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Capitolo 2 I Principi di Politica

2.4 Libertà pre-liberali e liberalismo

Il problema di tutta la vicenda politico-culturale di Constant è stato trapiantare istituti di libertà sul terreno francese e difenderli dagli attacchi che provenivano dai “profeti del passato” (i contro-rivoluzionari) e dagli “apostoli del futuro” (gli ultra- rivoluzionari). Tanto contro gli uni quanto contro gli altri Constant sostiene il principio della limitazione del potere, attraverso il riconoscimento di una sfera intangibile di libertà individuali. Ma Constant è bravo nel cogliere il nuovo scenario determinato dalla Rivoluzione francese, la cui principale novità consiste nella genesi convulsiva della democrazia e nei rischi che questa comporta. Ed infatti Constant dedica pochissima attenzione ai “profeti del passato”, cioè ai pensatori che guardano con nostalgia al pre-1789, insomma ai controrivoluzionari come Maistre o Bonald, mentre si occupa degli “apostoli del futuro”, cioè di quei pensatori che, sulla scorta di Rousseau o Molé, immaginano un regime che strumentalizza il principio della sovranità popolare per imporre il dominio di un’élite (giacobinismo) o di un uomo (bonapartismo). Ecco perché insiste nel sostenere che la sovranità appartiene al popolo ma non è illimitata: «la sua giurisdizione finisce là dove inizia l'indipendenza dell'esistenza individuale»71. In questo modo Constant fissa il paradigma di quello che,

d'ora in poi, sarà chiamato liberalismo: stabilisce attorno all'individuo una sorta di cerchio magico, nel quale né lo Stato, né la legislazione sono più autorizzati a penetrare. In altre parole Constant fissa una garanzia contro lo Stato che nessuno prima 71 B. Constant, Principi di politica, op. cit., p.37 (II.1).

di lui aveva considerato necessaria, vuoi perché nell'antichità e nel Medioevo lo Stato, inteso in senso moderno, non esisteva o era ancora troppo debole per poter attentare alla libertà, vuoi perché, fino ad allora, proprio lo Stato e la legge ne erano considerati i maggiori garanti.

Le concezioni della libertà a lui precedenti, ricordiamo Machiavelli, Locke, Montesquieu, Hobbes e Rousseau, possono essere, infatti, tutte definite, pur nella loro diversità, pre-liberali, termine con il quale si indica la mancanza, nelle loro formulazioni del concetto di libertà, di una definizione di uno spazio di diritti inviolabili dell'individuo. Per Machiavelli, che è un repubblicano, la libertà è garantita dalla legge, significa indipendenza dalla volontà altrui e sicurezza personale, per cui è la legge che rende l'individuo libero difendendone vita, beni e onore non dallo Stato ma da qualunque altro soggetto. Il governo della legge è il principio fondamentale del vivere politico e civile e nei suoi testi ad essere libera è la Repubblica o i soggetti politici, non individuali, ma intesi collettivamente72. Per Locke libertà è «essere liberi

dalla costrizione e dalla violenza altrui» e ritiene che ciò non possa darsi

ove non c'è legge e non consiste affatto, come ci dicono, in una libertà per ognuno di fare ciò che gli piace: chi potrebbe essere libero, infatti, ove chiunque potesse capricciosamente dominare su di lui? La libertà, invece, consiste nella possibilità per chiunque di disporre e organizzare, come gli piace, se stesso, le proprie azioni, i propri beni e tutto ciò che gli spetta, ma nei limiti delle leggi cui sottostà73.

