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L'anello mancante fra Montesquieu e Tocqueville

Capitolo 2 I Principi di Politica

2.5 L'anello mancante fra Montesquieu e Tocqueville

Come abbiamo già accennato, Montesquieu, sulla scia di Machiavelli, ha una concezione della libertà come garantita da leggi. La distingue in libertà politica, che indica la libertà in rapporto alla costituzione e, dunque, la divisione dei poteri, e libertà civile, vale a dire la libertà in rapporto al cittadino, dunque la sicurezza di sé.

È vero – dice Montesquieu – che nelle democrazie il popolo sembra fare ciò che vuole: ma la libertà politica non consiste affatto nel fare ciò che si vuole […]. Occorre capire cosa sia l'indipendenza e cosa la libertà. La libertà è il diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono: se un cittadino potesse fare ciò che esse vietano, non vi sarebbe più libertà, perché gli altri potrebbero fare altrettanto91.

È su questa definizione di libertà che si concentra la critica di Constant. Egli parla di una definizione liberticida della libertà: definirla come «il diritto di fare tutto ciò che le

90 Cfr. B. Constant, Principi di politica, op. cit., XVII.2. 91 Montesquieu, Lo spirito delle leggi, op. cit., vol.I, p.292.

leggi permettono» senza, però, fissare un limite a ciò che le leggi possono proibire, significa non lasciare spazio alcuno alla libertà, dato che è proprio in questo che consiste. Nei Fragments, infatti, la definisce «ciò che gli individui hanno il diritto di fare e la società non ha il diritto di impedire»92. Il problema è che Montesquieu ha

confuso, come la maggior parte degli scrittori pre-liberali, la libertà con la garanzia, mentre, ci dice Constant:

I diritti individuali sono la libertà; i diritti sociali sono la garanzia. L'assioma della sovranità del popolo è stato considerato un principio di libertà. Ma è un principio di garanzia. Esso è destinato a impedire che un individuo si impadronisca dell'autorità che appartiene soltanto alla società intera; ma non decide nulla sulla natura di questa autorità. Non aumenta in nulla la somma delle libertà degli individui; e se non si ricorre ad altri principi per determinare l'estensione di questa sovranità, la libertà può essere perduta, malgrado il principio della sovranità del popolo o proprio a causa sua93.

È necessario tenere ben distinta la libertà, da identificare con i diritti individuali, dalla garanzia, che corrisponde ai diritti sociali e stabilirne la giusta interazione, evitando di sacrificarne una in nome dell'altra, dato che – come Constant sottolineerà in modo più argomentato nel libro XVI dei Principi di politica e nel Discorso sulla libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni – entrambe sono necessarie. Affermare la sovranità popolare illimitata non garantirà la libertà. Essa è, infatti, ciò che si colloca nella dimensione individuale e potrà essere garantita solo da una forma di governo, qualunque essa sia, che si basi sui giusti principi di libertà. È necessario, dunque, limitare l'autorità sociale: non limitarsi a stabilire chi sia il legittimo sovrano, 92 B. Constant, Fragments, op. cit., p.14.

attraverso i diritti sociali, ma anche cosa possa o non possa fare, attraverso la delimitazione della sfera inviolabile dei diritti individuali. Ecco perché «la libertà può essere perduta malgrado il principio della sovranità del popolo o proprio a causa sua»94, perché anche la sovranità del popolo, se non è limitata, diventa fonte di abusi

nei confronti dei diritti dell'individuo. Qualcuno potrebbe replicare che Montesquieu ha, in realtà, posto un limite all'autorità sociale affermando il costituzionalismo, vale a dire la divisione e la gestione dei poteri: Constant risponde «avete un bel separare i poteri: se la somma totale dei poteri è illimitata, basta che i poteri separati si coalizzino e il dispotismo diventa irrimediabile»95. Il costituzionalismo per essere efficace deve

essere anche liberale, vale a dire che deve essere accompagnato da una limitazione dei poteri dello Stato in funzione delle libertà dell'individuo. La scarsa attenzione che Montesquieu riserva alla libertà emerge anche in un altro passo de Lo spirito delle leggi che non sfugge all'attenzione di Constant. Montesquieu dice:

È un paralogismo dire che il bene particolare deve sempre cedere al bene pubblico. Ciò avviene soltanto nei casi in cui si tratta della sovranità della città, vale a dire della libertà del cittadino, ma non accade quando si tratta della proprietà dei beni, perché il bene pubblico è che ciascuno conservi sempre la proprietà assegnatagli dalle leggi civili96.

