Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere
Corso di Laurea magistrale in Filosofia e Forme del Sapere
TESI DI LAUREA
Politica, Rappresentanza e Libertà.
Riflessioni sui Principi di Politica di Benjamin Constant.
Candidato Relatore
Claudia Pucci Prof. Giovanni Paoletti
Politica, Rappresentanza e Libertà.
Riflessioni sui Principi di Politica di Benjamin Constant.
Introduzione p. 3
1. La vicenda biografica e la militanza politica
1.1 Il periodo direttoriale (1795 – 1799) p. 7
1.2 L'età del consolato e dell'impero (1799 – 1813) p. 11
1.3 Il gruppo di Coppet p.17
1.4 Gli anni della Restaurazione (1814 – 1830) p. 25
2. I Principi di Politica
2.1 Genesi e composizione p. 31
2.2 Il ruolo centrale della partecipazione p. 35
2.3 Cambiamenti nella ricezione del pensiero politico di Constant p. 43
2.4 Libertà pre-liberali e liberalismo p. 52
3. Rappresentanza e volontà generale
3.1 Dal governo al potere: nascita della rappresentanza moderna p. 72
3.2 Inconvenienti della rappresentanza moderna: il problema del controllo p. 79
3.3 Volontà generale: risultato empirico o principio universale?
La critica a Rousseau p. 93
3.4 Volontà generale: incontro-scontro o alienazione delle volontà particolari?
La critica a Hobbes p. 102
4. Singolarità e libertà politica
4.1 Il pericolo del conformismo p. 112
4.2 La limitazione dell'autorità sociale: importanza della libertà politica p. 127
4.3 Il ruolo delle idee e degli intellettuali p. 148
4.4 Inattualità della libertà politica e autonomia del cittadino p. 158
4.5 La natura del “bene comune” p. 170
Conclusione p. 180
Introduzione
I Principes de politique1 composti nel 1806 sono rimasti a lungo sconosciuti agli
studiosi. L'opera apparsa sotto il medesimo titolo nel 1815, e molte delle altre opere pubblicate in date successive al 1806, riprendevano temi che Constant aveva già affrontato nella più estesa opera rimasta inedita. Fu solo nel 1961, quando la Biblioteca Nazionale di Francia acquisì i sette volumi chiamati Œuvres Complétes2del 1810, che i
Principes de Politique tornarono per la prima volta alla luce. La versione originale, dalla quale era stata fatta copiare quella del 1810, emerse nel 1974 quando un erede della famiglia Constant morì e si svincolarono alcune carte che lasciarono la possibilità di accedere a un fondo d'archivio lasciato a suo tempo da Rodolphe de Constant-Rebecque a Losanna in Svizzera. L’unico manoscritto ad essere andato perduto è il trattato del 1803, quello che Constant chiamava il ‘mio grande trattato di politica’, ma il cui contenuto, in realtà, sopravvive rifuso da Constant in due opere successive: i Principes de politique del 1806 in cui converge la parte dedicata ai principi di libertà e sovranità e i Fragments d’un ouvrage abandonné sur la possibilité d’une constitution ré1publicaine dans un grand pays3 del 1803 in cui sopravvive la parte dedicata alle
strutture costituzionali. L'opera non cessa tutt'oggi, a distanza di duecento anni dalla sua redazione, di sollevare interrogativi. In essa si conciliano confutazioni di errori, rigorose dimostrazioni e volontà di persuasione, il tutto in linea con la volontà
1
B. Constant, Principes de politique applicables à tous les gouvernements représentatifs (1806), trad. it., Principi di politica applicabili a tutte le forme di governo a cura di Stefano de Luca, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007.
2 B. Constant, Œuvres Complétes, Niemeyer, Tübingen, 1993-in corso di pubblicazione.
3 B. Constant, Fragments d'un ouvrage abandonné sur la possibilité d'une constitution républicaine
dell'autore di essere compreso e interiorizzato dal lettore e di essere giudicato per l'efficacia con cui dimostra la sua tesi, affinché sia non solo accettata ma compresa. Per Constant, infatti, è fondamentale la partecipazione dell'individuo e del cittadino, la comprensione dei principi di autorità e di libertà che devono essere fatti propri e ritenuti veri in prima persona, non imposti da un terzo impersonale. Non a caso si può parlare di una funzione di “catechismo politico”4 assegnata alla sua opera, che trova
respiro nella struttura dialogica della stessa, in cui la definizione dei principi teorici non è mai separata dalla preoccupazione di persuadere il lettore. Sarà interessante ripercorrere gli anni in cui Constant ha maturato il suo pensiero politico, l'influenza degli eventi storici che ha attraversato, sottolinearne i cambiamenti di rotta, il forte senso storico, la lucida comprensione delle esigenze del suo tempo. Ci soffermeremo, inoltre, sui cambiamenti che la riscoperta dei grandi trattati ha comportato nel ripensamento e nella rivalutazione di Constant e del suo pensiero. Analizzeremo, poi, più approfonditamente il suo pensiero politico, soffermandoci a discutere del ruolo dello Stato, della rappresentanza, dei concetti di volontà generale e particolare e della loro articolazione; ci interrogheremo sulla libertà di antichi e moderni, sul ruolo della libertà politica e l'importanza dell'autonomia, lasciandoci guidare in tutto il percorso dai Principes de politique. Accosteremo la sua ideologia al pensiero politico di altri grandi teorici, in particolare Hobbes e Rousseau, cercando di ricostruire assonanze, punti comuni, discrepanze e scontri.
4 Cfr. G. Paoletti, Constant selon l’ordre des raisons. Structure, style et argumentation dans les
Capitolo 1
La vicenda biografica e la militanza politica
Benjamin Constant è oggi considerato un grande autore nella storia della filosofia politica, in particolare per il suo contributo alla definizione della corrente del liberalismo. Ha vissutoin un'età cruciale della storia contemporanea, indiscutibilmente importante per la creazione e l'affermazione della nostra identità politica e culturale: il periodo che va dalla Rivoluzione francese del 1789 alla Rivoluzione di Luglio del 1830. Tuttavia, Constant non ha sempre goduto di una reputazione così positiva. Per lungo tempo è stato considerato un polemista minore, un semplice autore di scritti di circostanza, di pamphlets e opuscoli polemici privi di un'effettiva base teorica. È stato spesso vittima di letture distorte che hanno ridotto l'aspetto fortemente individualista del suo approccio e il suo ruolo cruciale nel pensiero del liberalismo. Inoltre la sua inquieta vicenda biografica, la sua propensione al gioco d'azzardo, la sua instabilità sentimentale, le sue infelici scelte politiche (prima fra tutte la collaborazione con Bonaparte durante i Cento Giorni, dopo essere stato per dodici anni suo acerrimo nemico) hanno contribuito alla creazione di pregiudizi che lo hanno dipinto a lungo come un personaggio ambiguo e opportunista, incoerente e voltagabbana. Infine, la sua riflessione politica è stata sminuita, da una parte, dalla lettura marxista che accusava il liberalismo di avere un carattere ideologico e impolitico, colpevole di eliminare il conflitto popolo-potere in favore di una visione individualista della società civile ottenuta al prezzo della prevaricazione e oppressione di una parte (borghesia) sull'altra5
5
Non è questo il caso di Constant, che ritiene che il conflitto popolo-potere non sia qualcosa di pre-sociale da risolvere o esorcizzare (come per Hobbes), bensì un carattere proprio ed ineliminabile dello Stato che debba essere semplicemente controllato e contenuto. La conflittualità fra potere e popolo
e, dall'altra, da un’interpretazione ultra-liberale e privatista inaugurata dall’identificazione della libertà dei moderni con quella libertà negativa teorizzata da Isaiah Berlin nel famoso saggio Two Concepts of Liberty6. È solo con un'analisi più
approfondita ed obiettiva dell'opera che questa, ed insieme la figura e il pensiero di Constant, possono essere rivalutate. La rinnovata fortuna è dovuta soprattutto alla scoperta dei Principes de politique e dei Fragments nel corso degli anni Sessanta e Settanta del Novecento, fino ad allora rimasti inediti. Questi hanno reso necessarie una più rigorosa analisi filologica, una precisa ricostruzione della biografia constantiana e una più attenta considerazione della sua riflessione politica. Da ciò è emerso che Constant non è semplicemente un autore di scritti di circostanza, ma anche un importante teorico del liberalismo, al punto da poter essere a ragione considerato l'anello mancante, nella filosofia politica francese, tra Montesquieu da una parte e Tocqueville dall'altra.
