Capitolo 2 I Principi di Politica
4.4 Inattualità della libertà politica e autonomia del cittadino
Constant, nel Discorso sulla libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, descrive, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, una contrapposizione effettiva fra due tipi di libertà: quella partecipativa e politica degli antichi e quella privata e personale dei moderni. Di fatto è occorso un cambiamento socio-culturale e storico- geografico che ha comportato un mutamento di prospettive e un ribaltamento delle priorità o, nelle parole di Constant, dei fini preferibili. È tenendo a mente questa considerazione che dobbiamo ragionare sull'inattualità della libertà politica. Ma, considerato che il mutamento delle priorità non significa necessariamente una sostituzione e un completo abbandono della libertà “superata” – e anzi Constant insiste proprio sulla necessità di evitare questo e di mantenere in equilibrio libertà personale e libertà politica – vale la pena interrogarsi su ciò che è effettivamente accaduto.
Non deve essere condannato il fatto – e Constant non lo fa – che gli individui moderni, a differenza degli antichi, preferiscano una libertà privata più che politica, ma 229 Ivi, p.562 (XVIII.6).
non deve mai accadere che la preferenza si trasformi in una vera e propria sostituzione della prima con la seconda. Infatti finché l'individuo moderno cercherà difesa da uno stato estraneo e paternalistico, finché attribuirà solo allo stato responsabilità e compiti da svolgere, senza comprendere che quello che si realizza nella società è, più di ogni altra cosa, la conseguenza delle sue singole azioni non c'è nessuna possibilità che giustizia e libertà possano davvero trionfare. Quello che dovrebbe essere sempre tenuto a mente è che l'azione dello stato è soltanto una parte e nemmeno la più importante, mentre ciò che conta davvero è la relazione in cui le persone si pongono rispetto ad esso. Non a caso Constant dedica la terza parte dei Principi di politica proprio ai tipi di relazione possibili fra Stato e individui, prendendo in considerazione l'obbedienza, la resistenza, il disinteresse e la partecipazione attiva, per arrivare a teorizzare, come sappiamo, un atteggiamento ideale di armonia fra indipendenza personale e partecipazione politica230. L'ideale di cittadinanza che lo Stato dovrebbe
promuovere deve andare al di là della garanzia di libertà, uguaglianza e diritti individuali. È vero che l'esperienza della Rivoluzione francese aveva puntato soprattutto su una cittadinanza individualista e che i liberali si erano concentrati su un tipo di libertà negativa ma, come ci insegna Constant, fin troppo spesso equivocato, la necessità di dare importanza ai diritti individuali non voleva e non doveva essere ottenuta togliendone alla partecipazione. L'impossibilità di prescindere da una qualche forma di libertà politica è implicita fin dall'inizio nell'adozione, da parte di Constant, di quello schema binario, di cui abbiamo parlato, e che egli ritiene inerente allo Stato sociale. Solo la conservazione e la combinazione delle due libertà può mantenere i due soggetti politici (popolo e potere) nel giusto rapporto, senza eliminare il conflitto – il 230 Cfr. ivi, libri XV-XVIII.
che indicherebbe che uno dei due ha preso il sopravvento – ma rendendo il conflitto stesso funzionale proprio al mantenimento della libertà. Gli antichi, dal canto loro, lo avevano interiorizzato, non riuscendo ad evitarne l'esito negativo: l'oppressione di uno dei due termini sull’altro. Nelle società antiche l'individuo era sovrano per le questioni pubbliche e schiavo in quelle private, come se ciascuno fosse diviso fra due “ego” di cui uno opprimeva l'altro dando vita, di fatto, a una schiavitù interna. Il prezzo da pagare per mantenere la pienezza della libertà politica si rifletteva anche all'esterno, dove era proprio la schiavitù di alcuni, costretti al lavoro, a permettere agli altri la partecipazione. Quanto ai moderni possono essere definiti vittime di un'illusione: interessati solo al godimento privato, lasciano fuori dalle loro considerazioni la questione del potere. Ma la libertà come «pacifico godimento dell'indipendenza privata» può esistere senza problemi solo in una società senza potere. Al contrario la totale disattenzione nei confronti di tale questione, in una società in cui il potere rimane necessario, favorisce un disegno di oppressione. Ecco perché la presa di posizione finale del Discorso di Constant implica una combinazione delle due libertà.