Per Locke sottostare alla legge non significa essere soggetti alla arbitraria volontà

72 Cfr. M. Barberis, Libertà,Il Mulino, Bologna, 1999.

73 J. .Locke, Two Treatises of Government, trad. it. a cura di B. Casalini, Due trattati sul governo, Plus, Pisa 2007.

altrui, ma significa seguire liberamente la propria volontà la quale, tendendo alla sicurezza personale e sapendo che essa si realizza per mezzo della regolamentazione, è libera proprio sottostando alle leggi74. Anche Montesquieu, su cui ritorneremo in

maniera più estesa, ritiene che «la libertà è il diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono»75, motivo per cui considera la monarchia, poiché dotata di leggi

fondamentali e di corpi intermedi, la miglior forma di governo. Per lui la libertà civile non è la libertà personale, bensì sicurezza, vale a dire libertà rispetto agli altri; così come la libertà politica non è partecipazione ma divisione dei poteri, vale a dire libertà in rapporto alla costituzione.

Per quanto riguarda Hobbes, invece, nonostante le numerose differenze, c'è qualcosa che lo avvicina a Constant, e che accomuna entrambi anche ai cosiddetti utilitaristi (Hume e Bentham fra gli altri)76: il fatto di considerare la libertà come

assenza di leggi. Partiamo intanto dal tenere in considerazione il fatto che tanto le dottrine utilitaristiche quanto quelle di Hobbes e Constant svincolano l'antica associazione fra libertà e democrazia: Hobbes aveva sacrificato la libertà politica in nome di quello che per lui era un bene superiore, vale a dire la sicurezza di sé; Constant dimostra che democrazia, in molti casi, non significa affatto libertà; gli utilitaristi ne approfittano, diciamo così, per sostituire al perseguimento della libertà il perseguimento dell'utile. Nonostante Constant critichi fortemente, negli stessi Principi di politica, la sostituzione dell'utile ai diritti dell'individuo77, bisogna riconoscere

un'idea comune ai due autori: che la legge e lo Stato siano necessari affinché venga

74

Cfr. M. Barberis, Libertà, op. cit. 75

Montesquieu, Lo spirito delle leggi, op. cit., vol. I, p. 292.

76 Cfr. M. Barberis, Libertà, op. cit.

garantita la sicurezza degli individui ma che, essendo la libertà assenza di leggi, la garanzia della sicurezza richieda un'inevitabile perdita in termini di libertà. La legge diventa il male necessario. Bentham scrive:

La libertà non è niente di più e niente di meno che l'assenza di coercizione. […] L'idea di libertà è puramente negativa. Non si tratta di un prodotto della legge, ma di qualcosa che esiste senza la legge e non per mezzo suo. […] Ciò che viene tanto magnificato come l'inarrivabile, l'ineguagliabile prodotto della legge, non è la libertà, ma la sicurezza […]78.

e altrove aggiunge

Non si può fare una legge senza che questa restringa la libertà. La legge può essere un male necessario, ma ad ogni modo sarà sempre un male. Fare una legge è fare un male a cui può seguire un bene79.

Allo stesso modo la pensa Constant tanto per quanto riguarda lo Stato, quanto per quanto riguarda le leggi. Egli ritiene, infatti, che l'unico potere legittimo sia quello che deriva dalla volontà di tutti, ma non dimentica che non appena bisogna procedere all'organizzazione pratica dell'autorità sociale, emergerà la necessità di delegare il potere nelle mani di pochi. La rappresentanza, dunque, è un male necessario alla pratica che, in quanto tale, deve essere accettato riducendone il più possibile gli inconvenienti attraverso la limitazione del potere e delle competenze. La stessa valutazione spetta alla maggioranza: poiché la società deve pronunciarsi bisogna affidarsi al miglior processo decisionale possibile e si dovrà necessariamente concludere che l'ingiustizia graverà su un numero minore di individui là dove si lasci la decisione nelle mani del “gruppo” più numeroso, vale a dire là dove si riconosca il 78 La lettera è citata in D.G. Long, Bentham on Liberty, Toronto University Press, Toronto 1977, p.54. 79 J. Bentham, Of Laws in General, a cura di H.L.A. Hart, Athlone, London 1970, p.54.