Benjamin Constant de Rebeque (1767-1830) fu uno dei più accaniti esponenti dell’opposizione liberale a Napoleone: nato nel 1767 a Losanna, vicino a Coppet, da una famiglia protestante della piccola nobiltà deportata dalla Francia durante la persecuzione religiosa del XVII secolo, portò a termine la sua formazione presso l'Università di Erlingen in Germania, e successivamente presso quella di Edimburgo (1783-1785). Furono già le esperienze di vita dei primi anni – la distanza dallo Stato e i contatti con l’illuminismo scozzese fra le altre cose – a dirigere il suo cammino verso il liberalismo “in tutto”. A segnare indelebilmente la sua esistenza fu, poi, l'incontro giovanile con Madame de Staël, figlia di Necker, l'ultimo ministro liberale di Luigi
è, infatti, per Constant una caratteristica delle costituzioni libere.
6 I. Berlin, Two concepts of liberty (1958), trad. it.a cura di M. Santambrogio, Due concetti di libertà,, Feltrinelli, Milano, 2000.
XVI. A Coppet, sul lago di Ginevra, dove la donna radunava intellettuali, artisti e amici, Constant conobbe i maggiori interpreti della cultura letteraria e politica dell'epoca e ebbe modo di discutere i grandi problemi politico-costituzionali aperti dalla Rivoluzione del 1789. L'intellettuale svizzero, fin dal primo momento, aderì ai principi liberali dell'Ottantanove che non rinnegherà mai. La sua sarà un'attività al contempo teorica e pratica, caratterizzata da un desiderio di partecipare alla politica attiva che non verrà mai meno lungo tutto l'arco della sua esistenza.
1.1 Il periodo direttoriale (1795-1799)
Nel 1794, dunque, Constant aveva conosciuto Madame de Staël in Svizzera. Nel 1795 arrivò a Parigi, in un periodo storico che aveva visto sfociare la fase repubblicana e giacobina della rivoluzione francese in quella che può essere definita la prima dittatura assembleare moderna e, in seguito, nel periodo del Terrore. Era passato un anno dalla congiura di Termidoro che aveva visto l'arresto e la condanna alla ghigliottina senza processo di Robespierre e dei suoi collaboratori. L'obiettivo principale del progetto termidoriano, appoggiato da Constant, era uscire dal Terrore e porre fine alla rivoluzione, dando vita a una repubblica fondata sulla legalità costituzionale e sul sistema rappresentativo. Contro tale progetto si battevano, invece, con forza, gli eredi di due tradizioni politiche che il giovane Constant colloca provocatoriamente, ma lucidamente, sullo stesso piano: sinistra giacobina e destra controrivoluzionaria. La sinistra giacobina vedeva nel progetto termidoriano la fine del governo rivoluzionario, all'interno del quale, come denuncia Constant, l'élite del partito poteva far prevalere i
propri interessi mascherati sotto forma di volontà popolare7. D'altra parte la destra
controrivoluzionaria condannava l'89 e i suoi diversi protagonisti in blocco e mirava a restaurare il sistema politico e sociale dell'Ancien Régime. Nel pamphlet risalente a questo periodo, dal titolo La forza del governo attuale della Francia8, Constant divide
le forze politiche in campo in due schieramenti: quello della libertà e dell'ordine, che sostiene la teoria dei limiti del potere, e quello dell'anarchia e del dispotismo, due aspetti dello stesso fenomeno dal momento che concepiscono la sovranità come illimitata, sia essa esercitata dal re o dal popolo. A ciò si accompagna una battaglia per il trionfo delle forze politiche del primo tipo, che vede Constant impegnato a scindere la Rivoluzione dal Terrore e a cercare di porre fine alla prima traducendone i principi in uno stabile assetto politico-costituzionale. L'unico strumento adatto alla realizzazione di questo progetto sembrava essere quella Repubblica direttoriale nata dalla costituzione dell'anno III del 1795, di cui, perciò, si fece sostenitore. Tale costituzione aggiungeva alla Dichiarazione dei Diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 una Dichiarazione dei Doveri, fra i quali comparivano il rispetto delle leggi e la sottomissione alle autorità costituite. La costituzione, inoltre, dava vita di fatto a una repubblica parlamentare formata da due camere elette dal popolo (al posto della singola assemblea) e da un Direttorio, composto da cinque membri eletti dalle due camere: al primo spettava il potere legislativo, al secondo il potere esecutivo. Nei suoi scritti giovanili Constant sottolinea più volte la sua estraneità a partiti e fazioni: «Potremmo forse dire che tanto “militante” è la sua riflessione teorica - nel senso che
7Vedremo più nel dettaglio la critica di Constant al partito giacobino così come si delinea non solo nei
Principi di politica ma anche nel Discorso sulla libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni.
8 B. Constant, De la force du gouvernement actuel et de la nécessité de s'y rallier (1796), trad. it. a cura di M. Valenzise, La forza del governo attuale, Donzelli, Roma, 1996.
nasce dalla passione civile ed intende consapevolmente influire sulla situazione politica - quanto “disinteressata” è la sua posizione politica» dice De Luca9. La sua
difesa del Direttorio era giustificata solo dal fatto che, in quella determinata situazione politica, appariva l'unico capace di realizzare i principi di libertà proclamati dalla rivoluzione dell'89. In questo senso la sua è sempre stata una politica “costituzionale”, vale a dire interessata a stabilire i presupposti formali della vita politica, indipendentemente da uno schieramento.
Innanzitutto, come sappiamo, Constant voleva liberarsi della grande pietra d'inciampo alla diffusione dei principi: l'esperienza del Terrore. Ciò che, più di tutto, ci teneva ad avversare era l'idea, troppo pericolosa, sostenuta da alcuni, secondo cui il Terrore era stato necessario. Il Terrore, «ridotto a sistema» e giustificato in quanto principio, «è molto più orribile della violenza feroce e brutale dei terroristi», perché «gli assiomi non appartengono a nessun tempo; essi sono sempre applicabili, esistono nel presente, minacciano l'avvenire»10. Egli sostiene che causa delle rivoluzioni sia la
rottura dell'equilibrio tra le istituzioni di un popolo e le sue idee, le sue aspirazioni. Le rivoluzioni sono così al tempo stesso il sintomo e la cura di tale squilibrio. Tuttavia se esse vanno al di là dei loro obiettivi, si produce un nuovo e opposto squilibrio, una degenerazione patologica del fenomeno rivoluzionario che produce a sua volta una reazione. Il Terrore quindi appare agli occhi di Constant non come un'inevitabile conseguenza dei principi rivoluzionari dell'Ottantanove (come sostengono i controrivoluzionari), né come uno strumento terribile, ma necessario, per salvare la Rivoluzione (come pensano i giacobini); il Terrore non è altro che una degenerazione 9 S. De Luca, Constant, Editori Laterza, Roma-Bari, 1993, p.15.
10 B. Constant, Des réactions politiques (1797), trad. it. di M.Fiore, Le reazioni politiche. Gli effetti
patologica dell'impulso iniziale della Rivoluzione, un fenomeno scaturito da un'altra rivoluzione distante dalle reali aspirazioni dei Francesi e che ha causato a sua volta una reazione. Constant quindi distingue – ed è questo un aspetto da tenere sempre ben presente per capire il suo pensiero politico – la Rivoluzione dell'Ottantanove che è nata dal «bisogno tipicamente moderno di indipendenza individuale, eguaglianza civile e libertà politica», dalla Rivoluzione del Novantatré che affonda le sue radici «nell'aspirazione a un'eguaglianza forzata e livellatrice e a un modello politico, quello roussoviano, anacronistico e liberticida»11. Quella del Terrore è una vicenda che ha
portato divisione all'interno della stessa famiglia Robespierre, come ci racconta Luzzato nel suo Bonbon Robespierre. Il terrore dal volto umano12. In quest'opera
Luzzato intende raccontarci una Rivoluzione minore e migliore: quella del fratello del celebre Maximilien. Augustin Robespierre, ricordato come jeune, il giovane, fu uno dei tanti rivoluzionari inviati in missione in periferie turbolente – per guerre interne ed esterne – dove ebbe modo di conoscere da vicino l'effettiva concretizzazione degli ideali per i quali si era battuto insieme al fratello e di distaccarsene. Augustin si interrogò sui limiti del governo rivoluzionario, concludendo che per salvare la Rivoluzione e preservarne le conquiste bisognava frenare la spietata macchina omicida del Terrore. In altri termini solo terminando la Rivoluzione si poteva salvarla: ciò che sostiene anche Constant. Guardando alla Rivoluzione dal punto di vista di Augustin si scopre un modo di essere “terrorista” umano e moderato, tanto da venir accolto nei paesi della Francia meridionale da liberatore: egli si batteva contro i soprusi
11 S. De Luca, Benjamin Constant teorico della modernità in Bollettino telematico di filosofia politica, Dipartimento di Scienze della politica, Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Pisa., 2002, risorsa online http://bfp.sp.unipi.it/constbib/.
ingiustificati del Terrore, nelle missioni in provincia continuava ad aprire le celle, fermare le ghigliottine, sciogliere processi farsa, mettere nell'angolo i peggiori facinorosi, mentre continuava a ripetere al fratello che con il Terrore stava facendo il male della Rivoluzione e avrebbe perduto la Repubblica.
