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Il sovraindebitamento. Analisi del fenomeno, delle problematiche e delle prospettive di riforma.

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

GIURISPRUDENZA

TESI DI LAUREA:

IL SOVRAINDEBITAMENTO. ANALISI DEL

FENOMENO, DELLE PROBLEMATICHE E DELLE

PROSPETTIVE DI RIFORMA.

Relatore: Chiar.ma Prof.ssa ENZA PELLECCHIA

Candidato: DARIO GIUSTARINI

Anno Accademico 2016/2017

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(3)

INDICE

Introduzione . . . 8

CAPITOLO I IL FALLIMENTO E LE PROCEDURE CONCORSUALI. LA MANCANZA DI TUTELA DEL DEBITORE NON FALLIBILE 1. Le varie accezioni di ‘fallimento’ . . . 10

2. L’evoluzione delle procedure concorsuali previste nella Legge Fallimentare . . . 11

2.1. La riforma del diritto fallimentare . . . 13

3. La liberazione per i debiti residui . . . 15

3.1. L’esdebitazione . . . 16

3.1.1. Esdebitazione e ‘pacta sunt servanda'. . . 17

4. Fuori dalla Legge Fallimentare: la predominanza del ‘pacta sunt servanda'. . . 19

CAPITOLO II LA DISPARITA’ ORIGINARIA E LA MODERNA TRASFORMAZIONE DEL TRATTAMENTO DEL DEBITORE NON FALLIBILE 1. Mancanza di una procedura concorsuale e di un accesso all’esdebitazione per i soggetti “non fallibili” . . . 24

2. Esdebitazione e codice civile: la caduta dei giganti? . . . 27

2.1. La natura della responsabilità patrimoniale . . . 30

2.2. I principi di universalità e concorsualità . . . 34

2.2.1. Universalità e concorsualità nelle procedure di sovraindebitamento . . . 35

3. Insolvenza e sovraindebitamento: differenze e punti di contatto . . 36

3.1. L’insolvenza . . . 37

(4)

CAPITOLO III

MODALITÀ DI CONTRASTO AL SOVRAINDEBITAMENTO. GLI STRUMENTI DI PREVENZIONE

1. Strumenti ex ante e strumenti ex post: mezzi complementari per

combattere il sovraindebitamento . . . 44

2. Strumenti ex ante: gli approcci ‘responsible borrowing’ e ‘responsible lending’ . . . 46

2.1. l’approccio ‘responsible borrowing’ . . . 49

2.2. l’approccio ‘responsible lending’ . . . 51

3. Lo sviluppo degli approcci di prevenzione del sovraindebitamento all’interno della normativa europea . . . 52

3.1. La direttiva 1987/102/CEE . . . 54

3.2. La direttiva 2008/48/UE . . . 54

4. La c.d. Direttiva Mutui (dir.2014/17/UE) . . . 58

5. La valutazione del merito creditizio . . . 62

5.1. Approfondimento: la retribuzione del personale dei finanziatori . . . . . 64

5.2. Il credito sostenibile . . . 65

6. Attuazione della direttiva Mutui: il d.lgs.2016, n.72 . . . 70

6.1. La valutazione del merito creditizio . . . 73

6.2. Approfondimento: la nuova vita del Patto Marciano . . . 79

CAPITOLO IV L’APPROCCIO EX POST AL FENOMENO DEL SOVRAINDEBITAMENTO: ANALISI GENERALE E COMPARATIVA 1. Esdebitazione e “fresh start” come esigenza del modello economico capitalista moderno . . . 84

2. Il modello consumer bankruptcy . . . 87

3. il modello consumer debt adjustment . . . 88

3.1. Il modello francese e il modello tedesco . . . 90

(5)

5. Approdi e conclusioni in sede europea . . . 94

CAPITOLO V LA L. N.3/2012 E LE PROCEDURE CONCORSUALI DA SOVRAINDEBITAMENTO 1. La legge sul sovraidebitamento . . . 98

2. Lo stato di sovraindebitamento . . . 100

3. I requisiti soggettivi per l’accesso alle procedure . . . 102

3.1. Approfondimento: i soggetti che possono accedere alle procedure di sovraindebitamento . . . 104

3.2 Approfondimento: il consumatore . . . 107

4. La procedura di liquidazione . . . 109

4.1. L’apertura della procedura . . . 111

4.2. Accertamento del passivo . . . 114

4.3. La liquidazione dell’attivo . . . 115

5. Le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento . . . 118

5.1. (segue): l’accordo di composizione della crisi . . . 120

5.1.1. Il procedimento . . . 121

5.1.2. Udienza di omologazione . . . 124

5.1.3. Esecuzione dell’accordo . . . 126

5.1.4. Revoca, risoluzione e annullamento . . . 127

5.2. (segue): il piano del consumatore . . . 129

5.2.1. Requisiti soggettivi ed oggettivi: lo status di “consumatore” . . . 130

5.2.2. La procedura . . . 132

5.2.3. L’omologazione . . . 134

6. L’esdebitazione . . . 138

6.1. La disciplina dell’esdebitazione . . . 139

6.2. I debiti esclusi dal beneficio dell’esdebitazione. La meritevolezza . . . 142

6.3. Le lacune della disciplina dell’esdebitazione . . . 144

7. Peculiarità e problematiche della legge n.3/2012: approfondimento . . . 146

(6)

7.1. (segue): gli Organismi di Composizione della crisi . . . 146

7.1.1. La regolamentazione degli OCC e il Gestore della crisi . . . 147

7.2. (segue): i costi della procedura: accenni . . . 151

7.3. (segue): l’analisi critica della attuale normativa in tema di sovraindebitamento . . . 153

7.4. (segue): il piano del consumatore. I punti critici . . . 157

7.4.1. La meritevolezza . . . 157

7.4.2. L’impossidenza . . . 158

7.4.3. L’esclusività dei debiti di consumo . . . 159

CAPITOLO VI LA RIFORMA DELLE PROCEDURE DI CONTRASTO AL SOVRAINDEBITAMENTO 1. Lo ‘spirito’ della riforma . . . 165

2. L’apertura delle soluzioni liquidatorie su richiesta dei creditori . 168 3. La recidiva . . . 169

4. La modifica dei requisiti soggettivi per l’accesso al piano del consumatore: dall’esclusività alla prevalenza . . . 169

5. Il sovraindebitamento familiare: una questione rimasta irrisolta . 170 6. Il passaggio dalla meritevolezza all’assenza di frode . . . 173

7. L’impossidenza e l’esdebitazione rapida . . . 176

8. Gli oneri informativi sull’esistenza e sull’accesso alle procedure: una questione ‘quasi’ ignorata. . . 178

CAPITOLO VII PROSPETTIVE DI RIFORMA E CONCLUSIONI 1. Il confronto con la tradizione giuridica . . . 183

2. L’evoluzione normativa e il confronto con gli interessi dei creditori . . . . 184

3. Le possibili prospettive di riforma . . . 186

3.1. La prevenzione . . . 188

(7)

3.3. La “contrattualizzazione” degli strumenti di contrasto al

sovraindebitamento . . . 192

3.3.1. La ‘forza maggiore sociale’ . . . 196

4. Conclusioni . . . 197

Bibliografia . . . 200

(8)

INTRODUZIONE

Questa trattazione ha come obiettivo quello di compiere una panoramica sul sovraindebitamento, ed in particolare di come questo fenomeno si sia sviluppato e sia stato affrontato dal legislatore italiano.

Nel lavoro svolgeremo un excursus sulla impostazione tradizionale del diritto fallimentare e privato, che originariamente ignoravano le problematiche legate ai debitori non fallibili, e di come, successivamente, sia in sede europea, sia in sede nazionale, sia mutata la sensibilità in merito alla questione.

In particolare, affronteremo i problemi di compatibilità con gli istituti tradizionali di diritto privato in materia di obbligazioni, e di come questi debbano essere riletti alla luce dell'attuale crisi economica, che impone una rivalutazione nel trattamento della problematica dell'insolvenza del debitore civile.

