulazione,
la disposizione non usava l’espressione “same proceedings”, bensì menzionava il medesimo reato (the same offence). Tale locuzione aveva dato luogo a complessi problemi ermeneutici, giacché a seconda che se ne fosse accolta una interpretazione estensiva o restrittiva l’ambito applicativo della regola sarebbe mutato. In particolare, nel caso Commissioner of Police for the Metropolis v. Hills, [1978], All E. R.,2,1105, si era affermato che “same offence” indicava una identità dei fatti addebitati ai coimputati sotto tutti i profili oggettivi (the offences must
be the same in all material respects). Più diffusamente in C. CONTI, op.cit., pg
327.
64 La più autorevole applicazione pratica di tale regola risale al caso Murdoch
V. t Taylor [1965], All E.R., 2,519.
dichiarazione non giurata dal banco dei testimoni66. Quest’ultima opzione, tuttavia, a opinione di molti, è stata all’origine di non pochi problemi interpretativi: attribuendo la facoltà all’accusato di prestare dichiarazioni giurate e non, si conduceva all’inevitabile svalutazione, in chiave di credibilità, di quelle eventualmente rese senza giuramento, generando “un’ombra di sospetto” sull’imputato che avesse deciso di avvalersi di tale facoltà. Ciò determinava, in concreto, un effetto ultroneo ed errato rispetto allo spirito del Criminal Evidence Act.
Se da un lato il Criminal Evidence Act riconferma che l’imputato ha il diritto di rimanere in silenzio, dall’altro è stato appurato che esso può essere limitato per mezzo dei judicial comments. L’atto non tratta specificatamente la questione, e ciò a creato una lacuna che è stata all’origine di numerosi e variegati contrasti giurisprudenziali.
In particolare, in Rhodes, Lord Russell of Killowen sosteneva che, a causa della vasta gamma di casi che si possono presentare, fosse impossibile stabilire una norma che decretasse la portata e il tipo di commento. Riteneva pertanto, che tale decisione dovesse essere lasciata alla discrezionalità del giudice:
“There are some cases in which it would be unwise to make any comment at all; there are others in which it would be absolutely
66 Quest’ultima opzione è stata abolita dal Criminal Justice Act del 1982, all’art. 72, dove è stabilito il divieto per l’accusato di rendere “unsworn statements from
necessary in the interests of justice that such comment should be made. This is a question entirely for the judge 67.”
Dopo tale sentenza la magistratura si mostrò “more adventurous” nello stabilire i confini di accettabilità dei commenti. Tuttavia, negli anni seguenti, parte della giurisprudenza iniziò a contestare tale orientamento, asserendo che un utilizzo smoderato dei commenti sarebbe potuto andare a danno dell’accusato 68. Fu così che, in Bathurst, venne ripresa la questione e Lord Parker definì in modo condivisibile quale fosse il reale scopo dei judicial
comments:
“The accepted form of comment is to inform the jury that, of course , he
is not bound to give evidence, that he can sit back and see if the prosecution have proved their case, and that while the jury have been deprived of the opportunity of hearing his story tested in cross-examination, the one thing they must not do is to assume that he is guilty because he has not gone into the witness box.69 “
67 “Ci sono casi in cui è sconsigliabile fare qualsiasi tipo di commento; ce ne sono altri
in cui, al contrario, risulta assolutamente necessario, nell'interesse della giustizia, effettuare tali commenti. In ogni caso, la questione deve essere risolta esclusivamente dal giudice”, cit., Burrow v Rhodes, [1899], 1 QB 177.
68 Cfr S. EASTON, op.cit., pg 21.
69 “Il tipo di commento accettato è quello che mira ad informare la giuria che,
naturalmente, (l’imputato) non è tenuto a fornire alcuna prova, può rimanere seduto e vedere se l'accusa ha dimostrato efficacemente le proprie asserzioni, e anche se la giuria è stata privata dell'opportunità di ascoltare la sua versione dei fatti attraverso il vaglio della cross examination, l'unica cosa che la stessa non deve fare è supporre che (l’imputato) sia colpevole per il solo fatto di non essersi seduto al banco dei testimoni”, cit., Regina v Bathurst, [1968], 2 QB 108.
La corte d'appello ha, infine, colto l'occasione, in Sparrow70, per rivedere tali precedenti, con l’obiettivo di definire alcuni principi in grado di guidare i giudici in futuro. Ha, pertanto, concluso che la direzione indicata in Bathurst risulta sufficiente nella maggior parte dei casi, ma che, nell’interesse della giustizia, si possono presentare situazioni in cui è necessario uno “stronger comment”: il giudice non deve suggerire o sottintendere che il silenzio debba essere visto come una conferma di colpevolezza, ma in casi eccezionali è suo dovere commentare.