1.2 L'età del consolato e dell'impero (1799-1813)
La battaglia di Constant terminerà con una sconfitta: la Repubblica direttoriale, infatti, dopo un'esistenza difficile e contraddittoria, scossa da attacchi che le provenivano, a fasi alterne, da destra e da sinistra, crollò definitivamente nel 1799. Nelle elezioni del 1797 la Destra monarchica ottenne la maggioranza e durante l'estate si scoprirono le prove di un'ennesima congiura. I repubblicani, che potevano contare sulla fedeltà di diverse file dell’esercito, organizzarono un vero e proprio colpo di stato: dichiararono nulle le elezioni e fecero arrestare molti esponenti di destra. È a partire da qui che il Direttorio, rimasto prigioniero dell'emergenza, cominciò a pagare la sua sopravvivenza al prezzo di una perdita di quella legalità a cui, invece, avrebbe dovuto dare fondamento. Il problema principale era la sfasatura fra le istituzioni e il paese: gli uomini delle assemblee volevano chiudere la stagione della violenza con la creazione di istituzioni che rendessero effettive le conquiste politico-sociali della Rivoluzione, il popolo, invece, proprio in reazione al ricordo vivo della violenza giacobina, diveniva sempre più monarchico, illudendosi che la monarchia avrebbe potuo garantire pace e tranquillità, conservando le conquiste della Rivoluzione. Anche nelle elezioni dei due anni successivi il successo arrise ai monarchici e nel 1799 ci si convinse che l'unico modo per salvare la Repubblica fosse rafforzare l'esecutivo. Questo fu il programma di
Sieyes che in quell'anno era stato nominato presidente del Direttorio e che decise di avvalersi di Bonaparte - agli occhi dell'opinione pubblica “l'eroe delle vittorie” - per guidare l'esercito di cui i congiurati avevano bisogno. Fu questo un ennesimo ma decisivo colpo di mano che, come Constant comprese immediatamente, avrebbe posto sì fine alla rivoluzione ma al prezzo della perdita di quelle conquiste di libertà che gli apparivano irrinunciabili, spianando la strada all'avventura napoleonica. Fu emanata, così, la costituzione dell'anno VIII, una sorta di ibrido dove l'impronta di Bonaparte si era sovrapposta al progetto originario di Sieyes. L'esecutivo rimaneva collegiale, cioè affidato a tre consoli come aveva pensato Sieyes, ma in realtà il potere era concentrato nelle mani del Primo Console, che proponeva e promulgava leggi, nominava ministri e funzionari e decideva sulla pace e sulla guerra. Il legislativo rimaneva invece organizzato secondo il progetto originario, perché Sieyes lo aveva già abbastanza depotenziato. Oltre a essere suddiviso in tre rami – il Consiglio di Stato (che proponeva le leggi), il Tribunato (che le discuteva ma non le poteva emendare) e il Corpo legislativo (che la approvava o le respingeva senza poterle discutere) – esso non derivava mai direttamente dalla volontà popolare. I membri del consiglio di Stato erano nominati dal Primo Console, mentre quelli del Tribunato e del Corpo Legislativo venivano nominati dal Senato, scegliendo fra i nominativi indicati dai cittadini in apposite listes de confiance. Al culmine dell'edificio, infine, c’era proprio il Senato conservatore, al quale spettava la funzione di supremo custode della Repubblica e i cui membri erano nominati dai consoli. Il suffragio universale, dunque, sancito dalla costituzione dell'anno VIII era, di fatto, ristretto ai soli plebisciti, con i quale Napoleone fingeva di far scegliere al popolo quello che in realtà era già da lui
incontrovertibilmente stabilito. Nel discorso al Tribunato del 1° febbraio 1800 Constant dichiarò che durante la Rivoluzione si era abusato sin troppo delle petizioni popolari: «ognuna delle nostre crisi è stata seguita da un diluvio di simili petizioni, che provavano soltanto il profondo terrore dei deboli e il dispotismo dei forti»13. Nei
Principi di politica sulla questione dei plebisciti afferma:
Esistono, lo so, mezzi ingannevoli per rivestire le violazioni della costituzione di un’apparente legittimità. Si incoraggia il popolo a pronunciarsi attraverso petizioni di sostegno, gli si fanno sanzionare i cambiamenti proposti. Ma […] la sanzione del popolo non può mai essere altro che una vana formalità. Accanto agli atti che vengono sottoposti a questa pretesa sanzione, c’è sempre la forza del governo esistente, provvisorio o definitivo, che vuole l’approvazione di quegli atti; oppure, nell’improbabile ipotesi di una completa neutralità del governo, c’è la prospettiva, in caso di rifiuto da parte del popolo, di guerre e dissensi civili. La sanzione del popolo e le petizioni di sostegno sono nate nella mente di quegli uomini che, non trovando alcun appoggio nella morale e nella religione, ne cercano uno in un consenso simulato, ottenuto grazie all’ignoranza o estorto con il Terrore. […] Questo mezzo taglia corto con tutte le obiezioni. Qualcuno lamenta che il popolo è oppresso? Ma è il popolo ad aver dichiarato di volerlo essere. […] Le petizioni di sostegno sono una cerimonia puramente illusoria. […] Al popolo vengono imposte tutte le apparenze della libertà per votare in un senso che è stato deciso in anticipo14.
Del resto consisteva proprio in questo il pericolo della strumentalizzazione del principio democratico, sperimentato negli anni rivoluzionari e denunciato da Constant: esso è del tutto “cieco” ai possibili usi distorti a cui si espone e, nel frattempo, il potere che si dichiara nelle mani di tutti, ma che nella pratica non può che essere nelle mani 13 B. Constant, Archives parlementaires. Recueil complet des débats législatifs et politiques des
Chambres françaises de 1800 à 1860, P. Dupont, Paris, 1862, t. I, p.133, traduzione della cit. di S. De
Luca in Principi di politica, op. cit.
di pochi, annienta non solo le libertà individuali, ma anche la libertà del corpo sociale che finisce sottomesso a una minoranza o a un leader i quali sono autorizzati ad apporre la firma del popolo sotto qualsiasi decisione.
Comunque per quanto complessa fosse la nuova architettura costituzionale, la sostanza era chiara ai più, tanto che si dice circolasse, nella Parigi del '99, la seguente battuta: “Che cosa c'è nella Costituzione? C'è Bonaparte”. E tuttavia Napoleone giunse alla pienezza del potere soltanto per tappe. Per quanto limitati, infatti, vi erano nella costituzione dell'anno VIII alcuni spiragli che lasciavano la possibilità a una evoluzione più parlamentare e non necessariamente monarchica: la forma di governo sancita inizialmente, infatti, potrebbe essere definita una sorta di Repubblica con prevalenza dell'esecutivo. È intorno a questa possibilità che si sviluppò il conflitto politico dei due anni successivi: in questo conflitto Constant, insieme ad altri membri del Tribunato – il cosiddetto “comitato dei lumi” - dette voce e argomenti alla soluzione liberal-parlamentare, che proponeva una dialettica governo-parlamento intesa soprattutto come controllo del secondo sul primo e che tuttavia rimase largamente minoritaria sia nel ceto politico, sia nell'opinione pubblica. Una delle argomentazioni che Constant sostenne al Tribunato, sulla questione della formazione delle leggi, mostra la sua concezione di un potere necessario e di altrettanti necessari strumenti di limite e di controllo:
Per esaminare [i progetti di legge] […] occore considerare l'abuso che l'autorità può farne. La supposizione che l'autorità ne abuserà è la sola che motiva l'esame. Senza tale supposizione, ogni esame sarebbe inutile. Ragionare secondo questa ipotesi non significa, peraltro, attaccare il governo15. Descrivere gli abusi che sono
possibili, non significa affatto né affermare che questi abusi avranno sicuramente luogo, né tanto meno colpevolizzare i punti di vista dei depositari del potere. Ma la libertà non si occupa di punti di vista; essa considera i mezzi. E non le basta essere rassicurata sulle intenzioni del momento; essa vuole essere rassicurata su ciò che accadrà in futuro. Ho creduto di dover fare queste osservazioni perché non mi venga rimproverata una sfiducia eccessiva. Aggiungerei del resto che una costituzione è in se stessa un atto di sfiducia, poiché prescrive dei limiti all'autorità, limiti che sarebbe inutile prescrivere, se voi supponeste l'autorità dotata di infallibile saggezza ed eterna moderazione16.