Nella trattazione analizzeremo poi i vari approcci che possono essere adottati per contrastare i fenomeni di sovraindebitamento, e di come questi siano stati attuati o meno in sede europea e nazionale.

Successivamente svolgeremo un’analisi critica della l. n.3/2012, che ha introdotto nel nostro ordinamento le procedure concorsuali in materia di contrasto al sovraindebitamento del debitore non fallibile, approfondendo sia l’innovatività sia le problematiche che emergono dalla normativa.

Nella parte finale della della nostra analisi, incentreremo la nostra attenzione sui lavori svolti dalla Commissione Rordorf e sul conseguente disegno di legge delega A.C. 3671 bis, che va a modificare organicamente l'intera disciplina dell'insolvenza e della crisi di impresa. In particolare, lo studio si focalizzerà sulla riforma

(9)

delle procedure di contrasto al sovraindebitamento, ed in cosa essa sia innovativa rispetto alla disciplina contenuta nella vigente l. n.3/2012. Nelle conclusioni verranno infine enucleate, alla luce delle varie posizioni dottrinali, le problematiche rimaste irrisolte e le possibili prospettive di riforma nell’approccio al fenomeno del sovraindebitamento.

(10)

CAPITOLO I

IL FALLIMENTO E LE PROCEDURE CONCORSUALI. LA MANCANZA DI TUTELA DEL DEBITORE NON FALLIBILE

Sommario: 1. Le varie accezioni di ‘fallimento’ - 2. L’evoluzione delle procedure concorsuali previste nella Legge Fallimentare - 2.1. La riforma del diritto fallimentare - 3. La liberazione per i debiti residui - 3.1. L’esdebitazione - 3.1.1. Esdebitazione e ‘pacta sunt servanda’ - 4. Fuori dalla Legge Fallimentare: la predominanza del ‘pacta sunt servanda’.

1. Le varie accezioni di ‘fallimento’

La parola ‘fallimento’, nel nostro vivere quotidiano, ha una portata estremamente evocativa. Infatti, oltre ad avere un significato ben preciso all’interno dell’ordinamento giuridico, essa ha, nel linguaggio comune, un’accezione negativa, quasi stigmatizzante. 1

Le accezioni comuni di fallimento e di fallito si rispecchiavano nelle accezioni giuridiche di quei termini, e viceversa. Nell’impianto originario del nostro ordinamento, prima col Codice del Commercio del 1889, poi con il Codice Civile e la Legge Fallimentare del 1942, il concetto di fondo è che fallire sia una colpa, un torto da espiare. All’inizio previsto come reato, il fallimento, anche dopo essere stato depenalizzato, ha mantenuto quel significato di “onta” nei confronti dello Stato e dei consociati: il fallito è, in quanto tale, un soggetto socialmente riprovevole, perché con la sua condotta ha portato al depauperamento e alla ‘morte’ della sua attività di impresa, tradendo la fiducia di clienti e creditori.

Il fallimento è definito nell’accezione comune come “Esito negativo, disastroso, 1

grave insuccesso[…], l’impossibilità e incapacità di raggiungere gli scopi fissati, rinunciando definitivamente alla lotta, all’azione”. Il “fallito”, nel linguaggio comune, è colui “che nella vita non ha concluso nulla, non è riuscito in nessuna delle

(11)

Nella normativa originaria del nostro ordinamento si riscontra un binomio inscindibile tra fallimento e colpa: la LF, nella sua prima versione, dava assolutamente per scontato che il fallimento derivasse da una condotta colpevole del debitore . 2

Ma come la realtà quotidiana ci dimostra, questo nesso causale tra fallimento e colpa non sempre esiste. Si riscontrava quindi la mancanza di una tutela e di un trattamento ad hoc per il fallimento incolpevole: cioè per quelle situazioni in cui il fallimento non fosse stato causato dall’imprenditore con condotte dolose o colpose, ma che fosse stato generato da fattori esterni (recessione economica, insolvenza dei propri debitori, etc.).

2. L’evoluzione delle procedure concorsuali previste nella Legge Fallimentare

L’animus delle procedure concorsuali, previste dalla LF soltanto in caso di insolvenza dell’imprenditore commerciale non piccolo , è 3

quello di far concorrere, a parità di condizioni, sul patrimonio adeguatamente reintegrato, tutti i creditori del debitore al momento della dichiarazione di insolvenza.

In particolare, il fallimento è una procedura giudiziale che mira a liquidare il patrimonio del debitore insolvente, al fine di ripartirne il ricavato tra i suoi creditori, in condizioni di parità di trattamento. L’altra procedura prevista dalla versione originaria della LF era il concordato preventivo, che aveva come presupposto anch’essa l’insolvenza del debitore, ma che dava la possibilità di evitare il

A testimonianza di ciò, si possono riscontrare, all’interno dell’originaria LF, 2

numerose disposizioni processuali in contrasto col diritto di difesa del fallito.

I parametri per la definizione di imprenditore commerciale non piccolo al fine della 3

sottoposizione alle procedure concorsuali sono mutati nel corso del tempo, e sono ora definiti all’art.1, comma 2, LF.

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fallimento quando l’imprenditore presentasse specifici requisiti di meritevolezza e fosse in grado di garantire ai creditori il pagamento di una percentuale minima del debito. Per arrivare all’omologazione del concordato, però era necessario il consenso di una maggioranza qualificata dei debitori.

Sia il fallimento sia il concordato preventivo avevano però una grave lacuna concettuale, a scapito dell’imprenditore insolvente: entrambe le procedure si disinteressavano alla conservazione dell’impresa, e miravano soprattutto alla liquidazione del patrimonio del debitore. L’unica procedura prevista dall’originaria LF con finalità di conservazione dell’impresa era l’amministrazione controllata, che consentiva all’imprenditore meritevole, in situazione di temporanea difficoltà, di ottenere una moratoria nel pagamento dei creditori, e 4

contemporaneamente continuare l’attività imprenditoriale sotto il controllo dell’autorità giudiziaria. Nella prassi però, l’amministrazione controllata costituiva solo il preludio e il differimento della dichiarazione di fallimento . 5

Da questo rapido excursus, si comprende con chiarezza quale fosse lo spirito che incarnava la disciplina legislativa: l’ordinamento interveniva a tutela esclusiva della massa creditoria, ignorando quasi completamente il debitore, e soprattutto non considerando il negativo riflesso macro-economico di questo approccio “liquidatorio-punitivo”. Non concedendo al debitore di restaurare (anche parzialmente e temporaneamente) la situazione economica della sua impresa, si finiva per lasciare insoddisfatti anche gli stessi creditori, che spesso riuscivano a recuperare una somma di gran lunga inferiore rispetto al

Era necessario il consenso di una maggioranza qualificata dei creditori. 4

CAMPOBASSO G.F., diritto commerciale, 5° edizione, vol. III. 5

(13)

loro credito originario. Tutto questo, unito agli altissimi costi e alla lunghezza delle procedure, aveva condotto ad una disfunzionalità patologica delle procedure concorsuali.

2.1. La riforma del diritto fallimentare

Nel corso degli anni, il legislatore ha tentato diverse volte di porre rimedio a questa disfunzionalità, approdando infine ad una profonda revisione della Legge Fallimentare, con una serie di interventi che si sono succeduti a partire dal 2005.

Sono state infatti introdotte nuove procedure concorsuali, ed in particolare l’accordo di ristrutturazione dei debiti . Inoltre, sono state 6

modificate le procedure già esistenti: il legislatore è infatti intervenuto in maniera molto significativa sia sulla disciplina del fallimento sia su 7

quella del concordato preventivo , e ha invece soppresso la procedura 8

di amministrazione controllata . 9

I vari interventi normativi che hanno stravolto il diritto fallimentare avevano come obiettivi comuni e generali, da un lato quello di diminuire i costi e aumentare la snellezza e la rapidità del le procedure, dall’altro ad evitare che la crisi di impresa sfociasse in fallimento. La nuova disciplina quindi ha mirato a favorire gli accordi fra debitore e creditori, e proprio in quest’ottica si inserisce la nuova disciplina del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti. Per l’accesso al concordato preventivo, non è più necessaria l’insolvenza dell’imprenditore, essendo invece sufficiente la mera

d.l. 2005, n.35, convertito con l.2005, n.80; ulteriori modifiche sono state apportate 6

con il d.l. 2012, n.83, convertito con l.2012, n.134. d.lgs. 2006, n.5; d.lgs.2007, n.169.