È vano pensare che la concentrazione sui godimenti privati dei moderni abbia luogo in un vuoto di potere, o al riparo inviolabile dalla formalità delle leggi. Al contrario, un potere che non si vede o non si sente è potenzialmente più incline all'arbitrio, per il fatto stesso che non conosce controllo e può sempre avvalersi di un'oppressione «decorata del nome di legge»231232.
I cittadini moderni, dunque, devono svegliarsi dall'illussione di poter essere liberi
231 Ivi, p.400 (XIV.3).
232 Introduzione a cura di G. Paoletti a B. Constant, Discorso sulla libertà degli antichi paragonata a
anche rinunciando alla propria libertà politica, la quale costituisce piuttosto la condizione logicamente necessaria di ogni libertà. La distinzione di Berlin fra due tipi di libertà incompatibile fra loro perde di significato: la “libertà negativa” non può corrispondere alla sua definizione nei termini di “assenza di ostacoli esterni all'azione” se non è accompagnata dalla “libertà positiva” che permette che effettivamente tali ostacoli non si creino. È come se la libertà politica fornisse di contenuto la definizione di libertà civile:
Senza l'esercizio della libertà politica, «il mezzo più possente e il più energico di perfezionamento che il Ciel ci abbia dato», il «godimento pacifico dell'indipendenza privata» non è solo impedito di fatto, ma diventa un concetto inconsistente, perché il soggetto, come uno schiavo volontario e contento, potrebbe illudersi sulla natura delle sue prerogativa o dei suoi godimenti, ovvero includere in essi la negazione dell'indipendenza: si otterrebbe allora una libertà definita come pacifico godimento della negazione della libertà. In questo senso si può dire che la libertà politica fornisce di un contenuto la definizione formale della libertà come libertà nelle leggi233.
Il fatto che l'individuo sia prima di tutto titolare di diritti non esclude e, anzi, implica che costui sia anche soggetto a dei doveri. I cittadini non devono avanzare pretese nei confronti dello stato pensando di essere esenti da qualsiasi dovere nei confronti della nazione. Per Constant la politica è molto più della garanzia di diritti: è un potere che richiede partecipazione, impegno, scelta e continuo controllo. D'altronde è solo in questo modo che si dà vera rappresentanza e si evita il dispotismo.
Soltanto l'elezione diretta – nelle varie sezioni elettorali – da parte del popolo può investire la rappresentanza nazionale di una vera forza e darle profonde radici nell'opinione pubblica. Non riuscirete mai a vincere o a far tacere, dentro di noi, quel sentimento che ci grida di non riconoscere come nostro rappresentante un uomo che non abbiamo nominato noi stessi. […] [Invece] È parlando sempre della nazione come un tutto indistinguibile, annientando le sue parti, intercettando ogni comunicazione tra queste ultime e i loro difensori e vedendo nei loro mandatari soltanto i rappresentanti di un essere astratto, che non ha mai un'esistenza positiva, è così che il dispotismo diventa inespugnabile nel suo rifugio234.
Lo Stato siamo noi: soltanto corrispondendo ai nostri doveri possiamo godere dei nostri diritti. Questa affermazione apre le porte a una serie di problemi. Rousseau sarebbe stato certo d'accordo, ma sappiamo che le conseguenze del suo contratto sono tutt'altro che descrivibili nei termini di una effettiva partecipazione dei singoli alla politica, oltre al fatto che i suoi “contraenti” risultano espropriati di tutti i diritti individuali. Per quanto riguarda i liberali – Constant fra questi – invece l'affermazione sembra certamente utopica, dato che lo Stato, in realtà, sono i rappresentanti, gli unici che hanno un potere effettivo di agire nella pratica. Nonostante ciò troviamo Constant in accordo con l’assunto secondo cui ogni individuo deve accompagnare alla difesa dei propri diritti una partecipazione alla cosa pubblica che lo definisca come cittadino. Dovremmo, allora, concludere che siamo di fronte a un problema di lessico. Lo Stato è la costruzione artificiale nata dalla necessità pratica di difendere i diritti naturali di ognuno dall'arbitrio altrui, composto di volta in volta dai rappresentanti scelti, il cui potere deve essere limitato e continuamente controllato dai cittadini; per società si intende, invece, la composizione di liberi individui dalle cui volontà e capacità
creativa, trae forza lo Stato. Di fatto non c'è niente di più forte per Constant dell'opinione pubblica, frutto del contributo di ogni singola particolarità, «che crea, raduna, trattiene intorno a loro [ai depositari del potere]»235, ed è impossibile da
soffocare. «Il sangue scorre, e nondimeno essa sopravvive, torna alla carica e trionfa. Più viene compressa e più è terribile. Quando non può parlare, agisce»236.
