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RAFFORZAMENTO DEI DIRITTI DELL’IMPUTATO

A conclusione della nostra analisi, merita richiamare brevemente una recente direttiva dell’Unione Europea, la numero 343283, approvata il 9 marzo 2016, la quale mira a rafforzare alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto a presenziare al processo nei procedimenti penali.

L’ambito di applicazione della direttiva è delineato nei considerando 11 – 15, dimostrando una certa cautela allo scopo di rinvenire norme minime comuni che possano essere agevolmente condivise e attuate nelle legislazioni interne dei singoli stati in modo da recuperare la fiducia reciproca nella giurisdizione.

La stessa, infatti, trova applicazione solo riguardo i procedimenti penali ed è, unicamente, rivolta alle persone fisiche indagate o imputate, con esclusione delle persone giuridiche.

L’articolo 7284 è dedicato interamente alla disciplina del diritto al silenzio e al principio contro l’incriminazione. Lo ius tacendi viene

283 Directive (EU) 2016/ 343 (PE-CONS 63/15) of the European Parliament and of

the Council of 9 march 2016 on the strenghtening of certain aspects of the presumption of innocence and of the right to be presenta t the trial in criminal proceedings.

284 Si riporta il testo integrale dell’art. 7 della Direttiva 343\2016: “Diritto al

silenzio e diritto di non autoincriminarsi. (1) Gli Stati membri assicurano che agli indagati e imputati sia riconosciuto il diritto di restare in silenzio in merito al reato che viene loro contestato. (2) Gli Stati membri assicurano che gli indagati e imputati godano del diritto di non autoincriminarsi. (3) L’esercizio del diritto di non autoincriminarsi non impedisce alle autorità competenti di raccogliere prove che possono essere ottenute lecitamente ricorrendo a poteri coercitivi legali e che esistono

definito “un aspetto importante della presunzione d’innocenza che

dovrebbe fungere da protezione contro l’autoincriminazione”.

Ai primi due commi si stabilisce che gli stati membri assicurino, alle persone indagate o imputate, il riconoscimento del diritto a rimanere in silenzio in merito al reato loro contestato, nonché il diritto a non autoincriminarsi. Restano, chiaramente, fuori da tale riconoscimento, ai sensi del comma 3, le domande riguardanti l’identificazione del soggetto, indagato o imputato, e tutti gli elementi di prova che esistono indipendentemente dalla volontà del soggetto e possono essere ottenuti dalle autorità competenti con il ricorso a poteri coercitivi legali.

Il comma 4 dispone, infine, che gli Stati membri possano consentire alle autorità giudiziarie di tenere conto, al momento della pronuncia della sentenza, del comportamento collaborativo della persona sottoposta a procedimento penale285.

La disciplina a cui fa riferimento la lettera della direttiva in esame coincide con la nozione e l’estensione del diritto al silenzio, così come elaborate dalla giurisprudenza della Corte Europea.

indipendentemente dalla volontà dell'indagato o imputato. (4) Gli Stati membri possono consentire alle proprie autorità giudiziarie di tenere conto, all'atto della pronuncia della sentenza, del comportamento collaborativo degli indagati e imputati. (5) L'esercizio da parte degli indagati e imputati del diritto al silenzio o del diritto di non autoincriminarsi non può essere utilizzato contro di loro e non è considerato quale prova che essi abbiano commesso il reato ascritto loro. (6) Il presente articolo non impedisce agli Stati membri di prevedere che, in relazione ai reati minori, lo svolgimento del procedimento, o di alcune sue fasi, possa avvenire per iscritto o senza un interrogatorio dell'indagato o imputato da parte delle autorità competenti in merito al reato ascritto loro, purché ciò rispetti il diritto a un equo processo”.

285 Così, G. STANZIONE, Autoincriminazione e diritto al silenzio, le esperienze

Il considerando 27, infatti, dispone espressamente che, “Il diritto

al silenzio e il diritto di non autoincriminarsi implicano che le autorità competenti non dovrebbero costringere indagati o imputati a fornire informazioni qualora questi non desiderino farlo. Per determinare se il diritto al silenzio o il diritto di non autoincriminarsi sia stato violato, è opportuno tener conto dell'interpretazione del diritto a un equo processo ai sensi della CEDU data dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.

286

.

Tuttavia, la norma che risulta veramente interessante è il comma 5 dell’art. 7. La disciplina ivi contenuta, infatti, se interpretata e attuata in modo rigoroso potrebbe avere un effetto dirompente, elevando fortemente il livello di tutela del diritto al silenzio negli ordinamenti di molti Stati membri.

La stessa dispone che “l’esercizio da parte degli indagati e imputati

del diritto al silenzio o del diritto di non autoincriminarsi non può essere utilizzato contro di loro e non è considerato quale prova che essi abbiano commesso il reato ascritto loro”.

Ad una prima lettura, la disposizione sembrerebbe sancire il divieto assoluto di valutazione negativa del silenzio della persona indagata o imputata, sia sul piano probatorio sia su quello processuale che su quello del diritto penale sostanziale. Tuttavia la lettura del comma 5, alla luce di quanto stabilito all’interno del considerando 28 ha adito forti dubbi in merito.

