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Tra le altre ipotesi di riforma legislativa del referendum abrogativo discusse in dottrina figura la proposta di anticipare il giudizio di ammissibilità dei quesiti da parte della Corte Costituzionale ad un momento antecedente alla raccolta delle firme, oppure al raggiungimento di un determinato numero delle sottoscrizioni necessarie per presentare la richiesta137. È auspicabile la seconda soluzione, che consentirebbe sia di evitare lo svolgimento di un’attività inutile laddove la Consulta opti per la dichiarazione di inammissibilità della richiesta, sia di subordinare comunque il giudizio della Corte al raggiungimento di una soglia predeterminata di firme tale da garantire la serietà dell’iniziativa.

In effetti, con riguardo al primo vantaggio, la raccolta delle firme è attività che richiede un’imponente mobilitazione politica, che è bene che possa essere evitata laddove la Corte Costituzionale decida per l’inammissibilità del quesito. Con riguardo al secondo punto, laddove non si stabilisse comunque un numero minimo di sottoscrizioni a cui subordinare il controllo di ammissibilità, si correrebbe il rischio concreto che la Corte venga gravata dall’esame di un numero spropositato di richieste referendarie, delle quali molte, probabilmente, sarebbero destinate a non essere mai proposte agli elettori.

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Cfr. V. Onida, Referendum: un istituto da rivedere, in Il corriere giuridico n. 7/1995, p. 767; F. Cuocolo, Principi di diritto costituzionale, p. 180; M. Volpi, Il

108 Ma i vantaggi che deriverebbero da tale ipotesi di riforma sono anche altri, e più sistemici: si supererebbero così, almeno in parte, l’eccessiva politicizzazione della questione dell’ammissibilità delle richieste referendarie e la consistente esposizione della Corte nello svolgimento di quello che è un ruolo di mediazione in rapporto all’iniziativa referendaria, la quale proviene evidentemente da una frazione soltanto del corpo elettorale. Per contro, la principale obiezione rivolta all’ipotesi dell’anticipazione del giudizio di ammissibilità, ossia il rischio che si possa presentare un’inammissibilità sopravvenuta al giudizio della Corte, per disomogeneità del quesito in seguito ad interventi del legislatore successivi (in particolare, di abrogazione parziale della disciplina coinvolta dalla richiesta di referendum)138, sarebbe superata laddove, come si è proposto più su, si fissasse un limite temporale massimo oltre il quale il legislatore non può più modificare le disposizioni oggetto del quesito.

Una legge di riforma del referendum abrogativo non deve invece prevedere, a nostro avviso, un tetto massimo di richieste abrogative votabili ogni anno, come sostenuto invece dalla parte della dottrina maggiormente preoccupata dall’intento di ridurre l’entità delle ondate referendarie139. In effetti, il filo conduttore di un intervento di riforma del referendum abrogativo deve essere quello di eliminare, o quanto meno contenere, gli ostacoli che, specialmente negli ultimi anni, hanno fortemente limitato le capacità operative dell’istituto e le sue capacità di incidere, in senso correttivo e di stimolo, sulle scelte del circuito politico – rappresentativo.

I canali disponibili per le consultazioni popolari dirette non devono allora essere ristretti, se consideriamo in particolare che l’alto numero

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Tra gli altri, B. Caravita, I referendum del 1993 tra crisi del sistema politico e

suggestioni di riforma, in Giurisprudenza italiana, 1993, parte IV, p. 563

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Come proposto da M. Volpi, Il referendum tra rinnovamento e declino in Politica

del diritto, XIX, n.3, p. 448, dove si propone di fissare un numero massimo di tre

consultazioni referendarie per anno; B. Caravita, I referendum del 1993 tra crisi del

sistema politico e suggestioni di riforma, in Giurisprudenza italiana, 1993, parte IV,

109 di richieste di referendum abrogativi potrebbe attenuarsi se gli organi rappresentativi, e segnatamente il Parlamento, ponessero in essere politiche maggiormente rispondenti alle istanze della società civile. Chi sostiene l’opportunità della limitazione del numero di referendum votabili ogni anno argomenta anche sulla base di un effetto di trascinamento di cui godrebbero quesiti, magari non ben redatti tecnicamente né chiari negli obiettivi, di minor importanza rispetto ad altri, contestuali, capaci invece di mobilitare una fetta consistente dell’elettorato140: ne risulterebbero in tal modo compromesse l’esatta comprensione dei quesiti e la capacità di discernimento dell’elettorato, una parte del quale sarebbe spinto ad esprimere lo stesso voto su tutti i quesiti in votazione141. L’effetto di trascinamento che si produce di fronte ad una grande quantità di referendum è in effetti innegabile, ma esso potrebbe essere ragionevolmente superato indicendo più votazioni referendarie nell’arco dei 60 giorni (dal 15 aprile al 15 giugno) in cui la legge le consente, magari raggruppando le richieste referendarie per temi affini.

D’altronde, l’ipotesi di porre un limite massimo al numero di referendum votabili ogni anno non è realizzabile anche per l’impossibilità, dal punto di vista della regolamentazione pratica, di fissare un criterio che definisca quali proposte debbano essere sottoposte al voto popolare e quali no: il criterio della priorità temporale nel deposito della richiesta è irragionevole, dal momento che la rapidità non pare un valore costituzionalmente significativo, così come è impraticabile il criterio del maggior numero di sottoscrizioni raccolte per la presentazione della richiesta, che favorirebbe i quesiti di iniziativa dei maggiori gruppi politici, in contrasto con la natura del referendum abrogativo, che ha come sua funzione principale proprio quella di sanzionare scelte politiche dei gruppi politici maggioritari142. 140 Cfr. B. Caravita, Ibidem 141 Cfr. M. Volpi, Ibidem 142

110 Sul versante delle ipotesi di riforma costituzionale dell’istituto, poi, deve essere respinta un’altra proposta avente anch’essa l’obiettivo di contrastare la proliferazione delle richieste di referendum, ossia l’aumento del numero delle sottoscrizioni necessarie per presentare la richiesta (attualmente fissato in cinquecentomila dall’art. 75 Cost.)143

. Le obiezioni sono assimilabili a quelle formulate con riguardo alla proposta precedente, facendo leva sulla inopportunità di restringere i canali disponibili per le consultazioni referendarie. La proposta di innalzare il numero delle firme necessarie deve essere poi specificamente respinta sulla base della considerazione che essa bloccherebbe iniziative scaturenti da movimenti o gruppi non partitici non maggioritari nel Paese, pur con una significativa presenza sociale: i temi del referendum proposti da minoranze possono pur sempre incontrare l’interesse, e magari il consenso, di ampia parte del corpo elettorale144. Un altro argomento contrario, seppur più problematico, è quello per cui il costituente, individuando un numero fisso di firme, avrebbe dato per scontato che la raccolta delle sottoscrizioni sarebbe divenuta progressivamente più agevole, man mano che il referendum si fosse consolidato nel sistema, valutando questo in maniera positiva.