Capitolo 2 I Principi di Politica
2.1 Genesi e composizione
I Principes de politique37 furono scritti da Constant nell'arco di nove mesi, tra il 4
febbraio e il 17 ottobre del 1806 – precisione di date consentita dalle annotazioni sul lavoro che Constant ha consegnato al suo diario personale – ma in realtà «costituiscono l'esito di un'esperienza decennale, nella quale la riflessione teorica e la partecipazione alle vicende storico-politiche si sono intrecciate in modo inestricabile»38. L'ampia riflessione constantiana sul sistema dei principi si innesta,
infatti, su un intenso periodo di studio avviatosi negli ultimi anni del Direttorio, come afferma Stefano De Luca in una delle sue opere dedicate a Constant:
Come confida a Fauriel, in una lettera del 1802, egli intende scrivere un'opera elementare sulla libertà, imperniata su due direttrici fondamentali: da un lato, chiarificare quegli enunciati veri, dai quali si è spesso partiti, ma che non sono stati approfonditi fino a trarne tutte le necessarie conseguenze; dall'altro, criticare quegli enunciati acquisiti che, non essendo stati sufficientemente analizzati, non costituiscono verità rigorose39.
Questo è, effettivamente, lo schema che Constant manterrà nell'opera, invertendolo: la pars destruens, dedicata essenzialmente alla critica del concetto di autorità in Rousseau, precede la pars construens, nella quale tratta dei principi della libertà. Constant quando scrive i Principi di politica nel 1806 è consapevole del discredito 37
B. Constant, Principes de politique applicables à tous les gouvernements repràsentatifs, op. cit. 38 Ivi, p. XXXIII.
generale che ha circondato le dottrine costituzionali e scrive: «nel giro di pochi anni noi abbiamo sperimentato cinque o sei costituzioni e ci siamo trovati molto male. Nessun ragionamento può prevalere contro una simile esperienza»40. Ma ciò non
significa il discredito dei principi dell'89, bensì solo la loro errata applicazione. Tali principi, dice Constant, sono «indipendenti da ogni costituzione […], applicabili in tutti i governi […], compatibili con la monarchia come con la repubblica»41. Infatti,
come abbiamo già sottolineato, nel 1806 Constant ha abbandonato la difesa della Repubblica, in favore di una analisi del rapporto fra autorità e libertà e della definizione dei principi dell'uno e dell'altro, convinto che su di essi si fondi l'istituzione dello Stato ideale, qualunque sia la forma di governo. Anche i Fragments42
si aprono con un disincantato richiamo ai limiti dei mezzi costituzionali.
I governanti […] hanno chiaramente un interesse distinto da quello dei governati […] Il sistema rappresentativo non elimina affatto tale difficoltà. Voi scegliete un uomo per rappresentarvi, perché ha il vostro medesimo interesse; ma per effetto della vostra stessa scelta egli viene posto in una situazione diversa dalla vostra, la quale gli conferisce un interesse differente da quello che avrebbe l'incarico di rappresentare. Tale inconveniente si previene creando diverse categorie di governanti, investiti di poteri di generi differente. […] Non bisogna tuttavia farsi illusioni sull'efficacia di tali mezzi43.
I mezzi costituzionali sono efficaci soltanto se accompagnati dall'affermazione della limitazione del potere, alla cui consacrazione aveva, appunto, dedicato i Principes. In 40
B. Constant, Principi di politica, op. cit., p.19 (I.3). 41
Ivi, p.21 (I.4).
42 B. Constant, Fragments d'un ouvrage abandonné sur la possibilité d'une constitution républicaine
dans un grand pays, op. cit.
altre parole ai Principes spetta la limitazione materiale del potere, mentre ai Fragments la limitazione formale attraverso la costruzione di un adeguato apparato costituzionale.
