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2. GLI EFFETTI DELLE LIMITAZIONI OPERATE DAL CJPOA

2.3 IL PROCEDIMENTO DINNANZI ALLA CORTE EUROPEA

Con la pronuncia relativa al caso Murray, la Corte di Strasburgo sembra aver avallato un’interpretazione riduttiva del diritto al silenzio, escludendo che il medesimo possa essere configurato come un diritto assoluto. Tuttavia, la sentenza merita un esame più approfondito per evitare di giungere a conclusioni affrettate.

251 “Riteniamo che vi fosse un caso formidabile nei confronti del [ricorrente]. Egli era

l'unico degli accusati che [L.] ha osservato ed identificato come uno dei soggetti che avevano preso parte alle attività riguardanti la sua prigionia. La prova di [L.] avrebbe pertanto richiesto una risposta. Nessuna risposta, di qualsiasi tipo, è stata fornita alla polizia per tutta la durata del suo processo. Era inevitabile che il giudice portasse 'inferenze molto forti' contro di lui.”

Va specificato che, quantunque la normativa censurata sia quella contenuta nel Criminal Justice (Northern Ireland) Order 1988, la pronuncia della Corte Europea costituisce un importantissimo

test case per valutare la conformità ai principi convenzionali dello

statuto del diritto al silenzio nell’ordinamento inglese, considerato che, le sect. 34-37 dell’Act del 1994 riprendono, pressoché integralmente, soluzioni già fatte proprie dal modello nordirlandese, per tal ragione definito “ a broadly equivalent

percursor of the 1994 english legislation” 252.

In primis, la Corte si è preoccupata di individuare il fondamento

convenzionale del Right to Silence, in mancanza di un riconoscimento espresso dello stesso nelle norme della convenzione di Roma del 1950. Si è domandata, pertanto, se il diritto in questione potesse essere ritenuto un’estrinsecazione del principio del giusto processo e, in particolare, della presunzione di innocenza, come sostenuto dal ricorrente.

La sentenza ha dato una risposta affermativa al quesito, sottolineando come il right to remain in silence e il privilege against

self incrimination trovino un nucleo comune nella nozione di fair

procedure253, così come intesa dall’art 6 della Convenzione.

La Corte ha, comunque, distinto tra privilege against self

incrimination e right to remain in silence, ritenendo che le due

locuzioni alludano a situazioni diverse, le quali sono state già

252 “Un precursore largamente equivalente della legislazione inglese del 1994” In questi termini, P. ROBERTS-A. ZUCKERMAN, Criminal Evidence, cit., pg. 445. 253 “which lie in the hearth of the notion of fair procedure”, cfr, Murray v. United

individuate dalla precedente giurisprudenza della Corte medesima254.

La lacuna testuale, dunque, come sottolineato dai giudici di Strasburgo, lungi dall’essere interpretata alla stregua di un vuoto di protezione. Essa, infatti, trova una giustificazione sulla scorta dell’assunto che, in effetti, il diritto al silenzio, quale presidio infungibile delle libertà del contraddittorio, è da ritenersi implicito, al pari del privilegio contro l’auto incriminazione, nella più ampia nozione di fair trial , delineata dall’articolo 6 della Convenzione europea255.

Dopo queste precisazioni, la Corte è entrata nel merito del ricorso, andando ad esaminare la fondatezza o meno delle asserite violazioni operate a danno del sig. Murray.

Il ricorrente, lo si è già detto, metteva in dubbio la legittimità convenzionale di una normativa – come quella operante nel territorio nordirlandese - la quale consentiva di trarre deduzioni sfavorevoli dalla circostanza di essersi avvalso della facoltà di tacere. In definitiva, egli muoveva dal presupposto esegetico della “ necessaria, assoluta “neutralità” del silenzio: donde la

conclusione dell’illegittimità dell’attribuzione di qualsiasi peso probatorio allo stesso”256.

254 Ad esempio, nella sentenza Funke v. France, con riguardo ad un’autodenuncia, si era fatto riferimento al privilege against self incrimination, mentre, nella presente decisione, relativa al silenzio procedimentale, si è evocato solo il right to remain in silence.