7

d.l. 2005, n.35, convertito con l.2005, n.80; d.l. 2012, n.83, convertito con l.2012, n. 8

134.

d.lgs.2006, n.5. 9

(14)

‘crisi dell’impresa’. Inoltre, non è più richiesto il possesso di requisiti di meritevolezza da parte del debitore imprenditore, e si dà ampia possibilità di scelta ai soggetti coinvolti nella procedura sulle modalità di soddisfazione dei crediti: l’accordo può perseguire la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei creditori in qualsiasi forma . 10

Lo spirito del nuovo concordato preventivo è quello di conseguire, alternativamente, o la liquidazione del patrimonio dell’imprenditore, o il suo ritorno in bonis e la prosecuzione dell’attività di impresa.

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti presentano le stesse finalità del concordato preventivo, differenziandosi da quest’ultimo solo per la maggiore libertà per le parti di determinare il contenuto dell’accordo, sia per diverse modalità con cui l’accordo viene raggiunto.

Alla luce della radicale riforma delle procedure concorsuali, ad oggi il fallimento si presenta come una procedura generale e residuale. Vista la possibilità, anche qualora sia dichiarato fallimento, di utilizzare concordati fallimentari per chiudere la procedura e ottenere la liberazione dei beni soggetti al fallimento, la “tradizionale” procedura fallimentare, con la liquidazione giudiziale dell’intero patrimonio del debitore e dissoluzione dell’attività di impresa è diventata una sorta di “ultima spiaggia”: uno strumento residuale, utilizzabile quando non vi siano valide alternative, e non vi sia una possibilità di un dialogo anche minimo fra i creditori e l’imprenditore in stato di insolvenza.

Dall’analisi svolta in questo paragrafo, è evidente l’evoluzione che abbia avuto la figura del debitore imprenditore in stato di crisi, sia

Gli accordi di concordato e di ristrutturazione possono infatti avere contenuto 10

dilatorio, remissorio o misto, e prevedere sia la continuità, sia la liquidazione dell’impresa.

(15)

rispetto alle originarie previsioni contenute nell’originaria LF, sia rispetto al trattamento che invece si continuava ad applicare ai soggetti non rientranti nei parametri per l’accesso alle procedure concorsuali.

3. La liberazione per i debiti residui

Vi è un’altra differenza che ha rappresentato uno dei più grandi discrimen tra gli imprenditori rientranti nei parametri di cui all’art.1, comma 2, LF, e tutti gli altri soggetti (piccoli imprenditori e debitori civili).

In termini generali, il debitore rimane obbligato verso i creditori concorsuali per le obbligazioni non soddisfatte. La LF però dà la possibilità al soggetto sottoposto a procedura concorsuale di essere liberato da una parte di obbligazioni , qualora abbia rispettato una 11

serie di requisiti previsti dalla legge stessa.

La liberazione del fallito dai debiti residui si produce, in primo luogo, quando il fallimento si chiude con concordato. Infatti, il concordato, opportunamente omologato, è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al fallimento, che non potranno pretendere nulla più di quanto previsto nel concordato stesso.

Così come in quello fallimentare, anche nel concordato preventivo, quando questo sia correttamente omologato, il debitore sarà obbligato solo ad adempiere alla parte di obbligazioni previste nell’accordo, mentre sarà liberato per l’eccedenza . 12

Le obbligazioni che legalmente rimangono insoddisfatte diventano, secondo la 11

dottrina maggioritaria, obbligazioni naturali.

Naturalmente vi sono delle obbligazioni che non possono essere oggetto di 12

concordato, vuoi per natura, vuoi per tempistica in cui sono sorte, rimanendo quindi esigibili per l’intero dai creditori.

(16)

Sia nel concordato fallimentare che in quello preventivo, l’accordo, omologato giudizialmente, vincola tutti i creditori, anche quelli che si sono dimostrati contrari alla proposta di concordato . 13

3.1. L’esdebitazione

L’ultimo istituto all’interno della LF che consente la liberazione del debitore per una parte di obbligazioni rimaste insoddisfatte è l’esdebitazione.

L’esdebitazione è, all’interno della procedura di fallimento, quel beneficio concesso al fallito persona fisica in presenza di particolari condizioni soggettive ed oggettive.

Gli imprenditori che abbiano svolto in modo corretto la propria attività e che abbiano tenuto una buona condotta ed un atteggiamento collaborativo durante la procedura fallimentare, consentendo il soddisfacimento almeno parziale dei creditori concorsuali , possono 14

infatti ottenere l’esdebitazione, che rende inesigibili i crediti concorsuali non soddisfatti integralmente. Se il fallito è in possesso di

Affinché il concordato (sia fallimentare sia preventivo) venga approvato è richiesto 13

il consenso della maggioranza dei creditori (e delle classi) ammessi al voto. Possono opporsi al concordato o un creditore appartenente a una delle classi dissenzienti, oppure il 20% dei crediti ammessi al voto: il tribunale può però omologare lo stesso la proposta, se ritiene che il credito dell’opponente possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente applicabili (art.180, comma 4, LF).

La percentuale minima di soddisfacimento dei creditori per ottenere 14

l’esdebitazione non è specificata dalla legge; inoltre, è in contrasto con i dati normativi ritenere che debba essere pagata almeno una quota ai creditori chirografari(CAMPOBASSO, diritto commerciale, V edizione, vol.3, pag. 404, nota n.150).

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specifici requisiti di meritevolezza (art.142, comma 1, LF) , 15

contestualmente al decreto di chiusura di fallimento, il tribunale dichiara d’ufficio (o su istanza di parte) l’inesigibilità dei debiti concorsuali . 16

3.1.1. Esdebitazione e ‘pacta sunt servanda'

La liberazione del debitore dalla obbligazioni rimaste insoddisfatte si pone in contrasto con quello che è uno dei più grandi “dogmi” dell’impianto normativo civilistico del nostro ordinamento: il principio pacta sunt servanda.

Un primo contrasto si ha sicuramente se si considera la liberazione a seguito di concordato fallimentare o preventivo. In questi due istituti, per la verità, un accordo tra debitore e creditori successivo a quelli che hanno fatto sorgere le varie obbligazioni c’é: l’accordo di concordato col debitore fallito però non è raggiunto con tutti i creditori, bensì con la maggioranza di questi. Quindi, la scelta della maggioranza dei creditori inciderà sulle obbligazioni di quelli dissenzienti, per i quali il principio pacta sunt servanda non opererà: il loro rapporto obbligatorio col debitore, dunque si modificherà senza che essi abbiano manifestato consenso.

E’ ammesso al beneficio dell’esdebitazione solo l’imprenditore che: 15

a) ha cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile ed adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni;

b) nei 10 anni precedenti non ha beneficiato di altra esdebitazione;

c) non ha distratto l’attivo, o esposto debiti inesistenti, cagionato o aggravato il dissesto, rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, o abbia fatto ricorso abusivo al credito;

d) non è stato condannato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria ed il commercio, ed altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività di impresa.

Per determinate categorie di debiti l’esdebitazione non opera (art.142, comma 3 16

LF); per i creditori che non hanno partecipato al fallimento, la liberazione si produce solo per l’eccedenza (art.144); restano salvi i diritti vantati dai creditori contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e i coobbligati in via di regresso.