Constant sarebbe certo d'accordo nel sostenere che il bene particolare non debba sempre cedere al bene pubblico, ma ciò che è assurdo è che si tenga più alla proprietà che non alla libertà e che si sopporti meglio di essere privati della seconda che non 94

Ibidem.

95 B. Constant, Cours de politique constitutionelle, a cura di È. Laboulaye, Slatkine, Genève 1982, vol.I, p.13.

della prima. È fondamentale sostenere l'inviolabilità della libertà personale con molto più calore della proprietà e non viceversa, come fa Montesquieu, «come se le persone fossero meno sacre dei beni»97.

Se quella di Montesquieu è una concezione pre-liberale della libertà, Tocqueville è, invece, un liberale di nuova specie che condivide molti dei pregiudizi dell'ambiente aristocratico contro il liberalismo. Egli è un liberale conservatore, vale a dire liberale ma non democratico, convinto che la democrazia non sia altro che l'altra faccia della stessa medaglia occupata dalla tirannia. Come è noto, Tocqueville ha parlato molto della democrazia, soprattutto di quella americana, ma anche della democrazia in Europa. Infatti – e questa è la sua grande intuizione – Tocqueville ha compreso che all’Europa sarebbe toccato ben presto lo stesso destino dell’America. Questo è il messaggio de La democrazia in America. Ribaltando la prospettiva tradizionale (difesa ancora, nel secolo precedente, da Montesquieu), che associava la democrazia ad uno stato di cose ormai trascorso (le città-stato dell’antica Grecia), Tocqueville dimostra che la democrazia non è soltanto legata al passato, ma è reperibile anche nel presente come in America, e costituisce lo specchio dell'avvenire in Europa. È necessario, però, intendersi sul senso che Tocqueville dà alla parola democrazia: egli non la definisce in primo luogo con riferimento alla libertà, bensì all’uguaglianza. È l’uguaglianza la nozione fondamentale. Detto in altro modo, il contrario della democrazia non è il dispotismo, ma l’aristocrazia. Per aristocrazia bisogna intendere l’insieme di quelle società di caste o classi gerarchizzate, come ad esempio nella Francia dell’Ancien Régime, in cui i privilegi della classe superiore hanno un carattere ereditario e sono, dunque, difficilmente accessibili per coloro che fanno parte delle classi inferiori. 97 B. Constant, Principi di politica, op. cit., p.96 (V.1).

Anche la democrazia, in realtà, è un sistema di caste, ma, in questo caso, senza privilegi ereditari: dal punto di vista giuridico, tutti gli individui sono posti sullo stesso piano anche se in concreto permangono le ineguaglianze legate al denaro. Lo spianamento delle differenze e il perseguimento dell'uguaglianza è proprio una delle caratteristiche della democrazia: Tocqueville sostiene che l'invidia sia una passione liberamente democratica; nessun uomo sopporta che qualunque altro abbia più di lui e ciò può diventare una minaccia per la libertà. La democrazia si collocherebbe, per Tocqueville, al termine di una lunga evoluzione storica mirante proprio all'uguaglianza, che egli fa risalire al Medioevo, più esattamente al XII secolo:

Seguendo lo svolgersi della nostra storia, non riusciamo a trovare in settecento anni un solo avvenimento che non abbia contribuito al progresso dell’eguaglianza. […] È possibile che dopo aver distrutto la feudalità e vinto i re, la democrazia indietreggi davanti ai borghesi ed ai ricchi? Si arresterà proprio ora che è diventata così forte e i suoi avversari così deboli?98

Dietro alle aspirazioni egualitarie della democrazia si nasconderebbe, per Tocqueville, il pericolo del conformismo e del dispotismo. Il punto è che le persone hanno sempre di più la tendenza a ripiegarsi su loro stesse e, dunque, anche a privilegiare i “godimenti privati”: «Gli uomini che vivono in tempi democratici hanno molte passioni; ma la maggior parte delle loro passioni provengono dall’amore per le ricchezze o vi conducono»99. Il pericolo, dunque, viene proprio dall'individualismo, da

cui nascerebbe la tendenza al conformismo e alla massificazione: «Nelle democrazie,