Bisogna ricordare che nel corso dell’Ottocento si confrontano due distinte concezioni dello Stato: da un lato quella “atomistica”, secondo la quale esso è l’unione, per fini utilitari, di individui che sono sostanzialmente autosufficienti, dall’altra quella “organicistica”, secondo la quale lo Stato è qualcosa di più rispetto alla somma dei singoli individui che lo compongono, è una realtà nuova che forma gli individui stessi. La prima fa capo soprattutto alle teorie liberali, la seconda ha come punto di riferimento il pensiero romantico e idealistico, ma viene ripresa, pur con significati differenti, anche da Marx e da Comte. Secondo il liberalismo l’individuo ha in sé i principi morali ed è autosufficiente sul piano della coscienza; la società però per sopravvivere necessita, su determinate questioni, dell'intervento dello Stato, in particolar modo per far convivere pacificamente le diverse volontà particolari, garantire la pace e la sicurezza personale, il rispetto dei diritti naturali e per svolgere determinate funzioni pratiche. Lo Stato, dunque, nasce unicamente per motivi di utilità comune, la sua funzione è però sussidiaria rispetto a quella della società civile, cioè deve riguardare solo quei compiti ai quali i cittadini non possono provvedere. Per il resto la società civile è preminente e la sfera individuale deve essere lasciata alla libera azione di ogni cittadino. La limitazione dei poteri dello Stato non contraddice, dunque,
235 Ivi, p.537 (XVIII.3). 236 Ibidem.
il sostegno della partecipazione politica e dell’iniziativa personale, anche nell'ambito della cosa pubblica.
Se per la concezione liberale la società civile è preesistente allo Stato ed è più importante dello Stato; sull'altro versante c'è Hegel per il quale la società è da considerare come momento preparatorio dello Stato, il quale ne costituisce l’inveramento, la realtà effettiva. La società civile, al contrario dell'eticità universale dello Stato, manca di un polo di aggregazione che ne faccia una totalità. La sua caratteristica principale è appunto la frammentarietà, la distinzione e il conflitto tra interessi contrapposti che vengono superati non con l’integrazione e la partecipazione dei singoli ma con l’accordo contrattuale che mantiene gli individui isolati, senza l’identificazione in valori comuni. Il fondamento di questa diversa concezione è il sistema hegeliano nel suo insieme, nel quale il rapporto dialettico tra il particolare e l’universale è pensato nei termini di una netta superiorità del secondo, all'interno del quale soltanto le realtà parziali possono trovare un’esistenza effettiva. Per Hegel la razionalità delle istituzioni deriva da quella dello Spirito del popolo e non da un rapporto esteriore che si stabilirebbe sulla base di un contratto. Lo Stato è, dunque, il riflesso di un’unità profonda che si costruisce nella dimensione storica, come ragione immanente. La nozione di “Popolo” si fonda nell’idealismo hegeliano su quella di “Spirito”, intesa come dimensione collettiva alla quale il singolo appartiene. Identificandosi con questa dimensione collettiva l’individuo supera i propri limiti, si scopre parte di un processo infinito ed eterno e diviene egli stesso momento dell’infinito o dell’Assoluto. In questo senso la nazione è la vera dimensione dell’individuo, l’ambito in cui il singolo può effettivamente realizzarsi. Proprio per
questo, però, la nazione è superiore all’individuo, che risulta subordinato ad essa. La celebre frase «ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale»237 afferma la
razionalità dello Stato. Come l’intero rappresenta la verità delle singole parti, poiché ne costituisce la razionalità («Il vero è l’intero»238), così lo Stato rappresenta la realtà
dell’individuo, che solo in esso si realizza nella propria dimensione universale. Lo Stato è la dimensione etica dell’individuo, che interiorizza i valori comuni e fa di essi la propria coscienza morale. Quindi, mentre il liberalismo affermava l’indipendenza dell’ambito morale da quello politico, Hegel vede nel secondo la realizzazione del primo.