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L’istituto che però che contrasta in maniera più veemente con il tradizionale principio pacta sunt servanda è sicuramente l’esdebitazione. Il fallito persona fisica, qualora rispetti tutti i requisiti previsti dalla legge, verrà liberato dalle obbligazioni concorsuali non soddisfatte integralmente, senza il consenso dei creditori concorsuali: è lo stesso tribunale che, d’ufficio, concede al debitore il beneficio dell’esdebitazione, a prescindere dalla volontà dei creditori . 17

Risulta evidente quale sia la portata dell’istituto della esdebitazione: il debitore, obbligatosi precedentemente con i propri creditori, in via giudiziale (d’ufficio o su istanza di parte) viene potestativamente liberato dalle proprie obbligazioni, senza che vi sia alcuna manifestazione di consenso da parte dei soggetti creditori rimasti insoddisfatti.

La ratio, soprattutto dell’esdebitazione (ma, in una certa misura, anche dei concordati), è quella di consentire, a determinate condizioni, la liberazione per i debiti residui dell’imprenditore. Se infatti si applicassero gli ordinari istituti di diritto privato, il debitore, anche dopo il fallimento, continuerebbe ad essere obbligato per i debiti non soddisfatti all’interno della procedura concorsuale. La LF invece, in un’ottica di incentivare la ripresa economico-produttiva degli imprenditori meritevoli, consente loro di beneficiare della liberazione per le obbligazioni residue: i falliti, una volta fatta tabula rasa della propria situazione debitoria, potranno ricominciare la propria attività produttiva, ed avere una “seconda possibilità” . 18

I creditori potranno soltanto fare reclamo presso la corte di appello al decreto che 17

concede l’esdebitazione (art.143,2, LF).

Seconda possibilità che, lo si ripete, l’ordinamento concede solo se l’imprenditore 18

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L’imprenditore fallito, oberato di debiti molto ingenti che forse riuscirà a saldare solo in termini molto lunghi, potrebbe essere disincentivato a continuare la propria attività di impresa e cercare di produrre utili che non finiranno mai nelle sue tasche. Ciò avrebbe però un conseguenze molto negative in termini macroeconomici, sia a livello di produzione, sia a livello occupazionale.

La LF fornisce ai soggetti falliti vari strumenti per provare a far ripartire la loro attività economica: o tramite un accordo dilatorio/ remissorio con una parte qualificata dei creditori, evitando così anche che la procedura fallimentare vada a termine e porti alla liquidazione del patrimonio, oppure tramite il beneficio di un’esdebitazione per i crediti residui al termine della procedura fallimentare.

4. Fuori dalla Legge Fallimentare: la predominanza del ‘pacta sunt

servanda’

Se per l’imprenditore commerciale non piccolo l’ordinamento ha disposto, già da diversi anni a questa parte, una disciplina peculiare e specifica del rapporto obbligatorio, niente invece si prevedeva per gli imprenditori che non rientrassero nei parametri di cui all’art.1, comma 2, LF, né tantomeno per i debitori civili.

I soggetti non rientranti nei parametri minimi della LF erano infatti sottoposti, fino a pochissimi anni fa , alla disciplina del rapporto 19

obbligatorio di diritto comune, contenuta nel libro IV del Codice Civile. Il c.c., in un’ottica prettamente individualistica e monoprospettica, incentra l’attenzione sulla tutela del creditore nel

La l. n.3/2012, introducendo le procedure concorsuali da sovraindebitamento, ha 19

introdotto nel nostro ordinamento la possibilità per i soggetti non rientranti nei parametri della LF, la possibilità di accedere a specifiche procedure concorsuali (v.

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rapporto obbligatorio, in particolare attraverso il principio pacta sunt servanda.

Dal Codice emerge quindi una tutela ‘senza se e senza ma’ del credito, dovuta essenzialmente al contesto storico-sociale in cui questo ha visto la luce. Il Codice Civile del 1942 mantiene infatti una certa linea di continuità con il Codice Civile del 1865, che a sua volta riprendeva, quasi ‘alla lettera’, il Code Napoléon francese del 1801.

L’idea di fondo del Code, ripresa anche nei nostri codici, è quella di tutelare in maniera uniforme ogni soggetto giuridico dell’ordinamento. Se ciò rappresenta una grandissima novità per l’epoca, quello che però manca nel codice francese (e quindi anche nelle successive codificazioni civilistiche italiane) è la mancanza di una visione soggettiva più generale e organica. Vi è infatti una visione monoprospettica dei soggetti di diritto: manca un qualsiasi approccio “plurisoggettivo”, che tenga anche conto delle dinamiche economico sociali, che invece hanno un ruolo di prim’ordine nella moderna società.

Se questa impostazione monoprospettica rappresentava un passo avanti nell’evoluzione giuridica del XIX secolo, durante la metà del secolo scorso è apparsa come un grande limite del diritto privato. Al centro del rapporto obbligatorio vi è esclusivamente il creditore, mentre invece manca l’idea che anche la posizione del debitore abbia bisogno di tutela.

Traspare chiaramente la concezione di debito come colpa oggettiva, una definizione giuridica che porta con sé anche un giudizio morale negativo.

Esemplificativo in questo senso è l’istituto di cui all’art. 1186 c.c., che disciplina la decadenza del debitore dal beneficio del termine, e da cui

(21)

emerge sia l’indifferenza del legislatore per quanto riguarda la tutela del lato debitorio nella disciplina delle obbligazioni, sia la mancanza di una visione più ampia, che vada a tutelare tutte le situazioni connesse alla vita di un singolo rapporto obbligatorio.

L’articolo così dispone:

«Quantunque il termine sia stabilito a favore del debitore, il creditore può esigere immediatamente la prestazione se il debitore è divenuto insolvente o diminuito, per fatto proprio, le garanzie che aveva date o non fato le garanzie che aveva promesse».

Da una prima lettura della disposizione, emerge chiaramente l’ottica monoprospettica del legislatore, che imposta la norma solo in funzione della tutela del creditore. In sostanza, l’art.1186 c.c. consente al creditore di far decadere il termine per l’adempimento accordato al debitore qualora questo presenti uno stato di insolvenza . La 20

decadenza dal beneficio del termine ha dunque soltanto la funzione di garantire al creditore di far valere il prima possibile la garanzia patrimoniale generica (art.1218, 2740 c.c.) , e quindi di poter 21

eventualmente aggredire con tempestività il patrimonio del debitore prima che questo venga dilapidato.

Il legislatore, in conclusione, non tutela in alcun modo il debitore, ma anzi lo “punisce” qualora la sua situazione economica si aggravi, costringendolo ad adempiere immediatamente all’obbligazione non

La dottrina ha escluso che l’insolvenza di cui parla l’art.1186 c.c. sia la stessa 20

situazione che è disciplinata dalla LF (sul cui approfondimento, vedi infra). L’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale hanno qualificato l’insolvenza di cui all’art.1186 come uno stato di dissesto patrimoniale, un perdurante squilibrio fra attivo e passivo e un impoverimento della garanzia patrimoniale. Per ulteriori approfondimenti sul tema, PELLECCHIA, Dall’insolvenza al sovraindebitamento, Torino, Giappichelli, 2012.

Per approfondimenti, vedi infra, capitolo II. 21

(22)

ancora scaduta, rendendo così la sua posizione ancor più compromessa.

Non meno importante è la mancanza di una visione più ampia, che prenda in considerazione la massa dei rapporti creditori facenti capo al debitore, al fine di concedere tutela anche a qui soggetti indirettamente coinvolti dalla crisi del singolo rapporto obbligatorio.

L’ordinamento, con l’istituto di cui all’art.1186 c.c., premia il singolo creditore più accorto, che probabilmente sarà anche l’unico creditore che potrà vedere soddisfatti, almeno parzialmente, i propri crediti. Gli altri creditori, che abbiano trascurato o non siano stati in grado di conoscere l’andamento economico del patrimonio del debitore, non facendolo prontamente decadere dal beneficio del termine, vedranno verosimilmente rimanere insoddisfatte le proprie obbligazioni.

