Capitolo 2 I Principi di Politica
2.3 Cambiamenti nella ricezione del pensiero politico di Constant
Come sappiamo i Principes, lasciati inediti da Constant, furono riscoperti solo negli anni '60 del '900. Questa riscoperta spostò il fulcro del pensiero constantiano dalla Restaurazione al Consolato e ai primi anni dell'Impero, cioè in un contesto storico- politico e biografico di segno quasi opposto. La fase decisiva, per la maturazione del pensiero constantiano, non cadeva infatti nel periodo in cui la Francia tornava a darsi, sia pure sotto il velo del legittimismo monarchico, istituzioni liberal-parlamentari, bensì nella fase in cui tali istituzioni, dopo la stentata esistenza condotta sotto il Direttorio, venivano spazzate via dal dispotismo napoleonico. Quanto alla vicenda personale di Constant non si trattava più degli anni in cui, in seguito alla sconfitta dell'Imperatore, egli poteva rientrare liberamente sulla scena pubblica, bensì degli anni in cui era stato costretto ad allontanarsene suo malgrado, a causa del crescente dispotismo del Primo Console. «Le soluzioni politiche e costituzionali teorizzate da Constant non sono il riflesso o la celebrazione di una vittoria sul dispotismo napoleonico, ma piuttosto il manifesto per una battaglia ancora da combattere e che nel 1806 era difficile persino immaginare»62 dice Stefano De Luca nell'introduzione alla
sua traduzione dei Principi di Politica del 1806. Ecco che cambia anche la luce sotto cui guardare alla formazione del pensiero politico di Constant: il suo liberalismo non doveva necessariamente essere collegato alla sua attività di deputato e di giornalista durante la Restaurazione; era, invece, proprio sotto il dispotismo, in un periodo in cui, costretto ad allontanarsi dalla Francia, non svolgeva alcuna funzione pubblica, che lo aveva sviluppato. Ma ricordiamo che lo stesso Constant avverte: «Dopo l'inestimabile vantaggio di essere cittadini di uno stato libero, la condizione forse più dolce è quella 62 Ivi, p. XXXI.
di essere gli interpreti coraggiosi di una nazione asservita ma illuminata»63.
Con le scoperte del 1961, inoltre, si inserivano nella biografia di Constant due grandi opere sistematiche che permettevano di ricomporre in un unico insieme coerentemente articolato quella serie di frammenti che si trovavano sparsi nelle opere successive. Espulso dal Tribunato, costretto ad una sorta di esilio nella natia Svizzera, Constant si trovò – a soli 35 anni – con un brillante passato alle spalle e nessuna prospettiva di fronte a sé. Si dedicò allora alla stesura di quell’opera complessiva sui principi di politica che aveva sempre annunciato nei pamphlets del periodo direttoriale, ma alla quale non si era potuto dedicare perché l’urgenza della lotta politica non lo permetteva. Durante il Direttorio c’era sempre un’elezione incombente (si votava una volta all’anno), nella quale la sopravvivenza della repubblica o della libertà era in pericolo a causa dei controrivoluzionari o dei giacobini; c’era sempre un argomento sul quale intervenire e in questo contesto Constant aveva incarnato il prototipo dell’intellettuale militante, che interveniva a caldo sulle questioni politiche urgenti, cercando sempre di raccordare i principi alle circostanze. La sua non era una riflessione accademica o dottrinaria: del resto i pamphlets contengono importanti riflessioni politiche, ma mai di tipo sistematico. Negli anni dell’esilio (cioè dal 1802 in poi), alla luce del terremoto rivoluzionario e dei suoi esiti inaspettati, Constant poté, invece, dedicarsi proprio a quella riflessione sistematica, sui principi della politica, che mancava alle sue pubblicazioni.
Gli originali del 1806 fanno percepire meglio le tracce dell'importante mutazione avvenuta nel pensiero del loro autore: il passaggio dalla difesa della Repubblica all'indifferenza verso ogni forma di governo. Il fatto che li scriva quando l'Impero 63 Ivi, p.561 (XVIII.6).
