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Il problema dell’astensionismo

L’ostacolo che senza dubbio si è rivelato maggiormente limitativo della vitalità e delle potenzialità applicative del referendum abrogativo non era stato previsto, né era prevedibile, dai padri costituenti e dal legislatore del 1970: l’astensionismo. La disposizione intorno alla quale ruota il tema della partecipazione popolare alle consultazioni popolari dirette è l’art.75, comma 4, Cost., che dispone che il risultato della consultazione referendaria non è valido qualora non abbia partecipato alla votazione almeno il cinquanta per cento più uno degli aventi diritto: è il quorum strutturale, introdotto dai padri costituenti con l’intento, in sé condivisibile, di impedire che una piccola minoranza del corpo elettorale possa determinare l’abrogazione di leggi approvate dal Parlamento, ossia dalla maggioranza dei rappresentanti del popolo, eletti alle elezioni politiche.

Il dato che balza agli occhi nell’analisi delle percentuali di partecipazione popolare alle diverse tornate referendarie che si sono succedute dal 1974 al 2011 è proprio il trend negativo dell’affluenza: dalla consultazione del 1974 a quella del 1995, soltanto in un caso, nel 1990, il quorum non è stato raggiunto, quando parteciparono soltanto il 43,4% degli elettori al referendum sulla disciplina della caccia, il 42,9% al referendum sull’accesso dei cacciatori ai fondi privati e il 43,1% al quesito sull’uso dei fitofarmaci. Nelle prime consultazioni referendarie, in particolare, si assistette a percentuali di partecipazione altissime, superiori addirittura all’80% nelle prime due occasioni:

54 l’87,7% in occasione del referendum sul divorzio del 1974, e l’81,2% nei due referendum del 1978 promossi dai Radicali, uno per l’abrogazione della legge Reale recante norme restrittive in materia di ordine pubblico, e l’altro per l’eliminazione del finanziamento pubblico dei partiti.

Ebbene, nelle tornate referendarie più recenti, da quella del 1997 all’ultima del 2011, invece, soltanto in tale ultima occasione il quorum è stato raggiunto, peraltro di poco, con la partecipazione a tutti e 4 i referendum in votazione di una percentuale del corpo elettorale oscillante intorno al 54,8% (dal 54,78% per il quesito in tema di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio e dei Ministri, al 54,82% per il quesito sulla determinazione della tariffa del servizio idrico integrato); mentre, nelle altre, soltanto in una occasione, il referendum del 1999 sulla abolizione della quota proporzionale nelle elezioni della Camera dei Deputati, si è avuto un dato relativo all’affluenza molto vicino alla soglia del quorum (votò il 49,6% degli aventi diritto), laddove, invece, negli altri referendum più recenti la percentuale più alta di affluenza che si è registrata è stata per il quesito del 2000 per l’abrogazione dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori, promosso da Radicali, Forza Italia e PRI, quando si raggiunse solo il 32,5%.

Il fattore centrale alla base del trend negativo dell’affluenza nelle consultazioni referendarie è certamente il calo generale e costante della partecipazione politica dei cittadini: se si guarda ai dati relativi all’affluenza alle elezioni politiche della Camera dei Deputati, vediamo che la percentuale del corpo elettorale che si è recata alle urne dalle prime elezioni repubblicane del 1948 a quelle del 1979 è stata costantemente superiore al 90% (con i picchi del 93,8% del 1953 e del 1958, dati raggiunti altrove in Europa solo ove vige l’obbligatorietà del voto, in particolare in Belgio e Lussemburgo), mentre a partire dalla tornata elettorale del 1983 assistiamo ad un progressivo calo, fino

55 all’80,5% di affluenza alle politiche del 2008 e al 75,2% alle ultime elezioni politiche del 2013, in cui per la prima volta il dato relativo all’affluenza si è attestato sotto la soglia dell’80%. La flessione della partecipazione politica degli ultimi anni è fenomeno ancor più evidente nell’ambito delle elezioni amministrative, nelle quali negli ultimi appuntamenti elettorali il dato relativo all’affluenza ha subito un crollo vertiginoso: si guardi alle elezioni amministrative del 2013, dove si è avuto un calo medio dei partecipanti al voto rispetto alla precedente tornata elettorale addirittura fra il 20 e il 30% (nell’arco di soli 5 anni, dunque): alle comunali a Pisa il dato è stato del 55,77%, contro il 79,95% della precedente tornata elettorale.

Per quanto qui interessa, il generale calo della popolazione politicamente attiva75, unitamente alla previsione del quorum strutturale della maggioranza degli elettori per la validità delle consultazioni popolari dirette, è alla base di un uso strumentale dell’astensionismo in sede referendaria (nel senso che si specificherà più sotto) che spiega il trend negativo nella partecipazione ai meno risalenti referendum abrogativi.