98 A.de Tocqueville, La democrazia in America, op. cit., t.1, p.3. 99 Ivi, t.2, p.236.

rileva Tocqueville, tutti gli uomini sono simili e fanno cose pressappoco simili»100

L’individualismo, guardato da vicino, non è che l’altra faccia del mimetismo sociale: l'individuo libero, nella democrazia degenerata, è motivato da desideri effimeri e mediocri, vuole solo possedere ed essere uguale agli altri. L’altra impasse è quella del dispotismo. È il tema del famoso capitolo intitolato “Quale tipo di dispotismo devono temere le nazioni democratiche”, in cui Tocqueville mostra che la ricerca del piacere e dell’agiatezza conduce gli individui, del tutto naturalmente, a rinunciare alla loro indipendenza, delegando tutto allo Stato pur di occuparsi dei loro valori effimeri, legati alla sete di piacere e al presunto benessere individuale. Il risultato sarà un potere che annienta non attraverso la punizione, come avveniva nei totalitarismi, ma attraverso la persuasione e la massificazione.

Vedo una folla innumerevole di uomini simili e uguali – dice Tocqueville – che ruotano instancabilmente su se stessi per procurarsi piccoli e volgari piaceri con cui riempire il loro animo. Ciascuno di loro, ritirato per suo conto, è come straniero al destino di tutti gli altri; i suoi figli e i suoi amici esauriscono tutta la specie umana […] Al di sopra di questa folla si leva un potere immenso e protettivo, che si incarica, da solo, di assicurare loro i piaceri e di vegliare sulla loro sorte. Questo potere è assoluto, minuzioso, regolare, previdente e dolce. Assomiglierebbe al potere paterno se, come questo, mirasse a preparare gli uomini all'età adulta; ma, al contrario, esso cerca solo di fissarli irrevocabilmente nell'infanzia […]. Esso ama veder gioire i cittadini, purché essi pensino solo a divertirsi. Lavora volentieri per la loro felicità; ma ne vuole essere l’unico agente e il solo arbitro; provvede alla loro sicurezza, prevede ed assicura i loro bisogni, facilita i loro piaceri, dirige i loro principali affari, le loro industrie, regola le successioni, divide le eredità; ciò non può liberarli del tutto dall’agitazione e dalla pena di vivere101.

100 Ibidem. 101 Ivi, p.324.

È, come spiega Tocqueville, una nuova “specie” di dispotismo, con caratteristiche diverse rispetto a quello antico: « È più esteso e più dolce, degrada gli uomini senza tormentarli»102. È quello che aveva intuito Constant quando sosteneva nel suo

Discorso sulla libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni che «Il fine dei moderni è la sicurezza nei godimenti privati; ed essi chiamano libertà le garanzie accordate dalle istituzioni per questi godimenti»103. Sempre nella stessa conferenza egli

attribuisce ai depositari dell’autorità queste parole:

Qual è in fondo lo scopo di tutti i vostri sforzi, il motivo dei vostri lavori, l’oggetto delle vostre speranze? Non è la felicità? Ebbene, questa felicità, lasciateci fare, e noi ve la daremo.

Ma continua:

No, Signori, non lasciamo fare; per quanto sia toccante un così tenero interessamento, preghiamo l'autorità di restare nei suoi confini; le basti esser giusta. Ci incaricheremo noi di esser felici. Ci basterebbero i godimenti per esserlo, se questi godimenti fossero separati dalle garanzie? E dove troveremmo queste garanzie, se rinunciassimo alla libertà politica?104

Ecco in che modo Constant anticipa Tocqueville: per quanto sostenga che l'individualismo in sé sia una cosa buona, legata alla ricerca del piacere, non manca di segnalarne anche un rischio, vale a dire la possibilità di strumentalizzazione da parte dei depositari dell’autorità. È breve il passo dal semplice “lasciar fare” al “lasciateci fare”. Per quanto Constant attribuisca la colpa della strumentalizzazione del principio democratico al recupero anacronistico di una libertà, quella partecipativa degli antichi, 102

Ivi, p.323.