diritto della maggioranza. Del resto, come riconosce Constant: «bisogna rassegnarsi all'inconveniente che deriva dalla natura delle cose, ma al quale la natura stessa pone rimedio» e «ciò che la natura oppone agli errori della maggioranza è la circoscrizione dei suoi diritti entro limiti ben precisi80». Per quanto riguarda le leggi esse devono

essere limitate allo stretto necessario. A differenza delle concezioni repubblicane o pre- liberali per le quali la libertà può essere garantita solo dalle leggi e gli individui sono liberi nello Stato e non dallo Stato, Constant ritiene che per autentica libertà debba intendersi l'assenza di leggi. La riduzione che si applica alla libertà per mano delle legge è un inconveniente che deve essere accettato in vista della sicurezza personale e della possibilità di una pacifica convivenza in società. Le leggi, dunque, possono essere proibitive ma mai coercitive, devono limitarsi a regolamentare gli ambiti della vita di ognuno che possono intaccare la sicurezza e i diritti altrui, senza mai sconfinare in ciò che deve rimanere di competenza personale. Gli individui devono essere protetti dagli altri per mezzo delle leggi, ma devono allo stesso modo essere protetti da un'eccessiva proliferazione di queste e dal pericolo di un eccessivo potenziamento dello Stato. Per questo motivo, come vedremo, Constant critica la concezione della libertà di Montesquieu, definita nei termini di ciò che è permesso dalla legge, ma che finisce per eliminare ogni tipo di libertà, mancando la definizione di un limite di ciò che le leggi abbiano il diritto di vietare. Il grave effetto della proliferazione delle leggi è indicato da Constant nell' «inconveniente di falsare la moralità individuale»81. Infatti

finché l'autorità rispetta le proprie competenze, limitandosi a punire le azioni dannose e a garantire l'esecuzione di impegni contratti dagli individui, allora non si crea alcuna

80 B. Constant, Principi di politica, op. cit., p.40 (II.2). 81 Ivi, p.83 (IV.2).

discrepanza fra la morale legislativa e quella naturale, cosa che avviene, invece, quando l'autorità oltrepassa i propri limiti punendo azioni non criminali e ordinando cose non obbligatorie. In questo caso si creano due specie di crimini e due specie di doveri: quelli che sono tali per natura e quelli che l'autorità dichiara tali. Per comprendere meglio questa affermazione possiamo fare riferimento a un passo delle Addictions in cui Constant discute della natura delle leggi:

La legge è stata definita 'espressione della volontà generale'. Ma – dice Constant – si tratta di una definizione profondamente errata. Le leggi sono la dichiarazione delle relazioni che si stabiliscono fra gli uomini. Dal momento in cui esiste la società, tra gli uomini si stabiliscono una serie di relazioni che sono conformi alla loro natura, perché altrimenti non si stabilirebbero. Le leggi non sono altro che queste relazioni osservate ed espresse. […] Le leggi sono la dichiarazione di un fatto: esse non creano, non determinano, non istituiscono niente, se non delle forme per garantire ciò che esisteva prima della loro istituzione. […] La legge non è a disposizione del legislatore. […] Il legislatore è per l'ordine sociale ciò che il fisico è per l'ordine naturale. Newton stesso non ha fatto che osservare la natura e dichiarare le leggi che aveva individuato o credeva di aver individuato. Non si immaginava certo di essere il creatore di quelle leggi82.

La legge deve attenersi alla morale naturale. C'è, anche in questo caso, la difesa dell’autonomia dei singoli nella formazione di una propria morale, un proprio senso di giustizia, di bene, il che è fondamentale affinché il dovere rimanga un sentimento personale. Gli incoraggiamenti alla morale da parte dell'autorità hanno, infatti, l'effetto pericoloso di aggiungere un motivo di interesse ai motivi naturali che conducono l'uomo alla virtù. Constant, del resto, è convinto che:

l'incoraggiamento dell'autorità, per via legale, alla morale, alla benevolenza e alla bontà è molto meno necessario di quanto si pensi. Una volta che la società ha impedito ai suoi membri di nuocersi reciprocamente, essi troveranno molti motivi per stabilire rapporti di mutua collaborazione83.