La posizione di fondo, attorno alla quale ruota tutta la riflessione di Constant, può essere riassunta in queste parole: «Non bisogna mai supporre che, in qualsivoglia circostanza, una potenza illimitata possa essere ammissibile»17. Zanfarino, non a caso,
definisce quella di Constant una vera e propria “metafisica del potere limitato”18. In
tutto questo Constant non nega che ogni governo debba avere una parte legale repressiva e coercitiva che sia in grado di obbligare, in una certa misura, i cittadini, proprio per salvaguardare il pieno esercizio di quei diritti individuali che costituiscono, non solo la finalità, ma anche il limite stesso della sfera d'azione del potere statale. Infatti se lo Stato è chiamato a eliminare l'arbitrio deve possedere la forza necessaria per farlo ed essere, in alcuni casi, esso stesso arbitrario - e in questo Constant segue il modello giusnaturalistico - ma ciò che non deve mai essere perso di vista è che questo potere statale debba essere sempre limitato materialmente e formalmente, data la sua natura secondaria e strumentale.
come se l'opposizione parlamentare al governo potesse essere classificata come un peccato di lesa maestà.
16
B. Constant, Sur le projet de loi concernant la formation de la loi (5 gennaio 1800), pp. 215-216. Citato da Hofmann, Les “Principes de politique” de Benjamin Constant, Droz, Genève, 1980.
17 Ivi, p. 113.
Constant, che aveva anche scritto direttamente a Sieyes protestando contro lo scioglimento del legislativo e sostenendo che soltanto un'assemblea elettiva poteva costituire un argine contro le pericolose ambizioni di Bonaparte, era stato nominato nel 1800 al Tribunato, l'unico ramo del parlamento dove si poteva ancora discutere e nel 1802 ne venne escluso – costretto a un esilio che durerà undici anni – senza aver ottenuto alcun risultato. Nonostante fosse stato instaurato un potere sostanzialmente monarchico, infatti, il regime aveva ugualmente un larghissimo consenso, giustificato, da una parte, dalla fama che Napoleone aveva ottenuto grazie alle vittorie militari e, dall'altra, dal fatto che il regime rispondeva alle richieste di ordine e stabilità diffuse nella società francese, mantenendo perlomeno la parvenza di conservare le conquiste della rivoluzione, quali l'uguaglianza dei cittadini, l'abolizione della feudalità e poco altro. Non furono, però, più tollerate opposizioni al governo e manifestazioni di dissenso. Fu nel 1804 che il consolato si trasformò ufficialmente in Impero con la nomina di Napoleone a Imperatore dei francesi da parte del Senato, investito tramite plebiscito. Al mutare della situazione politica, evolutasi in un vero e proprio dispotismo, mutò anche l’attività di Constant: da difensore della Rivoluzione e dei suoi principi contro la violenza e l’illegalità, imputabili alla distorta interpretazione dei suoi presunti seguaci, divenne indagatore delle cause della deriva dispotica, al fine di individuarne possibili vie di uscita. Per il “secondo” Constant la repubblica non rappresentava più un ideale etico-politico, incarnazione della libertà e dei lumi, ma diventava una forma di governo fra le altre, non necessariamente legata in modo consustanziale alla libertà, così come non lo era la monarchia al dispotismo. La nuova consapevolezza spostava la discussione dalla forma di governo ai principi generali che
ne ispirano la condotta. È dai secondi, validi per ogni forma di governo, che dipende la natura, dispotica o liberale, di uno Stato. È in questo modo che nascono i Principi di politica, il grande trattato in cui Constant intende ridefinire quei principes che avevano avviato il movimento rivoluzionario e che, sotto il consolato, sembravano sconfitti, ricomponendoli in un edificio solido e ben progettato, che avrebbe costituito le fondamenta per la struttura sovrastante, solo allora istituita con mezzi costituzionali.
Alla stagione dell'impegno militante, dunque, seguì l'esilio e la riflessione teorica; all'epoca dei pamphlets seguì quella dei traités. È in questa fase, inoltre, che frequentò il circolo di Coppet. Prima della scoperta degli inediti, si pensava che il lasso di tempo che va dal 1802 al 1813, dal punto di vista del pensiero politico fosse un periodo di silenzio; sono, invece, anni estremamente fruttuosi, perché è in questa difficile congiuntura che Constant elabora una dottrina politica e costituzionale compiuta, redigendo i Principes de politique applicables à tous les gouvernements e i Fragments sur la possibilité d'une constitution républicaine dans un grand pays. Il cambiamento occorso nella storia e nella vita di Constant nel 1802, dunque, dette l'avvio a un cambiamento di prospettiva e di approccio al problema politico.
1.3 Il gruppo di Coppet
Constant nel 1794 aveva conosciuto la baronessa de Staël (1766-1817), figlia del banchiere svizzero Necker, già ministro delle finanze sotto Luigi XVI, alla quale restò legato per quindici anni non solo in qualità di amante, ma anche in virtù di una collaborazione intellettuale e politica. Fu per la vicinanza a lei che cominciò a prendere parte a quello che fu definito, solo successivamente alla sua esistenza e mai
da coloro che ne facevano parte, “gruppo di Coppet”. Il Gruppo di Coppet contava un numero di personalità, per lo più intellettuali, raccoltisi intorno a Madame de Staël, nel periodo che va dalla Rivoluzione Francese alla Restaurazione. Benjamin Constant, Charles Victor de Bonstetten19, August Wilhelm Schlegel20 e Jean-Charles Sismonde de
Sismondi sono alcuni dei più importanti membri di questo “gruppo” che le circostanze hanno fatto incontrare a Coppet, sulle rive del Lago di Ginevra, in Svizzera. La sfida era quella di formare un centro alla periferia della Parigi napoleonica, alla cui riuscita il console cercò di porre un freno esiliando Madame de Staël e estromettendo Benjamin Constant dal Tribunato. Il Gruppo di Coppet fu, per quindici anni, fino alla morte della baronessa nel 1817, luogo di scambio di opinioni e stimolatore di idee. I soggiorni nella cittadina svizzera erano intermittenti, dato che tutti i partecipanti al gruppo viaggiavano spesso in tutta Europa. Molti pensatori, poeti e uomini di stato furono inclusi in vari modi in questa avventura intellettuale che sarebbe stata poi definita da Stendhal “gli stati generali dell'opinione europea”, da Albert Thibaudet “patria del liberalismo” e “crogiolo dello spirito liberale” da L.Jaume. Tre generazioni di intellettuali gravitavano in questa costellazione di individui attorno a Madame de 19
Scrittore svizzero (Berna 1745-Ginevra 1832). Studioso interessato a vari aspetti della cultura europea, scrisse le sue opere fino al 1803 in tedesco e poi in francese. In gioventù conobbe J.-J.Rousseau, Charles Bonnet e Voltaire; completò gli studi a Leida. Viaggiò molto attraverso l'Europa, per stabilirsi definitivamente a Ginevra. Le opere posteriori, scritte sotto l'influsso di Mme de Staël, rivelano gli elementi caratteristici del primo romanticismo.
20 Fratello maggiore di Friedrich, August Wilhelm Schlegel (Hannover 1767 - Bonn 1845) fu agli occhi dei contemporanei il promotore dell'intero romanticismo. August studiò a Gottinga teologia e filologia. Nel 1796 si trasferì a Jena con la moglie Caroline e assunse la docenza di letteratura presso l'università. La sua casa divenne presto il fervido ritrovo di quel gruppo di scrittori e poeti ventenni, fra cui Novalis, che in seguito verrà chiamato “primo romanticismo” o “circolo di Jena”. Conosciuta Madame de Staël, ne divenne amico trascorrendo 14 anni nella sua tenuta di Coppet e viaggiando con lei quale precettore dei suoi figli. A Vienna, nel 1808, tenne il famosissimo ciclo di lezioni che, pubblicato e presto tradotto nelle principali lingue europee con il titolo Sull'arte e sulla letteratura drammatica (Vorlesungen über dramatische Kunst und Literatur, 1809-11), ebbe importanza fondamentale nello svolgimento del romanticismo fuori della Germania. Dopo la morte della Staël, accettò una cattedra di letteratura e storia dell'arte offertagli dall'università di Bonn (1818) e si dedicò prevalentemente alla ricerca erudita, contribuendo a fondare la filologia romanza.