napoleonico sembra già essersi installato durevolmente, lo pone di fronte al problema di riflettere sul modo in cui la libertà, promessa nel 1789, si era trasformata dapprima nella tirannia giacobina e poi in un dispotismo di nuovo genere. L'idea che era emersa era che la forma di governo non potesse essere da sola garanzia di libertà, per la quale invece si rendeva necessaria l'affermazione di principi immutabili. La scoperta dei Principi di politica del 1806 non ha permesso, allora, solo una migliore conoscenza del pensiero di Constant ma è anche testimonianza del primo tentativo di ripensare la teoria liberale dopo la forte accelerazione storica impressa al pensiero politico dalla Rivoluzione francese. È il “mistero” del 1789, di questa rivoluzione fatta per conquistare i diritti di libertà e che diede luogo dapprima alla dittatura giacobina, cioè alla prima dittatura assembleare della storia (con il connesso fenomeno del Terrore), e infine al cesarismo napoleonico (annunciando in tal modo le nuove forme di dispotismo del XX secolo). Le nuove forme di dispotismo, inoltre, aprivano un nuovo tipo di problema: la loro novità, che le rendeva più pericolose di quelle ante-1789, era il richiamo strumentale alla sovranità popolare. Tanto i giacobini, che si autoproclamavano interpreti autentici della volontà del popolo, quanto Bonaparte, con i suoi plebisciti, facevano appello al consenso, principio nuovo che non aveva fatto parte dell’Ancien Régime. Constant aveva vissuto in prima persona questo cambiamento, che aveva alterato completamente il problema politico, e aveva compreso che era necessaria una nuova riflessione sistematica alla luce di questa “accelerazione” che aveva improvvisamente “invecchiato” le riflessioni di Rousseau e di Montesquieu (ossia, dei massimi pensatori politici del Settecento). Quello che Constant tiene a dire è che il consenso popolare non poteva essere considerato in
nessun modo garanzia di libertà. Non a caso i suoi Principi di politica vengono considerati, come dice Todorov, l'anello mancante, tanto dal punto di vista del contenuto quanto della complessità teorica, fra lo Spirito delle leggi64 di Montesquieu e
Il contratto sociale65 di Rousseau da una parte e La democrazia in America66 di
Tocqueville dall'altra.
Durante l'esilio si dedicò, quindi, alla stesura di questo grande trattato, che doveva avere una parte dedicata ai principi politici e una parte dedicata ai mezzi costituzionali. Lo terminò nel 1803, ma i riferimenti antinapoleonici non gli permisero di pubblicarlo. Tre anni dopo, però, nel 1806, pensò di estrarre dal suo trattato del 1803 un’operetta polemica, utilizzandone alcune parti, che costituisse una riposta a un pamphlet controrivoluzionario, apparso in quel periodo, di un certo conte Molé67. Ma
quello che doveva essere solo un “estratto” nell’arco di nove mesi era diventato un grande trattato autonomo, articolato in 18 libri, 131 capitoli, più una serie di corpose “aggiunte”. Si trattava di un’opera sistematica, nella quale Constant affrontava tutti gli snodi della teoria politica: il problema della sovranità, il rapporto tra autorità e libertà, i diritti civili e politici, le tematiche economiche e fiscali (a cui viene dedicata un’attenzione senza precedenti, nel pensiero politico), nonché la differenza tra la libertà degli antichi e quella dei moderni, che nel 1819 Constant si limitò a riprendere nella sua opera più nota, il Discorso sulla libertà degli antichi paragonata a quella dei
64 Montesquieu, Lo spirito delle leggi,op. cit. 65 J.-J. Rousseau, Il contratto sociale, op cit.
66 A.de Tocqueville, De la démocratie en Amérique (1840), trad. it. di A. Vivanti Salmon, La
democrazia in America, a cura di C. Vivanti, Einaudi, Torino, 2006.
67
Il conte Louis-Mathieu Molé (Parigi,1781 - 1855) è stato un politico francese. Fu ministro della Giustizia durante il Primo Impero, ministro della Marina e delle Colonie durante la Restaurazione, ministro degli Esteri e presidente del Consiglio (1836-1837) durante la Monarchia di Luglio.
moderni68. Ma anche nell’ottobre del 1806, ad opera conclusa, Constant decise di non
attirare nuovamente su di sé le ire di Bonaparte e i Principi di politica rimasero nel cassetto per un secolo e mezzo. L’opera, infatti, rimase inedita anche dopo l’uscita di scena di Napoleone: Constant si limitò ad attingere da essa traendone le parti di cui necessitava, e pubblicandole sotto forma di saggio, per rispondere e argomentare sulle questioni politiche che di volta in volta erano più urgenti e importanti. A lui non interessava allora scrivere l’opera sistematica, ma occuparsi delle questioni che le circostanze sottoponevano all'attenzione. La pubblicazione di semplici “opere di circostanza”, però, per quanto acute e brillanti, se gli avevano fatto guadagnare il titolo di maggior teorico liberale, non bastavano per quello di grande pensatore, titolo che, per un certo pregiudizio, spettava solo agli autori di opere sistematiche. Ma, in realtà, le grandi opere sistematiche c’erano – un trattato di filosofia politica, per l’appunto i Principi di politica del 1806, e l’altro di dottrina costituzionale i Frammenti del 1803 – i quali costituivano compiutamente il pensiero politico di Constant nelle sue due parti essenziali (principi e mezzi) e dai quali attinse tutto ciò che pubblicò dal 1814 al 1830. Ecco perché alla scoperta dell'opera sistematica rimasta inedita si è accompagnata una rivalutazione dell'ora “grande pensatore” Constant.
