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Capitolo 2 I Principi di Politica

4.1 Il pericolo del conformismo

Per Stato assoluto si intende uno stato rappresentato unicamente dal sovrano – che sia uno, un'assemblea, o tutto il popolo – che è “absolutus”, vale a dire “sciolto da”, libero da qualsiasi ingerenza o condizionamento che provenga dall'esterno. Per liberalismo si intende, invece, da dizionario: «Atteggiamento etico-politico che riconosce all’individuo un valore autonomo e tende a limitare l’azione statale in base a una costante distinzione di pubblico e di privato»152. Liberalismo, dunque, significa partire

dall'individuo, dai suoi diritti e dalle sue libertà ma, aggiungerei, senza fermarsi ad esso e alla sua sfera privata. Le libertà che vengono reclamate e che pongono dei limiti all'azione statale non sono e non devono essere solo di carattere privato, ma devono essere usate anche e soprattutto in una chiave di partecipazione alla cosa pubblica con l'intenzione di dare il proprio personale e irripetibile contributo. Favorire il “tu” rispetto a un “noi” generico e impersonale significa dare vita ad uno Stato che si formi e si fondi proprio sul pluralismo, sulla diversità e la particolarità di ognuno. Perché in fondo si dà una correlazione imprescindibile fra uno Stato che riconosce l'autonomia e l'irripetibilità del tu, con i suoi diritti e libertà – in altre parole uno Stato liberale – e uno Stato in cui gli individui sono allo stesso tempo cittadini che chiedono di

152 Cfr. Liberalismo, in Enciclopedia Treccani, edizione online www.treccani.it/enciclopedia/liberalismo.

partecipare e partecipano attivamente alla cosa pubblica. Il che non significa che uno Stato liberale debba essere anche necessariamente democratico, il che renderebbe prive di significato tutte le argomentazioni di quei liberali conservatori che rifiutano la democrazia e ne sottolineano i rischi, o per meglio dire, non in qualunque senso della democrazia.

Se per democrazia si intende un governo per il popolo che miri all'uguaglianza e al livellamento delle differenze, allora, questa si configurerà in modo antitetico rispetto al liberalismo che, invece, come sappiamo, mira all'espansione della personalità individuale. In altri termini, se l'uguaglianza a cui mira la democrazia diviene, piuttosto, conformismo, allora, essa costituirà una minaccia per la libertà e si esporrà al rischio della tirannia. La critica che un liberale come Tocqueville rivolge alla democrazia è, dunque, limitata alla sua tendenza a livellare gli individui e a produrre uomini “de-socializzati”, indifferenti, miranti solo al possesso, ai valori effimeri e al presunto benessere individuale che si esige sia uguale per tutti. Individui del genere delegheranno tutto alla gerarchia governativa, gestendo solo i loro piccoli affari, e si ritroveranno annientati non dalle punizioni, come avviene nei totalitarismi, bensì dalla persuasione e dalla massificazione, ma con lo stesso risultato. Se, invece, con il termine democrazia indichiamo più semplicemente un governo che si occupi di preservare la libertà politica e di tutelare e invitare i cittadini alla partecipazione, allora la democrazia può essere definita la naturale prosecuzione degli ideali del liberalismo. Infatti là dove l'individuo cessi di essere cittadino allora un sovrano assoluto, a cui nessuno più fa resistenza, ha già preso la guida dello Stato e un “noi” universale, una decisione proveniente dall'alto e una legge eteronoma hanno già schiacciato ogni

possibilità di affermazione personale. Non è un caso che Constant, proprio nel capitolo dei Principi di politica dedicato alla confutazione dell'idea di uniformità, insista sulla necessità di mantenere un forte collegamento fra i singoli cittadini e lo Stato, affinché i primi si sentano parte attiva dello Stato di cui sono membri. Insiste, inoltre, sulla necessità che le assemblee rappresentative siano composte dal basso e mai da un corpo elettorale unico, per far sì che il potere dell'assemblea sia limitato, non corrotto e effettivamente rappresentante degli interessi particolari delle singole sezioni e non di un interesse generale scaturito da uno spirito di corpo, del tutto estraneo e lontano dall'opinione pubblica.