Staël, la quale aveva rapporti con personalità danesi, inglesi, tedesche, italiane e svizzere. Ciò che univa queste menti aperte e cosmopolite era, oltre a un forte interesse per la letteratura, un ancoraggio comune in una sensibilità religiosa protestante, un atteggiamento critico nei confronti dell'illuminismo e, a un livello più direttamente politico, una feroce critica degli eccessi tirannici del periodo rivoluzionario francese del 1792-1794, oltre all'opposizione, a titolo definitivo, al dispotismo di Napoleone Bonaparte. Sempre nell'ordine della filosofia politica, li univa un intenso desiderio di promuovere simultaneamente lo sviluppo della libertà individuale e di un edificio, con forti garanzie costituzionali, per proteggerla, il tutto in mezzo a un rifiuto profondo di una concezione utilitaristica dell'individuo. Tra le principali aree di interesse del Gruppo di Coppet troviamo: l'interpretazione della Rivoluzione, il teatro e la letteratura, la libertà, il liberalismo, il pensiero storico, l'eredità dell'Illuminismo, l'economia, il fenomeno religioso e l'Europa. Inoltre i contributi degli individui furono diversi, e non riducibili l'uno all'altro: il Gruppo di Coppet non sviluppò una dottrina comune ai suoi membri, non fu un club, una scuola o un partito; in questo caso la parola “gruppo” si riferisce ad una realtà complessa e non a una continuità o forte coesione ideologica. Le interpretazioni dei diversi membri del gruppo sugli eventi variavano considerevolmente: per fare un esempio mentre Jacques Necker sosteneva la monarchia costituzionale, Benjamin Constant diventava repubblicano. Sotto l'Impero, però, erano uniti nella lotta contro Napoleone e il gruppo di Coppet divenne uno dei più grandi centri di opposizione all'imperatore, che poteva contare su una vasta rete di corrispondenti. La cosa sorprendente è che non si trattò di un'istituzione in senso accademico, ma di una piccola cittadina svizzera - Coppet - situata sulle rive del Lago
di Ginevra, in cui si incontrarono, per alcuni anni e in modo intermittente, solo alcune delle migliori menti liberali del tempo.
L'incontro fra Madame de Staël e Benjamin Constant avvenne, dunque, nel 1794 in Svizzera. Di lì a poco fra i due sarebbe nata una storia sentimentale famosa e tumultuosa. Fu, invece, solo nel 1800 che anche Sismondi si unì agli incontri, ed è da quel momento che si avviò la nascita di quel qualcosa che in seguito prese l'aspetto di un “gruppo”. Il periodo d'oro del Circolo di Coppet deve essere localizzato a partire dal 1804 e soprattutto fra il 1805 e il 1807. Gli incontri avvenivano soprattutto nei saloni del palazzo della cittadina, proprietà di Necker. Per ciò che riguarda il punto di vista sulla storia delle idee liberali, i tre protagonisti di Coppet, come già accennato, si dimostrarono intellettualmente poco riducibili gli uni agli altri e i loro rispettivi contributi al liberalismo si differenziano per tono, accento e orientamento. Percorriamo velocemente i punti centrali del pensiero liberale di Madame de Staël e Jean-Charles Sismonde de Sismondi.
Germaine de Staël, “madre della dottrina” e “anima del gruppo di Coppet”, come è stata definita rispettivamente da Thibaudet e Jaume si occupò, fra le altre cose, del tema, allora popolare, della contrapposizione antichi-moderni, nell'opera dal titolo Des circonstances actuelles21, il cui intervento, però, rimase comunque lontano dalla
profondità e dal vigore discriminante che avrebbe caratterizzato l'argomentazione di Constant. Nell'opera cita l'esempio delle libertà costituzionali inglesi come modello da opporre alla deriva dispotica della rivoluzione francese, sostiene il rispetto della libertà individuale nell'esercizio di tutte le facoltà, considera la garanzia individuale la base
21 Madame de Staël, Des Circonstances actuelles qui peuvent terminer la Révolution et des principes
per ogni libertà e sostiene la necessità che le istituzioni sociali siano combinate in modo che interessi pubblici e privati si accordino in armonia. È in una riflessione su ciò che deve fondare filosoficamente e ispirare un pensiero politico della libertà, da una parte e in un impegno costante e coraggioso nella lotta politica – soprattutto nella fiera opposizione agli effetti disastrosi che ebbero sulla Francia il giacobinismo e il bonapartismo – dall'altra, che dobbiamo essenzialmente rintracciare il suo contributo allo sviluppo del liberalismo europeo. Inoltre si oppose all'utilitarismo anglosassone e al primato degli interessi, sostenne il libero arbitrio e l'indipendenza interiore dell'anima, fino a mettere la libertà individuale e la sua protezione al cuore di quella che dovrebbe essere la preoccupazione principale nel definire delle istituzioni giuste.
Jean-Charles Sismonde de Sismondi (1773-1842), nato a Ginevra e costretto a rifugiarsi in Inghilterra prima e in Italia poi a causa dell'occupazione della Svizzera da parte delle armate rivoluzionarie francesi, una volta tornato nella città natale, attorno al 1800, iniziò a frequentare i salotti di Madame de Staël, rimanendovi fedele fino alla fine. Poco dopo l'incontro, pubblicò due libri di economia: i Tableaux de l’agriculture toscane22 del 1801 e il De la richesse commerciale ou principes d’économie politique
appliqués à la législation du commerce23 del 1803, entrambi ispirati alle teorie
economiche di Adam Smith, che gli fecero guadagnare, fin dall'inizio, una reputazione di liberale in campo economico. Si ispirò sempre ad Adam Smith quando nel 1819 pubblicò i suoi Nouveaux principes d’Économie politique24. È a causa di questa
22
J.C.L Sismonde de Sismondi, Tableau de l’agriculture toscane (1801), Slatkine reprints, Genève, 1998.
23 J.C.L Sismonde de Sismondi, De la richesse commerciale ou principes d’économie politique
appliqués à la législation du commerce (1803), J.J. Paschoud, Genève, 1803.
24 J.C.L Sismonde de Sismondi, Nouveaux principes d’économie politique (1819), trad. it. a cura di P. Barucci, Nuovi principi di economia politica, ISEDI, Milano, 1975.
pubblicazione, decisiva e successiva a “Coppet”, che nasce la questione dell'inclusione di Sismondi nel pantheon liberale. In questo libro, infatti, sviluppò argomenti in chiara rottura con molti dei presupposti che definivano l'economia liberale ortodossa guidata dal principio del laissez-faire, favorevole al non intervento dello Stato. Secondo questa teoria, l'azione del singolo, nella ricerca del proprio benessere, sarebbe sufficiente a garantire anche la prosperità economica della società. Sismondi contestava proprio questa idea di un'armonia spontanea che emergerebbe dal libero gioco degli interessi privati (per lui era solo una favola che trasfigurava la realtà molto più complessa e ambigua, persino tragica, dei rapporti economici) e addirittura prendeva atto con rammarico che, di fatto, durante il regno del laissez-faire, non c'era stata vera libertà economica per tutti. Il libero mercato non armonizzava interessi che si rivelavano piuttosto contrastanti, in un contesto di forze asimmetriche. La libertà economica dei proletari (Sismondi è il primo ad utilizzare questo termine in senso moderno) sarebbe in realtà stata limitata in favore di quella dei più ricchi e più forti economicamente. Per risolvere questo problema sociale Sismondi non voleva, certo, rinunciare ai principi del libero scambio e al diritto alla proprietà privata e continuò a respingere l'idea di un intervento diretto dello Stato nell'economia. Il suo scopo era quello di garantire effettivamente la libertà e la prosperità per tutti, estendendo l'idea liberale della garanzia al di là del solo ambito politico fino alle condizioni sociali di vita dei più poveri, attraverso una legislazione che garantisse a tutti l'accesso alla migliore educazione e incoraggiasse la partecipazione dei dipendenti ai risultati aziendali (ad esempio con stipendi migliori), permettendo loro di diventare più facilmente, a loro volta, imprenditori.