Dall’analisi che abbiamo svolto nel corso di questo capitolo, confrontando le procedure concorsuali con la normativa contenuta nel codice civile, risulta evidente quanto fosse netta la disparità di trattamento dei soggetti coinvolti nel rapporto obbligatorio “in crisi”, a seconda del fatto che trovasse applicazione la Legge Fallimentare oppure la disciplina di diritto comune.

(23)

CAPITOLO II

LA DISPARITA’ ORIGINARIA E LA MODERNA

TRASFORMAZIONE DEL TRATTAMENTO DEL DEBITORE NON FALLIBILE

Sommario: 1. Mancanza di una procedura concorsuale e di un accesso all’esdebitazione per i soggetti “non fallibili” - 2. Esdebitazione e codice civile: la caduta dei giganti? - 2.1. La natura della responsabilità patrimoniale - 2.2. I principi di universalità e concorsualità - 2.2.1. Universalità e

concorsualità nelle procedure di sovraindebitamento - 3. Insolvenza e

sovraindebitamento: differenze e punti di contatto - 3.1. L’insolvenza - 3.2. Il sovraindebitamento.

In questo capitolo analizzeremo come sia cambiata la concezione del debitore negli ordinamenti moderni. In particolare, vedremo come si sia fatta strada l’idea che il debitore civile, anche quando sia incorso in “insolvenza”, deve avere la possibilità di “ristrutturare” la sua situazione patrimoniale, e ciò sia a tutela del debitore stesso, sia soprattutto a tutela del nostro sistema economico finanziario, fondato sul modello consumistico-capitalistico.

Successivamente, approfondiremo il rapporto fra le procedure concorsuali da sovraindebitamento e i tradizionali istituti di diritto privato. In particolare, ci concentreremo sul rapporto tra l’esdebitazione, prevista nella l. n.3/2012, e la garanzia patrimoniale generica, disciplinata dall’art. 2740 c.c: due istituti che, a prima vista, sembrano contrastare tra di loro in maniera insanabile, ma che in realtà possono coesistere in funzione sia della ripartenza economica del debitore “insolvente”, sia della tutela dei creditori.

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1. Mancanza di una procedura concorsuale e di un accesso all’esdebitazione per i soggetti “non fallibili”

Da quanto si è detto nel capitolo precedente, possiamo trarre le somme su quale fosse la situazione del nostro ordinamento prima dell’avvento della l. n.3/2012.

Da un lato, l’ordinamento tutela l’imprenditore debitore, rientrante nei parametri di cui all’art.1 comma 2, LF, che si trovi in una situazione di insolvenza a causa dei debiti contratti nell’esercizio dell’impresa, attraverso delle procedure concorsuali, al termine del quale potrà eventualmente accedere all’esdebitazione per i debiti residui. Dall’altro, il debitore non rientrante nei parametri della LF, che si trovi una analoga situazione, sarà soggetto alle procedure esecutive individuali di tutti i suoi creditori, e non sarà liberato finché non abbia adempiuto a tutte le obbligazioni pendenti.

Mentre i creditori dell’imprenditore rientrante nei parametri della Legge Fallimentare potranno concorrere su tutto il patrimonio del debitore, in condizioni di parità e all’interno di una procedura concorsuale e sotto il controllo di un giudice, i creditori del debitore non rientrante nei parametri della LF dovranno agire ciascuno con azioni esecutive individuali, cercando di arrivare prima degli altri creditori, nella speranza di soddisfare almeno parzialmente le proprie pretese creditizie . 22

Infine, risulta evidente l’eccessiva eterogeneità della categoria dei soggetti “non fallibili”: all’interno della categoria dei soggetti che non rientrano nei parametri dell’art.1, comma 2 della LF vi sono ricompresi sia imprenditori di rilevante dimensione economica, che non

Inoltre, mentre il c.c. rende molto difficoltoso l’esperimento dell’azione 22

revocatoria (art.2901 c.c.), la LF prevede una serie di presunzioni che facilitano molto la conservazione e la reintegrazione del patrimonio del debitore.

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posseggono i requisiti per accedere alle procedure concorsuali, sia piccoli artigiani e commercianti, che però pur sempre svolgono attività di impresa, sia infine i consumatori, soggetti di diritto comune che hanno contratto debiti per ragioni estranee all’esercizio di attività di impresa.

Era quindi palese la differenza di trattamento tra i soggetti fallibili e non fallibili, con evidente trattamento di sfavore per quest’ultimi, e probabilmente in contrasto con l’art.3 Cost. 23

L’evidente disparità si accentuava guardando anche a ciò che accadeva negli altri Paesi a noi vicini: infatti, quasi tutti gli ordinamenti dell’area occidentale, sia di Common Law (UK e USA), sia quelli europei, prevedevano, già agli inizi del 2000, varie procedure concorsuali dedicate ai consumatori ed ai piccoli imprenditori in stato di crisi economica . 24

La differenza tra il nostro ordinamento e gli altri Paesi risultava sempre più evidente: dopo alcuni tentativi di disciplinare la materia, un efficace catalizzatore della riforma è stata la crisi economica, scoppiata nella primavera del 2008, che ha messo a dura prova l’intero sistema economico finanziario. Infatti, è stata proprio la recessione a far sviluppare, in sede legislativa, la riflessione e la consapevolezza che

La Corte Costituzionale, con la sent. 1970, n.94 ha però negato il contrasto la 23

violazione dell’art.3 Cost. da parte dell’art. 2221 c.c. e dell’art.1 LF, giustificando il diverso trattamento dell’imprenditore fallibile dal piccolo imprenditore e dal debitore civile, in quanto queste ultime due categorie, per la loro circoscritta attività, non incidono sulla economia della collettività. La stessa Corte, d’altro canto, non escludeva che de iure condendo non potesse essere rideterminato il campo di applicazione della disciplina fallimentare.

La Corte Costituzionale, con sent.1982, n.45, ha poi affermato che il diverso trattamento dell’insolvenza civile da quella commerciale rientra nell’area delle scelte discrezionali del legislatore, ed è quindi insindacabile.

Per approfondimenti e comparazione con le procedure concorsuali da 24

(26)

spesso, dietro all’insolvenza (latamente intesa) del debitore non vi è una colpa, ma che varie possono esserne le cause, anche del tutto indipendenti dalla volontà del soggetto.

Questa presa di coscienza ha dato il via a due filoni normativi. Da un lato, sulla spinta delle varie direttive dell’UE, si è cercato di disciplinare l’accesso al credito, positivizzando le condotte dei vari soggetti coinvolti . Dall’altro lato, il legislatore si è preoccupato di 25

colmare la disparità di trattamento dei debitori non fallibili, introducendo procedure concorsuali ad hoc.

La l. n.3/2012, intitolata «Disposizioni in materia di usura e di e s t o r s i o n e , n o n c h e ' d i c o m p o s i z i o n e d e l l e c r i s i d a sovraindebitamento», successivamente modificata dal d.l n.179 /2012 (convertito con la l. n.221/2012), prevede infatti due procedure concorsuali (una compositiva e una liquidatoria), dedicate a tutti soggetti non rientranti nei parametri dell’art.1, comma 2, LF. Inoltre, viene prevista una terza procedura, compositiva, rivolta esclusivamente al sovraindebitamento dei consumatori: e cioè a quei soggetti che si trovino in stato di sovraindebitamento a causa di obbligazioni contratte per ragioni estranee ad una attività di impresa.

Come vedremo meglio più avanti , la l. n.3/2012 modifica 26

sensibilmente la tradizionale impostazione del rapporto obbligatorio che si trova nel c.c. Infatti, le procedure concorsuali da sovraindebitamento, che si svolgano in maniera corretta secondo quanto previsto dalla legge, consentono al debitore che le ha utilizzate di accedere ad esdebitazione.

Per lo studio delle direttive UE 2008/48, 2014/17 e le loro leggi di attuazione, v. 25

infra, cap. III.

v. infra, cap. V. 26

(27)

Emerge quindi già prima facie la portata del cambiamento introdotto, perché la possibilità per il debitore non fallibile di essere esdebitato incide (e non poco) sul principio pacta sunt servanda e sull’istituto della responsabilità patrimoniale prevista dall’art.2740 c.c.