Io voglio che il rappresentante di una sezione dello Stato sia l'organo di quella sezione, che non abbandoni nessuno dei suoi diritti reali o immaginari se non dopo averli difesi, che sia parziale nei confronti della sezione di cui è il mandatario, perché se ciascuno è parziale nei confronti dei propri mandatari, la parzialità di ognuno, unificata e conciliata, avrà i vantaggi dell'imparzialità di tutti153.

Questo atteggiamento è il risultato della considerazione in cui Constant tiene la volontà generale: un atteggiamento critico rispetto all'idea esagerata che ne aveva Rousseau e dalla quale scaturiva un potere assoluto, non potendo trovare nelle volontà particolari dei singoli un limite legittimo. Al contrario per Constant il vantaggio di uno Stato, lungi dall'essere il risultato della soppressione delle volontà particolare, è direttamente proporzionale alla sua incentivazione. Uno Stato deve avere le sue radici nell'opinione pubblica e deve improntare ogni parte

della sua natura al federalismo.

La direzione degli affari di tutti – dice Constant – appartiene a tutti, cioè al governo che tutti hanno istituito; ciò che interessa soltanto una parte della popolazione dev'essere deciso da quella parte; e ciò che riguarda soltanto l'individuo deve essere sottoposto esclusivamente all'individuo. Non si ripeterà mai abbastanza che la volontà generale, quando esce dalla sfera di sua competenza, non presenta alcuna superiorità rispetto alla volontà particolare154.

Affermare la singolarità non può mai voler dire affermare l'individuo esclusivamente nei suoi godimenti e possessi privati o nel suo ambito familiare, perché ciò significherebbe tralasciare un aspetto, quale quello politico e della libertà in quest'ambito, di importanza essenziale. L'individuo liberale è quello che richiede libertà privata e pubblica, per non lasciare aperta la possibilità a qualsiasi potere, anche assoluto e usurpatore, di instaurarsi legittimamente e altrettanto legittimamente privarlo della libertà personale. Quel che deve essere tenuto sempre a mente è che la libertà politica è garanzia della libertà privata. Il microcosmo personale è in tutto e per tutto determinato e condizionato dalle decisioni prese a livello generale per la cosa pubblica. Occuparsene è il primo passo per essere liberi. Del resto:

Coloro che vogliono sacrificare la libertà politica – dice Constant – per godere più tranquillamente della libertà civile non sono meno insensati di coloro che vogliono sacrificare la libertà civile nella speranza di assicurare ed estendere maggiormente la libertà politica. I secondi sacrificano il fine ai mezzi; i primi rinunciano ai mezzi, con il pretesto di raggiungere il fine155.

154 Ivi, p.428 (XV.3). 155 Ivi, p.510 (XVII.3).

È in questo modo che Constant teorizza la combinazione dei due tipi di libertà. Nascondersi dietro l'ostacolo della rappresentanza è una soluzione inefficace: l'impossibilità di partecipare direttamente non significa l'impossibilità di poter cambiare le cose e dare il proprio contributo. Lo Stato, del resto, è il risultato empirico del contributo dei cittadini; uno Stato in crisi, immobile, incapace di azione è uno Stato in cui l'opinione pubblica è morta, in cui i cittadini hanno smesso di essere tali. «L’opinione pubblica è la vita degli Stati. Quando l’opinione pubblica non si rinnova gli Stati deperiscono e vanno in rovina»156. Gli assertori del primato della politica

hanno, in questo senso, un grande vantaggio rispetto ai liberali. Costoro si aspettano dalla politica la soluzione ai loro problemi e le attribuiscono ogni colpa delle mancate o cattive soluzioni. La politica è il deus ex machina che tutti invocano. Ma gli eventi, lungi dall'essere sempre il prodotto di decisioni politiche, sono molto più spesso il risultato, spontaneo e imprevisto, del reciproco “adattamento” fra i comportamenti di milioni di persone, fra milioni di azioni diverse ispirate da altrettanti menti singole. Ricorrere alla volontà degli Dei o a quella dei potenti della Terra, vale a dire i politici, per giustificare gli eventi è un facile mezzo per liberarsi da ogni responsabilità sui fatti passati e da ogni compito e incombenza per quelli futuri. Al contrario Constant sostiene che «ogni società deve riappropriarsi da sola dei suoi diritti negati, se è degna di possederli»157 e là dove tardi a farlo e conceda «ad alcuni ceti una seria di privilegi

oppressivi o l’uso dell’arbitrio, l’errore non è né dei governanti, né di questi ceti, ma della nazione che ha tollerato ciò che non doveva essere ammesso»158.