286 Da notare che nella direttiva, peraltro, manca ogni riferimento alla rinuncia

di tali diritti, nonostante la Direttiva 2013/48/UE sul diritto di avvalersi di un difensore abbia espressamente preso in considerazione la rinuncia al diritto in essa previsto (art. 9 Direttiva 2013/48/UE).

Lo stesso, infatti, dispone che:

“L'esercizio del diritto al silenzio o del diritto di non autoincriminarsi non dovrebbe essere utilizzato contro l'indagato o imputato né essere considerato di per sé quale prova che l'indagato o imputato in questione abbia commesso il reato ascrittogli. Ciò dovrebbe lasciare impregiudicate le norme nazionali in materia di valutazione della prova da parte di tribunali o giudici, a condizione che i diritti della difesa siano rispettati.”

Il divieto di considerare di per sé l’esercizio del silenzio quale elemento probatorio negativo sembra, infatti, lasciare immutata la possibilità di utilizzare il silenzio quale inferenza probatoria negativa, purché supportato da altri elementi probatori, e, dunque, sembrerebbe andare contro un’interpretazione del comma cinque maggiormente garantistica rispetto alla normativa CEDU.

Ad ogni modo, il Regno Unito, ha deciso di non recepire la direttiva, che, di conseguenza, non è, al momento, applicabile all’interno dello Stato, dimostrando, ancora una volta la volontà di limitare l’esercizio del diritto al silenzio.

Tuttavia, alla luce di quanto proclamato nei considerando, riguardo l’obiettivo della direttiva di rappresentare un surplus di tutela delle garanzie processuali della persona sottoposta a procedimento penale, al fine di assicurare un maggiore grado di fiducia nei sistemi di giustizia penale degli Stati membri, la dottrina ritiene che lo stesso sia stato solo parzialmente raggiunto. Ci si sarebbe, infatti, potuti aspettare una più decisa

tutela dei diritti presi in esame, quantomeno, relativamente a quei profili rispetto ai quali la disciplina elaborata dalla corte presenta con contraddizioni lacune.

CAPITOLO IV

LA LEGISLAZIONE POST-TERRORISTICA

1. INTRODUZIONE

All’interno di questo capitolo andremo ad analizzare gli effetti derivanti dall’introduzione dell’Anti-Terrorism, Crime and

Security Act 2000, e delle sue successive modifiche, che hanno

comportato, inter alia, una ulteriore limitazione del diritto al silenzio per determinate categorie di soggetti.

In particolare, il Terrorism Act 2000 (TA), il Regulation of

Investigatory Powers Act 2000 e il Criminal Justice and Police Act 2001, hanno fornito alle autorità inquirenti una gamma

estremamente ampia di poteri investigativi e coercitivi287.

Nell’introdurre l’ Anti-Terrorism, Crime and Security Bill 2001, il disegno di legge in risposta agli attacchi di New York e Washingthon dell’ 11 settembre 2001, David Blunkett, l’allora ministro degli affari interni, in un discorso pubblico affermò :

287 Cfr HELEN FENWICK, The Anti-Terrorism, Crime and Security Act 2001: A

Proportionate Response to 11 September?, in The Modern Law Review, Vol. 65, No.

“strengthening our democracy and reinforcing our values is as

important as the passage of new laws ... the legislative measures which I have outlined today will protect and enhance our rights, not diminish them[...]” 288.

Allo stesso modo, due anni prima, nel tentativo di giustificare l’introduzione di una nuova legislazione contro il terrorismo, segnatamente l’Anti-Terrorism, Crime and Security Act 2000, Jack Straw, l’Home Secretary del tempo, dichiarò: “we are simply

protecting democracy […] and that extensive measures were needed since 'by its nature terrorism is designed to strike at the heart of our democratic values289”.

Risulta, pertanto, evidente come, agli occhi dei promotori della legislazione anti - terroristica, essa fosse indispensabile al fine di proteggere i valori democratici e l’incolumità dei cittadini.

Non erano dello stesso avviso la maggior parte dei commentatori della riforma, i quali sostenevano che le misure volte a combattere il terrorismo, in realtà, minavano i diritti e le libertà, piuttosto che difenderle.

288 “rafforzare la nostra democrazia ed i nostri valori è importante quanto il

passaggio a nuove leggi [...] le misure legislative che ho illustrato oggi

valorizzeranno i nostri diritti e non li demoliranno “,1 HC Debs 15 Oct 2001 col

925.

289 “stiamo semplicemente proteggendo la democrazia […] e tali misure si sono rese

necessarie perché, per la sua natura, il terrorismo è destinato a colpire i nostri valori democratici”, vedi The Guardian, 14 November, 1999.

La proliferazione di tale legislazione, negli anni seguenti, ha sollevato gravi dubbi circa la compatibilità della stessa con gli obblighi nazionali ed internazionali in materia di diritti umani. In particolare, è stata rilevata una forte incoerenza nel fatto che lo stesso governo il quale, pochi anni prima, aveva introdotto la disciplina dello Human Rights Act, avesse deciso di consentire l’applicazione di norme, agli occhi dei più, illiberali, dimostrando, pertanto, non solo una scarsa fedeltà ai valori democratici sottesi alla Convenzione, ma anche di aver interpretato in modo distorto le previsioni ivi contenute permettendo l’introduzione tali regimi290.

290 K.A. CAVANAUGH, Terrorism the legal implications of the response to

2. RESTRIZIONI ALL’ESERCIZIO DEI DIRITTI PER I