Se in generale il debitore risponde sempre con tutto il suo patrimonio (presente e futuro) verso i propri creditori, il debitore che abbia beneficiato di esdebitazione, viceversa, sarà liberato per le obbligazioni non soddisfatte nella procedura concorsuale . 27

Per comprendere la portata innovativa della l. n.3/2012 in merito all’esdebitazione, nel prossimo paragrafo analizzeremo la disciplina contenuta nel c.c. in merito alla responsabilità patrimoniale.

2. Esdebitazione e Codice Civile: la caduta dei giganti?

Dopo aver affrontato, nel paragrafo precedente, l’evoluzione della tutela dei debitori non fallibili, è il momento di analizzare l’assetto giuridico tradizionale da cui questa trasformazione ha preso le mosse, al fine di comprenderne il vero valore in termini di innovazione della nuova disciplina.

In questo paragrafo studieremo la tradizionale impostazione del nostro Codice Civile in merito alla responsabilità patrimoniale derivante dal rapporto obbligatorio, disciplinata all’art.2740 c.c. Al termine dell’analisi, cercheremo di capire come la tradizione del Codice Civile si sposi con l’innovazione apportata dalle procedure concorsuali da sovraindebitamento in merito al rapporto obbligatorio.

Anche se la legge prevede che alcuni crediti non possano rientrare nella procedura 27

concorsuale, né quindi tantomeno essere oggetto di esdebitazione (v. infra , cap. V par. 6.2).

(28)

La responsabilità patrimoniale del debitore è disciplinata nell’art.28

2740 c.c. La norma è collocata nel libro VI (“della tutela dei diritti”), in apertura al titolo III, rubricato come “della responsabilità patrimoniale, delle cause di prelazione della conservazione della garanzia patrimoniale”.

Se ci addentriamo nel contenuto dell’art.2740, la norma così dispone:

«Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.

Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge».

Dal contenuto della disposizione, e dalla sua collocazione all’interno del Codice, si può qualificare la responsabilità patrimoniale come il mezzo di tutela del diritto del credito, a presidio del corretto svolgimento del rapporto tra creditore e debitore.

La responsabilità patrimoniale affianca tutta la vita del rapporto obbligatorio, intervenendo, in primo luogo, come conseguenza dell’inadempimento contrattuale.

L’ordinamento infatti pone in capo al debitore una duplice responsabilità: una personale (ex art.1218 c.c.) e una patrimoniale (ex art.2740 c.c.). Vediamo nel dettaglio come funziona questa ‘doppia’ responsabilità.

L’art.1218 c.c. dispone che

«Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile».

In argomento, il riferimento principale della nostra elaborazione è ROJAS 28

ELGUETA G., autonomia privata e responsabilità patrimoniale del debitore, Giuffrè editore, Milano, 2012.

(29)

Quindi l’art.1218 pone in capo al debitore una responsabilità personale: se l’obbligazione originariamente assunta non viene adempiuta, quest’ultima viene sostituita da un’obbligazione risarcitoria.

Anche l’obbligazione risarcitoria può rimanere, al pari dell’obbligazione originaria, inadempiuta a causa dell’inerzia del debitore: ed è qui che entra in gioco la responsabilità patrimoniale disciplinata dall’art.2740 c.c. Questo tipo di responsabilità, definita “di ultima istanza” , al fine di realizzare l’interesse del creditore, fa 29

ricadere le conseguenze dell’inadempimento sull’intero patrimonio del debitore: infatti, quest’ultimo risponderà dell’inadempimento con tutti i suoi beni presenti e futuri . 30

L’art. 2740 esprime il c.d. principio di universalità della garanzia patrimoniale, in forza del quale tutti i beni del debitore costituiscono la garanzia generica dei creditori.

La responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c. ha un ambito di operatività molto vasto : si applica a tutti i rapporti obbligatori, 31

qualunque ne sia la fonte, ad esclusione delle obbligazioni naturali.

Espressione di NERVI A., La responsabilità patrimoniale dell’imprenditore - 29

Profili civilistici, Padova 2001

Visto che la responsabilità nasce insieme al rapporto obbligatorio, e può essere 30

fatta valere anche prima dell’azione esecutiva (mediante azione revocatoria, sequestro conservativo), è da ritenere che il discrimen e tra beni presenti e futuri vada individuato proprio nel momento della nascita dello stesso rapporto obbligatorio, e non nel momento in cui il creditore esercita l’azione esecutiva (come invece sostiene la dottrina minoritaria).

La responsabilità patrimoniale deve essere tenuta ben distinta dall’esecuzione in 31

forma specifica: nella fase esecutiva, la responsabilità patrimoniale è un istituto di ultima istanza, che trova applicazione alternativamente all’esecuzione specifica, e che interviene ogniqualvolta non sia possibile realizzare pienamente l’obbligazione originaria senza trasformare in denaro alcuni beni del patrimonio del debitore.

(30)

Un altro principio che si lega all’analisi della garanzia patrimoniale, e sulla quale la nostra attenzione deve soffermarsi, è quello della par condicio creditorum. Nell’art.2741 c.c. infatti è affermato l’eguale diritto dei creditori di soddisfarsi sul patrimonio del debitore, a prescindere dal momento temporale in cui il credito è sorto.

Analizzando il combinato disposto degli artt.2740 e 2741 c.c., si può concludere che l’impostazione del nostro codice è quella di ritenere la garanzia patrimoniale unica, indisponibile ed indivisibile: sottratta, quindi, alla libera disponibilità dell’autonomia dell’autonomia privata, e derogabile soltanto nelle ipotesi tipizzate dalla legge.

2.1. La natura della responsabilità patrimoniale

Bisogna però chiarire quale sia la natura della responsabilità patrimoniale.

L’art. 2740 c.c., come si è detto, affianca il rapporto obbligatorio per tutta la sua durata, e assolve a diverse funzioni. Innanzitutto, funge da strumento di “pressione psicologica” per il debitore, affinché questi esegua spontaneamente la prestazione dovuta. Successivamente, serve per assoggettare i beni del debitore inadempiente ad azioni preventive dirette a conservare il suo patrimonio (azione surrogatoria, azione revocatoria, sequestro conservativo, decadenza dal beneficio del termine, etc).

Dal lato del creditore, la responsabilità patrimoniale si concretizza in quella serie di strumenti (azione surrogatoria, revocatoria, sequestro conservativo, decadenza dal beneficio del termine), definiti garanzia generica del credito, e che consistono nella manifestazione della responsabilità patrimoniale quale tutela preventiva del credito. L’azione esecutiva, viceversa, realizzerà la responsabilità patrimoniale nella diversa funzione di mezzo di ultima istanza.

(31)

L’art. 2740 non esprime un fenomeno di diritto processuale, bensì di diritto sostanziale. La responsabilità patrimoniale incide sul rapporto obbligatorio prima e a prescindere dall’azione esecutiva: la soggezione del patrimonio del debitore ad esecuzione è solo una delle possibili manifestazioni della responsabilità patrimoniale.

Sul debitore, però, non grava un vincolo di indisponibilità dei propri beni: i creditori non hanno un potere diretto su questi, e il debitore non è vincolato da alcun obbligo di conservazione.

Quello del debitore, più esattamente, è uno stato di soggezione, che consente ai creditori di attivare un complesso di mezzi legali al fine di conservarne il patrimonio o di sottoporlo ad azione esecutiva . 32

Dalla responsabilità patrimoniale discende un diritto potestativo fra creditore e debitore, che deriva direttamente da un’autonoma situazione giuridica fra le due parti, e cioè dal rapporto obbligatorio. Il rapporto potestativo si configura quindi come esterno ed autonomo rispetto al rapporto obbligatorio: ciò esclude sia che al creditore venga riconosciuto un diritto reale di garanzia sul patrimonio del debitore, sia che il debitore sia gravato di uno specifico obbligo di conservazione patrimoniale . 33

Alla luce di ciò che abbiamo detto nelle pagine precedenti in merito alla responsabilità patrimoniale, così come contenuta nel Codice Civile

I creditori dispongono infatti di una serie di poteri strumentali, volti alla 32

conservazione del patrimonio del debitore e all’esercizio dell’azione esecutiva: ciò in virtù di un complesso di poteri di intervento strumentali al credito, e non perché titolari di un particolare diritto soggettivo.

