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Il referendum abrogativo tra declino e prospettive di riforma

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Academic year: 2021

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1 INDICE

INTRODUZIONE ... 4

CAPITOLO PRIMO IL REFERENDUM ABROGATIVO IN ASSEMBLEA COSTITUENTE E NELLA LEGGE N. 352 DEL 1970 ... 5

1.1. Il dibattito in Assemblea Costituente ... 5

1.1.1. I fattori alla base della potatura del progetto di Costantino Mortati ... 5

1.1.2. Le sedute della Costituente ... 9

1.2. L’attuazione dell’art. 75 della Costituzione: la legge n. 352 del 1970 ... 17

CAPITOLO SECONDO IL GIUDIZIO DI AMMISSIBILITA’ DELLA CORTE COSTITUZIONALE SULLE RICHIESTE REFERENDARIE .. 21

2.1. Introduzione ... 21

2.2. I profili problematici della giurisprudenza costituzionale ... 22

2.2.1. L’applicazione dei limiti espliciti ... 22

2.2.2. La giurisprudenza relativa ai limiti di origine pretoria ... 30

2.3. Prospettive di cambiamento... 45

CAPITOLO TERZO IL PROBLEMA DELLA PARTECIPAZIONE AI REFERENDUM ABROGATIVI. LA QUESTIONE DEL QUORUM STRUTTURALE ... 53

3.1. Il problema dell’astensionismo ... 53

3.2. La questione della legittimità dell’astensione e degli appelli a disertare le urne ... 60

3.3. Prospettive di riforma ... 67 3.3.1. Osservazioni per un intervento legislativo in materia di quorum67

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3.3.2. Prospettive di riforma costituzionale in materia di quorum... 72

CAPITOLO QUARTO IL SEGUITO LEGISLATIVO DEI REFERENDUM ABROGATIVI E I LIMITI DI CUI ALLA LEGGE N. 352 DEL 1970 ... 79

4.1. Problemi relativi al seguito legislativo dei referendum abrogativi 79 4.1.1. Il problema della garanzia del divieto di ripristino della disciplina abrogata in via referendaria ... 79

4.1.2. Il problema dei limiti temporali al divieto di ripristino ... 90

4.1.3. Il problema dell’esistenza del c.d. vincolo conformativo... 93

4.2. Critica alla disciplina di cui alla legge n. 352 del 1970 ... 97

4.2.1. Il divieto di coincidenza tra elezioni politiche e referendum e la prassi dello scioglimento anticipato in funzione di rinvio dei referendum ... 97

4.2.2. Il problema delle modifiche alle disposizioni coinvolte dai quesiti ... 103

CAPITOLO QUINTO PROPOSTE DI INTRODUZIONE DI ALTRI TIPI DI REFERENDUM ... 107

5.1. Premessa ... 107

5.2. Ipotesi di introduzione di altri tipi di referendum... 110

5.2.1. Premessa ... 110

5.2.2. Sul referendum propositivo e sull’iniziativa popolare ... 113

5.2.2.1. Considerazioni generali ... 113

5.2.2.2. Un’analisi dell’iniziativa popolare nell’ordinamento svizzero ... 116

5.2.2.3. Un’analisi dell’iniziativa popolare nell’ordinamento statunitense ... 120

5.2.3. Sul referendum consultivo ... 126

5.2.4. Sul referendum sospensivo ... 131

5.2.4.1. Il referendum sospensivo nell’ordinamento svizzero ... 131 5.2.4.2. Il referendum sospensivo nell’ordinamento statunitense . 133

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3 5.2.4.3. Considerazioni relative all’introduzione dell’istituto nel

nostro ordinamento ... 134

5.2.5. I referendum propositivi e consultivi negli Statuti regionali ... 140

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE ... 144

GRAFICI ... 148

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INTRODUZIONE

Il presente lavoro si propone di individuare quali siano le criticità nella disciplina e nella prassi applicativa del referendum abrogativo al fine di proporre linee di riforma che vadano a superare gli ostacoli alla piena riuscita dell’istituto, i quali, limitando fortemente le potenzialità applicative del referendum abrogativo, fanno parlare a ragion veduta di una sua crisi.

Dopo un breve excursus del dibattito che in sede costituente ha condotto all’introduzione del referendum abrogativo nel testo costituzionale, si andranno ad individuare uno ad uno i profili problematici nella disciplina e nella vita concreta dell’istituto, proponendo interventi di riforma costituzionale e legislativa per risolverli.

Si partirà dall’analisi critica degli orientamenti della Corte Costituzionale in sede di giudizio di ammissibilità delle richieste referendarie, per proseguire con l’analisi della disciplina del quorum di validità delle votazioni referendarie, del problema del seguito legislativo degli esiti dei referendum e dei limiti, in particolare temporali, allo svolgimento delle consultazioni referendarie di cui alla legge n. 352 del 1970, sempre proponendo interventi strutturali di riforma della disciplina attualmente vigente allo scopo di accrescere le potenzialità dell’istituto quale strumento capace di incidere, in senso correttivo e di stimolo, sulle scelte del circuito politico – rappresentativo.

La trattazione si concluderà con la proposta di introdurre nel testo costituzionale ulteriori istituti di democrazia diretta, che consentano di allargare i canali della partecipazione popolare diretta e, allo stesso tempo, di proteggere il referendum abrogativo da utilizzazioni strumentali distorsive della natura e delle finalità per le quali esso è stato introdotto.

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CAPITOLO PRIMO

IL REFERENDUM ABROGATIVO IN ASSEMBLEA

COSTITUENTE E NELLA LEGGE N. 352 DEL 1970

1.1. Il dibattito in Assemblea Costituente

1.1.1. I fattori alla base della potatura del progetto di Costantino Mortati

Ciò che caratterizza il dibattito che in Costituente ha accompagnato l‘introduzione del referendum nel nostro ordinamento è la diffusa diffidenza verso l’istituto, sconosciuto allo Statuto Albertino nonostante l’esperienza dei referendum consultivi in ambito comunale. Rispetto all’originario progetto presentato alla II Sottocommissione da Costantino Mortati, il testo entrato in vigore dell’art.75 Cost. costituisce il risultato di una progressiva potatura del disegno originario, tanto rispetto alle tipologie di referendum ammesse, quanto rispetto ai limiti e ai profili di garanzia che circondano lo strumento. Prevalsero evidentemente le preoccupazioni manifestate dalla maggioranza dei costituenti a scapito dei vantaggi dell’istituto pur individuati dallo stesso Mortati in alcuni suoi interventi successivi in sede costituente. Nella relazione alla II Sottocommissione del 3 settembre 1946 in particolare il relatore, pur riconoscendo che il referendum, inserendosi in un sistema di governo parlamentare, dovesse essere circondato da alcune limitazioni tecniche per non incidere sull’unità dell’indirizzo politico, riconobbe in esso una “funzione riequilibratrice”1, nel senso “di accrescere e rafforzare il

1

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6 consenso popolare, e di influire sui partiti nella ricerca di contatti sempre più stretti con il corpo elettorale”2.

Durante la discussione del 20 gennaio 1947, poi, Mortati individuò un nesso diretto tra il riconoscimento del principio democratico di sovranità popolare e l’ammissione del veto popolare mediante referendum, secondo il presupposto che “il Parlamento può anche errare e pertanto non riflettere esattamente la volontà popolare”3, secondo un’impostazione che invero si rivelava minoritaria in un contesto politico ormai caratterizzato dalla forte intermediazione partitica e dalla centralità delle assemblee parlamentari.

Nella seduta del 18 settembre 1947 Mortati aggiunse che a giustificare l’introduzione del referendum fosse la constatazione di una sfasatura tra rappresentanti e rappresentati, “perché questo contrasto può significare o una deficienza dei primi o una deficienza dei secondi. O sono i primi che interpretano male la volontà popolare e i bisogni reali del popolo, e allora è giusto che la loro attività sia arrestata dal popolo; o è il popolo che è scarsamente educato, e allora è ai partiti che si deve imputare tale situazione, e il rimedio non può essere quello di escludere il popolo, bensì di eccitare il suo spirito politico, la sua sensibilità ai problemi politici, la sua capacità di intendere gli interessi generali”4.