Lo stesso pericolo si nasconde nel ricorso all'onnipotenza di Dio per promettere punizioni o ricompense: il dovere non deve avere altra motivazioni che il dovere, non deve piegarsi di fronte al potere o all'interesse84. Una legge eccessivamente estesa

produrrà cittadini obbedienti o ribelli, il che sarà ugualmente disastroso. Nel primo caso la morale diventerà incerta e volubile perché non si giudicherà più il giusto e l'ingiusto sulla base del bene o del male che un azione produce, ma solo sulla base di ciò che la legge promuove o proibisce. Nel secondo caso il fatto di opporsi a leggi che non considera necessarie porterà il cittadino al rischio di non distinguere più legge e natura e lo abituerà alla disobbedienza. I sostenitori dei governi popolari difendono la proliferazione delle leggi indicandone il vantaggio nel fatto che «è meglio obbedire alle leggi che agli uomini e che dev'essere la legge a comandare, affinché gli uomini non comandino», ma non si può certo dimenticare che sono gli uomini a fare le leggi, quelli stessi uomini di cui si dice che sarebbe meglio obbedissero; per cui o si ricorre a un legislatore divino – come è costretto a fare Rousseau – o si deve riconoscere la necessità di limitare la legge, piuttosto che sostenerne un'obbedienza indiscriminata. Constant, infatti, riconoscendo che coloro che fanno le leggi potrebbero usarle come strumenti per affermare il proprio interesse personale, stabilisce la necessità di un controllo critico, rispetto alla fonte e al contenuto, delle leggi emanate.

83 Ivi, p.406 (XIV.5). 84 Cfr. ivi XIV.5.

L'obbedienza alla legge – dice Constant – è senza dubbio un dovere: ma questo dovere non è assoluto bensì relativo. Esso si fonda sulla supposizione che la legge nasca dalla sua fonte naturale e rimanga entro i suoi limiti legittimi. […] La dottrina dell'obbedienza illimitata alla legge è stata la causa del maggior numero di mali rispetto a tutti gli altri errori che hanno fuorviato gli uomini. Le più esecrabili passioni si sono trincerate dietro questa forma in apparenza impassibile e imparziale per abbandonarsi a tutti gli eccessi. […] È quindi necessario mettere dei limiti a questo preteso dovere di obbedienza85.

Per quanto riguarda Hobbes egli ha saputo distinguere la libertà – il fare ciò che si vuole – dalla garanzia della sicurezza di sé, ha compreso che per ottenere la seconda era necessario sacrificare la prima, ma non ha colto la possibilità di limitare gli inconvenienti che ne sarebbero derivati attraverso la limitazione del potere a cui si era delegato il compito di occuparsi di quella sicurezza. Il cittadino del Leviatano aliena ogni diritto sociale a vantaggio del sovrano che, da quel momento, diventa non il suo rappresentante ma il suo sostituto, il quale, potendo ogni cosa e in modo illimitato, può certo anche eliminare quella sicurezza personale in nome della quale era stata sacrificata la libertà. Non c'è niente di sicuro in uno Stato in cui i cittadini non mantengono il controllo sull'autorità sociale. A partire dal punto comune secondo cui la libertà è assenza di leggi, ma ci si deve rassegnare ad una sua limitazione affinché lo Stato possa proteggere ogni individuo da ogni altro, Constant si distingue da Hobbes per il fatto che aggiunge alla difesa dagli altri individui la difesa dallo Stato, del quale, dunque, viene necessariamente limitata l'autorità. In Constant si dà quell'equilibrio fondamentale fra libertà politica e libertà individuale, la cui importanza non è colta abbastanza dagli autori pre-liberali.