Il debitore infatti rimarrà libero di disporre del proprio patrimonio a suo 33

piacimento; nel caso il creditore eserciti il proprio diritto potestativo, dovrà però subire la modificazione della propria realtà giuridica senza poter fare alcunché.

(32)

e interpretata dalla dottrina, possiamo fare un punto della situazione in merito alla disciplina del rapporto obbligatorio nel nostro ordinamento. Secondo l’impostazione fatta propria dal Codice del ’42, l’obbligazione è la risultanza di due rapporti distinti: il rapporto di debito e il rapporto di responsabilità. La responsabilità patrimoniale, quindi, è un elemento esterno ed autonomo rispetto al rapporto di debito che si instaura fra creditore e debitore, che affianca ma al tempo stesso rimane indipendente dal rapporto obbligatorio . 34

D’altro canto, il legislatore prende le distanze dalla teoria processualistica , rimarcando che la responsabilità patrimoniale non si 35

esaurisce nella mera azione esecutiva, ma che invece questa esercita la sua influenza sul rapporto obbligatorio anche prima e a prescindere dall’esecuzione forzata. La responsabilità patrimoniale, infatti, non si confonde con l’azione, ma è un istituto di diritto sostanziale da cui scaturisce in capo al creditore la disponibilità dello strumento processuale, e che indica l’oggetto materiale dell’esecuzione forzata. Dobbiamo però a questo punto fare i conti con la connotazione pubblicistica che la responsabilità patrimoniale ha assunto nel nostro 36

ordinamento, e che è rimasta intatta nel pensiero giuridico, nonostante sia stata recuperata dal terreno del diritto pubblico e ricondotta nel diritto privato.

L’orientamento pubblicistico, pur non facendo più richiamo ad un rapporto processuale di diritto pubblico, ha portato alla maturazione

L’approdo a questa distinzione fra rapporto obbligatorio e responsabilità 34

patrimoniale è resa ben evidente anche dalla stessa sistematica del codice civile, che infatti disciplina le obbligazioni nel Libro IV, mentre inserisce la normazione della responsabilità patrimoniale nel Libro VI, sottolineandone così il carattere strumentale ed esterno al rapporto obbligatorio.

Per approfondimenti, vedi ROJAS ELGUETA G., op.cit., cap.I, par. I. 3.3. 35

Uno dei massimi esponenti della teoria pubblicistica è stato CARNELUTTI F., in 36

particolare in Diritto e processo nella teoria delle obbligazioni. Per approfondimenti vedi ROJAS ELGUETA G., op.cit., pag.62 e ss.

(33)

del dogma della nullità degli atti di autonomia privata diretti a modificare lo statuto della responsabilità patrimoniale. Secondo questa impostazione, facendo ricorso alla clausola generale di ordine pubblico, si afferma l’indisponibilità della responsabilità patrimoniale. Questa conclusione è però per così dire “assiomatica”, priva di un fondamento logico valido: mentre per la teoria processualistica il divieto di interferire con il regime della responsabilità patrimoniale era la conseguenza logica del fatto che questo rapporto di responsabilità intercorresse non fra le parti, ma tra queste e lo Stato, è incomprensibile il mantenimento dell’indisponibilità una volta affermato il carattere sostanziale dell’art.2740 c.c.

Per confutare la tesi pubblicistica, bisogna però distinguere le limitazioni della responsabilità patrimoniale in due tipologie: quelle con efficacia inter partes e quelle con efficacia erga omnes.

Con riguardo alle prime, si può affermare che, una volta escluso che la responsabilità patrimoniale appartenga al diritto processuale pubblico, le limitazioni di responsabilità derivante da un accordo fra creditore e debitore debbano essere considerate valide, in quanto piena manifestazione dell’autonomia privata (art.1322, comma 2 c.c.), e quindi estranee all’ambito applicativo dell’art.2740, comma 2 . 37

In merito alle limitazioni di responsabilità patrimoniale con efficacia erga omnes, che sono quelle che più interessano al fine della nostra analisi generale sulle procedure concorsuali, si può preliminarmente dire che queste, in conseguenza al principio generale del numerus clausus dei diritti reali, sono consentite solo quando espressamente previste dalla legge: vige invece un divieto assoluto per l’autonomia privata di creare nuove forme di separazione patrimoniale.

Per approfondimenti sulla liceità e sull’ambito applicativo delle limitazioni della 37

(34)

Se le limitazioni inter partes, con effetto meramente obbligatorio, sono rimesse all’autonomia privata, l’efficacia reale delle limitazioni della responsabilità patrimoniale, in quanto opponibili erga omnes, sono sottratte all’autonomia dei singoli soggetti, i quali non possono introdurre nell’ordinamento limitazioni diverse da quelle espressamente previste dalla legge. La sanzione per chi non rispetti i modelli di separazione previsti dal legislatore non è però la nullità (come sostiene la teoria pubblicistica), ma, più correttamente, l’inopponibilità della limitazione di responsabilità.

2.2. I principi di universalità e concorsualità

Dall’analisi generale che abbiamo fatto sulla disciplina della responsabilità patrimoniale all’interno del Codice Civile, si può affermare che la sua impostazione sia basata due principi, tradizionalmente considerati come punti guida della tutela dei creditori: l’universalità della responsabilità patrimoniale e la par condicio creditorum.

Questi due principi guida, se nel nostro Codice hanno una centralità quasi assoluta, nella normativa che è seguita negli anni successivi sono stati derogati molte volte. A causa dell’aumento esponenziale delle ipotesi di limitazione della responsabilità ad efficacia reale, il rapporto regola (universalità-concorsualità) ed eccezione (limitazioni della responsabilità patrimoniale) è stato di fatto completamente ribaltato. Questo graduale sovvertimento è stato causato dalla legislazione speciale, che ha derogato l’universalità e la concorsualità così spesso 38

da degradare i due principi in semplici criteri (derogabili) di disciplina della responsabilità patrimoniale.

vedi, ad esempio: T.U.F.(d.lgs.1998, n.58) in merito ai servizi di investimento (art. 38

22), alla gestione collettiva del risparmio (art.36); art. 3, l. 1999, n.130 in merito alla cartolarizzazione dei crediti, etc.

(35)

2.2.1. Universalità e concorsualità nelle procedure di sovraindebitamento

Una volta analizzati i principi guida e la loro ‘crisi’, vediamo come questi si relazionano con le procedure concorsuali da sovraindebitamento.

Le procedure concorsuali da sovraindebitamento rispettano il principio della condicio creditorum. Infatti, contrariamente alle esecuzioni individuali, in cui vige il principio prior in tempore potior in iure, le procedure di cui alla l. n.3/2012 , pur muovendosi nello stesso ambito privatistico, promuovono il concorso fra creditori, dando nuova linfa al principio della concorsualità.

Invece, se andiamo a vedere il portato normativo della l. n.3/2012, ed in particolare la possibilità per il debitore di ottenere l’esdebitazione per i debiti residui non soddisfatti all’interno della procedura, risulta evidente quanto questa sia innovativa rispetto all’assetto tradizionale del nostro Codice in merito al principio dell’universalità della responsabilità patrimoniale.

L’istituto della esdebitazione non incide direttamente sulla responsabilità patrimoniale del debitore.

L’esdebitazione, infatti, consiste in una limitazione del debito, e non della garanzia generica. Secondo la dottrina prevalente, con l’esdebitazione si trasformano le obbligazioni rimaste insoddisfatte in obbligazioni naturali, che quindi non rientrano più sotto la tutela dell’art.2740. Sul piano degli effetti, però, è innegabile che l’esdebitazione sia un istituto diametralmente opposto al principio di responsabilità patrimoniale universale, per il quale tutti i beni del debitore, presenti e futuri, sono destinati a soddisfare le pretese creditorie.