255 Cfr, C. MAINA, op.cit., pg.191; V. PATANÈ, op.cit., pg 324 ss. 256 Così C. MAINA, op.cit., pg 194.

La Corte, procedette, dunque, a valutare se le inferenze negative tratte dal giudice, ai sensi degli articoli 4 e 6 dell’atto summenzionato, avessero compromesso la fairness del procedimento nel suo complesso. La stessa concluse a riguardo:

“The Court does not consider that it is called upon to give an abstract

analysis of the scope of these immunities and, in particular, of what constitutes in this context "improper compulsion". What is at stake in the present case is whether these immunities are absolute in the sense that the exercise by an accused of the right to silence cannot under any circumstances be used against him at trial or, alternatively, whether informing him in advance that, under certain conditions, his silence may be so used, is always to be regarded as "improper compulsion”257.

Tuttavia, riguardo la portata, assoluta o relativa, del right to

silence, l’opinione dei giudici non è stata unanime.

La parte minoritaria ha posto l’accento sull’irrilevanza del silenzio rispetto allo standard probatorio richiesto per una pronuncia di colpevolezza, sostenendo che fosse onere esclusivo dell’accusa provare il fondamento degli elementi a carico

257 “La Corte non ritiene di essere chiamata a fornire un'analisi astratta del campo di

applicazione di queste immunità e, in particolare, di ciò che costituisce, in questo contesto, una "impulsività impropria". Ciò che è da considerarsi, nel caso di specie, è se queste immunità siano assolute, nel senso che l'esercizio, da parte di un accusato del diritto al silenzio non possa in alcun caso essere utilizzato contro di lui durante il processo o, in alternativa, se, previo avvertimento e sulla base di certe condizioni, il suo silenzio possa essere usato senza costituire una"compulsione impropria", cfr.

dell’imputato, ed escludendo, di conseguenza, che il silenzio dello stesso potesse fungere da strumento di riscontro dell’imputazione. Tale conclusione si basava sulla ferma convinzione che il diritto al silenzio fosse da ritenersi assoluto, dunque, insuscettibile di compressione.

La maggioranza della Corte ha contestato queste asserzioni, operando, invece, un distinguo : da un lato, sosteneva che la pronuncia di condanna non potesse “essenzialmente”258 (mainly) basarsi sul contegno negativo dell’accusato; dall’altro lato, però, affermava che l’esercizio dello ius tacendi non potesse, o meglio, non dovesse, essere tenuto in considerazione nella valutazione del fondamento delle prove portate dall’accusa259. Secondo quest’ultima impostazione, dunque, le inferenze probatorie desumibili dal silenzio non dovrebbero mai incidere sul piano dell’onere della prova, interamente gravante sull’accusa, che resta comunque tenuta a dimostrare il fondamento degli addebiti contestati.

258 Si ritiene più opportuno utilizzare il termine “essenzialmente”, tradotto dalla versione francese (essentiellement), rispetto al meno restrittivo mainly della versione inglese.

259 “it is self-evident that it is incompatible with the immunities under consideration

to base a conviction solely or mainly on the accused’s silence or on a refusal to answer questions or to give evidence himself. On the other hand, the Court deems it equally obvious that these immunities cannot and should not prevent that the accused’s silence, in situations which clearly call for an explanation from him, be taken into account in assessing the persuasiveness of the evidence adduced by the prosecution “,

A tal proposito, è interessante notare come la Corte, abbia rimarcato, attraverso l’avverbio “mainly”, utilizzato congiuntamente al “solely” già previsto nel testo del Criminal

Justice and Public Order Act 1994, la latitudine operativa della

regola che impedisce di fondare una sentenza di condanna sul comportamento omissivo dell’imputato, al fine di scongiurare il pericolo che, proprio attraverso deduzioni probatorie formulabili ai sensi della normativa censurata, le prove addotte dall’accusa potessero attestarsi su quello standard di evidenza “oltre ogni ragionevole dubbio” richiesto per una pronuncia di condanna che, altrimenti, da sole, non riuscirebbero probabilmente a raggiungere260.

La Corte ritenne, in definitiva, ammissibile l’utilizzabilità in chiave inferenziale del silenzio, “relativizzando”, tuttavia, la possibilità di affievolimento della garanzia alle circostanze del caso, con particolare riferimento alle situazioni che hanno consentito le deduzioni , al peso loro attribuito dal giudice nel pronunciare la condanna e, infine, alla possibile coazione esercitata sulla volontà dell’imputato261.