Altre voci di aperta difesa dell’istituto referendario furono pressoché isolate: la più importante fu forse quella del presidente della Commissione per la Costituzione Ruini, nell’affermare che esso è, “accanto all'elezione del Parlamento, la seconda emanazione fondamentale della volontà popolare. Espressione piena di democrazia; sua guarentigia; democrazia diretta”5. Si possono ricordare poi altre posizioni di favore, come quella di Aldo Moro, concorde con Mortati nell’affermare che “ammettere il referendum significa ritenere la

2

A. Barbera, A. Morrone, La Repubblica dei referendum, p.16

3

II Sottocommissione, seduta del 20 gennaio 1947

4

Assemblea Costituente, seduta del 18 settembre 1947

5

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7 possibilità di questo disaccordo [tra partiti e opinione pubblica], la possibilità di questa minore compressione da parte delle Camere nei confronti di una evoluzione della coscienza pubblica”6, e quella di Luigi Einaudi, che riconosceva nel referendum un correttivo al sistema della rappresentanza.

Tuttavia, troppo forte si rivelò fin da subito la volontà di difendere gli istituti di democrazia rappresentativa da parte tanto degli esponenti di cultura liberale, quanto di quelli di cultura socialista e comunista. Per quanto riguarda i primi, ogni razionalizzazione del sistema parlamentare-rappresentativo avrebbe significato provocare in esso “contraddizioni insuperabili” fino a “comprometterne l’esistenza”7

. Una critica profonda all’istituto referendario era provenuta peraltro anche dalla dottrina liberale di Giuseppe Guarino, che si esprimeva contro l’adozione del referendum in via generale, pur aprendo alla possibilità che esso possa, in riferimento a singole materie o circostanze, essere giustificato da fondamenti speciali; in particolare, sottolineava come il referendum diminuisse il prestigio del Parlamento, contrastasse col principio della responsabilità politica per il quale bisogna assicurare ad un organo ristretto la possibilità di sviluppare per un periodo sufficientemente lungo una politica coerente e unitaria, e costituisse un elemento di minaccia per la stabilità dei governi in particolare di coalizione, in quanto costringerebbe le parti a mostrare su questioni concrete tutte le diversità che le separano8. Guarino soprattutto sottolinea come in occasione delle campagne referendarie i partiti intervengano attivamente con i loro possenti mezzi di propaganda, di modo che “l’immagine del votante che, esaminata esaurientemente e coscienziosamente la questione, si reca alle urne con la maggiore serenità e libertà, risponde ad una visione idilliaca della

6

Assemblea Costituente, seduta pomeridiana del 16 ottobre 1947

7

V.E. Orlando, Studio intorno alla forma di governo vigente in Italia secondo la

Costituzione del 1948 in Scritti giuridici varii (1941-1952), p.24

8

G. Guarino, Il referendum e la sua applicazione al regime parlamentare in Rass.

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8 vita politica, che è molto diversa dalla realtà quotidiana”9, dimostrandosi così certamente più disilluso circa l’inserimento del referendum in un sistema politico basato sull’esistenza di partiti forti di quanto non si fosse dimostrato Mortati nel suo intervento in Sottocommissione del 20 gennaio 1947.

Per quanto riguarda le resistenze degli onorevoli di formazione comunista e socialista, poi, esse si fondavano evidentemente sul timore che un istituto di democrazia diretta come il referendum potesse minare la centralità dei partiti di massa e del Parlamento.

Sulla base di queste premesse, il progetto originario di Mortati, che contemplava due ipotesi di referendum di iniziativa popolare (il referendum sospensivo di leggi approvate dal Parlamento e il referendum abrogativo di leggi e atti aventi forza di legge già entrati in vigore), due ipotesi di referendum di iniziativa del Capo dello Stato, pur su scelta del Presidente del Consiglio (il referendum ancora una volta sospensivo di leggi approvate dalle Camere e il referendum approvativo di leggi respinte da una [referendum c.d. arbitrale10] o da entrambe le Camere), ed infine il referendum su una proposta di legge di iniziativa popolare non esaminata o respinta dal Parlamento, fu progressivamente sfrondato, fino alla definitiva introduzione all’art.75 Cost. del solo referendum abrogativo di iniziativa popolare, peraltro circondato da una serie di limiti e garanzie, già nel testo costituzionale, che confermano la tesi per la quale la Costituente ha infine adottato al riguardo la soluzione “a più basso margine di rischio”11, per la quale il referendum avrebbe dovuto rappresentare “solo una estrema forma di controllo a disposizione del corpo elettorale nel caso di discrasia tra orientamenti del legislatore e volontà popolare, specialmente su questioni sociali particolarmente importanti”12, come, ed il riferimento

9

G. Guarino, Ibidem, p.42

10

M. Luciani, La formazione delle leggi, pp.167, 169

11

A. Chimenti, Storia del referendum, p.18

12

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9 è in particolare all’intervento dell’on. Nobile nella seduta in II Sottocommissione del 17 gennaio 1947, l’introduzione del divorzio. L’analisi dei più significativi interventi alla Costituente nel corso del dibattito che ha condotto all’introduzione del testo definitivo dell’art.75 Cost. dà conto proprio della diffusa diffidenza verso l’istituto del referendum e del conseguente auspicio di circondarlo quantomeno di importanti limiti, secondo un disegno che sarà completato con la legge di attuazione n.352/1970 e che è alla base, come vedremo, della crisi di funzionalità del referendum abrogativo nel nostro ordinamento.

1.1.2. Le sedute della Costituente

La concezione assolutamente restrittiva ed eccezionale dell’istituto referendario dominante in Costituente emerse già nel corso delle prime sedute, che infatti, tra l’altro, portarono alla bocciatura dell’ipotesi dei referendum di iniziativa del Capo dello Stato, benché il relatore Mortati avesse avuto più volte occasione di sottolineare che non immediatamente il Presidente della Repubblica, bensì il Presidente del Consiglio, in quanto politicamente responsabile degli atti in questione, avrebbe scelto se ricorrere o meno alla consultazione popolare.

Già nella seduta della II Sottocommissione del 21 dicembre 1946 l’on. Bulloni, di formazione democratico cristiana, sosteneva che l’iniziativa del Capo dello Stato in materia di referendum fosse in contrasto col sistema adottato per la formazione della legge e costituisse una fonte di conflitti ai danni del buon funzionamento dell'istituto democratico nel suo complesso, secondo un’impostazione seguita peraltro dagli esponenti di cultura comunista, come l’on. Nobile, che trovava grave che si lasciasse “all'arbitrio del Capo dello Stato la facoltà di sottoporre un progetto di legge già approvato dal Parlamento al giudizio popolare, quando la volontà del popolo ha già nel Parlamento la sua

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10 espressione”13. Pensiero, questo, che sorprendentemente fonda la critica ad un istituto di democrazia diretta, quale è il referendum, sulla prevalenza e sulla sovranità della volontà popolare che, secondo la teoria del parlamentarismo più classico, troverebbe il proprio luogo solo in Parlamento in quanto unico rappresentante della stessa; altrettanto sorprendentemente notiamo che tale impostazione è fatta propria non solo dagli esponenti liberali, in particolare dall’on. Bozzi (che spingeva verso la piena ed assoluta coerenza con la scelta, effettuata in Costituente, di un sistema di democrazia parlamentare, in cui il Parlamento è il vero ed unico rappresentante della volontà popolare14), ma anche da quelli di estrazione comunista e socialista, che pur avrebbero dovuto essere ideologicamente fedeli alla esplicazione integrale di sovranità del popolo, lasciando trapelare evidentemente tutta la preoccupazione per l’introduzione del nuovo istituto: si pensi all’intervento dell’on. Targetti (PSI), che, nel muovere la propria critica al referendum, asseriva: “la volontà popolare, onorevoli colleghi, dobbiamo ritenere che sarà sempre degnamente e interamente rappresentata dalle due Camere, cioè dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica. Io non riesco a configurarmi una volontà popolare meritevole di questo nome, che non abbia una sua rappresentanza nell'una e nell'altra Camera e non riesca quindi a farvi sentire la sua voce”15.