(36)

Nelle procedure concorsuali da sovraindebitamento viene meno, soprattutto grazie all’istituto dell’esdebitazione, il canone tradizionale dell’assolutezza della responsabilità patrimoniale, mentre, al contrario, viene rivitalizzato quello della par condicio creditorum.

Alla luce di tutto ciò, si può affermare che le procedure concorsuali siano al tempo stesso sia in linea con la tradizione, sia fortemente innovative. Da una parte, si recupera il concorso tra i creditori, volto a garantirne la par condicio; dall’altra, invece, con l’introduzione dell’esdebitazione, viene meno la garanzia patrimoniale generica del debitore, che non dovrà rispondere per la parte di debiti rimasti insoddisfatti all’interno delle procedure concorsuali.

3. Insolvenza e sovraindebitamento: differenze e punti di contatto

Nel paragrafo precedente abbiamo cercato di analizzare quale sia la disciplina del rapporto obbligatorio e della responsabilità patrimoniale all’interno del Codice Civile, confrontandola con il portato normativo della l. n.3/2012, ed evidenziando quali siano le differenze e i punti di contatto tra i principi tradizionali che emergono nel nostro Codice e quelli che invece sorreggono le procedure concorsuali da sovraindebitamento.

E’ arrivato ora il momento di addentrarci nelle procedure previste dalla nuova normativa sulle procedure concorsuali per il contrasto del sovraindebitamento.

Un buon punto per iniziare l’analisi e comprendere la portata delle procedure concorsuali da sovraindebitamento è quella di fare un confronto preliminare tra queste e le procedure concorsuali disciplinate dalla Legge Fallimentare.

(37)

Rinviando ai capitoli successivi la trattazione analitica delle procedure previste nella l. n.3/2012 , nel seguente paragrafo analizzeremo quali 39

sono le principali differenze tra le procedure concorsuali disciplinate nella LF e le procedure di crisi da sovraindebitamento, in particolare soffermandoci sui requisiti oggettivi per accedervi, e cioè, rispettivamente, l’insolvenza e il sovraindebitamento.

Ad una prima analisi, le procedure concorsuali nella Legge Fallimentare e le procedure concorsuali previste dalla l. n.3/2012 presuppongono requisiti oggettivi apparentemente diversi fra loro. Affinché si apra una delle procedure fallimentari è infatti necessario che vi sia l’insolvenza dell’imprenditore. Nelle procedure concorsuali della l. n.3/2012, invece, il requisito oggettivo necessario al loro accesso è il sovraindebitamento del debitore.

Ma vi è differenza tra insolvenza e sovraindebitamento? E se sì, in cosa si distinguono? In questo paragrafo definiremo prima l’insolvenza e dove questa sia disciplinata, per poi passare ad analizzare la definizione di sovraindebitamento e dove essa sia collocata; infine, metteremo a confronto i due requisiti, cercando di rimarcarne le differenze ed i punti in comune.

3.1. L’insolvenza

L’art. 5, comma 1 della Legge Fallimentare dispone che l’imprenditore commerciale, rientrante nei parametri di cui all’art.1, comma 2 della stessa legge, qualora versi in stato di insolvenza, viene dichiarato fallito. Nella LF, però, non vi è una definizione di insolvenza, ma soltanto una descrizione esemplificativa di come questa può manifestarsi.

Dispone infatti il comma 2 dell’art.5 che

infra, cap. V. 39

(38)

«Lo stato d'insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni».

Altri elementi rivelatori dell’insolvenza vengono elencati all’art.7, comma 2 LF, e in particolare sono rappresentati

«dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell'imprenditore, dalla chiusura dei locali dell'impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte dell’imprenditore».

Dall’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, si evince che il presupposto oggettivo del fallimento è una situazione patrimoniale patologica ed irreversibile, che coinvolge l’intero patrimonio del debitore, tale da non consentire a quest’ultimo di adempiere le proprie obbligazioni con mezzi normali e a tempo debito.

Si deve prima di tutto distinguere tra insolvenza e semplice inadempimento.

L’insolvenza può infatti manifestarsi a prescindere dal fatto che l’imprenditori non onori le obbligazioni assunte.

La legge, all’art. 7 LF, indica alcuni elementi che assumono la funzione di indici rivelatori della situazione patrimoniale patologica (pagamento con mezzi anormali, fuga o latitanza dell’imprenditore, chiusura dei locali di impresa, trafugamento dell’attivo etc).

Mentre l’inadempimento è un elemento che rileva come uno dei possibili indici dello stato di insolvenza, l’insolvenza è invece una vera e propria condizione del patrimonio del debitore.

(39)

Insolvenza e inadempimento, quindi, possono non coincidere . Il 40

debitore può essere insolvente senza essere inadempiente. Viceversa, non è detto che l’imprenditore inadempiente sia in stato di insolvenza. Infatti, l’imprenditore può essere inadempiente perché trascura negligentemente di pagare, oppure perché ritiene di non dover pagare. Inoltre, la temporanea difficoltà nel pagamento non è assimilabile ad insolvenza. Le due situazioni sono infatti differenti: solo l’insolvenza porterà al fallimento, mentre la temporanea difficoltà ad adempiere potrà eventualmente essere il presupposto per un concordato preventivo o per un accordo di ristrutturazione dei debiti.

L’insolvenza è dunque una situazione patrimoniale non transitoria, che non necessariamente si identifica con uno squilibrio patrimoniale: può infatti benissimo accadere che vi sia un’eccedenza delle passività rispetto alle attività senza che vi sia l’insolvenza del debitore, se questo riesce comunque a procurarsi in maniera normale i mezzi finanziari per pagare i debiti che scadono (es. attraverso finanziamenti bancari) . 41

Se l’imprenditore si trova in stato di insolvenza, qualora superi almeno uno dei tre requisiti dimensionali previsti dall’art.1, comma 2 LF, allora potrà essere dichiarato fallito. Il fallimento può essere dichiarato su ricorso di uno o più creditori, o su richiesta dello stesso debitore, oppure su richiesta del Pubblico Ministero.

Affinché venga dichiarato fallimento, però devono sussistere contemporaneamente 40

sia insolvenza, sia inadempimenti. Inoltre, non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dall’istruttoria fallimentare è inferiore a 30.000 € (art.15, comma 9, LF).

CAMPOBASSO, diritto commerciale, V edizione, vol.3, cap.XXIV. 41

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3.2. Il sovraindebitamento

Una volta vista cosa sia l’insolvenza e come questa si manifesti, è tempo di domandarci cosa sia il sovraindebitamento.

Come detto, il sovraindebitamento rappresenta il requisito oggettivo patrimoniale necessario per l’accesso alle procedure concorsuali contenute nella l. n.3/2012. Già dal testo di legge, si evince come il legislatore voglia rimarcare la differenza tra insolvenza e sovraindebitamento. Infatti, la disposizione di apertura del Capo II, contenente tutta la disciplina delle procedure concorsuali, definisce il sovraindebitamento come

« la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficolta' di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente».

L’art. 6 della l. n.3/2012 impone come requisito oggettivo per l’accesso alle procedure concorsuali da sovraindebitamento una situazione di illiquidità patrimoniale del debitore, che può consistere tanto in un’insolvenza, e cioè in una definitiva incapacità di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni, tanto in una semplice crisi economica, e cioè in una rilevante difficoltà di adempiere.

Vi sono dei punti di contatto fra insolvenza e sovraindebitamento. Come per l’insolvenza, anche per il sovraindebitamento non è necessario uno squilibrio fra attività e passività del debitore: quest’ultimo non potrà essere considerato sovraindebitato finché riesca a procurarsi le risorse necessarie per adempiere regolarmente i debiti in scadenza.

Inoltre, anche il sovraindebitamento non va confuso con l’inadempimento in sé. Come per l’insolvenza, il sovraindebitamento

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