Ed è proprio la scelta di tarare i parametri di relativizzazione del diritto al silenzio sulle circostanze dello specifico caso a sollevare più di una perplessità.

260 Così, V. PATANÈ, op.cit., pg. 326; vedi anche R. MUNDAY, Inferences from

Silence and European Human Rights Law, in Crim.L.R., 1996, pg. 376.

Innanzitutto, si è posto un problema riguardo all’elevata discrezionalità devoluta all’autorità giudiziaria nel formulare l’inferenza probatoria. A tal proposito, si rileva che la riforma del 1994 aveva legittimato le deduzioni probatorie “as appear proper”, non fornendo in merito alcuna indicazione. Parimenti priva di chiarimenti in tal senso era, del resto, la normativa del 1988, direttamente presa in considerazione dalla pronuncia in commento.

La Corte Europea si è limitata, dunque, ad osservare che l’obbligo di motivazione in ordine alle regioni poste a fondamento della scelta di trarre deduzioni probatorie e al peso ad esse attribuito, nonché la possibilità di sindacare le deduzioni medesime in sede di gravame, rappresenterebbero, comunque, una forma di tutela per l’imputato, rispetto ad utilizzazioni eccessivamente late della discrezionalità assegnata all’organo giudicante262.

Quanto all’ulteriore parametro di relativizzazione enunciato, ossia il livello di coartazione ingenerato in capo al prevenuto dalla circostanza stessa che l’esercizio del diritto al silenzio

262 È stato notato come, nella sentenza in commento manchi una specifica considerazione delle situazioni nelle quali le deduzioni probatorie così legittimate potrebbero risultare, non solo inopportune, ma addirittura, in contrasto con altri diritti protetti dalla Convenzione Europea. Si pensi, in particolare al rifiuto di parlare manifestato da soggetti affetti da problemi psico-fisici o da altre dipendenze, oppure al silenzio serbato dagli appartenenti a minoranze etniche o, in genere, dagli individui che lamentano difficoltà nella comprensione della lingua ufficiale. Da considerarsi, inoltre che il contegno omissivo può essere, anche, il risultato di stati di turbamento emotivo; più diffusamente C. MAINA, op.cit., pg 197. Una simile situazione ha trovato una risposta da parte della Corte (vedi § 2.4b) in una recente sentenza.

consenta inferenze probatorie, la motivazione della sentenza sottintende un’idea fondamentale: la legittimità di qualsiasi operazione inferenziale è subordinata al presupposto che l’imputato sia previamente reso edotto in ordine alle possibili conseguenze riconducibili al suo silenzio263.

Attesa, dunque, l’imprescindibilità dell’avvertimento nell’ambito del diritto britannico, l’attenzione dei giudici europei si è concentrata sulla questione dei possibili effetti compulsivi dello stesso. Anche in questo caso la soluzione della Corte è stata influenzata dalle circostanze della fattispecie a quo.

In linea generale, si è ammesso che l’avvertimento in questione avesse comportato un “certo livello di coazione”, ma si è subito aggiunto che, considerando che il ricorrente si fosse rifiutato di rispondere durante tutto il procedimento, tale coazione non sia stata certamente decisiva. È stato, inoltre, aggiunto che, quantunque l’imputato non avesse ricevuto l’assistenza di un

263 Tale ammonizione è stata testualmente prevista dal Criminal Justice and

Public Order Act 1994, ove si richiede anche che la stessa sia resa in un

“linguaggio comprensibile”. Quanto, invece, al Criminal Evidence Order Act 1988, l’obbligo di informazione si basava su un’elaborazione giurisprudenziale avente il seguente tenore “The court, as it is required to do by

law, is about to call you to give evidence in your own defence. I am also required by law to tell you that if you refuse to come into the witness box you be sworn or if, after been sworn, you refuse, without good reason, to answer any question, then the court (or the jury) in deciding whether you are guilty or not guilty may take into account against you to extend that is consider proper your refusal to give evidence or to answer any question and (if relevant) your refusal may also be regarded by the court (or the jury) as corroboration of the evidence against you. I now call upon you to come to the witness box to be sworn and to give evidence in your defence”.

legale nelle prime 48 ore, lo stesso si fosse dimostrato in grado di comprendere gli ammonimenti rivoltegli e quindi di maturare in piena consapevolezza la decisione di avvalersi del Right to

silence.264.