È significativo poi notare che anche un’altra centrale argomentazione contraria all’istituto del referendum, almeno nell’estensione prevista dal progetto originario del relatore Mortati, era sostanzialmente condivisa dai liberali e dai comunisti e socialisti in Costituente, quella cioè dell’”impossessamento partitico del referendum, […] nella consapevolezza del destino partitico della democrazia italiana”16

. Evidentemente da più parti era radicata la convinzione che l’opinione

13

II Sottocommissione, seduta del 17 gennaio 1947

14

Assemblea Costituente, seduta antimeridiana del 16 ottobre 1947

15

Assemblea Costituente, seduta pomeridiana del 16 ottobre 1947

16

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11 pubblica italiana non fosse sufficientemente matura per potersi formare e sviluppare autonomamente, indipendentemente dalla attività di mediazione proveniente dai grandi partiti. Queste considerazioni portarono in effetti l’on. Corbi (PCI) a mettere in guardia contro il rischio che il referendum potesse diventare “un espediente ostruzionistico con maschera democratica. […] I grandi partiti”, proseguiva, “saranno arbitri della situazione. Sarà facile per un grande partito riuscire ad ottenere le firme necessarie per far indire il referendum ogni qual volta ad esso parrà. […]E allora le leggi, per quanto bene elaborate, per quanto studiate, ponderate, non diverranno esecutive. […]L'esito di un referendum non sarebbe, quindi, altro che la volontà dei partiti più forti, i quali possono imporre, per i mezzi, per la forza che hanno, la loro volontà al Paese”17.

E il timore che il referendum potesse rivelarsi in concreto uno strumento della lotta interpartitica era in effetti condiviso dall’ala liberale della Costituente: si consideri in particolare l’intervento dell’on. Bozzi, che ammoniva contro la possibile deriva dell’”ostruzionismo extraparlamentare” che il referendum avrebbe potuto rappresentare a causa della forza dei partiti di massa, che non avrebbero faticato a raccogliere le firme necessarie per l’iniziativa referendaria, con il rischio che “nessuna legge vada più avanti e si determini la più grande incertezza nell'ordinamento giuridico”18

. Molte altre poi furono le perplessità e resistenze in rapporto all’istituto referendario espresse in Costituente. In particolare contro l’ipotesi di referendum sospensivo si espresse l’on. Grassi, di ispirazione liberale, che lo definì addirittura “antigiuridico e antidemocratico” in quanto farebbe sì che “ogni legge, anche la più piccola, può essere sospesa finché gli elettori non dicano se accettano o no di sottoporla a referendum. In altri termini, si viene a creare un veto nelle mani del

17

Assemblea Costituente, seduta del 17 settembre 1947

18

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12 popolo”, e in particolare di una minoranza, che arriverebbe a “sabotare il potere legislativo”19.

Nella stessa seduta anche l’on. Togliatti si espresse contro il referendum sospensivo e a favore del solo referendum abrogativo, aggiungendo, secondo argomentazioni già richiamate, che con il sospensivo “un partito fortemente organizzato avrebbe la facoltà praticamente di sospendere la vita di tutte le Assemblee, la vita cioè costituzionale del Paese”.

In favore del solo referendum abrogativo si espresse anche l’on. Grieco (PCI), mentre l’on. Lussu (Partito sardo d’azione), che in un primo momento si dichiarò contrario alle sole ipotesi di referendum di iniziativa del Capo dello Stato20, successivamente rivide il proprio atteggiamento, pronunciandosi in via generale contro il referendum nazionale ritenendo che “il referendum deve costituire un mezzo di espressione di volontà democratica, da usarsi non tanto nell'ambito del territorio nazionale, quanto in quello più ristretto delle Regioni e dei Comuni”21. C’era poi chi, come l’on. Condorelli (PLI), concentrando l’attenzione in particolare sul referendum abrogativo individuava come suo principale aspetto problematico le lacune normative che esso per natura crea, ritenendo che queste ultime possano in ipotesi rappresentare una vera “voragine”, “perché teoricamente”, spiegava, “potrebbe anche avvenire che, attraverso il referendum, si abrogasse, ad esempio, il Codice penale. Ora, se ciò avvenisse dopo appena un anno dalla sua promulgazione, potrebbe allora opportunamente tornare in vigore il vecchio Codice; ma, in altri casi, potremmo invece far tornare in vigore vecchissime leggi, ormai completamente superate. Accadrebbe allora che il nostro popolo sarebbe costretto a vivere e ad

19

Commissione per la Costituzione, seduta pomeridiana del 29 gennaio 1947

20

II Sottocommissione, seduta del 17 gennaio 1947

21

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13 agitarsi in questa sorta di voragine fino a che il legislatore non avesse provveduto a colmarla”22

.

Come anticipato, le perplessità e le resistenze manifestate dall’ampia maggioranza delle forze politiche rappresentate in Costituente produssero un progressivo ridimensionamento del progetto proposto in materia da Costantino Mortati, tradendo evidentemente l’intento di circoscrivere al massimo l’utilizzo dell’istituto: ciò condusse, in particolare, in primo luogo alla riduzione delle ipotesi di referendum previste dal progetto originario, fino a contemplare, oltre ai referendum costituzionale (art. 138 Cost.) e per le variazioni territoriali (art.132 Cost.), il solo referendum abrogativo di iniziativa popolare, e in secondo luogo all’introduzione di una serie di limiti che circondano l’istituto ben oltre l’auspicio originario del relatore, e che costituiranno, come si vedrà ampiamente nel corso successivo dell’analisi, alcune delle ragioni alla base del declino e della crisi funzionale del referendum nel corso del suo concreto sviluppo e utilizzo.

In particolare, già in sede di Sottocommissione, nella seduta del 18 gennaio 1947 furono respinti gli artt. del progetto Mortati che prevedevano le due tipologie di referendum di iniziativa del Presidente della Repubblica, mentre il referendum sospensivo di iniziativa popolare, che era invece previsto dall’art.72 del Progetto di Costituzione licenziato dalla Commissione per la Costituzione23, fu

22

Assemblea Costituente, seduta pomeridiana del 16 ottobre 1947

22 Il testo del Progetto di Costituzione elaborato dalla Commissione all’art.72 così

recitava:

“L'entrata in vigore d'una legge non dichiarata urgente a maggioranza assoluta, o non approvata da ciascuna Camera a maggioranza di due terzi, è sospesa quando, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione, cinquantamila elettori o tre Consigli regionali domandano che sia sottoposta a referendum popolare. Il referendum ha luogo se nei due mesi dalla pubblicazione della legge l'iniziativa ottiene l'adesione, complessivamente, di cinquecentomila elettori o di sette Consigli regionali.

Si procede altresì a referendum quando cinquecentomila elettori o sette Consigli regionali domandano che sia abrogata una legge vigente da almeno due anni.

In nessun caso è ammesso referendum per le leggi tributarie, di approvazione dei bilanci e di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali”.

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14 espunto a seguito delle votazioni del 16 ottobre 1947 in sede di Assemblea.