Per tornare a Benjamin Constant, possiamo affermare che egli fu sicuramente uno dei principali esponenti dell'individualismo liberale. Fu sotto l'influenza di Madame de Staël che redasse i suoi primi libri: De la forme du gouvernement actuel de la France (1796) e Des réactions politiques25 (1797). Più tardi, nel 1806, era a
Coppet quando finì di scrivere la prima versione (e la più ricca) del suo grande lavoro di filosofia politica , i Principes de politique applicables à tous les gouvernements di cui si è già detto. Peraltro fu proprio Sismondi a indurre in Constant il sospetto di una possibile strumentalizzazione del principio democratico della sovranità popolare, di cui Constant tratta nella prima parte dei Principi. Sismondi, infatti, nel suo libro rimasto inedito – le Ricerche sui popoli liberi dell'antichità26 – sosteneva che un certo
modo di intendere la democrazia, in particolar modo quello teorizzato da Rousseau, portasse all'oppressione degli individui. L'opera, che Sismondi non era riuscito a pubblicare, arrivò, attraverso le mani di Madame de Staël, a Constant il quale non riuscì a trovare l'editore ma lesse il manoscritto e ne rimase colpito. In seguito a quella lettura sviluppò, insieme a Madame de Staël, l'analisi e la distinzione fra la libertà degli antichi e la libertà dei moderni e dette vita alla sua critica a Rousseau, responsabile di aver teorizzato una libertà di tipo antico, arcaica e anacronistica, del tutto inadatta al mondo moderno. Senza dubbio il libero scambio di idee fornito dalla residenza a Coppet fu una condizione di possibilità della formulazione di questa matrice di pensiero di Constant, ma, anche se la maturazione dei suoi testi filosofico-politici importanti si delineò in quel momento, essi presero il loro vero significato e la loro forma completa nel periodo “post-Coppet”.
25 B. Constant, Le reazioni politiche. Gli effetti del terrore, op. cit.
26 J.C.L. Simonde de Sismondi, Recherches sur les constitutions des peuples libres, a cura di M. Minerbi, Droz, Genève, 1965.
Madame de Staël, Benjamin Constant e Sismonde de Sismondi hanno interagito, discusso e scambiato idee a Coppet, ma ciascuno con una forte originalità che li ha visti impegnati in traiettorie intellettuali dissimili. Questa varietà rende difficile parlare di un “gruppo” anche considerando, oltre alle diversità interne, che altre menti europee contemporanee altrettanto eminenti e importanti nella storia del liberalismo non hanno partecipato alle riunioni. Il cerchio di Coppet è stato quindi piuttosto un momento, una delle numerose abitazioni attraverso il quale la filosofia liberale è emersa come una forza intellettuale di primo piano, responsabile di aver esercitato una profonda influenza nella diffusione di alcune idee. Notiamo, inoltre, che è, probabilmente, allo “spirito di Coppet” che Constant deve in parte di essere divenuto quello che era. Dei tre, è comunque, sicuramente, colui che, forse più di ogni altro dai primi anni del XIX secolo, ha contribuito di più a far prendere consistenza ideologica al liberalismo, stabilendone le fondamenta e la struttura teorica. D'altronde se vi è un concetto cardinale che ordina tutto il suo pensiero e le dà il suo senso pieno è proprio quello di indipendenza individuale. Benjamin Constant si situa, infatti, nella tradizione del giusnaturalismo moderno. Proteggere i diritti naturali, declinati come diritti individuali, ha la priorità assoluta sull'utile. Constant afferma, infatti, che la ricerca dell'utile o il puro perseguimento degli interessi individuali non costituiscono in alcun modo principi normativi per una società libera, le cui fondamenta devono essere costituite, invece, dal rispetto dei diritti naturali degli altri. Constant anticipa, inoltre, la futura perversione di tali diritti in alcuni “diritti sociali” che ne contraddicono completamente il loro carattere essenziale; una deriva causata dalla crescente intrusione dello Stato, in nome del cosiddetto “interesse generale”. Contro la
definizione di un interesse generale dispotico contrapposto agli interessi particolari e derivante dal loro annullamento, egli sostiene, come vedremo nel dettaglio più avanti, un interesse pubblico derivante dall'incontro-scontro fra i diversi interessi particolari. L'interesse generale, dunque, lungi dal poter essere considerato una volontà illuminata e lungimirante in grado di realizzare il bene comune, non sarebbe altro che l'interesse della maggioranza, il risultato empirico di dati empirici, da seguire per la necessità della pratica, ma da limitare per difendere i diritti individuali di tutti. Constant non ha negato nemmeno l'importanza della partecipazione degli individui liberi nella vita pubblica, oltre alla necessità politica di uno stato dedicato esclusivamente alla tutela della libertà individuale. Egli stesso nella sua vita ha accompagnato al sostegno del primato dell'indipendenza individuale un interesse per gli affari pubblici e per libertà politiche costituzionalmente garantite.
1.4 Gli anni della Restaurazione (1814-1830)
Fu la caduta di Napoleone a permettere a Constant di tornare sulla scena politica francese. Subito dopo la battaglia di Lipsia del 1813 pubblicò un acuto pamphlet anti-napoleonico, il De l'esprit de conquête et de l'usurpation27 che, con le sue diverse
edizioni diffuse in vari Paesi, lo rese famoso in tutta Europa come libellista liberale. Lo scopo era quello di condizionare il partito monarchico, che era sul punto di prendere il potere, cercando di vincolarlo allo schieramento liberale. Abbiamo, infatti, già sottolineato come nel passaggio dal periodo direttoriale all'età consolare l'idea di
27 B. Constant, De l'esprit de conquête et de l'usurpation (1814), trad. it. a cura di C. Dionisotti,
Constant su repubblica e monarchia fosse cambiata: al primo periodo in cui la repubblica era vista come l'ideale da raggiungere per realizzare la libertà, ne seguì uno in cui, invece, Constant cominciò a pensare che la via non fossero le forme di governo ma la definizione dei principi politici, per cui una monarchia poteva essere liberale tanto quanto una repubblica. Non a caso fin dall'inizio dell'opera Constant chiarisce che non intende mettere a confronto le diverse forme di governo, bensì le forme di governo regolari – monarchie o repubbliche che siano – e quelle irregolari, vale a dire quelle che hanno usurpato il potere. «È un usurpatore […] colui che, senza l'appoggio di un voto nazionale, s'impadronisce del potere, o che, investito d'un potere circoscritto, oltrepassa i limiti che gli sono stati prescritti»28. Si ribadisce, insomma, in
questa sede l'ormai consolidata idea del carattere ininfluente della forma di governo: per “governo regolare” si intende un governo che abbia tratto la propria legittimità dal consenso della nazione e dal rispetto dei vincoli costituzionali. Ecco perché anche la monarchia ereditaria, che si stava riaffacciando al potere con Luigi XVIII, poteva essere considerata un governo legittimo – per quanto basato su un consenso tacito e non esplicito come quello delle elezioni – da contrapporre all'usurpatore Napoleone e da conquistare alla causa della libertà. Constant giunse alla conclusione che la soluzione monarchico-costituzionale rappresentasse l'unica strada, nell'Europa della prima Restaurazione, per conciliare libertà e stabilità. Di fronte alla possibilità che si ristabilissero in tutta Europa i vecchi poteri assoluti e che la Francia sprofondasse di nuovo nell'Ancien Régime, far tornare i Borbone con la contestuale emanazione di un testo costituzionale, che ristabilisse l’ordine e garantisse l'approvazione da parte dei cittadini, sembrava, anche a Constant, tutto sommato, il miglior compromesso fra i 28 Ivi, p. 158.
vecchi regimi e le nuove conquiste. Fu in questa direzione che egli spinse impegnandosi affinché fossero garantiti i principi di libertà che la Rivoluzione tanto faticosamente aveva guadagnato ai cittadini e nelle sue Réflexions sur les constitutions et les garanties29 riformulò la propria dottrina costituzionale adattandola al nuovo
sistema monarchico. Dopo il sostegno accordato a Luigi XVIII, al quale fu appunto concesso di restaurare la monarchia borbonica con l'obbligo di emanare una costituzione scritta – la Carta del 1814 – accadde ciò che, forse più di ogni altra cosa, segnò la reputazione di Constant. Il 1º marzo 1815 Napoleone Bonaparte lasciò l'Elba e arrivo a Parigi con l'esercito, costringendo Luigi XVIII ad andarsene. Per formare il nuovo governo ed evitare l'antica reputazione di autocrate chiamò Benjamin Constant per redigere una nuova costituzione liberale da dare al Paese. Quest’ultimo, che fino a poche settimane prima aveva difeso a spada tratta il regno di Luigi XVIII e non aveva mancato di indirizzare attacchi violentissimi a Napoleone, convinto ora delle nuove intenzioni liberali dell'Imperatore e attratto dalla possibilità di ricoprire un ruolo politico di primo piano, decise di accettare la proposta di collaborazione redigendo l'Atto addizionale alle costituzioni dell'Imperatore, costituzione che fu subito ribattezzata dall'opinione pubblica parigina “la Benjamine”. Per giustificare il proprio operato scrisse i Principes de politique del 181530. Constant, comunque, fu sempre
coerente sul piano dei principi, indirizzando la sua azione verso un unico obiettivo: la realizzazione dei principi dell'89. È lui stesso a sottolineare la continuità del suo lavoro
29 B. Constant, Réflexions sur les constitutions, la distribution des pouvoirs et les garanties dans une
monarchie (1814), trad. it di L. Cirasuolo, Riflessioni sulle costituzioni e sulle garanzie, a cura di T.