Egli è stato a lungo “vittima” di molti pregiudizi. È stato vittima di un pregiudizio personale legato alla sua vita irrequieta, soprattutto al voltafaccia con Napoleone: ricordiamo che quando l’Imperatore gli offrì la possibilità di scrivere la nuova costituzione dell’Impero, permettendogli di garantire le libertà civili e politiche, Constant “cedette”, accettando l’incarico offertogli da Bonaparte. Ma questo episodio gli costò la reputazione. Egli non cedette certo di una virgola sul piano dei principi, 68 B. Constant, Discorso sulla libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, op. cit.
elaborando una costituzione (di cui i Principi di politica del 1815 rappresentano un commento) pienamente liberale. Ma il suo atteggiamento risultò poco chiaro e poco coerente all'opinione pubblica che, pochi mesi prima, lo aveva visto sferrare, in Conquista e usurpazione69, un attacco durissimo a Napoleone, paragonandolo ad Attila
e facendone l’incarnazione del moderno “despota”. È stato, poi, vittima del pregiudizio testual-concettualista, dovuto alla mancanza della grande opera sistematica e, infine, di un pregiudizio storiografico, in quanto protagonista di fasi storiche che a lungo sono state considerate minori, di passaggio (il Direttorio e l’età della Restaurazione). Proprio a partire dalla riscoperta della grande opera di Constant molti di questi pregiudizi hanno potuto essere facilmente abbattuti: innanzitutto quello che viene definito il “voltafaccia” può essere sicuramente giustificato dall'entusiasmo che Constant riponeva nell'affermazione dei principi di libertà dell'89 e a cui, infatti, era rimasto fedele anche nella costituzione redatta per Napoleone; per quanto riguarda il pregiudizio storiografico è ovvio che, lungi dall'essere epoche secondarie, durante il Direttorio e la Restaurazione si verificarono avvenimenti fondamentali per la comprensione del pericolo della democrazia là dove venga strumentalizzata, per la comprensione dell'importanza della libertà individuale ma anche della partecipazione politica, per evitare che sotto il nome di volontà popolare venga fatto passare un effettivo dispotismo. È dall'analisi del periodo che va dal Direttorio alla Restaurazione che Constant ha potuto comprendere perché una Rivoluzione partita con lo scopo di affermare la libertà sia sfociata nel Terrore prima e nell'Impero napoleonico poi; ed è, dunque, sempre partendo da qui che si può comprendere l'esigenza di limitare il potere, anche quello definito popolare o democratico, per salvaguardare sempre la 69 B. Constant, Conquista e usurpazione, op. cit.