Ciò che peraltro è sottolineato soltanto da una parte minoritaria della dottrina24 è che, paradossalmente, lo stesso Mortati contribuì attivamente all’opera di progressiva potatura delle fattispecie di referendum originariamente previste dal suo stesso progetto, il che rende evidente come sia stata necessaria un’opera di ricerca del compromesso, da parte del relatore, con le forze maggioritarie presenti in Costituente, quale condizione per la sopravvivenza stessa del referendum nel testo che sarebbe poi stato licenziato in via definitiva dal plenum dell’Assemblea, a fronte dei diffusi interventi di critica all’istituto di cui si è dato conto; particolarmente, nella seduta del 17 settembre 1947, Mortati si vide costretto a dirsi disponibile alla non introduzione del referendum sospensivo se ciò avesse assicurato il consenso per quello abrogativo anche sulle leggi in vigore da meno di due anni, limite invece previsto dall’art.72, comma 2, del Progetto licenziato dalla Commissione: in questo caso, allora, “la conservazione dell’istituto del referendum sospensivo potrebbe apparire meno rilevante”25

. Allo stesso modo, anche per quanto riguarda il referendum approvativo di progetti di legge respinti da una delle due Camere, è significativo notare che un proposta soppressiva dello stesso arrivò con un emendamento che aveva come firmatario, tra gli altri, proprio Mortati, che in questo caso26 arrivò addirittura a riconoscere di aver mutato il proprio orientamento a seguito di una più profonda riflessione sul progetto originario, evidentemente dallo stesso ritenuto incoerente in alcuni punti, e di essersi infine persuaso che tale tipologia di referendum avrebbe aggravato il conflitto alla base dell’istituto, “perché la soluzione prescelta dal popolo porta a screditare la Camera

24

Fra i pochi, M. Luciani, La formazione delle leggi, pp.168, 170

25

C. Mortati in Assemblea Costituente, seduta del 17 settembre 1947

26

(15)

15 condannata da questo verdetto popolare, imponendone lo scioglimento”27

.

Per quanto riguarda poi le garanzie che limitano lo stesso referendum abrogativo secondo il testo dell’art.75 Cost., sono anch’esse il risultato di una progressiva opera di ridimensionamento del progetto Mortati da parte delle principali forze politiche. Già nelle prime sedute della II Sottocommissione, in particolare l’on. Fabbri sottolineò l’esigenza di prevedere comunque un quorum di partecipazione come condizione per la validità del risultato della consultazione popolare diretta, non previsto invece nel disegno originario. Fu quasi al termine dei propri lavori che la Sottocommissione, su proposta degli on. Fuschini (DC) e Nobile (PCI) oltre che dello stesso Fabbri, introdusse un quorum di votanti, fissandolo in un primo momento solo nei due quinti degli aventi diritto, secondo una scelta confermata nel testo del Progetto licenziato dalla Commissione; in Assemblea il quorum fu poi elevato alla maggioranza degli aventi diritto, su spinta di Perassi (PCI), dopo che Paolo Rossi, del PSI, addirittura aveva proposto di innalzarlo a tre quinti.

Se era invece pacifica, anche per lo stesso Mortati, la necessità di prevedere un numero significativo di sottoscrizioni necessarie per l’iniziativa referendaria (previste inizialmente nel ventesimo degli aventi diritto e portate poi alla cifra fissa di cinquecentomila elettori), altro terreno problematico in cui si manifestarono le perplessità avverso l’istituto di ampi strati della Costituente e in cui si sovrapposero proposte diverse fu quello dei limiti materiali di ammissibilità del referendum. L’art.5 del progetto Mortati prevedeva, peraltro in relazione al referendum sospensivo, l’esclusione solamente delle leggi finanziarie e delle leggi di autorizzazione alla stipulazione e di ratifica dei trattati internazionali, oltre che delle leggi delle quali le Camere avessero dichiarato l’urgenza a maggioranza assoluta. Fin da

27

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16 subito, furono numerose le voci che caldeggiavano un ampliamento di tale previsione. In particolare Tosato proponeva, con la premessa che di fatto con l’art.5 si escludevano i disegni di legge aventi caratteri di urgenza, di escludere “altri disegni di legge che, in riferimento a determinate materie, possano avere egualmente un carattere di urgenza. […] Con simile accorgimento si potrebbe evitare la proclamazione dell'urgenza da parte delle Camere”28

. Dopo che nel Progetto di Costituzione licenziato dalla Commissione si prevedeva l’esclusione delle leggi tributarie, di approvazione dei bilanci e di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali tanto per il referendum sospensivo quanto per quello abrogativo, secondo una fusione che presenta certamente profili problematici e in certa misura di casualità, per quanto in questa parte interessa furono proposte da più parti in Assemblea ulteriori esclusioni di materia: se il limite delle leggi di amnistia e di indulto, proposto dagli esponenti della Democrazia Cristiana, fu inserito nel testo dell’art.75 Cost., altri limiti, pur infine non approvati ingenerarono comunque delicati dibattiti in sede costituente: il limite delle leggi costituzionali, in particolare, proposto dall’on. Nobile, non fu comunque posto in votazione, mentre quello delle leggi elettorali, proposto da un’altra esponente del gruppo comunista, M.E. Rossi, venne approvato anche se poi non fu inserito nel testo dell’art.75 poi votato dall’Assemblea il 23 dicembre 1947. Si deve infine dar conto di un ulteriore limite che era previsto nel Progetto di Costituzione ma che fu in effetti espunto nel testo definitivo della Costituzione: quello della vigenza almeno biennale della legge affinché questa potesse essere sottoposta a referendum abrogativo. Come si è accennato l’accantonamento di tale limite ha costituito il risultato di una sorta di compromesso con chi sosteneva la non introduzione del referendum sospensivo. Fu proprio il presidente della Commissione dei 75, Ruini, a insistere sull’opportunità di

28

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17 eliminare tale previsione dopo la bocciatura del referendum sospensivo; e tra chi si pronunciò in maniera concorde con Ruini (tra cui Rodi e Moro che argomentarono sulla base dell’uso eccezionale a cui comunque il referendum era subordinato e sul non senso di un termine minimo fisso per poter giudicare della bontà di una legge) e chi invece era per il mantenimento di suddetto termine o addirittura per l’introduzione di un termine massimo di vigenza per la sottoponibilità a referendum abrogativo (Gullo, “per non prolungare oltremodo lo stato di incertezza”29

) prevalsero in effetti i primi con le votazioni dei vari emendamenti nella seduta pomeridiana del 16 ottobre 1947. Un’analisi precisa dei limiti di ammissibilità del referendum abrogativo e in particolare della loro problematica applicazione da parte della Corte Costituzionale in sede di giudizio di ammissibilità sarà fatta nel corso successivo del lavoro.

1.2. L’attuazione dell’art. 75 della Costituzione: la legge n. 352 del 1970

L’attuazione del referendum rimase per ventidue anni tra i “mancati adempimenti costituzionali”30, sintomo, ancora una volta, della diffusa diffidenza all’interno dei partiti nei confronti dell’istituto, nonché del fatto che esso, proprio per tale ragione, avrebbe certamente rappresentato un momento di scontro politico e sociale, che spinse i partiti a non dare ad esso alcuna priorità nel dibattito parlamentare, caratterizzato peraltro negli anni precedenti alla entrata in vigore della legge 352 da una rinnovata unità e convergenza, che avrebbe condotto alla fase del compromesso storico: “cominciava a prevalere un sempre più consapevole timore di non riuscire a governare le conseguenze del referendum, di cui, quindi, larga parte del Parlamento, ed in particolare le forze politiche di maggioranza, preferivano rinviare sine die

29

Assemblea Costituente, seduta pomeridiana del 16 ottobre 1947

30

C. Mortati, Considerazioni sui mancati adempimenti costituzionali, in Studi per il

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18 l’attivazione”31

. Come noto, alla fine, l’attuazione avvenne per motivi

del tutto contingenti, quando in concomitanza con la presentazione, nel 1968, delle proposte di legge Fortuna e Baslini per lo scioglimento del matrimonio, si assistette ad un accordo tra la Democrazia Cristiana, la sola insieme al MSI contraria all’introduzione del divorzio, e gli altri partiti della coalizione del terzo governo Rumor (PSI, PSDI, PRI) per l’approvazione della legge sul divorzio immediatamente dopo l’approvazione di quella sul referendum per poter sottoporre così la prima a immediata consultazione popolare diretta: in base a tale patto di scambio il Parlamento approvò il 25 maggio del 1970 la legge sul referendum, e il 1° dicembre dello stesso anno quella sul divorzio. In ogni caso, l’analisi delle proposte di legge attuativa del referendum presentate sotto i governi degli anni precedenti e della stessa legge 352/1970 raccontano la preoccupazione delle forze partitiche di limitare le potenzialità applicative dell’istituto, “riducendo così i rischi di sovrapposizione o di concorrenza tra decisioni popolari dirette e decisioni del circuito parlamentare”32