Amato,Ideazione editrice, Roma, 1999.
30 B. Constant, Principes de politique applicables à tous les Gouvernements représentatifs et
particulièrement à la constitution actuelle de la France (1815), trad. it. a cura di U. Cerroni, Princìpi di politica, Editori Riuniti, Roma, 1982.
nella premessa che precede l'opera:
Spesso, nelle ricerche che vado pubblicando, si ritroveranno non soltanto le stesse idee, ma le stesse parole di miei precedenti scritti. Presto saranno venti anni che mi occupo di considerazioni politiche e ho sempre professato le stesse opinioni, formulato i medesimi voti. Allora domandavo la libertà individuale, la libertà della stampa, l'assenza di arbitrio, il rispetto per i diritti di tutti. È ciò che reclamo oggi con zelo non minore e con più grande speranza31.
Quando il regime di Napoleone, come si sa, fallì miseramente nello spazio di poco più di tre mesi, con l'epilogo della battaglia di Waterloo, Constant, con il secondo ritorno di Luigi XVIII e la nuova maggioranza parlamentare composta dagli ultras32, si
trovò in grave difficoltà per la sua collaborazione con Bonaparte e, temendo per la propria vita, decise di partire per un esilio volontario che lo portò per undici mesi a vivere fra Belgio e Inghilterra (ottobre 1815 – settembre 1816). Quando nel 1816 Luigi XVIII sciolse la camera a maggioranza ultras, che nei mesi precedenti aveva cercato di sfruttare gli strumenti del governo rappresentativo per soffocare i diritti individuali e tornare a una situazione pre-rivoluzionaria, Constant decise di far ritorno in Francia per riprendere la propria azione politica e le proprie battaglie politico-culturali. Dirigendo diversi periodici e pubblicando numerosi scritti sempre fortemente legati ai dibattiti politici, divenne gradualmente il capo riconosciuto degli Indipendenti, vale a dire i fautori della sovranità popolare, che, ispirati dai principi dell'Ottantanove, si battevano per i diritti individuali, per la libertà di stampa e per quella religiosa. Nel 1819, dopo aver pronunciato all'Athénée Royal il famoso Discorso sulla libertà degli
31 Ivi, pp.49-50.
Antichi e dei moderni33, venne eletto per la prima volta alla Camera dei deputati,
cominciando così a battersi per la libertà direttamente dai banchi parlamentari. Nel 1824 ebbe inizio la pubblicazione di un'altra sua grande opera, il De la religion34, (solo
i primi tre tomi furono pubblicati mentre Constant era ancora in vita), dove la sua predilezione per una religione interiore si accompagna ad un anticlericalismo molto liberale. Infine, quasi come un testamento intellettuale, dato che Constant scomparirà l'anno successivo, comparvero les Mélanges de littérature et de politique35 (1829), che
riunivano una serie di testi sotto il cappello di una esplicita professione di fede liberale:
Ho difeso quarant'anni lo stesso principio, la libertà in ogni cosa, nella religione, nella filosofia, nella letteratura, nell'industria, nella politica e per libertà, intendo il trionfo dell'individualità, tanto sull'autorità che vediamo governata dal dispotismo, quanto sulle masse che chiedono il diritto di asservire la minoranza alla maggioranza36.
Se Luigi XVIII sembrava disposto ad accogliere istanze liberali, con la salita al trono nel 1824 di Carlo X la monarchia prese una piega decisamente più vicina a quella che era la situazione nell'Anciem Régime. I suoi tentativi di porre sotto censura la stampa, di dissolvere il Parlamento e di restringere il suffragio causarono lo scoppio della Rivoluzione di Luglio. Carlo X fu costretto ad abbandonare Parigi, ma la monarchia sopravvisse con la salita al trono di Luigi Filippo d'Orleans, del ramo
33
B. Constant, De la Liberté des Anciens et des Modernes (1819), trad. it. a cura di G. Paoletti,
Discorso sulla libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, Einaudi, Torino, 2001.
34
B. Constant, De la religion, considérée dans sa source, ses formes et ses développements (1824-29), a cura di E. Hofmann, Actes-Sud, Arles, 1999.
35 B. Constant, Mélanges de littérature et de politique, Pichon et didier, Paris, 1829. 36 Ivi, pp. 623-624.
cadetto dei Borboni. Era il trionfo degli ideali liberali: la nuova costituzione aveva le sembianze di un vero e proprio patto fra sovrano e nazione. Constant in punto di morte – morirà di lì a poco nel dicembre 1830 – vedeva realizzati i principi liberali per cui aveva lottato per tutta una vita.
Capitolo 2
I Principi di Politica
2.1 Genesi e composizione
I Principes de politique37 furono scritti da Constant nell'arco di nove mesi, tra il 4
febbraio e il 17 ottobre del 1806 – precisione di date consentita dalle annotazioni sul lavoro che Constant ha consegnato al suo diario personale – ma in realtà «costituiscono l'esito di un'esperienza decennale, nella quale la riflessione teorica e la partecipazione alle vicende storico-politiche si sono intrecciate in modo inestricabile»38. L'ampia riflessione constantiana sul sistema dei principi si innesta,
infatti, su un intenso periodo di studio avviatosi negli ultimi anni del Direttorio, come afferma Stefano De Luca in una delle sue opere dedicate a Constant:
Come confida a Fauriel, in una lettera del 1802, egli intende scrivere un'opera elementare sulla libertà, imperniata su due direttrici fondamentali: da un lato, chiarificare quegli enunciati veri, dai quali si è spesso partiti, ma che non sono stati approfonditi fino a trarne tutte le necessarie conseguenze; dall'altro, criticare quegli enunciati acquisiti che, non essendo stati sufficientemente analizzati, non costituiscono verità rigorose39.
Questo è, effettivamente, lo schema che Constant manterrà nell'opera, invertendolo: la pars destruens, dedicata essenzialmente alla critica del concetto di autorità in Rousseau, precede la pars construens, nella quale tratta dei principi della libertà. Constant quando scrive i Principi di politica nel 1806 è consapevole del discredito 37
B. Constant, Principes de politique applicables à tous les gouvernements repràsentatifs, op. cit. 38 Ivi, p. XXXIII.
generale che ha circondato le dottrine costituzionali e scrive: «nel giro di pochi anni noi abbiamo sperimentato cinque o sei costituzioni e ci siamo trovati molto male. Nessun ragionamento può prevalere contro una simile esperienza»40. Ma ciò non
significa il discredito dei principi dell'89, bensì solo la loro errata applicazione. Tali principi, dice Constant, sono «indipendenti da ogni costituzione […], applicabili in tutti i governi […], compatibili con la monarchia come con la repubblica»41. Infatti,
come abbiamo già sottolineato, nel 1806 Constant ha abbandonato la difesa della Repubblica, in favore di una analisi del rapporto fra autorità e libertà e della definizione dei principi dell'uno e dell'altro, convinto che su di essi si fondi l'istituzione dello Stato ideale, qualunque sia la forma di governo. Anche i Fragments42
si aprono con un disincantato richiamo ai limiti dei mezzi costituzionali.
