• Non ci sono risultati.

Il divieto di coincidenza tra elezioni politiche e referendum e la

4.2. Critica alla disciplina di cui alla legge n 352 del 1970

4.2.1. Il divieto di coincidenza tra elezioni politiche e referendum e la

di rinvio dei referendum

Un intervento di riforma complessiva dell’istituto referendario non può poi non avere ad oggetto anche alcune scelte restrittive operate dalla legge n. 352 del 1970 che, come si è detto nel primo capitolo, corrispondono al chiaro intento del legislatore di circoscrivere e limitare le capacità operative del referendum abrogativo, evidentemente inviso ad ampi strati della classe politico –

125

Comunicazioni del Presidente Ciampi alla Camera dei deputati, in Atti

98 parlamentare. Si fa riferimento, in particolare, alla norma che statuisce il divieto di coincidenza tra elezioni politiche e consultazioni referendarie, a quella che determina il rinvio delle operazioni referendarie in caso di scioglimento anticipato delle Camere, nonché al riconoscimento della possibilità per il Parlamento di modificare la legge oggetto della richiesta di referendum praticamente fino alla vigilia della consultazione, ponendo così nel nulla l’iniziativa referendaria anche a pochi giorni prima della data del voto. L’insieme di queste scelte restrittive del legislatore del 1970 fa parte evidentemente dell’insieme degli ostacoli fino a qui esposti che, tutti insieme, hanno fino ad oggi limitato, non poco, le capacità operative del referendum abrogativo.

Innanzitutto, l’intervento riformatore, da attuarsi stavolta mediante legislazione ordinaria, dovrebbe incidere, eliminandoli, sugli artt. 31 e 34, commi 2 e 3, della legge n. 352 del 1970, che prevedono, il primo, il divieto di deposito di richieste di referendum nell’anno anteriore alla scadenza della legislatura e nei sei mesi successivi alla data della convocazione dei comizi elettorali per le elezioni politiche; il secondo, l’automatica sospensione del procedimento referendario, nel caso di scioglimento anticipato delle Camere, alla data della pubblicazione del decreto presidenziale di convocazione dei comizi elettorali per l’elezione delle nuove Camere, e fino al trecentosessantacinquesimo giorno successivo alla data delle elezioni.

In effetti, tali disposizioni relative ai tempi della presentazione e dello svolgimento dei referendum rispondono ad un’impostazione che enfatizza un ruolo del referendum come succedaneo delle elezioni politiche, come di istituto subordinato al momento della politica generale rappresentato dalla elezione di Camera e Senato, il quale ultimo sarebbe tale da assorbire ogni consultazione relativa a temi

99 particolari come quella referendaria126. Consentire invece la concomitanza tra elezioni politiche e referendum abrogativi, e ancor di più eliminare la previsione del rinvio del procedimento referendario in caso di fine anticipata della legislatura, significa affermare la piena indipendenza, rispetto al circuito politico parlamentare, della consultazione referendaria; essa è capace di imporsi, per sua natura, come procedimento a carattere interdittivo e sanzionatorio su temi specifici delle scelte operate dai rappresentanti, e quindi non si pone in diretta continuità con il circuito parlamentare, rappresentando piuttosto un momento di rottura di alcuni indirizzi espressi in sede parlamentare. Il referendum abrogativo è una consultazione su temi particolari, che vive di procedure e di protagonisti propri, e che non può dunque ritenersi assorbita dalle elezioni politiche parlamentari, costituendo un istituto di democrazia diretta, in quanto tale non subordinato al circuito politico – rappresentativo127.

In particolare, poi, eliminare la previsione della sospensione del procedimento referendario in caso di scioglimento anticipato delle Camere significa, oltre, ancora una volta, ad affermare la piena indipendenza delle consultazioni referendarie rispetto alle vicende della politica rappresentativa, evitare che la pendenza di quesiti referendari possa favorire la decisione di fine anticipata della legislatura, specie nei casi di quesiti che mettono a dura prova la dialettica dei partiti politici, che in alcuni importanti casi hanno preferito ricorrere allo scioglimento anticipato come la “più praticabile way-out, più o meno concordemente accettata dalle forze politiche, per sfuggire almeno nell’immediato alla incomoda stretta referendaria”128.

126

Cfr. V. Onida, Referendum: un istituto da rivedere in Il Corriere giuridico, n.7/1995, p. 765

127

Ibidem

128

Cfr. S. Galeotti, Intervista, in P. Calandra, (a cura di), Lo scioglimento del

100 Lo scioglimento anticipato disposto con d.p.R. n. 19 del 1972 costituisce il primo esempio di “auto scioglimento in senso sostanziale”129

, in cui cioè sono i partiti politici di maggioranza e di opposizione ad accordarsi per porre fine alla legislatura, ora per ragioni attinenti alle strategie elettorali, ora per rimandare, seppur solo temporaneamente, consultazioni referendarie che il sistema partitico vuole evitare. Nel 1972, in effetti, nell’incombenza del primo referendum abrogativo avente ad oggetto la legge n. 898 del 1970 sul divorzio, montava la spaccatura in seno al principale partito di maggioranza, la Democrazia Cristiana, in ordine all’opportunità del referendum, pur fortemente voluto dalla stessa Dc in precedenza come elemento dello scambio politico con i partiti di sinistra favorevoli all’approvazione della legge introduttiva dello scioglimento del matrimonio. Alla vigilia della consultazione referendaria, infatti, una parte dell’area democristiana assunse una posizione critica rispetto alle posizioni del Comitato promotore, sulla scorta del più su menzionato appello di un gruppo di intellettuali cattolici guidati da Pietro Scoppola, che intendeva contrastare l’iniziativa referendaria “inequivocabilmente di carattere confessionale se non addirittura clericale” mediante l’invito all’astensione, ritenuta una “contro iniziativa democratica e popolare di rifiuto del referendum”130

. La soluzione alle spaccature interne alla Dc, che minavano la stabilità della maggioranza di governo, e al tempo stesso per rinviare, sia pur solo temporaneamente, il referendum sul divorzio con le criticità che esso portava con sé per il principale partito italiano, fu trovata nella decisione di chiudere anticipatamente la legislatura, voluta fortemente dalla stessa Democrazia Cristiana, ma su cui convenivano quasi tutti i partiti politici presenti in Parlamento.