Lontano da una concezione hegeliana dello Stato, Constant insiste sulla necessità di realizzare una società che sia armonia degli interessi privati. Tale armonia deve essere il risultato dell’incontro-scontro degli interessi particolari, che autonomamente si mescolano nelle questioni pubbliche, per le quali ognuno si rende partecipe e offre il proprio contributo. Lontano dall’idea di uno stato che impone una volontà superiore, datrice di senso, per Constant il senso arriva dal basso, dalla somma-differenza delle singolarità. Deve, dunque, essere in ogni caso promossa la partecipazione dei singoli individui, l'interesse non solo a rivendicare la libertà civile ma anche a conservare quella politica, unica garanzia possibile per il cittadino, unico mezzo per mantenere la priorità della società sullo Stato. Deve esserci in questo senso un comune impegno da parte tanto dei singoli individui quanto del governo istituito, dato che, come dice Constant:
237 G.W.F. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts (1820), trad. it. a cura di G. Marini,
Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Bari, 1999, p.15.
238 G.W.F. Hegel, Phänomenologie des Geistes (1807), trad. it. a cura di G. Garelli, La fenomenologia
Vi è sempre uno spirito pubblico, vale a dire una volontà pubblica. Gli uomini non possono mai essere indifferenti alla loro sorte o disinteressati ai loro destini. Ma quando il governo agisce in senso inverso rispetto alla volontà del popolo, quest'ultimo si stanca di esprimersi e poiché non si può, nemmeno con il terrore, obbligare un'intera nazione a mentire alla sua coscienza, si dice che lo spirito pubblico dorme, mentre si è sempre pronti a schiacciarlo, per paura che si possa sospettare che si è svegliato239.
Ma, allo stesso tempo, afferma:
Quando una costituzione abusiva o una lunga abitudine conferiscono ai governanti o ad alcuni ceti una serie di privilegi oppressivi o l'uso dell'arbitrio, l'errore non è né dei governanti, né di questi ceti, ma della nazione che ha tollerato ciò che non doveva essere ammesso. Chi approfitta di una facoltà che ha trovato stabilita – facoltà che la società gli aveva concesso pacificamente – non è colpevole. Il popolo può riprendere i suoi diritti, perché i suoi diritti sono imprescrittibili; può togliere al governo una prerogativa ingiusta e privare un ceto di un privilegio oppressivo. Ma non deve punire né l'uno né l'altro. Il popolo ha perso il diritto di esigere un'indennità o di esercitare una vendetta per un danno al quale sembrava essersi rassegnato240.
Ancora una volta al centro dell'argomentazione constantiana c'è l'individuo. Lo Stato è certamente responsabile dei propri errori e ha dei doveri a cui rispondere, ma là dove sconfini oltre i limiti prescritti e si trasformi da garanzia in potere arbitrario il popolo ha il diritto-dovere di reagire e riprendersi i propri diritti imprescrittibili. Se ciò non avviene nessuno più del popolo che ha scelto liberamente la servitù può essere indicato come colpevole. È vero che, come dice D'Arcais:
239 Si tratta di una nota di un passo dei PDP (p.545 XVIII.4) contenuta nelle Addictions. 240 Ivi, p.550 (XVIII.5).
Una democrazia liberale deve prendersi cura nella quotidianità del governo di approssimare l'ideale di uno spazio pubblico simmetrico, dove nell'azione fra liberi e eguali (e relativa decisione) si realizzi la promessa della comune cittadinanza. Laddove tale promessa venga elusa nel concreto svolgersi della vita politica, e la sfera pubblica venga progressivamente e di fatto sottratta al cittadino (persino nelle forme di una delega che scolora a finzione), il tasso di conformismo esistente non farà che accrescersi a dismisura. L'impossibilità dell'azione fomenta l'atomizzazione, la massificazione, la rassegnazione. La conseguente perdita di significato spinge a consolazioni compensatorie, a rifugiarsi nella sfera privata, a disprezzare tutto ciò che è politico come 'cosa loro', segnata da stigmate indelebili di malaffare e menzogna. I politici ci vanno a nozze perché questo ulteriore e volontario sottrarsi del cittadino non fa che consolidare il loro potere autoreferenziale di casta241.