. La proposta socialista Luzzato, Malagugini ed altri, presentata nel corso della terza legislatura, prevedeva già, infatti, l’introduzione di ulteriori limitazioni rispetto a quelle presenti nel dettato costituzionale, ossia l’esclusione del referendum abrogativo nei sei mesi successivi alle elezioni politiche, l’individuazione del numero massimo di tre referendum che si possono avere in una stessa consultazione, e soprattutto l’allargamento delle ipotesi di inammissibilità, prevedendola, oltre ai casi dell’art.75, comma 2 Cost., quando la richiesta referendaria sia, “per altra causa, costituzionalmente illegittima”. Con quest’ultima previsione, in effetti, si andava introducendo un’altra limitazione che, in particolare, andava ad ampliare l’oggetto del controllo della Consulta, ponendo il rischio concreto di una sovrapposizione dei giudizi di ammissibilità e di

31

A. Pertici, Il giudice delle leggi e il giudizio di ammissibilità del referendum

abrogativo, p.29

32

(19)

19 legittimità costituzionale da parte della Corte che, appunto, è competente per entrambe le funzioni33.

Dopo che tale disegno di legge non riuscì ad essere approvato entro la fine della legislatura da entrambe le Camere, nel corso della quarta legislatura, ne fu presentato un altro sotto il secondo governo Moro, recante ulteriori limiti con finalità deflativa dell’utilizzo del referendum abrogativo: si arrivava a prevedere l’esclusione del referendum sia nell’anno antecedente che nell’anno successivo alla rinnovazione del Parlamento, oltre all’estensione delle ipotesi di inammissibilità della richiesta, ancora una volta, al caso di sua illegittimità costituzionale, e stavolta anche al caso di contrasto con l’art.75 Cost. nella sua interezza, oltre dunque il limite posto all’oggetto del controllo di ammissibilità della Corte dalla legge costituzionale 1 del 1953. Ancora una volta, tuttavia, tale disegno di legge, benché andasse nei contenuti assolutamente nella direzione di circoscrivere l’utilizzo del referendum abrogativo, non riuscì ad essere approvato da entrambe le Camere entro la fine della legislatura, per l’atteggiamento dilatorio adottato di nuovo in materia dalla generalità delle forze politiche. Nel corso della discussione, peraltro, si assistette ad una aperta e decisa presa di posizione del Partito Liberale contro l’istituto del referendum, quando in particolare l’on. Bozzi, che come si è visto prima ebbe già modo di esprimere in Costituente tutte le perplessità verso la consultazione popolare diretta, manifestò la sua contrarietà nei confronti dell’istituto.

Come si è detto, fu la contingenza a portare all’attuazione del referendum nel corso della quinta legislatura, nel 1970. Se nella legge 352 scompaiono le estensioni al giudizio di ammissibilità della richiesta referendaria rispetto al parametro dell’art.75, comma 2 Cost. che erano state proposte nei ddl appena esaminati, sono invece introdotti limiti di ordine temporale: oltre alla esclusione del deposito

33

A seguito dell’attribuzione del giudizio di ammissibilità delle richieste referendarie alla Corte Costituzionale, con l. cost. 1 del 1953

(20)

20 delle richieste di referendum abrogativo nell’anno anteriore o nei sei mesi successivi alla data delle elezioni politiche, con il preciso intento di evitare la sovrapposizione tra le specifiche questioni oggetto della consultazione referendaria e quelle, più generali, coinvolte dalle elezioni politiche, si dispone che la data della votazione referendaria debba essere fissata dal Presidente della Repubblica in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno, nonché la sospensione dell’iter referendario in caso di scioglimento anticipato delle Camere.

Si vedrà nel corso successivo della trattazione come i limiti presenti in Costituzione e nella legislazione ordinaria abbiano inciso profondamente, secondo le diverse analisi dottrinali, sulle potenzialità del referendum abrogativo, contribuendo in materia decisiva al declino dell’istituto rispetto alla sua pur iniziale vitalità.

(21)

21

CAPITOLO SECONDO

IL GIUDIZIO DI AMMISSIBILITA’ DELLA CORTE

COSTITUZIONALE SULLE RICHIESTE

REFERENDARIE

2.1. Introduzione

Nell’analizzare i profili problematici dell’istituto del referendum abrogativo che, nell’esperienza concreta, ne limitano le potenzialità applicative contribuendo altresì a snaturarne le caratteristiche e le funzioni quali attribuitegli secondo il disegno costituzionale, muoviamo da un esame della giurisprudenza della Corte Costituzionale in sede di giudizio di ammissibilità delle richieste referendarie, per sottolinearne, da un lato, l’evoluzione in senso estensivo nell’interpretazione ed elaborazione dei limiti di ammissibilità delle richieste, dall’altro, la sua diffusa imprevedibilità ed incoerenza (in alcuni casi, come vedremo, finanche tra decisioni rese nella stessa data), tanto da attirare su di sé in diverse occasioni, e da parte di soggetti eterogenei, accuse di arbitrarietà nel giudizio.

La scelta di attribuire alla Consulta la competenza a giudicare dell’ammissibilità delle richieste referendarie è stata operata con la legge costituzionale n.1 del 1953, secondo un’opzione peraltro non obbligata, anche alla luce delle esperienze straniere, ma comunque opportuna per le esigenze di autorevolezza dell’organo chiamato a pronunciarsi su una materia così delicata e di sottrarre al circuito politico-rappresentativo la decisione (che porta inevitabilmente con sé conseguenze sul piano politico) in ordine all’effettivo svolgimento

(22)

22 della consultazione referendaria34. Perciò, benché, come vedremo, siano proprio la natura e le funzioni dell’organo preposto a tale giudizio ad aver contribuito in maniera decisiva alla sua estensione a valutazioni diverse rispetto a quelle concernenti il solo quesito abrogativo, non pare auspicabile ipotizzare di modificare l’attribuzione di tale delicata competenza: in effetti, è significativo sottolineare che la scelta operata nel 1953 precede la concreta entrata in funzione della Corte Costituzionale, che dunque riusciva ad esprimere quelle esigenze di garanzia, assoluta indipendenza ed autorevolezza nell’esercizio della funzione già prima dell’inizio dei suoi lavori e prima, dunque, che l’esperienza concreta andasse ad assicurare al Giudice delle leggi quel prestigio alla base della scelta del 1953. Pare piuttosto, come vedremo, che sia imprescindibile una ridefinizione dei confini del controllo di ammissibilità del referendum, per limitare la prassi non univoca e conseguentemente imprevedibile che va a scapito proprio dell’autorevolezza dell’organo che è stata alla base dell’attribuzione.

2.2. I profili problematici della giurisprudenza costituzionale

2.2.1. L’applicazione dei limiti espliciti

Il dato positivo da cui partire nella trattazione del giudizio di ammissibilità è costituito dall’art. 75, comma 2, Costituzione, che detta gli unici limiti normativi all’ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo: esso non è ammesso per le leggi tributarie, di bilancio, di amnistia e di indulto, e di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali.

La prima estensione dei limiti di ammissibilità ad opera della Corte Costituzionale si ebbe invece con la sentenza-quadro 16 del 1978, in cui ritenne di individuare quattro ulteriori ordini di cause inespresse di

34

A. Pertici, Il giudice delle leggi e il giudizio di ammissibilità del referendum

(23)

23 inammissibilità, ricavate “dall’intero ordinamento costituzionale del referendum abrogativo”35

. È evidentemente la competenza principale di Giudice delle leggi dell’organo a giocare un ruolo decisivo nell’ampliamento dei limiti in questione, per l’esigenza, sottesa all’operato della Corte in materia, che l’operazione referendaria si svolga nel generale rispetto della Costituzione, con la conseguente individuazione di “altre ragioni, costituzionalmente rilevanti, in nome delle quali si renda indispensabile precludere il ricorso al corpo elettorale, ad integrazione delle ipotesi che la Costituzione ha previsto in maniera puntuale e espressa”, in ragione di un “potere-dovere di valutare l’ammissibilità dei referendum in via sistematica […] al di là della lettera dell’art.75, comma 2, Costituzione”36.