I governanti […] hanno chiaramente un interesse distinto da quello dei governati […] Il sistema rappresentativo non elimina affatto tale difficoltà. Voi scegliete un uomo per rappresentarvi, perché ha il vostro medesimo interesse; ma per effetto della vostra stessa scelta egli viene posto in una situazione diversa dalla vostra, la quale gli conferisce un interesse differente da quello che avrebbe l'incarico di rappresentare. Tale inconveniente si previene creando diverse categorie di governanti, investiti di poteri di generi differente. […] Non bisogna tuttavia farsi illusioni sull'efficacia di tali mezzi43.
I mezzi costituzionali sono efficaci soltanto se accompagnati dall'affermazione della limitazione del potere, alla cui consacrazione aveva, appunto, dedicato i Principes. In 40
B. Constant, Principi di politica, op. cit., p.19 (I.3). 41
Ivi, p.21 (I.4).
42 B. Constant, Fragments d'un ouvrage abandonné sur la possibilité d'une constitution républicaine
dans un grand pays, op. cit.
altre parole ai Principes spetta la limitazione materiale del potere, mentre ai Fragments la limitazione formale attraverso la costruzione di un adeguato apparato costituzionale.
Per quanto riguarda la composizione vera e propria dell'opera ricaviamo dalle annotazioni che Constant riportava sul diario personale che era proprio del suo metodo di lavoro accostare una fase di raccolta dei materiali e una di ordinamento. In particolare dal 4 febbraio al 3 agosto Constant si dedicò alla prima fase, cosicché ai primi di agosto tutti i capitoli dei Principes erano già apparentemente conclusi ed è l'autore stesso ad annotare sul proprio diario che l'operazione che gli rimaneva da fare, e a cui si sarebbe dedicato da quel momento in poi, era quella che definì “classificazione delle idee”44: una redazione definitiva consistente in un riordinamento,
riscrittura del testo già esistente. In realtà è anche opportuno notare che i due momenti non sono effettivamente distinti: Constant ha già in mente, fin dall’inizio dell’opera, un piano a cui sostanzialmente si atterrà, lasciando, grosso modo, nell'opera definitiva del 16 ottobre 1806 la stessa successione di argomenti che aveva stabilito nella prima fase. Quello che, in realtà, emerge è la difficoltà di conciliare i materiali, o i fatti, e l'ordine da dare loro: ecco perché Constant dà vita a due diversi piani dell'opera, uno nel settembre e uno nell'ottobre 1806. La principale differenza fra i due piani si dà nel fatto che dal piano “gerarchizzato” (secondo le parole di Kurt Kloocke) di settembre – un piano che prevedeva una divisione in Parti, Libri, Sezioni e Capitoli, corrispondente a un passaggio dal generale al particolare – si passò ad un piano “lineare” in cui sostanzialmente, rispondendo ad una logica di semplificazione e praticità, vennero
44 Cfr. G. Paoletti, Constant selon l’ordre des raisons. Structure, style et argumentation dans les
eliminati Parti e Libri mantenendo soltanto due livelli di divisione, vale a dire Libri, al posto delle Sezioni, e Capitoli. Il 16 ottobre Constant scrisse per l’ultima volta nel suo diario a proposito della redazione del trattato: la partenza per Parigi, due giorni dopo, coincise, infatti, con l’interruzione del lavoro.
L'opera che ci è giunta può essere suddivisa convenzionalmente in tre parti: nella prima (libri I-IX) Constant affronta il problema dell'estensione del potere, affermando con forza l'esigenza di limitarlo. Il principio di limitazione del potere statale, punto cardine di tutta la riflessione constantiana, viene affermato attraverso tre momenti: dapprima (libri I-II) attraverso la critica delle concezioni che, al contrario, affermano l'estensione illimitata del potere, una su tutte la dottrina rousseauiana; poi (libri III-VI) smascherando i vari pretesti usati dal potere per oltrepassare i limiti e descrivendo le forme tipiche che la trasgressione di tale principio assume (proliferazione delle leggi nelle Repubbliche, arbitrio nelle monarchie, fino a trasformarsi in vero e proprio dispotismo); infine (libri VII-IX) analizzando e difendendo i diritti individuali, quali limite, presupposto e fine dell'azione del potere. Arrivati a questo punto (corrispondente alla prima parte nel piano di settembre) Constant ha definito tanto l'autorità quanto l'individualità e può passare ad occuparsi della loro relazione in quella che consideriamo convenzionalmente la seconda parte (libri X-XIV). Essa si occupa di quella zona intermedia di cui fanno parte quelle materie che, non rientrando esclusivamente nella sfera dei diritti individuali, permettono l'intervento dello Stato, seppur ridotto ai minimi termini. Ne fanno parte: la proprietà (libro X), le imposte (libro XI), le attività economiche (libro XII), la guerra (libro XIII) e la cultura (libro XIV). Alla fine dei primi quattordici libri, dunque, Constant ha già stilato il
programma del liberalismo: limitazione dell’autorità, sacralità delle libertà individuali, riduzione al minimo dell’azione dello Stato sulle attività private. Nella terza parte (libri XV-XVIII) Constant continua ad occuparsi della relazione fra Stato e individui, questa volta a partire dal punto di vista dei secondi, prendendone in considerazione varie forme: dall'obbedienza alla resistenza, passando per la partecipazione attiva dei cittadini. È in questo contesto che rientra la trattazione della differenza fra antichi e moderni nel modo di concepire e risolvere il problema politico. Infatti quelle concezioni, prese di mira dalla critica di Constant, che in nome della libertà giustificano l'estensione illimitata del potere – una su tutte quella rousseauiana – hanno proprio come modello le democrazie antiche. In questa terza parte Constant afferma la necessità di conciliare un tipo di libertà personale e privata, tipica dei moderni, a uno di tipo politico e partecipativo, tipico degli antichi. Non si tratterebbe, dunque, né di un recupero anacronistico di una libertà antica, causa delle indesiderabili conseguenze della Rivoluzione francese, né di un'adozione assoluta di un nuovo tipo di libertà eccessivamente privatizzata che avrebbe, per motivi diversi, conseguenze altrettanto dispotiche e liberticide.
2.2 Il ruolo centrale della partecipazione
L'importanza e il ruolo centrale che Constant attribuisce alla partecipazione personale può essere innanzitutto messo in evidenza a partire da un'analisi di quello che può essere definito “registro della subjectivité”, con il quale non intendiamo altro che l’uso dei “soggetti” (logici e grammaticali) all'interno dell'opera. Da essi, infatti, emerge un'andatura prettamente dialogica, costruita spesso con una struttura fittizia di scambio
risposte-obiezioni, e con un intento esplicitamente persuasivo e didattico. Nello studio che Giovanni Paoletti ha dedicato proprio all'analisi del registro della soggettività nei Principes del 180645 si mette in evidenza la ricorrenza nell'opera di Constant dei
pronomi personali soggetto – “io” je, “noi” nous, “voi” vous ‒ e del pronome impersonale “si” on, mettendola a confronta con quella dei classici d’Ancien régime, quali Lo spirito delle leggi46 di Montesquieu e il Contratto sociale47 di Rousseau.
Dall'opera di Montesquieu emerge un uso predominante del pronome impersonale on, con accezione neutra, in funzione semplicemente assertiva o descrittiva (a differenza di quanto fanno Constant e Rousseau che utilizzano l'impersonale con funzione positiva o negativa e solo raramente neutra), indice di una concezione oggettivante del sapere. Rousseau, dal canto suo, fa un uso massiccio del pronome personale di prima persona per esprime il proprio pensiero, che, in realtà, riconosciamo spesso riportato anche attraverso l'utilizzo di altri pronomi. Quello che caratterizza l'opera di Constant, rispetto alle altre, è, invece, la presenza di voci esterne con cui l'io dell'autore dialoga, si confronta, disputa, cerca di persuadere o di smascherare, mettendo quasi in questione la definizione stessa del proprio io, che non si presenta come assoluto con una verità da divulgare, ma piuttosto come il protagonista di un percorso da seguire la cui riuscita dipenderà proprio dalla rete di scambi con gli altri soggetti. La prima persona plurale (nous) è spesso usata da Constant per designare un soggetto collettivo la cui identità può variare di volta in volta; un noi psicologico, oltre che grammaticale, a cui Constant chiede di rivivere in prima persona il cambiamento d'opinione da lui 45 Ibidem.
46 Montesquieu, L'esprit de lois (1748), trad. it. a cura di S. Cotta, Lo spirito delle leggi, UTET, Torino, 1960.
47 J.-J. Rousseau, Du contrat social: ou principes du droit politique (1762), trad. it. a cura di M. Garin, Il contratto sociale, Laterza, Bari, 1997.