Al di là della specifica soluzione data al ricorso, è necessario sottolineare come il problema degli effetti compulsivi dell’avvertimento non abbia trovato una adeguata risposta nella sentenza della Corte Europea. La stessa ha, infatti, enucleato un criterio, poco convincente e difficilmente applicabile, atto a distinguere tra “coazioni decisive” e “coazioni non decisive”, per ritenere compatibili con i canoni convenzionali solo le seconde.

In conclusione, escludendo che il diritto al silenzio sia assoluto, la Corte Europea ne ha, tuttavia, subordinato la relativizzazione alle circostanze del caso in esame, connotato da un contesto particolarmente sfavorevole per l’imputato. Sarebbe, pertanto, avventato fare deduzioni troppo perentorie circa orientamenti di

264 “As regards the degree of compulsion involved in the present case, it is recalled that

the applicant was in fact able to remain silent. Notwithstanding the repeated warnings as to the possibility that inferences might be drawn from his silence, he did not make any statements to the police and did not give evidence during his trial. Moreover under Article 4 (5) of the Order he remained a non-compellable witness (see paragraph 27 above). Thus his insistence in maintaining silence throughout the proceedings did not amount to a criminal offence or contempt of court. Furthermore, as has been stressed in national court decisions, silence, in itself, cannot be regarded as an indication of guilt (see paragraphs 24 and 29 above)”, cfr. ECHR, 8 febbraio 1996, John Murray v. United Kingdom, cit., § 48

carattere generale da parte dei giudici europei in merito alle limitazioni dello ius tacendi265.

La valorizzazione probatoria del rifiuto di rispondere non rappresenta, infatti, una indiscriminata possibilità di apprezzamento del silenzio quale elemento a sostegno dell’accusa. Una simile considerazione può legittimamente effettuarsi solo in presenza di un quadro probatorio a carico sufficientemente solido e in presenza di un imputato che, avvalendosi della facoltà di non rispondere, evidenzi una palese incapacità di contrastare gli assunti accusatori. In tali ipotesi il silenzio acquisterebbe rilevanza nella prospettiva di “ assessing

the persuasiveness of the evidence adduced by the prosecution”266.

Solo qualora il silenzio risulti effettivamente ingiustificato sono consentite deduzioni in grado di corroborare le prove dell’accusa, seppure contro i limiti esplicitati, senza peraltro incidere sul quantum probatorio necessario per addivenire ad una sentenza di condanna e, soprattutto, sulla presunzione d’innocenza. Non a caso la Corte , all’interno delle motivazioni ha ricordato che “the evidence presented against the applicant by the prosecution

was considered by the Court of Appeal to constitute a "formidable" case

265 cfr., C. MAINA, op.cit., pg 198.

against him “267.

Si è inoltre preoccupata di specificare che nessun argomento di prova può essere tratto dal silenzio di un soggetto privato dell’assistenza del legale nella fase iniziale dell’interrogatorio di polizia. Infatti, pur rigettando il ricorso in merito all’asserita violazione del diritto al silenzio, la corte ha condannato il Regno Unito per aver lasciato il ricorrente privo dell’assistenza legale nelle prime 48 ore dell’arresto.

Tant’è che, atteso l’obbligo di adeguare la normativa interna a seguito dell’approvazione dello Human Rights Act 1998, allo standard di protezione richiesto dai giudici di Strasburgo, Il

Criminal Justice and Public Order Act 1994 è stato emendato dallo Youth Justice and Criminal Evidence Act 1999, con l’inserimento

della previsione che preclude di trarre inferenze probatorie nelle ipotesi contemplate dalle sect. 34 36 e 37 se al suspect non è assicurato il diritto di consultare il proprio difensore prima di essere sottoposto all’interrogatorio268.

267 “le schiaccianti prove presentate a carico dell’imputato da parte dell’accusa, hanno

portato la Corte d’Appello a definire il caso “formidabile” contro lo stesso.”, cfr. Ibid.,

§ 52.