Per quanto riguarda la composizione vera e propria dell'opera ricaviamo dalle annotazioni che Constant riportava sul diario personale che era proprio del suo metodo di lavoro accostare una fase di raccolta dei materiali e una di ordinamento. In particolare dal 4 febbraio al 3 agosto Constant si dedicò alla prima fase, cosicché ai primi di agosto tutti i capitoli dei Principes erano già apparentemente conclusi ed è l'autore stesso ad annotare sul proprio diario che l'operazione che gli rimaneva da fare, e a cui si sarebbe dedicato da quel momento in poi, era quella che definì “classificazione delle idee”44: una redazione definitiva consistente in un riordinamento,
riscrittura del testo già esistente. In realtà è anche opportuno notare che i due momenti non sono effettivamente distinti: Constant ha già in mente, fin dall’inizio dell’opera, un piano a cui sostanzialmente si atterrà, lasciando, grosso modo, nell'opera definitiva del 16 ottobre 1806 la stessa successione di argomenti che aveva stabilito nella prima fase. Quello che, in realtà, emerge è la difficoltà di conciliare i materiali, o i fatti, e l'ordine da dare loro: ecco perché Constant dà vita a due diversi piani dell'opera, uno nel settembre e uno nell'ottobre 1806. La principale differenza fra i due piani si dà nel fatto che dal piano “gerarchizzato” (secondo le parole di Kurt Kloocke) di settembre – un piano che prevedeva una divisione in Parti, Libri, Sezioni e Capitoli, corrispondente a un passaggio dal generale al particolare – si passò ad un piano “lineare” in cui sostanzialmente, rispondendo ad una logica di semplificazione e praticità, vennero
44 Cfr. G. Paoletti, Constant selon l’ordre des raisons. Structure, style et argumentation dans les
eliminati Parti e Libri mantenendo soltanto due livelli di divisione, vale a dire Libri, al posto delle Sezioni, e Capitoli. Il 16 ottobre Constant scrisse per l’ultima volta nel suo diario a proposito della redazione del trattato: la partenza per Parigi, due giorni dopo, coincise, infatti, con l’interruzione del lavoro.
L'opera che ci è giunta può essere suddivisa convenzionalmente in tre parti: nella prima (libri I-IX) Constant affronta il problema dell'estensione del potere, affermando con forza l'esigenza di limitarlo. Il principio di limitazione del potere statale, punto cardine di tutta la riflessione constantiana, viene affermato attraverso tre momenti: dapprima (libri I-II) attraverso la critica delle concezioni che, al contrario, affermano l'estensione illimitata del potere, una su tutte la dottrina rousseauiana; poi (libri III-VI) smascherando i vari pretesti usati dal potere per oltrepassare i limiti e descrivendo le forme tipiche che la trasgressione di tale principio assume (proliferazione delle leggi nelle Repubbliche, arbitrio nelle monarchie, fino a trasformarsi in vero e proprio dispotismo); infine (libri VII-IX) analizzando e difendendo i diritti individuali, quali limite, presupposto e fine dell'azione del potere. Arrivati a questo punto (corrispondente alla prima parte nel piano di settembre) Constant ha definito tanto l'autorità quanto l'individualità e può passare ad occuparsi della loro relazione in quella che consideriamo convenzionalmente la seconda parte (libri X-XIV). Essa si occupa di quella zona intermedia di cui fanno parte quelle materie che, non rientrando esclusivamente nella sfera dei diritti individuali, permettono l'intervento dello Stato, seppur ridotto ai minimi termini. Ne fanno parte: la proprietà (libro X), le imposte (libro XI), le attività economiche (libro XII), la guerra (libro XIII) e la cultura (libro XIV). Alla fine dei primi quattordici libri, dunque, Constant ha già stilato il
programma del liberalismo: limitazione dell’autorità, sacralità delle libertà individuali, riduzione al minimo dell’azione dello Stato sulle attività private. Nella terza parte (libri XV-XVIII) Constant continua ad occuparsi della relazione fra Stato e individui, questa volta a partire dal punto di vista dei secondi, prendendone in considerazione varie forme: dall'obbedienza alla resistenza, passando per la partecipazione attiva dei cittadini. È in questo contesto che rientra la trattazione della differenza fra antichi e moderni nel modo di concepire e risolvere il problema politico. Infatti quelle concezioni, prese di mira dalla critica di Constant, che in nome della libertà giustificano l'estensione illimitata del potere – una su tutte quella rousseauiana – hanno proprio come modello le democrazie antiche. In questa terza parte Constant afferma la necessità di conciliare un tipo di libertà personale e privata, tipica dei moderni, a uno di tipo politico e partecipativo, tipico degli antichi. Non si tratterebbe, dunque, né di un recupero anacronistico di una libertà antica, causa delle indesiderabili conseguenze della Rivoluzione francese, né di un'adozione assoluta di un nuovo tipo di libertà eccessivamente privatizzata che avrebbe, per motivi diversi, conseguenze altrettanto dispotiche e liberticide.