103 B. Constant, Discorso sulla libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, op. cit., p.31. 104 Ivi, p.32.

che non sarebbe più riproponibile nelle mutate condizioni moderne, quello che intende non è che tale libertà debba essere superata ma solo che debba convivere con quella tipicamente moderna.

Poiché viviamo nei tempi moderni, voglio la libertà che conviene ai tempi moderni […]. La libertà individuale, lo ripeto, ecco la vera libertà moderna. La libertà politica ne è la garanzia; la libertà politica è di conseguenza indispensabile. Ma chiedere ai popoli dei nostri giorni di sacrificare, come quelli di un tempo, tutta la libertà individuale alla libertà politica, è la via più sicura di allontanarli dall'una; e a quel punto non si tarderebbe a sottrarre loro anche l'altra105.

Oltre a ciò è necessario ricordare che il sostegno che Constant accorda all'individualismo non è inteso come la volontà che ciascuno si adoperi sempre di più nella ricerca del piacere e dei godimenti privati. Tutt'altro: Constant mette in guardia dalle nefande conseguenze di un tale atteggiamento e invita i cittadini ad occuparsi, piuttosto, delle proprie facoltà intellettuali e della realizzazione di sé in questo senso più alto.

Le facoltà umane possono essere divise in due classi: quelle che mirano a soddisfare i bisogni o a procurare dei godimenti immediati e quelle che conducono a un perfezionamento futuro. […] Tutti i governi hanno interesse a incoraggiare le scienze intese in questo senso ristretto e infatti quasi tutti lo fanno: stipulano con esse un accordo in virtù del quale le scienze si impegnano a non uscire dalla sfera convenuta. […] Ma per i lumi non è così: un simile accordo è contro natura. L'interesse personale dei depositari dell'autorità non è affatto quello di proteggerli apertamente e il più possibile. […] L'accrescimento delle facoltà intellettuali nei cittadini equivale, per i governanti, alla creazione di una potenza

rivale rispetto alla propria. […] L'interesse dei governanti, in quanto tali, non si concilia con il progresso indefinito dei lumi, ma con un progresso relativo e limitato106.

Constant, dunque, non meno di Tocqueville, come molti in realtà ancora tardano a comprendere, sostiene che la libertà dei moderni possa essere vitale e positiva solo se legata alla libertà politica. L'intuizione è la stessa, così come analoga è la soluzione: la libertà politica o libertà-partecipazione, la quale, data l'eccessiva estensione degli stati moderni può essere recuperata soltanto attraverso l'adozione del federalismo. «Quando i cittadini sono costretti ad occuparsi degli affari pubblici, sono necessariamente sottratti ai loro interessi individuali e strappati, da un momento all’altro, alla vista di sé stessi»107 dice Tocqueville. Si spiega così l’ammirazione che quest'ultimo nutriva verso

il sistema politico americano, il quale interverrebbe come un correttivo per impedire alla democrazia di obbedire alla sua logica, che è quella di tendere alla massificazione e al dispotismo. Anche su questo punto Constant, con le sue riflessioni sul federalismo e l'associazione locale, non manca di anticipare le più note riflessioni di Tocqueville sul nesso fra individualismo e conformismo nelle società democratiche e sulla soluzione da adottare. «Il governo di un grande paese dovrebbe sempre improntare

ogni parte della sua natura al federalismo»108 dice Constant nella parte dei Principi

dedicata alla critica dell'idea di uniformità.

La direzione degli affari di tutti appartiene a tutti, cioè al governo che tutti hanno istituito; ciò che interessa soltanto una parte della popolazione deve essere deciso

106

B. Constant, Principi di politica, op. cit., p.402 (XIV.4). 107 A.de Tocqueville, La democrazia in America, op. cit., p.109. 108 B. Constant, Principi di politica, op. cit., p.428 (XV.3).

da quella parte; e ciò che riguarda soltanto l'individuo deve essere sottoposto esclusivamente all'individuo. Non si ripeterà mai abbastanza che la volontà generale, quando esce dalla sfera di sua competenza, non presenta alcune superiorità rispetto alla volontà particolare109.

Capitolo 3

Rappresentanza e volontà generale