La politica in fondo non è altro che il campo d'azione in cui si scontrano e si 156

Ivi, p.147 (VII.4). 157 Ivi, p.369 (XIII.2). 158 Ivi, p.550 (XVIII.5).

incontrano le opinioni di ognuno e deve continuare ad essere questo anche nell'epoca in cui le dimensioni degli Stati moderni impongono la rappresentanza. È vero che si deve fare di una moltitudine un popolo, ma questo non deve avvenire al prezzo della pluralità dei singoli, ma proprio a partire dal rispetto dell'imprescindibile contributo di ognuno nella sua singolarità; altrimenti il conformismo assumerà necessariamente le vesti del totalitarismo e, allora, a cosa servirà aver formato un popolo? Il potere di un tiranno si addice perfettamente a una moltitudine senza necessità di trasformazione. Quello che serve e che è richiesto, o che dovrebbe essere richiesto, da un popolo è un rappresentante; in questo caso il corpo politico si dà in unione di volta in volta sotto un'opinione diversa, che è quella predominante nelle varie circostanze, e proprio perché il pensiero che di volta in volta si impone non è altro che il risultato empirico di una maggioranza temporanea esso dovrà essere sostituito regolarmente. Se invece facciamo di quell'opinione unificatrice un dogma, una verità universale, un principio a priori tradiamo la natura stessa del popolo che è fatto di una serie di individui differenti che possono e vogliono realizzare se stessi seguendo strade e interessi diversi.

Questi ragionamenti – afferma Constant – si basano su un’idea molto esagerata dell’interesse generale, del fine generale, della legislazione generale, insomma di tutte le cose alle quali si applica questo aggettivo. Ma che cos’è l’interesse generale se non la transazione che si opera tra tutti gli interessi particolari? Che cos’è la rappresentanza generale se non la rappresentanza di tutti gli interessi parziali che devono transigere sulle materie che sono loro comuni? L’interesse generale è indubbiamente distinto dagli interessi particolari: ma non è affatto contrario a essi. Ci si esprime sempre come se l’interesse generale guadagnasse dalle perdite degli interessi particolari: ma esso non è che il risultato di questi interessi combinati e ne differisce come un corpo differisce dagli elementi che lo

compongono. Gli interessi individuali sono ciò che più interessa gli individui. Gli interessi ‘sezionali’, per servirmi dell’espressione inventata per biasimarli,sono ciò che più interessa le sezioni locali. Ma sono proprio gli individui e le sezioni che compongono il corpo politico. Di conseguenza sono gli interessi di questi individui e di queste sezioni che devono essere protetti. Se li si protegge tutti, si escluderà da ognuno di essi quel che contiene di nocivo per gli altri e soltanto in tal modo potrà scaturire il vero interesse pubblico. Quest'ultimo non è altro che l'insieme degli interessi individuali posti nella condizione di non nuocersi reciprocamente159.

Imporre un'unica verità significa tradire la politica che è campo d'azione di forze differenti e mortificare la singolarità di ognuno, nonché la sua capacità creativa e innovativa160. Questo è il motivo per cui ogni conformismo deve essere evitato,

favorendo sempre la scelta personale.

Si è pensato – dice Constant – che affinché il popolo fosse tutto era necessario che gli individui non fossero niente […]. Non c'è niente di più assurdo. Il popolo è ricco di ciò che possiedono i suoi membri, è libero della loro libertà e non guadagna nulla dai loro sacrifici. I sacrifici degli individui sono a volte necessari, ma non sono mai un guadagno positivo né per loro stessi, né per la loro collettività161.

Si tratta di evitare il pericolo della totalità di cui, per esempio, ha parlato Levinas, il quale ha riconosciuto in questo la causa dei processi sfociati, nel '900, nel nazismo162.

159

Ivi, p.432 (XV.4).

160 Cfr, H. Arendt, Vita activa (1958), trad. it. a cura di S. Finzi, Bompiani, Milano, 2003. La sua insistenza sull'importanza di una politica concepita come campo d'azione dei singoli, la sua denuncia del pericolo del conformismo, sono filo conduttore di molte delle sue opere. Proprio in Vita activa Arendt cita Constant, testimonianza del fatto che l'autrice lo conosceva e apprezzava.