Ebbene, in questa sede la Corte individuò come primo limite l’omogeneità del quesito, che non si ha, secondo l’accezione qui accolta dalla Consulta, quando esso presenta una pluralità di domande eterogenee, carenti di una matrice razionalmente unitaria, tali da discostarsi dalla natura di genuina manifestazione della volontà popolare attribuita al referendum abrogativo dalla Costituzione, e limitanti così la libertà di voto dei cittadini; in secondo luogo, sono individuati come inammissibili le richieste referendarie aventi ad oggetto la Costituzione, le leggi di revisione costituzionale, le "altre leggi costituzionali" considerate dall'art. 138 Cost., come pure gli atti legislativi dotati di una forza passiva peculiare (e dunque insuscettibili di essere validamente abrogati da leggi ordinarie successive); un terzo limite è individuato nelle leggi “a contenuto costituzionalmente vincolato”37

, la cui emanazione è cioè imposta, in quanto costituiscono, nel loro contenuto, l’unica necessaria e possibile attuazione di disposizioni costituzionali, e la cui abrogazione andrebbe dunque ad incidere su queste ultime, rispetto alle quali invece, come

35

Corte Costituzionale, sentenza 16/1978

36

Ibidem

37

(24)

24 sappiamo, l’abrogazione in via referendaria non è ammessa, bensì solo con il procedimento di cui all’art.138 Cost.; infine, secondo un'interpretazione logico-sistematica, le disposizioni produttive di effetti collegati in modo così stretto all'ambito di operatività delle leggi espressamente indicate dall'art. 75, che la preclusione debba ritenersi sottintesa.

Nel corso degli anni la Corte è andata a specificare ulteriormente sia tali ultimi limiti, sia quelli espressi nell’art.75, comma 2, Cost., creandone sostanzialmente di nuovi e dando luogo, da un lato, a una casistica nel complesso incoerente ed imprevedibile, che anziché presentarsi unitaria e univoca risponde ad una logica per temi, qualificandosi in definitiva come occasionale in quanto rispondente ai gruppi di domande referendarie di volta in volta proposte, dall’altro a una sostanziale limitazione degli spazi operativi del referendum abrogativo, ampliando ben oltre il disegno costituzionale l’area di inammissibilità dell’istituto e costituendo così un importante e inaspettato, almeno agli inizi, ostacolo alle richieste referendarie che si sono succedute fino ad oggi38.

Muovendo dall’analisi dell’interpretazione definita logico-sistematica dei limiti materiali di cui all’art.75 della Costituzione, un esempio pregnante di quanto esposto è dato dal limite delle leggi tributarie che peraltro, per inciso, sono le uniche tra quelle previste in Costituzione per le quali non è in assoluto preclusa ogni abrogazione, e rispetto alle quali è stata posta dai Costituenti l’inammissibilità dei relativi referendum per evitare una probabile ondata di richieste referendarie in materia fiscale che porterebbe in definitiva all’azzeramento del sistema tributario. Orbene, l’interpretazione estensiva del limite in questione ad opera della Corte è stata avviata dalla sentenza 11 del 1995, avente ad oggetto il quesito concernente l’abrogazione del sistema del sostituto d’imposta facente parte di un pacchetto di dieci richieste referendarie

38

(25)

25 presentato nel 1993 dai radicali del gruppo parlamentare federalista europeo39. In questa sede, la Consulta ricondusse proprio la normativa in questione40 nel novero delle leggi tributarie, disponendo che “con riguardo al meccanismo normativo del sostituto d'imposta, cui si riferisce la presente richiesta referendaria, appare evidente la sua inscindibile connessione con l'imposta sul reddito e, di conseguenza, con le disposizioni legislative che la disciplinano”41

, e dichiarando così il quesito inammissibile. Due anni più tardi la Corte si pronunciò in modo analogo sulla medesima richiesta a fronte di un pacchetto di ben ventidue richieste di referendum per le quali il comitato promotore guidato dai radicali di Marco Pannella riuscì a raccogliere le 500000 firme necessarie. In questa sede il Giudice delle leggi ebbe a specificare che “gli strumenti di attuazione della pretesa fiscale possono ritenersi parte integrante della normativa tributaria sol che si consideri che la mancanza di una disciplina idonea a garantire l'applicazione del prelievo renderebbe inefficace il semplice apprestamento della struttura sostanziale del tributo”42, evidenziando così un’interpretazione decisamente estensiva del limite in questione rispetto al disegno costituzionale, il che costituisce una limitazione eccessiva allo spazio di operatività del referendum, dal momento che, così, esso risulta escluso rispetto ad ogni normativa che riguardi il procedimento tributario, comprensivo dell’accertamento e della riscossione; in effetti, la Consulta ebbe modo di chiarire, in sede di controllo dell’ammissibilità del medesimo quesito ancora una volta depositato di radicali il 28 settembre 1999, che con la dizione “leggi tributarie” la Costituzione si riferirebbe alla disciplina del rapporto tributario nel suo insieme, che comprenderebbe allora “sia le norme che riguardano il momento costitutivo dell'imposizione sia quelle che disciplinano gli aspetti dinamici del rapporto, e cioè il suo svolgimento

39

E. Malfatti, Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo, p.467

40

Ossia il d.p.R. 600/1973, artt. 23, 251

41

Corte Costituzionale, sentenza 11/1995

42

(26)

26 nell'accertamento e nell'applicazione del tributo con la riscossione dello stesso”43

.

Analogo percorso in senso ampliativo è stato compiuto dalla Corte Costituzionale nell’interpretazione logico-sistematica del limite delle leggi di bilancio: in occasione del controllo di ammissibilità dell’iniziativa referendaria avanzata nel 1984 dal Pci per l’abrogazione della legge di conversione del c.d. decreto di San Valentino n.10/1984, con cui il governo Craxi tagliò 4 punti percentuali del sistema di indicizzazione dei salari in funzione dell’inflazione (scala mobile) convertendo un accordo delle associazioni imprenditoriali con Cisl e Uil, la Corte, per quanto qui ci interessa, accolse una nozione estensiva delle leggi di bilancio, comprensiva delle norme contenute nella legge finanziaria: benché riconoscesse che nel caso di specie le norme oggetto del quesito fossero comunque esorbitanti dal novero delle leggi finanziarie, la Consulta colse comunque l’occasione, sulla scorta di un’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura dello Stato, per affermare il nesso riscontrabile fra le cosiddette leggi finanziarie e le leggi di bilancio: “Effettivamente, ai sensi dell'art. 11 della legge 5 agosto 1978, n. 468, la legge finanziaria può annualmente operare modifiche ed integrazioni a disposizioni legislative aventi riflessi sul bilancio dello Stato […] ed é ben noto che la legge stessa e la corrispondente legge di bilancio derivano da un comune processo decisionale, anche se mantengono una diversa natura e subiscono limiti diversi per effetto dell'art. 81 della Costituzione”44. Un’ulteriore, problematica estensione della nozione di legge di bilancio è stata realizzata dalla Corte in sede di controllo dell’ammissibilità delle richieste referendarie del 1993, di iniziativa di Rifondazione Comunista, relative ai provvedimenti di privatizzazione degli enti pubblici economici e di riduzione delle prestazioni pensionistiche realizzate dal governo Amato in corrispondenza della crisi economica

43

Corte Costituzionale, sentenza 51/2000

44

(27)

27 dell’inizio degli anni Novanta45

; ebbene, in questa occasione la Corte Costituzionale ampliò ulteriormente il limite, contravvenendo al proprio stesso orientamento di cui alla sentenza del 1985, includendo nella nozione di leggi di bilancio non soltanto le leggi finanziarie, ma adesso anche “le leggi che assumono funzione di provvedimenti collegati alla legge finanziaria, al di là della qualificazione formale”: rispetto ad esse è individuato un “legame genetico, strutturale e funzionale con le leggi di bilancio” in quanto incidono “direttamente sul quadro delle coerenze macroeconomiche”, contribuendo a realizzare, al pari delle norme relative al bilancio annuale, al bilancio pluriennale e alla legge finanziaria “l’indispensabile equilibrio finanziario”46

. Fu così che le richieste in questione furono dichiarate inammissibili. Questo è uno degli esempi di sostanziale ambiguità della giurisprudenza della Corte Costituzionale, che, secondo una logica casistica e non sistemica, tende così ad ampliare oltre quanto non sia opportuno i limiti di materia individuati dal testo costituzionale47. La decisione, almeno in questo caso, si rivelò in effetti molto problematica, come dimostrato dal contrasto interno al collegio, tra il relatore, che rinunciò infatti alla stesura della sentenza, e gli altri giudici.