In conclusione, possiamo notare come il sistema inglese, così come viene concepito dal Criminal evidence Act, tende ad effettuare una sorta di bilanciamento tra il Right to Silence e il
Right to confrontation, senza cedere alla tentazione di creare istituti
ibridi. Il predetto statuto, infatti, permette all’imputato di rinunciare volontariamente al proprio diritto al silenzio ed assumere l’obbligo di verità in relazione al fatto addebitatogli, consentendogli, anche tramite il vaglio della cross examination, di dare prova della propria attendibilità. A ulteriore garanzia interviene “lo scudo” che pone un limite oggettivo alla possibile escussione, la quale non può riguardare la propria moralità, la propria condotta di vita e i precedenti penali. Per altro verso, tuttavia, tale limitazione è destinata a venire meno nel caso in cui
70 R v Sparrow [1973] 1 WLR 488.
l’imputato si risolva a rendere determinate dichiarazioni che determinano l’ampliamento dell’area esaminabile.
Vedremo, in seguito, che con il Criminal Justice and Public Order
Act del 1994 per un verso, è stato limitato il diritto al silenzio
davanti agli organi inquirenti; per altro verso, è stato eliminato il divieto per il pubblico ministero di argomentare circa la mancata deposizione dell’imputato come testimone, originariamente prevista nel Criminal Evidence Act 189871.
3.3 LE JUDGE’S RULES
Con lo stabilirsi, nel 1848, di un corpo di polizia professionale, gli interrogatori, che in precedenza erano ad appannaggio esclusivo delle corti, iniziarono ad essere affidati proprio agli organi di polizia. Si percepì, dunque, l’esigenza di delineare alcune linee guida a cui gli ufficiali si sarebbero dovuti attenere durante l’interrogatorio e la custodia degli indiziati di reato. Questo fu, dunque, lo scopo delle Judge’s Rules 72, formulate nel 1912 dalla
King’s Bench Division, con le quali si ottenne il primo
riconoscimento formale del diritto al silenzio anche nella fase investigativa . Esse sono state descritte come “the first conscious
effort within the pre-trial procedure to set out a considered balance between the need to protect the rights of the individual suspect and the
71 Cfr C. CONTI, op.cit., pg. 336.
72 Le Judge’s Rules, pubblicate per la prima volta nel 1912, furono revisionate nel 1918 e nel 1964 per poi essere abolite nel 1984.
need to give the police sufficient powers to carry out their task.73” In origine erano state ideate esclusivamente per gli organi di polizia, ma con il passare del tempo le regole sono diventate parte integrante della procedura penale inglese.
Le Judge’s Rules non erano rules of law, bensì regole pratiche che guidavano gli ufficiali di polizia verso un utilizzo corretto dei metodi di assunzione delle prove, evitando, dunque, quei comportamenti che ne avrebbero fatto decretare l’inammissibilità a processo 74. Miravano, pertanto, alla salvaguardia dei diritti dell’accusato, il quale non doveva subire nessun condizionamento da parte dell’autorità: “Confession or statements
can only be used as evidence if they are given voluntarily. The Judge’s Rules accept police interrogation in custody so long as it does not go so far as to force or induce a confession against the suspect’s will by fear of prejudice or hope of advantage, exercised or held out by a person in authority, or by oppression ”75.
Da notare che, fu proprio grazie alla creazione delle Judge’s Rules
73 “il primo consapevole sforzo, all’interno della fase pre-procedimentale, che mira ad
impostare un equilibrio ponderato tra la necessità di tutelare i diritti dell’indagato e la necessità di fornire agli organi di polizia poteri sufficienti a svolgere il loro compito”, Report of the Royal Commission on Criminal Procedure (1981), London, HMS0,
Cmnd 8092, par. 1.21.
74 In particolare questo concetto è emerso in R. v Voisin [1918] 1 KB 531, in cui si afferma ”1912 the judges, at the request of the Home Secretary, drew up some rules
as guidance for police officers. These rules have not the force of law; they are administrative directions the observance of which the police authorities should enforce upon their subordinates as tending to the fair administration of justice. It is important that they should do so, for statements obtained from prisoners, contrary to the spirit of these rules, may be rejected as evidence by the judge presiding at the trial”.
75 DOREEN MCBARNE, The Royal Commission and the Judges' Rules, British