Si tratta di un circolo vizioso: la cittadinanza sottratta produce nuova sottrazione di cittadinanza. Un cittadino che non trova uno spazio pubblico in cui poter partecipare e far contare la propria azione e il proprio contributo è un cittadino che ricercherà “appartenenze surrogate”, parziali e private che conteranno più dei comuni valori di libertà. Ma nessuno può salvare l'individuo da questo circolo vizioso se non lui stesso: è l'unico che può far valere i propri diritti, mentre chi ha assunto il potere, come Constant lucidamente afferma, assume degli interessi “di casta” che sono molto lontani da quelli del cittadino. Ecco perché è dovere di ognuno, in vista della possibilità di veder rispettati i propri diritti, tenere in gran conto la libertà politica che gli permetterà di limitare il potere dei governanti e di mantenere sul loro operato un controllo costante.
Quello che Constant incoraggia nei suoi lettori è una autonoma realizzazione di sé, che includa lo sviluppo delle proprie facoltà intellettuali. Per far ciò, ancora una 241 P.F. D'Arcais, Hannah Arendt. Esistenza e libertà, autenticità e politica, Fazi, Roma, 2006.
volta, è necessaria la libertà politica: se, infatti, i governanti traggono gran beneficio dall'avere cittadini occupati nei piaceri, al contrario ostacoleranno l'accrescimento delle loro facoltà intellettuali, che costituirebbero «una potenza rivale rispetto alla propria». Segue che:
Se si colloca la felicità dei governati nei godimenti puramente fisici, allora – dice Constant – è possibile affermare, con una qualche ragione, che l'interesse dei governanti, soprattutto nelle grandi società moderne, non è quasi mai quello di turbare i governati nei loro godimenti. Ma se si colloca la felicità dei governati più in alto, cioè nello sviluppo delle loro facoltà intellettuali, l'interesse della maggior parte dei governi sarà quello di fermare questo sviluppo242.
Ora Constant non ha dubbi sul fatto che l'individuo per la sua stessa natura sia votato a una felicità superiore a quella dei semplici godimenti e per questo sostiene:
È proprio vero che la felicità, di qualsiasi tipo sia, costituisca l'unico fine della specie umana? In tal caso, il nostro cammino sarebbe davvero ristretto e la nostra destinazione ben poco elevata. Non c'è uno solo tra noi che, a voler abbassarsi, restringere le sue facoltà morali, svilire i suoi desideri, sconfessare l'attività, la gloria, le emozioni generose e profonde, non potrebbe abbrutirsi ed esser felice. No, Signori, chiamo a testimone la parte migliore della nostra natura, quella nobile inquietudine che ci perseguita e ci tormenta, la brama di ampliare i nostri lumi e sviluppare le nostre facoltà; non è alla sola felicità, è al perfezionamento che il nostro destino ci chiama; e la libertà politica è il mezzo più possente e il più energico di perfezionamento che il Cielo ci abbia dato243.
Gli individui, allora, devono e possono tutelarsi e tutelare la loro capacità di 242 B. Constant, Principi di politica, op. cit., p.514 (XVII.3).
miglioramento soltanto mantenendo la libertà politica che, dunque, diventa comprensibilmente «il mezzo più possente e il più energico di perfezionamento che il Cielo ci abbia dato».
I vantaggi della conservazione della libertà politica, uno su tutti il facile mantenimento dell'ordine pubblico, Constant li trova realizzati in Inghilterra, di cui dice:
La sicurezza di tutti è affidata alla ragione e all'interesse di ciascuno; e questa moltitudine sentendosi depositaria dell'ordine pubblico e della sua stessa sicurezza, veglia con scrupolo su di essi244.
È in questo modo che deve essere garantita non solo la sicurezza ma i diritti in generale, non da uno Stato straniero e paternalistico, bensì facendo in modo che ogni