Per chiudere l’esame dell’ampliamento ad opera della Corte, attraverso l’interpretazione logico-sistematica di cui alla sentenza 16 del 1978, dei limiti di ammissibilità espressi nell’art.75, coma 2, Cost., facciamo riferimento all’evoluzione giurisprudenziale in ordine al limite delle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali: in questo ambito, invero, pare condivisibile l’orientamento della Consulta che estende la nozione anche alle norme di attuazione degli obblighi assunti in sede internazionale, rispetto alle quali non vi sia possibilità di scelta circa il loro contenuto ai fini dell’esecuzione dell’obbligo

45

Rispettivamente, art. 2 del d.l. 386/1991 e d.lgs. 503/1992

46

Corte Costituzionale, sentenza 2/1994

47

(28)

28 internazionale. In effetti, pare eccessivamente permissiva la disposizione costituzionale nella parte in cui riserva espressamente l’inammissibilità del quesito referendario alle sole ipotesi in cui esso abbia ad oggetto la legge del Parlamento di autorizzazione a ratificare gli accordi internazionali, che è un legge meramente formale, destinata ad esaurire la sua efficacia proprio con la ratifica e rispetto alla quale dunque, in verità, è da escludere in assoluto un’abrogazione48

. Gli effetti e la disciplina sostanziali sono invece, appunto, da ricondurre alla normativa di attuazione, rispetto alla quale correttamente la Corte ha affermato essere preclusi i “referendum che investano non soltanto le leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, ma anche quelle strettamente collegate all'esecuzione dei trattati medesimi. Restano dunque sottratte all'abrogazione referendaria non tutte le norme che lo Stato italiano può emanare, operando delle scelte, per dare attuazione nei modi considerati più idonei agli impegni assunti sul piano internazionale, ma soltanto quelle norme, la cui emanazione è, per così dire, imposta dagli impegni medesimi: per le quali, dunque, non vi sia margine di discrezionalità quanto alla loro esistenza e al loro contenuto, ma solo l'alternativa tra il dare esecuzione all'obbligo assunto sul piano internazionale ed il violarlo”49. Nella sentenza n.28 del 2011, relativa al quesito sull’energia nucleare, la Corte si è ulteriormente soffermata sul limite delle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, confermando i propri precedenti orientamenti: ricordando che per l’operatività di tale limite “non è sufficiente che la richiesta referendaria si riferisca a materia la quale abbia formato oggetto di Convenzioni internazionali, ma è necessario che essa si ponga in posizione di contrasto con uno specifico obbligo derivante da convenzioni internazionali, sicché,in caso di abrogazione […] della norma di attuazione dell’obbligo suddetto, possa sorgere una

48

A. Ruggeri e A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, p. 388

49

Corte Costituzionale, sentenza 30/1981, secondo la conclusione seguita anche nella sentenza 27/1997

(29)

29 responsabilità dello Stato”50, ha dichiarato l’ammissibilità del quesito proprio per la non sussistenza di una tale situazione; la Consulta ricorda qui, in effetti, che il Trattato di Lisbona fa salvo il diritto di uno Stato membro di determinare le condizioni di utilizzo delle sue fonti energetiche, nonché di scegliere tra varie fonti di energia, il che la porta a concludere che la richiesta referendaria non si pone in posizione di contrasto con uno specifico obbligo derivante da convenzioni internazionali o da norme comunitarie, essendo insussistente un obbligo di realizzare o mantenere in esercizio impianti per la produzione di energia nucleare.

Problematica e a nostro avviso criticabile è invece l’estensione del suddetto limite anche alle cc.dd. leggi comunitariamente necessarie, quelle cioè che sono, sì, necessarie affinché lo Stato ottemperi agli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione Europea, derivato o dei trattati, ma che non hanno, a differenza delle leggi da ultimo esaminate, un contenuto vincolato, lasciando invece un margine discrezionale al legislatore nazionale rispetto alla modalità di attuazione del diritto internazionale (comunitario, nella fattispecie). Il limite in questione è stato ripreso più volte dalla Consulta, per sottolineare che in ogni caso il referendum abrogativo non può incidere sulla normativa di attuazione in modo tale da eliminare quel livello minimo di tutela necessario a garantire l’esecuzione dell’obbligo europeo: in particolare, per le ragioni esposte, la Corte con la sentenza 31 del 2000 andava a dichiarare l’inammissibilità della richiesta referendaria concernente il Testo unico della disciplina dell’immigrazione e della condizione dello straniero51

, di attuazione degli obblighi derivanti dalla Convenzione europea di applicazione dell’accordo di Schengen e dal Trattato di Maastricht come modificato dal Trattato di Amsterdam, mentre con la sentenza 45 del 2000 dichiarava l’inammissibilità del quesito relativo all’abrogazione della

50

Corte Costituzionale, sentenza 28/2011, che richiama in parte la sentenza 63/1990

51

(30)

30 disciplina del lavoro a tempo parziale contenuta nella legge n.863 del 1984, di attuazione della direttiva 97/1981/CE in materia, proprio perché l’abrogazione avrebbe comportato l’inadempimento dello Stato italiano a tali obblighi comunitari. A breve, nell’analisi dell’evoluzione giurisprudenziale sulle leggi a contenuto costituzionalmente vincolato, ci si soffermerà sui profili critici di tale giurisprudenza, che ne impongono a nostro avviso un ripensamento: in particolare, il necessario esame della normativa di risulta che il limite delle leggi comunitariamente necessarie comporta, nonché il carattere manipolativo del referendum che sembra imporsi per superare il limite di ammissibilità in parola, per mettere in risalto lo snaturamento sia del referendum abrogativo in sé, sia del relativo giudizio di ammissibilità che tali orientamenti comportano.

2.2.2. La giurisprudenza relativa ai limiti di origine pretoria Per il momento continuiamo a mettere in risalto l’ambiguità, nonché, almeno in alcuni casi, la sostanziale arbitrarietà della giurisprudenza costituzionale di ammissibilità, che a nostro avviso ne sottolinea la necessità di una profonda ridefinizione, nell’ottica di un suo maggiore self-restraint. Emblematica è, al riguardo, l’evoluzione della casistica relativa al requisito attinente alla formulazione del quesito e, come si è visto, elaborato nell’ambito della decisione-quadro 16 del 1978, della omogeneità del quesito: originariamente esso è stato declinato nei termini di una preclusione per i quesiti recanti una pluralità di domande eterogenee prive di una matrice razionalmente unitaria, tali da pregiudicare la libertà di voto, in quanto in tali casi, forzatamente, l’interesse prevalente ad abrogare o a mantenere determinate discipline comporterebbe l’accettazione dell’abrogazione o del mantenimento di altre norme rispetto alle quali invece, ove esse fossero state oggetto di un quesito autonomo, avrebbe prevalso nell’elettorato la volontà

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31 opposta52. Nel tempo, la Consulta ha tenuto, al riguardo, orientamenti diversi, in alcuni casi specificando il limite in questione, facendolo così oggetto di una valutazione più stringente e addirittura arrivando ad elaborare ulteriori criteri connessi, attinenti anch’essi alla formulazione del quesito, in altri casi adottando invece un atteggiamento di minor rigore nell’interpretazione dell’omogeneità, dando così luogo a una giurisprudenza sostanzialmente incoerente, in certe occasioni perfino tra decisioni rese nella stessa data.