In un contesto in cui la soglia minima di partecipazione per la validità del risultato referendario è pari al cinquanta per cento più uno dell’intero corpo elettorale, e, allo stesso tempo, l’astensione fisiologica è in costante aumento, attestandosi ormai intorno almeno al 25% degli aventi diritto per quanto riguarda le elezioni politiche nazionali, è evidente che è sufficiente che una minoranza dell’elettorato, pari, in ipotesi, ad un altro 25%, si unisca agli astenuti abituali per invalidare il risultato di un referendum abrogativo, e per far sì, di fatto, che così l’iniziativa referendaria nasca morta.

Se la ratio della previsione del quorum strutturale di cui all’art.75 Cost. consisteva, come abbiamo detto, nella volontà dei costituenti di impedire che una piccola (in ipotesi, anche molto piccola) minoranza

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56 dell’elettorato possa porre nel nulla un intervento legislativo evidentemente approvato dalla maggioranza parlamentare, alla luce degli andamenti più recenti della partecipazione elettorale è evidente invece che il cinquanta per cento più uno degli aventi diritto rappresenta oggi una ampissima fetta della popolazione politicamente attiva: il quorum previsto dal testo costituzionale rappresenta allora un limite pesantissimo alla effettività dell’istituto referendario, che vede limitate drasticamente le possibilità del raggiungimento del limite minimo di voti necessari per la validità della consultazione.

È proprio la constatazione di questi andamenti che ha spinto costantemente i contrari alle iniziative referendarie via via succedutesi all’utilizzo dell’astensione come arma di boicottaggio delle consultazioni: sono molti gli esempi di inviti all’astensione effettuati dai sostenitori della permanenza in vigore della disciplina oggetto dell’iniziativa referendaria, trattandosi talvolta, peraltro, di soggetti titolari di cariche pubbliche centrali nella vita costituzionale del Paese. Ebbene, scorrendo la storia dei referendum abrogativi, vediamo che essa è caratterizzata fin dalle origini e sistematicamente da appelli in favore dell’assenteismo dal voto. Già in occasione del primo referendum abrogativo della storia repubblicana, quello per l’abrogazione della legge sul divorzio, Pietro Scoppola ed altri intellettuali cattolici invitavano nel 1972 gli elettori all’astensione come via alternativa per respingere l’iniziativa, ritenuta “inequivocabilmente confessionale”.

Sembra quasi, poi, paradossale che ad invitare a disertare le urne sia stato successivamente, ed in particolare in occasione del referendum di iniziativa del Pci sulla scala mobile del 1985, Marco Pannella, il leader referendario per eccellenza, il quale invitò il Presidente del Consiglio Craxi (e il segretario generale della CISL Carniti) a proporre agli elettori l’astensione come strumento più efficace per sconfiggere l’iniziativa referendaria comunista; significativamente Craxi

57 inizialmente raccolse l’invito di Pannella, salvo poi in un secondo momento mutare la propria posizione in un invito a votare “no”, scegliendo di politicizzare così al massimo la consultazione referendaria con un appello agli italiani pronunciato in televisione con cui trasformò di fatto l’appuntamento referendario in un voto di fiducia sulla propria leadership e sull’indirizzo politico di maggioranza. Lo stesso Pannella ed il Partito radicale optarono peraltro, all’ultimo momento, per recarsi alle urne e votare “no”.

Per la prima volta gli appelli all’astensione raggiunsero il loro obiettivo in occasione dei referendum sulla disciplina della caccia e sui pesticidi del 1990, quando gli elettori seguirono le indicazioni della massiccia campagna referendaria per l’astensione organizzata sul territorio da associazioni venatorie, produttori di pesticidi e agricoltori che si trovarono insolitamente alleati nella contrarietà all’abrogazione della disciplina su cui vertevano i quesiti referendari (che avevano come scopi, da un lato, di ampliare i poteri inibitori dei proprietari dei fondi all’accesso dei cacciatori e di introdurre un limitato divieto di attività venatoria, dall’altro di eliminare il potere del ministro della Sanità di fissare limiti di tollerabilità nell’utilizzazione di residui tossici negli alimenti, in deroga al divieto generale).

Nel 1991 arrivarono poi il celebre invito ad andare al mare fatto agli italiani da Craxi e la dichiarazione adesiva dal leader della Lega Nord Bossi (“andrò in cabina, ma di uno stabilimento balneare”), con l’intento di boicottare il referendum sulla preferenza unica per l’elezione della Camera dei Deputati, il quale mirava a ridurre il voto per preferenze plurime, per sostituirlo con la possibilità di esprimere una sola preferenza. Ebbene, in tale occasione si assistette a diverse prese di posizione in favore dell’astensione da parte dei principali attori della vita politica italiana: oltre agli inviti a disertare le urne di Bossi e Craxi, infatti, arrivarono anche le dichiarazioni del Presidente del Consiglio Andreotti, che riteneva il referendum in questione inutile

58 e costoso, e addirittura del Presidente della Repubblica Cossiga, il quale definì l’astensione, al fine di legittimarla, un “no rafforzato” (alla fine andò a votare, ma soltanto il secondo giorno utile). La massiccia campagna per l’astensione, caratterizzata da un vero e proprio fuoco incrociato contro l’iniziativa, fu sconfitta: andarono alle urne 29 milioni di italiani, pari al 62,4% degli aventi diritto, che contribuirono in maniera decisiva, con la vittoria del sì, unitamente ai referendum elettorali del 1993, all’approvazione delle nuove leggi elettorali maggioritarie e all’avvento del sistema politico bipolare, con i primi governi dell’alternanza.