Se per Hobbes e Constant il punto di partenza è la libertà naturale dell'uomo, che si configura come “il diritto a tutto” nel contrattualista Hobbes, e come un insieme di diritti originari, precedenti a qualunque società, e dunque inalienabili, per il giusnaturalista Constant, non vale altrettanto per Rousseau. Partire dalla libertà naturale significa pensare il corpo sociale e la legge come una costruzione artificiale a cui è necessario subordinarsi per un’esigenza di convivenza, ma che inevitabilmente altera la libertà dell'uomo. Per Rousseau, invece, le istituzioni politiche non fanno altro che istituzionalizzare quelle leggi naturali e razionali che l'uomo già da sempre segue, il che si traduce in una coincidenza fra libertà e obbedienza alla legge. Ecco perché si parla in Rousseau di libertà come autonomia, concezione che lo accomuna a Kant. La teoria di Rousseau nasce da una compresenza di elementi ripresi dal contrattualismo di matrice hobbesiana e dall'idea repubblicana di una libertà garantita da leggi: ipotizza un contratto sociale che leghi ogni cittadino ad ogni altro e in cui ognuno partecipi alla legislazione, liberando così “i contraenti” dalla dipendenza personale e facendo di ognuno il legislatore di se stesso. Comprenderemo meglio Rousseau e la sua concezione della libertà alla luce dell'analisi della sua concezione della volontà generale. Emerge, però, già in maniera evidente che nella teoria di Rousseau non c'era certo spazio per fissare una garanzia contro lo Stato. Per lui la garanzia contro il governo si esauriva nel carattere popolare di questo:

Ciascun individuo, contrattando, per così dire, con se stesso, si trova impegnato sotto un duplice rapporto: come membro del sovrano verso i privati, come membro dello Stato verso il sovrano. [...] Il Sovrano, per il solo fatto di essere, è sempre tutto ciò che deve essere86.

Per Rousseau, dunque, la libertà non è altro che «l'obbedienza alla legge che ci siamo prescritti»87: obbedendo alle leggi cui io stesso ho acconsentito in quanto membro del

Sovrano, non obbedisco ad altri che a me stesso, dunque sono libero. Egli ritiene necessario

distinguere con cura la libertà naturale, che trova un limite solo nelle forze dell'individuo [dalla] libertà morale che sola rende l'uomo veramente padrone di sé; infatti l'impulso del solo appetito è schiavitù e l'obbedienza alla legge che ci siamo prescritti è libertà88.

Constant criticherà le derive dispotiche di questa concezione della libertà che ha reso possibile la strumentalizzazione del principio democratico, permettendo tanto ai giacobini quanto a Bonaparte di far passare i propri interessi sotto il nome di quella volontà generale a cui ogni cittadino aveva sacrificato i propri diritti e le proprie libertà particolari. Le derive dispotiche della concezione rousseauiana, che vengono denunciate da Constant, emergono già nelle parole dell'autore che di colui che potrebbe rifiutarsi di obbedire dice: «si forzerà a essere libero»89, il che ci appare di per

sé una contraddizione in termini.

Le concezioni pre-liberali della libertà erano sostanzialmente accomunate dall'idea secondo cui la libertà fosse garantita dalla legge, senza comprendere che la vera libertà è assenza di restrizioni, libera affermazione di sé, indipendenza nella sfera personale e che la legge e lo Stato sono il prezzo da pagare affinché possa essere garantita la sicurezza e la sopravvivenza. La legge è paradossalmente ciò che tutela la

87

Ivi, p.365 (I.8). 88 Ibidem. 89 Ivi, p.27 (I.7).

libertà limitandola. È fondamentale non confondere la libertà politica che è la garanzia di difesa contro qualsiasi governo usurpatore, ma non prescrive niente della libertà individuale, da quest'ultima che consiste, piuttosto, nella facoltà di fare o non fare qualcosa senza che l'autorità possa legittimamente impedirlo90. In questo consiste il

fondamentale passo avanti di Constant rispetto a Montesquieu, nonché ciò che lo accomuna, pur fra le molteplici differenze, a Hobbes. Oltre a superare Montesquieu, Constant anticipa anche molte di quelle che saranno le affermazioni di Tocqueville, tanto che è definito da Todorov, come si è detto, l'anello mancante fra i due.