161 B. Constant, Principi di politica, op. cit., p. 504 (XVII.1).

162 Cfr. E. Levinas, Quelques réflexions sur la philosophie de l'hitlérisme (1934), trad. it. a cura di A. Cavaletti S. Chiodi, Alcune riflessioni sulla filosofia dell'hitlerismo, Quodlibet, Macerata, 2012.

Imporre un ideale universale – che sia quello riconosciuto da un gruppo o partito influente o quello che si ritiene sia tale razionalmente – che tolga ogni differenza è estremamente pericoloso. Nell'opera Totalità e infinito163 la totalità nasce per opera

della ragione che si distacca dal mondo e si impone su di esso come sovrano: lo ricostruisce razionalizzandolo, lo riassorbe, si appropria del mondo così come viene pensato. L'identico ha assorbito l'altro e, in virtù del raggiungimento della totalità, o potremmo anche dire conformità, tutto sembra essere giustificato perché le stesse regole del gioco sono stabilite al suo interno e quindi definite in base alle sue esigenze. Persino la storia viene riassorbita, non può porre più dei limiti, non può più essere fonte di meditazione, non c'è più un passato irreversibile di cui temere le conseguenze. Anche in questo caso la libertà ha il suo ruolo perché in fondo la totalità si è formata proprio per mezzo di un grande atto di libertà rispetto al mondo, alla storia, e a qualunque cosa altra. Ma di che libertà si tratta? Potremmo dire che si tratta della libertà semplicemente negativa, vale a dire intesa come assenza di impedimenti. Ma anche la libertà difesa dai liberali che, per definizione, si configura come libertà negativa, in realtà un impedimento ce l'ha, nel rispetto dell'altro. È stato il liberalismo, del resto, a contribuire a definire la concezione moderna di società intesa come somma ed espressione delle varietà e singolarità umane. Ciò da cui ci si deve guardare, dunque, è la totalità o conformismo che dir si voglia, da ogni aspirazione a generalizzare, a raccogliere sotto principi universali a priori o volontà generali che si presumono infallibili. Niente può mai valere il sacrificio della libertà personale, l'azione attiva di ognuno per conseguire e conservare i diritti civili e per garantirsi,

163 E. Levinas, Totalité e Infini. Essai sur l’extériorité (1961), trad. it. a cura di A. Dell'Asta, Totalità e

attraverso la partecipazione alla cosa pubblica, le condizioni perché ciò possa avvenire. Chi può avere libertà di parola, stampa, azione, istruzione se non gli è concesso dallo Stato? Ma cos'è lo Stato se non la somma dei cittadini che lo compongono? Nessuno più di ognuno di noi deve darsi la possibilità di essere libero di realizzarsi e perfezionarsi agendo e lavorando personalmente per la creazione di uno Stato in cui il riconoscimento di tali diritti e libertà sia alla base della norme che lo regolano. Del resto, checché se ne dica libertà negativa e positiva lungi dall'essere incompatibili, si implicano e si rafforzano l'un l'altra. Le libertà civili sono condizione necessaria per l'esercizio della libertà politica e la libertà politica è condizione necessaria per il conseguimento e la conservazione dei diritti civili.

In linea con l'importanza che deve essere riconosciuta e attribuita alla singolarità possiamo aggiungere che la morale stessa deve essere il frutto di un percorso autonomo e personale. È vero che una comunità si fonda e si mantiene solo a partire da una serie di valori e giudizi comuni, ma ad essere comune, in una società che parte dal rispetto del “tu”, deve essere solo ciò che deriva dalla decisione di tutti, dal voto di ognuno, dall'incontro-scontro dell'opinione dei singoli e non qualcosa di imposto dall'esterno, che sia dal governo, dalla chiesa o da qualsiasi altro gruppo influente. Il “senso” devono essere gli uomini stessi a crearlo e a darselo nella loro autonomia di consapevoli padroni della norma. Infatti Constant sostiene:

Un'assoluta uniformità è in molte circostanze contraria alla natura degli uomini e delle cose. È evidente che parti differenti di un medesimo popolo – poste in situazioni diverse, educate secondo costumi differenti, residenti in luoghi dissimili – non possono essere ricondotte a forme, usi, pratiche, leggi assolutamente uguali

senza fare ricorso a una violenza che costa loro molto più di quanto possa giovare164.