Pressoché tutti i principali protagonisti della vita politica italiana si sono poi avvalsi dell’invito all’astensione per affossare le richieste di referendum popolare successive: solo il 30,2% degli aventi diritto votò i sette quesiti referendari del 1997, rispettivamente per l’abolizione dei poteri speciali riservati al Ministro del Tesoro nelle aziende privatizzate, per l’abolizione dei limiti per essere ammessi al servizio civile in luogo del servizio militare (obiezione di coscienza), in tema di caccia per l’abolizione della possibilità per il cacciatore di entrate liberamente nel fondo altrui, per l’abrogazione del sistema di progressione in carriera dei magistrati e dei loro incarichi extragiudiziari, per l’eliminazione dell’ordine dei giornalisti e del ministero per le Politiche agricole.

Il referendum per il maggioritario del 1999 per l’abolizione dell’attribuzione con metodo proporzionale del 25% dei seggi alle elezioni per la Camera dei Deputati mancò il quorum di un pugno di voti (l’astensione arrivò al 50,4%), mentre nelle consultazioni referendarie successive, fino a quella del 2009, meno di un terzo del corpo elettorale si è recato alle urne: solo il 32,2% nel 2000, per i quesiti per l’abolizione della quota proporzionale nelle elezioni della Camera dei deputati (secondo tentativo), per l’eliminazione del rimborso spese per consultazioni elettorali e referendarie, per

59 l’abolizione del voto di lista per l’elezione dei membri togati del CSM, per la separazione delle carriere dei magistrati, per l’eliminazione della possibilità per i magistrati di assumere incarichi extragiudiziari, per l’abolizione delle trattenute sindacali e per la liberalizzazione dei licenziamenti; del 25,7% è stata l’affluenza nel 2003 per i quesiti relativi all’abrogazione delle norme che stabiliscono limiti numerici ed esenzioni per l'applicazione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori e della servitù coattiva di elettrodotto, mentre gli inviti all’astensione provenienti dalle alte sfere della Chiesa Cattolica76 oltre che dai principali partiti moderati hanno fortemente contribuito al mancato raggiungimento del quorum nei quattro referendum del 2005 sulla l.40/2004 recante norme in materia di procreazione medicalmente assistita (affluenza al 25,55%).

L’invalidità del risultato referendario si è altresì avuta per i tre quesiti elettorali del 2009 diretti all’abrogazione della possibilità di collegamento tra liste e della conseguente attribuzione del premio di maggioranza ad una coalizione di liste alla Camera e al Senato, e all’abrogazione della possibilità per uno stesso candidato alla Camera di presentare la propria candidatura in più di una circoscrizione, quando il risultato dell’affluenza media fu del 23,49%.

Il quorum di partecipazione al voto è stato invece raggiunto, per la prima volta dal 1995, in occasione dell’ultima tornata referendaria del 2011 comprendente i due quesiti sui servizi idrici77, di iniziativa della rete di associazioni Forum italiano dei movimenti per l’acqua, e i due

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In particolare, a gennaio il cardinale Ruini intervenne al consiglio permanente della CEI per sottolineare l’inopportunità di qualunque modifica alla l.40/2004, in quanto essa salvaguarderebbe “principi e criteri essenziali”, e invitando i cattolici a rifiutare l’abrogazione referendaria tramite l’astensione dalla consultazione popolare

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Il primo prevedeva l’abrogazione della norma che consentiva di affidare la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica a soggetti scelti a seguito di gara ad evidenza pubblica, e che consentiva la gestione pubblica solo ove ricorressero situazioni del tutto eccezionali, che non permettessero un efficace ed utile ricorso al mercato; il secondo prevedeva invece l’abrogazione parziale della norma che stabilisce la determinazione della tariffa per l’erogazione dell’acqua, nella parte in cui prevedeva che tale importo includesse anche la remunerazione del capitale investito dal gestore

60 quesiti di iniziativa dell’Italia dei Valori, uno per l’abrogazione della disciplina differenziata del legittimo impedimento a comparire in udienza, applicabile al Presidente del Consiglio e ai Ministri, e l’altro per l’abrogazione delle norme che consentivano l’adozione di una strategia energetica nazionale che non escludesse espressamente la produzione nel territorio nazionale di energia nucleare: nonostante gli appelli all’astensione del principale partito di governo, il Popolo delle Libertà, e del premier Berlusconi, suo leader, la percentuale media dei votanti per le quattro richieste si è attestata sul 54,8%, garantendo così dopo sedici anni la validità del risultato di una consultazione referendaria.

3.2. La questione della legittimità dell’astensione e degli