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Il problema dei limiti temporali al divieto di ripristino

4.1. Problemi relativi al seguito legislativo dei referendum abrogativi

4.1.2. Il problema dei limiti temporali al divieto di ripristino

nell’ambito di un intervento complessivo di riforma del referendum abrogativo, dei limiti temporali entro cui il suddetto divieto di ripristino vale, non potendosi certo ipotizzare che un referendum, in ogni caso, possa vincolare in via indeterminata l’attività legislativa del Parlamento, dovendosi comunque considerare la naturale mutevolezza delle istanze e dei valori sociali e politici, che può comportare l’opportunità, dopo che sia trascorso un lasso di tempo significativo dal referendum, di una disciplina di segno opposto rispetto agli esiti normativi della consultazione referendaria.

Al riguardo, una impostazione interessante è quella in base alla quale l’attività legislativa futura sarebbe vincolata al risultato di un referendum abrogativo fino a quando non intervengano nuove e più

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Cfr. in questo senso G. Guarino, Il referendum e la sua applicazione al regime

parlamentare, p. 32 ss.; V. Crisafulli, Aspetti problematici del sistema parlamentare vigente in Italia, p. 204

91 recenti elezioni politiche118. Questa affermazione sarebbe imposta dall’esigenza di tutelare il diritto di voto, garantito all’art. 48 Cost.: in effetti, l’esercizio del diritto di voto costituisce la fonte di legittimazione tanto di un procedimento legislativo parlamentare, che ha ovviamente alle spalle il voto alle elezioni politiche, quanto della decisione referendaria, la quale rappresenta appunto il risultato di una consultazione popolare, diretta: in questo nulla cambia tra decisione referendaria e decisione assunta “attraverso l’artificio dell’elezione dei rappresentanti”119

, trovando entrambe la medesima legittimazione nell’esercizio di un voto popolare. Ecco allora che l’esito dei referendum abrogativi dovrebbe considerarsi intangibile per il Parlamento fino a quando non intervenga il successivo rinnovo delle Camere, perché in questo caso la legittimazione del Parlamento e di ogni procedimento legislativo che questo metta in atto, fornita dal voto popolare alle elezioni politiche, è più recente del voto popolare espresso in sede di referendum.

Questa impostazione tuttavia non garantisce sufficientemente la decisione referendaria: si consideri in particolare l’ipotesi dello scioglimento anticipato delle Camere immediatamente successivo alla consultazione referendaria: in questo caso è evidente che, ove si accogliesse la soluzione ora esposta, si andrebbe a vanificare qualunque sistema di garanzia della decisione referendaria che si decidesse di accogliere: la considerazione della pienezza di legittimazione in capo al Parlamento che dall’esercizio del voto politico comunque scaturisce non è soddisfacente, in quanto l’esito referendario rimarrebbe sostanzialmente senza alcuna garanzia rispetto all’eventuale ripristino in via legislativa della normativa abrogata mediante referendum. Ma anche al di là dell’ipotesi dello scioglimento anticipato delle Camere, l’ipotesi di agganciare l’operatività del c.d. vincolo preclusivo di una determinata operazione

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Cfr. A. Mangia, Referendum, p. 317 s.

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92 referendaria al rinnovamento del Parlamento non appare sufficientemente garantista: essa non tiene conto, in particolare, che i processi di sviluppo delle istanze sociali, che possano lasciar intendere come possibile un mutamento della volontà popolare rispetto alla specifica questione che è stata oggetto del voto referendario, sono in genere più lenti rispetto alla durata di una legislatura (peraltro non di rado inferiore ai cinque anni).

Quel che si vuol dire è che agganciare la durata del divieto di ripristino della disciplina abrogata mediante referendum alla data della celebrazione delle elezioni politiche successive rappresenta una soluzione che non tiene sufficientemente conto della differente natura del voto politico rispetto al voto referendario, il quale è espresso rispetto ad una questione precisa e puntuale, e che può ben andare in direzione contraria alla volontà, su quello specifico punto, della maggioranza parlamentare determinata dal voto in sede di elezioni politiche: non è dunque concettualmente corretto creare un perfetto parallelismo tra rinnovamento della composizione delle Camere e possibilità di incidere sull’esito referendario, proprio perché il referendum è un istituto che si pone in posizione del tutto indipendente rispetto al carattere generale del voto politico, e che anzi ha tra le sue possibili funzioni politiche proprio quella di correggere decisioni della maggioranza parlamentare. Il voto referendario possiede dunque carattere particolare, e non può essere sovvertito in conseguenza soltanto di un successivo voto alle elezioni politiche, che, benché espressione del medesimo diritto di voto tutelato all’art. 48 Cost., presenta caratteri diversi dal voto referendario, per cui non se ne può trarre, ex se, una legittimazione ad incidere sul risultato di una consultazione popolare diretta.

Che ai fini della durata del divieto di ripristino si debba far riferimento anche – e secondo noi, soprattutto – ai mutamenti delle istanze e delle opinioni provenienti dalla società, in particolare sulla specifica materia

93 su cui il referendum incide, è d’altronde confermata dalla già richiamata sentenza n. 199 del 2012, con cui la Corte Costituzionale ha chiarito che l’esito della consultazione popolare diretta non può essere posto nel nulla da un intervento successivo del legislatore “senza che si sia determinato, successivamente all’abrogazione, alcun mutamento né del quadro politico, né delle circostanze di fatto, tale da giustificare un simile effetto”120

.

La soluzione preferibile, al fine di non lasciare alla Corte Costituzionale piena discrezionalità, che potrebbe ben sfociare in arbitrio, nella valutazione dell’effettivo mutamento delle circostanze che possa giustificare il superamento della disciplina abrogata in via referendaria, è allora quella di stabilire un limite temporale minimo (dieci anni?) prima del quale sia fatta presunzione assoluta di non mutamento della situazione di fatto presente al tempo del referendum, e trascorso il quale si dia invece spazio al giudizio della Corte rispetto al mutamento del quadro sociale, preferibilmente ponendo in capo alla Consulta, qualora riconosca la bontà dell’intervento legislativo successivo, il dovere di indicare specificamente gli indicatori da cui abbia desunto quel mutamento nel quadro delle circostanze di fatto, oltre che nel quadro politico, che facciano intendere superato il divieto di ripristino della normativa abrogata e quindi giustificata l’introduzione di una disciplina di segno contrario al risultato referendario.

4.1.3. Il problema dell’esistenza del c.d. vincolo conformativo