129

L’espressione è di L. Elia, dichiarazione resa al Corriere della sera del 13 febbraio 1972

130

101 Un altro caso di scioglimento funzionale delle Camere, dettato appunto dalla impossibilità di costituire una maggioranza, ma altresì dettato dal disegno, condiviso dalla generalità dei partiti, di liberarsi pur momentaneamente dell’incombenza di un referendum che metteva a dura prova la dialettica tra i principali partiti politici, è quello del 1976, che ebbe il principale effetto, appunto, di evitare l’imminente consultazione referendaria sull’aborto ai sensi dell’art. 34, commi 2 e 3, della legge n.352 del 1970: nella circostanza assistiamo, in più, ad un sostanziale svilimento dei poteri e del ruolo del Presidente della Repubblica Leone, che ebbe un atteggiamento totalmente estraneo alla decisione di determinare la fine anticipata della legislatura, maturata tutta in seno ai partiti politici: nessuna opera di opposizione a tale decisione fu messa in atto dal Presidente della Repubblica, il quale invece si limitò a dichiarare il volere dei partiti, senza porre in atto alcuna autonoma iniziativa volta a trovare una soluzione alternativa allo scioglimento anticipato131.

Altro caso in cui l’imminenza di una consultazione referendaria ebbe un ruolo centrale nell’influenzare la decisione di terminare anticipatamente la legislatura (insieme, come sempre, ad altri fattori, primo fra tutti uno stallo dell’attività parlamentare) fu quello del 1987, quando erano incombenti i referendum sul nucleare, sulla responsabilità civile dei magistrati e sui poteri delle commissioni d’inchiesta: ancora una volta maturò tra le principali forze politiche la convinzione che lo scioglimento anticipato delle Camere rappresentasse, da un lato, l’unico sbocco alla crisi politica contingente, dall’altro, la miglior soluzione per sbarazzarsi, almeno nell’immediato, della prospettiva di consultazioni referendarie capaci di creare divergenza anche all’interno di ciascun partito. In un contesto caratterizzato dallo stallo nei rapporti tra Dc e Psi (a seguito della violazione da parte del Presidente del Consiglio Craxi del patto della

131

Cfr. C. de Girolamo, Lo scioglimento anticipato delle Camere: una ricognizione

102 staffetta con la Dc per il quale nel marzo dello stesso anno avrebbe dovuto costituirsi un governo che, nella logica dell’alternanza all’interno della maggioranza, avrebbe dovuto essere guidato da una esponente della Democrazia Cristiana) e dai contrasti intorno alla celebrazione dei referendum, si capì che l’unica scappatoia era rappresentata dalla fine anticipata della legislatura; in questa occasione, peraltro, il Presidente della Repubblica Cossiga, a differenza di quanto avvenuto con Leone nel 1976, cercò di trovare soluzioni alternative allo scioglimento delle Camere, affermando altresì la propria irresponsabilità per i fatti conseguenti ad esso132. Dai casi di scioglimento anticipato ora esaminati emerge come essi siano stati variamente influenzati, oltre che da situazioni di stallo politico più ampio nei rapporti tra i partiti della maggioranza di governo, dall’imminenza di consultazioni referendarie in grado di generare contrasti interni ai medesimi partiti, le quali, ai sensi della legge n. 352 del 1970, come si è detto, risultano così sospese per 365 giorni dalla data delle elezioni per il rinnovo delle Camere. Alla luce della indipendenza di cui si è detto dell’istituto referendario rispetto alle elezioni politiche e, più oltre, rispetto alle vicende della politica generale, pare inopportuno che l’imminenza di una consultazione referendaria possa incidere sulla scelta delle forze politiche di determinare la fine anticipata della legislatura, avente l’intento, proprio, di sfruttare la previsione del rinvio del referendum di cui all’art. 34, commi 2 e 3 della legge n.352 del 1970 per sbarazzarsi, sia pur solo temporaneamente, dello scomodo appuntamento referendario. È allora opportuno che l’auspicato intervento riformatore dell’istituto referendario eviti che la pendenza di quesiti referendari influisca sulla decisione di scioglimento anticipato delle Camere, eliminando i commi 2 e 3 dell’art. 34 della legge sul referendum, e ripristinando così,

132

Cfr. A. Di Giovine, Dieci anni di Presidenza della Repubblica, in M. Luciani e M. Volpi (a cura di), Il Presidente della Repubblica, p. 55, che parla di un Cossiga «in bilico fra non invadenza e non inerzia».

103 assieme all’eliminazione dell’art. 31 che esclude la coincidenza dei referendum con le elezioni politiche, l’indipendenza del referendum abrogativo rispetto al circuito della politica generale, stemperando altresì i rischi di enfatizzazione dello strumento133.

4.2.2. Il problema delle modifiche alle disposizioni coinvolte dai