In effetti, già con la sentenza 27/1981, la Corte dichiarò l’inammissibilità del quesito radicale sulla caccia53

proprio fondandosi su un’interpretazione stringente del limite dell’omogeneità che dette luogo alle aspre critiche dei radicali, i quali, riferendosi alla sostanziale imprevedibilità della giurisprudenza costituzionale, parlarono di “Corte di regime” e di “Corte beretta”54

rispetto al diritto dei cittadini di esprimersi mediante consultazione popolare diretta. Qui la Corte ampliò l’omogeneità del quesito sviluppandolo negli ulteriori requisiti della semplicità, chiarezza ed inconfondibilità dello stesso, rispetto ai quali l’omogeneità si porrebbe come strumentale, al pari della completezza del quesito, che garantirebbe anch’essa la libertà del voto imponendo di inserire nella formulazione della richiesta tutte le disposizioni che si ricollegano ad uno stesso principio. In tale sentenza, dunque, l’omogeneità è estesa a tal punto da affiancarle criteri ulteriori che, negli anni, saranno richiamati in molte altre occasioni, al fianco dell’omogeneità, per fondare dichiarazioni di inammissibilità delle richieste referendarie: si pensi alla sentenza 47/1991, che dichiarò l’inammissibilità della richiesta, avanzata nel 1990 dal Comitato per il referendum elettorale di Mario Segni, sulla legge elettorale dei comuni,

52

M. Luciani, Omogeneità e manipolatività delle richieste di referendum abrogativo

tra libertà di voto e rispetto del principio rappresentativo, in AA.VV., Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo, p. 78

53

Avente ad oggetto l’abrogazione di alcuni artt. della legge 968/1977 recante principi generali sulla disciplina della caccia

54

(32)

32 anche, appunto, per l’assenza di chiarezza che “rischierebbe di venire pregiudicata dalla mancata inclusione di porzioni normative anche brevissime, allorché queste - di per sé destinate a perdere ogni ragione di sopravvivenza nell’eventualità di un'abrogazione delle parti espressamente indicate nel quesito - potrebbero, con il loro mantenimento formale durante il vaglio referendario, suscitare dubbi sull'effettivo intento dei promotori”; oppure si consideri la sentenza 23 del 1997, sull’ammissibilità di una delle venti richieste referendarie avanzate dai radicali nel 1995, in cui l’inammissibilità fu dichiarata anche per carenza di chiarezza del quesito, argomentando che “l'abrogazione delle norme sottoposte a referendum sarebbe incoerente e contraddittoria con la permanenza di altre alle prime strettamente connesse” (con esplicito richiamo alla sentenza 29 del 1981).

Il requisito dell’omogeneità è stato poi ulteriormente specificato ed ampliato dalla Corte nell’ambito del controllo di ammissibilità del quesito proposto nel 1982 da Democrazia Proletaria, avente ad oggetto lo Statuto dei Lavoratori per estendere le garanzie a tutela dell’attività sindacale anche alle imprese con meno di 15 dipendenti, e dichiarato in effetti inammissibile per carenza di omogeneità della richiesta, intesa come “nesso inscindibile di coerenza logica e sostanziale” tra le diverse proposte avanzate, a scapito ancora una volta della libertà di voto, in quanto l’elettore sarebbe altrimenti “costretto a fornire una risposta unica in sede di espressione del voto. Ben potrebbe cioè l'elettore condividere l'una o l'altra delle soluzioni abrogative ma non tutte, mentre dovrebbe invece necessariamente rispondere "sì" o "no" in relazione al loro complesso”55

.

La continua rimodulazione del criterio in parola non finisce affatto qui: con la sentenza 29 del 1987, avente ad oggetto il quesito avanzato da radicali e liberali per la modifica del sistema di elezione della componente togata del Consiglio Superiore della Magistratura, la Corte

55

(33)

33 Costituzionale ampliò il concetto dell’omogeneità fino a farlo coincidere con un divieto di quesiti esposti ad ambiguità di significato, cioè incapaci di esprimere l’”evidenza del fine intrinseco dell’atto abrogativo”: la Consulta in particolare considera che il referendum abrogativo è, nel nostro sistema costituzionale, una fonte del diritto dello stesso rango della legge ordinaria, e che così “come il legislatore rappresentativo ispira e coordina la sua volontà ad un oggetto puntuale, così la volontà popolare deve poter ispirarsi ad una ratio altrettanto puntuale”56, individuando proprio nell’omogeneità come in questa sede declinata la garanzia di siffatta ratio.

Ma è dall’esame di alcune sentenze successive che emerge tutta l’ambiguità ed incoerenza della giurisprudenza costituzionale in sede di giudizio di ammissibilità delle richieste referendarie. Se l’evoluzione giurisprudenziale fino ad ora considerata si caratterizza per una continua espansione del concetto di omogeneità, successivamente assistiamo ad incoerenti oscillazioni nell’interpretazione dello stesso, ampia in alcuni casi, più blanda in altri: una delle prime decisioni che vanno in quest’ultima direzione è la sentenza 28 del 1993, avente ad oggetto una richiesta referendaria sulla disciplina delle sostanze stupefacenti e psicotrope, in cui si fa meramente riferimento ad una non assoluta eterogeneità, ma è soprattutto dall’esame di due sentenze del 2003 che emerge tutta l’imprevedibilità della giurisprudenza della Corte in materia, la quale si rende addirittura protagonista di orientamenti contraddittori in decisioni rese nella stessa data. Si sta facendo riferimento alle sentenze 41 e 45 del 2003, relative a due richieste referendarie presentate entrambe da Rifondazione Comunista, Fiom, e dalla corrente della sinistra dei Ds Socialismo 2000, e riguardanti lo Statuto dei lavoratori; con la prima si intendeva estendere la tutela reale in caso di licenziamento illegittimo, che era garantita dall’art.18 della l.300/1970,

56

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34 anche alle imprese con non più di quindici dipendenti, mentre con l’altra si volevano estendere anche a queste ultime i diritti connessi all’esercizio dell’attività sindacale sul luogo di lavoro. Per quanto ci interessa, il primo quesito contemplava altresì l’abrogazione della disposizione della l.108/1990 che esclude l’estensione dell’obbligo del datore di lavoro di reintegrare il lavoratore illegittimamente licenziato ai “datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, ovvero di religione o di culto”; dal canto suo, invece, il secondo quesito contemplava altresì l’abrogazione del terzo comma dell’art.35 dello Statuto dei lavoratori, proponendo così l’estensione della disciplina dell’attività sindacale anche alle imprese di navigazione. Ebbene, del tutto criticabilmente, la Corte Costituzionale ha, da un lato, dichiarato ammissibile il quesito relativo alla tutela reale in caso di licenziamento illegittimo, mentre ha deciso per l’inammissibilità dell’altro quesito, dimostrando di dare due interpretazioni diverse, l’una meno, l’altra più rigorosa al criterio dell’omogeneità nell’ambito di due decisioni assunte appunto in sequenza nello stesso giorno57.

Con la sentenza n.41, in effetti, la richiesta è stata giudicata omogenea benché essa contemplasse l’estensione della tutela reale anche ai lavoratori dipendenti da datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di tendenza, considerando che “la domanda di abrogazione in esame chiarisce la propria obiettiva ratio unitaria consistente nell’estensione della garanzia della reintegrazione e del risarcimento del danno contenuta nell’art. 18 dello statuto dei lavoratori, in modo da comprendere in essa anche l’ambito in cui oggi vale la tutela obbligatoria”; e che, quindi, “il quesito è omogeneo, pur concernendo altresì la disposizione che esclude l’applicabilità della garanzia di stabilità reale per i dipendenti da datori di lavoro, non imprenditori, che esercitano un’attività di tendenza. L’esistenza di una

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A. Pertici, Il giudice delle leggi e il giudizio di ammissibilità del referendum

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