La morale, la legge, le istituzioni stesse165 sono sempre il risultato di uno scontro fra le

idee, i punti di vista dei diversi membri dello stesso popolo che, per il fatto stesso di condividere le medesime condizioni geografiche, sociali, culturali, linguistiche e così via, possono pervenire ad un comune accordo.

La mente umana è troppo illuminata per lasciarsi governare ancora dalla forza o dall'astuzia, ma non lo è abbastanza per governarsi solo con la ragione. Ha bisogno di qualcosa che sia al tempo stesso più ragionevole della forza e meno astratto della ragione. Da qui il bisogno di convenzioni legali, vale a dire di una sorta di ragione comune e concordata, il prodotto medio di tutte le ragioni individuali, più imperfetta di quella di qualcuno, ma più perfetta di quella di molti altri166.

In questo senso la politica è il luogo dell'autentica libertà dell'individuo: è l'unico ambito dove ognuno di noi può contribuire personalmente e del tutto liberamente a creare qualcosa di nuovo. Certo sono brevi e particolari i momenti in cui dalla partecipazione di ognuno scaturisce qualcosa di veramente nuovo, ma quello che deve essere tenuto costantemente presente come principio imprescindibile è che tutti i cittadini devono rimanere individui critici, agenti e creativi.

La caratteristica fondamentale e esclusiva dell'uomo, come molti hanno

164 B. Constant, Principi di politica, op. cit., p.425 (XV.3).

165 Cfr. B. Constant, La perfettibilità della specie umana, in Breve storia sull'uguaglianza e altri

scritti sulla storia, a cura di G.Paoletti, Edizioni ETS, Pisa, 2013, dove scrive che 'le istituzioni alla

loro origine non sono nient'altro che delle opinioni messe in pratica' p.125. 166 Ivi, p.126.

sostenuto, è la sua possibilità di perfezionarsi; detto in altri termini l'uomo è l'essere del dover-essere, colui che può, e anzi deve, crearsi, per così dire, una seconda natura. Constant argomenta questi tesi nel suo saggio La perfettibilità della specie umana167.

Egli ritiene che le impressioni ricevute dall'uomo siano di due tipi: da una parte le sensazioni propriamente dette, «passeggere, isolate, che lasciano la sola traccia della loro esistenza nella modificazione fisica che producono sui nostri organi» e le idee, dall'altra, che si formano dalla combinazione delle prime e sono «suscettibili di legame e durata»168. Se le sensazioni, per la loro connaturale fuggevolezza, non possono in

nessun modo costituirsi come proprietà dell'uomo, le idee, al contrario, «si conservano nella parte pensante del nostro essere e, associandosi e riproducendosi, costituiscono per l'uomo una proprietà sicura»169. Dunque se fossimo guidati dalle sensazioni non

potremmo sperare in nessun tipo di perfezionamento ma, poiché siamo guidati dalle idee che, per loro natura sono soggette a miglioramento, tale perfezionamento è assicurato.

Anche qualora le idee attuali fossero false, porterebbero in sé un germe di combinazioni sempre nuove di rettifiche più o meno rapide, ma infallibili, e di miglioramento ininterrotto. […] Non stiamo ripetendo l'adagio arcinoto secondo cui l'uomo deve affrancarsi dalla tirannia dei sensi e condursi con i lumi della ragione; noi cerchiamo ciò che l'uomo fa, senza occuparci di ciò che dovrebbe fare. […] Anche l'esame più superficiale basterà per convincerci che l'uomo si governa interamente ed esclusivamente tramite le idee e che […] esiste nella natura umana una disposizione che le dà perpetuamente la forza di sacrificare il presente al futuro e, di conseguenza, la sensazione all'idea170.

167

B. Constant, La perfettibilità della specie umana, op. cit. 168

Cfr. ivi, p.115. 169 Ibidem. 170 Ivi, p.116.

Se ne conclude la possibilità per la specie umana di un'indipendenza morale, completa e illimitata, grazie alla naturale tendenza dell'uomo a sacrificare le sensazioni alle idee