libertà. Per quanto riguarda poi il pregiudizio testual-concettualista che riguardava proprio la mancanza di un'opera sistematica nella bibliografia constantiana, è ovvio che la riscoperta dei Principes è già di per sé una smentita del suddetto pregiudizio. Riviste poi le letture distorte che dell'opera sono state fatte dai marxisti, da Berlin, Todorov e altri, è giusto che Constant conquisti semplicemente il posto che gli spetta: quello di un grande classico del pensiero politico. L'accusa dei marxisti al liberalismo constantiano consisteva nella constatazione che la teoria liberale eliminasse il conflitto popolo-potere in favore di una visione individualistica della società civile pagata però, secondo la critica, al prezzo dell'oppressione di una parte ad opera dell'altra. Al contrario lo schema di fondo al quale Constant si attiene costantemente è proprio uno schema di tipo binario, basato sull'opposizione di due soggetti politici, il popolo da una parte e i depositari del potere dall'altra. Il primo deve essere tutelato e il secondo limitato, ma la giusta relazione fra i due elementi non è altro che una modalità del conflitto per così dire contenuto e stabilizzato, non cancellato. Niente a che vedere con la teoria di Hobbes secondo cui il conflitto sarebbe piuttosto un elemento pre-sociale da eliminare per dar vita allo Stato. Fra le letture distorte di Constant va contata anche quella che ne fa Berlin nel suo saggio Two concept of liberty, nel quale distingue tra una libertà negativa, quella dei moderni, intesa come libertà personale da qualcosa, ovvero dalle costrizioni statali, e una libertà positiva, quella degli antichi, intesa come padronanza di se stessi e realizzatasi, quindi, nella partecipazione politica. Berlin fa di Constant un sostenitore assoluto della libertà negativa quando, in realtà, quello che sostiene il liberale svizzero è la necessità di una compresenza dei due tipi di libertà: la libertà politica – quella degli antichi – è condizione necessaria e garanzia della libertà
civile – quella dei moderni. Il godimento dell'indipendenza privata, se non è accompagnato dalla libertà politica, diventa, infatti, un concetto inconsistente, un'illusione. Basta pensare al Leviatano70 di Hobbes per accorgersi che una libertà
totalmente privata non può essere garanzia di se stessa: lo Stato senza alcun controllo o limite può in ogni momento cancellarla e i cittadini diventano allora dei veri e propri schiavi volontari. L’interpretazione estremizzata che Berlin dà della distinzione delle due libertà di Constant si basa soprattutto sul Discorso sulla libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, di cui sostanzialmente si limita a “usare” le prime due parti, tralasciando completamente la necessità di combinazione di cui Constant parla in chiusura. Poter inserire il Discorso in un contesto più ampio, qual è quello che si delinea nei Principi, permette di comprendere meglio quel passaggio dalla prima parte, dedicata all’esposizione delle differenze fra i due tipi di libertà e alla dichiarazione della necessità della libertà civile, all’ultima in cui Constant sostiene la necessità della libertà politica e la combinazione fra le due libertà. Tale passaggio, infatti, nel Discorso appare fin troppo brusco, al punto da apparire quasi ingiustificato e da incoraggiare le interpretazioni nette à la Berlin. Tzvetan Todorov ne ha fatto, invece, il fondatore della democrazia quando, a ben vedere, Constant è ben lungi dal ritenere che la democrazia sia sinonimo di libertà. Infatti, oltre a ritenere che non sia la forma di governo a garantire la libertà bensì i principi in base a cui uno Stato, di qualunque forma sia, è organizzato, afferma, inoltre, che il démos può usurpare la libertà individuale tanto quanto qualsiasi altro despota. La soluzione non consiste nell'affidare il potere al popolo; la soluzione può essere solo quella di limitare il potere
70 T. Hobbes, Leviathan or The Matter, Forme and Power of a CommonWealth Ecclesiastical and
indipendentemente da chi ne è sovrano. La democrazia, quando non può essere più quella diretta esercitata in prima persona e direttamente da ogni cittadino, diventa governo della maggioranza o di uno solo, i quali si rendono usurpatori della volontà popolare in un modo anche più pericoloso perché travestito sotto il nome della legittimazione e degli interessi popolari. È questa che Constant racconta come la strumentalizzazione del principio democratico, conseguenza della teoria del potere illimitato o di una libertà totalmente privatizzata, di cui si sono serviti tanto i giacobini quanto Napoleone. Un altro ostacolo che separa democrazia e liberalismo è la tendenza della prima all'uguaglianza. Se il liberalismo mira all'espansione della personalità individuale – compreso lo sviluppo di quella più ricca e dotata a svantaggio di quella più povera – e l'unica uguaglianza che ammette è quella nella libertà, vale a dire di fronte alla legge e nei diritti, al contrario la democrazia, intesa come egualitarismo, mira allo sviluppo della comunità nel suo insieme, anche al prezzo della limitazione della libertà del singolo. Tocqueville, che definisce la democrazia proprio in termini di egualitarismo, ritiene che essa possa divenire una minaccia per la libertà. La grave patologia della democrazia, infatti, è di non accettare le differenze, per cui la tendenza ad eguagliare le condizioni finisce per tradursi in conformismo e massificazione sociale. L'unico modo in cui democrazia e liberalismo possono convivere è considerando la prima semplicemente come una forma di governo che mira alla distribuzione del potere tra la maggior parte del popolo: infatti la maggior garanzia di protezione dei diritti individuali, dal tentativo usurpatore dei governanti, sta nella possibilità che i cittadini hanno di difenderli e il miglior modo è proprio la partecipazione del maggior numero di cittadini alla formazione delle leggi. Vedremo
poi, più nel dettaglio, cosa pensa Constant della maggioranza e della rappresentanza, la forma di governo che lui suggerisce di adottare.