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Il problema delle modifiche alle disposizioni coinvolte dai quesit

4.2. Critica alla disciplina di cui alla legge n 352 del 1970

4.2.2. Il problema delle modifiche alle disposizioni coinvolte dai quesit

D’altra parte, una riforma dell’istituto che sia guidata dalla ratio di potenziare le capacità operative dell’istituto referendario rispetto a quanto avviene nella prassi, deve anche porsi il problema della attuale possibilità, per il Parlamento, di intervenire per modificare la legge oggetto di referendum fino alla vigilia della consultazione referendaria: ciò produce la prassi distorsiva delle corse, fino all’immediata vigilia delle consultazioni, dirette a cambiare la legge sottoposta al referendum con l’intento preciso di ottenere la cessazione delle operazioni referendarie, sulla scorta dell’art. 39 della legge n. 352 del 1970 che dispone che qualora, prima della data fissata per la votazione, siano abrogate le disposizioni di legge cui il referendum si riferisce, l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione è tenuto a dichiarare che le operazioni relative non abbiano più corso. La prassi dei tentativi, da parte delle forze politiche, di ottenere la cessazione delle operazioni referendarie mediante corse dell’ultim’ora volte ad incidere sulle disposizioni coinvolte dai quesiti risale d’altronde al primo referendum abrogativo della storia repubblicana, quello sul divorzio, quando Democrazia Cristiana e Partito Comunista, alla vigilia della consultazione fissata per il 13 maggio del 1974, condussero un tentativo estremo, peraltro fallito, per approvare, in extremis, una nuova legge sul divorzio proprio per integrare la fattispecie dell’art.39, che avrebbe così evitato il referendum.

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Cfr. V. Onida, Referendum: un istituto da rivedere in Il Corriere giuridico, n.7/1995, p. 765

104 Altri esempi sono da rinvenire rispetto ai referendum del 1993: il governo tentò di interferire innanzitutto con il procedimento in corso relativo al referendum sul finanziamento pubblico dei partiti, approvando in extremis un decreto legge, c.d. Conso, che prevedeva, tra le altre cose, la depenalizzazione dei reati previsti dalla legge sul finanziamento pubblico dei partiti, andando così proprio ad incidere sull’oggetto del corrispondente referendum, con l’intento di bloccarlo; tuttavia, il Presidente della Repubblica, probabilmente anche sulla scorta del malcontento montante nell’opinione pubblica, preoccupata dagli effetti che il provvedimento avrebbe potuto avere sull’inchiesta Mani Pulite, si rifiutò di firmarlo, adducendo la mancanza del tempo necessario alla conversione prima della votazione e la inopportunità politica di incidere per decreto su una materia oggetto di richiesta referendaria134.

Contemporaneamente, il Consiglio dei Ministri approvava altresì un decreto legge di modifica delle norme sulle partecipazioni statali, ancora una volta a solo un mese dalla data fissata per la relativa consultazione referendaria di iniziativa radicale, col chiaro intento di evitarla: stavolta fu l’Ufficio centrale per il referendum ad intervenire, dichiarando l’inefficacia di un decreto a determinare la cessazione delle operazioni referendarie, essendo inidoneo, per la sua natura provvisoria, a determinare l’abrogazione certa e definitiva richiesta a tal fine.

Alla luce di una simile prassi, devono allora essere condivise quelle proposte di riforma che propongono l’individuazione di un limite temporale (la data di emanazione del decreto di indizione del referendum oppure il quarantacinquesimo giorno precedente la consultazione) oltre il quale il Parlamento non può intervenire per modificare la legge oggetto di un quesito referendario, proprio per evitare di alterare la campagna referendaria e per impedire che si

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105 possano ancora avere paradossali corse dell’ultimo giorno volte ad introdurre in extremis una disciplina legislativa idonea a determinare la cessazione delle operazioni referendarie135. D’altronde, la soluzione di compromesso stabilita dalla Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 39 della legge n. 352 del 1970 nella parte in cui non prevede che “se l'abrogazione degli atti o delle singole disposizioni cui si riferisce il referendum venga accompagnata da altra disciplina della stessa materia, senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il referendum si effettui sulle nuove disposizioni legislative"136 (richiedendosi quindi interventi sostanzialmente innovativi), non pare soluzione sufficiente ad evitare possibili conflitti tra Parlamento e Comitato promotore, per la difficoltà di chiarire proprio il labile concetto di abrogazione sufficiente a determinare la cessazione delle operazioni referendarie.

Occorre allora stabilire un limite temporale alla possibilità di incidere sulla disciplina coinvolta da referendum, sul presupposto che gli interventi legislativi di modifica della stessa che intervengano a pochi giorni dalla votazione non hanno altro intento che quello di interferire con la consultazione referendaria, anziché quello di recepire la proposta dei promotori attraverso un intervento legislativo che ne realizzi lo scopo. In effetti, gli esempi di quest’ultimo tipo, di interventi legislativi cioè che, lungi dal voler frapporre un ostacolo allo svolgimento delle operazioni referendarie, vanno invece ad anticipare il possibile esito positivo del referendum stesso, realizzando così in via parlamentare gli scopi dei promotori, non mancano, ed è evidentemente corretto che in questi casi la votazione non abbia luogo: si pensi alla legge n. 194 del 1978 recante la disciplina

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Cfr. B. Caravita, I referendum del 1993 tra crisi del sistema politico e suggestioni

di riforma, in Giurisprudenza italiana, IV, 1993, p. 567

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106 dell’interruzione volontaria della gravidanza, che andò proprio a realizzare il risultato perseguito dal referendum radicale sull’aborto che avrebbe dovuto avere luogo di lì a poco; o alla legge Basaglia, n. 180 dello stesso anno, che andò ad abolire i manicomi, recependo così la proposta referendaria radicale prima che la relativa consultazione avesse luogo; oppure, ancora, alla legge n. 297 del 1982, che, nel dettare una nuova disciplina del trattamento di fine rapporto, andava a rendere inutile il referendum di iniziativa di Democrazia Proletaria contro il principio della deindicizzazione del TFR per, ancora una volta, raggiungimento dello scopo perseguito dai promotori.

Allora, un intervento riformatore che limiti dal punto di vista temporale la possibilità di modificare la disciplina coinvolta da un quesito referendario, sembra la giusta soluzione per, da un lato, evitare le corse dei partiti politici, che vogliano evitare la consultazione referendaria, ad approvare in extremis disposizioni di legge che hanno il solo intento di comportare la cessazione delle operazioni referendarie, e dall’altro mantenere salva, dunque, la facoltà del Parlamento di intervenire, ad una distanza ragionevole dalla data fissata per lo svolgimento della consultazione, per introdurre una disciplina che recepisca le istanze provenienti dai promotori, andando così, come è del resto auspicabile, a realizzare gli scopi per i quali l’iniziativa referendaria è stata adottata; il che esprime peraltro una importante funzione politica che deve essere riconosciuta al referendum abrogativo, ossia quella di fungere da stimolo ad indirizzi che rispecchino le istanze provenienti dalla società civile ed espresse proprio mediante l’iniziativa referendaria.

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CAPITOLO QUINTO

PROPOSTE DI INTRODUZIONE DI ALTRI TIPI DI

REFERENDUM