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I referendum propositivi e consultivi negli Statuti regionali

5.2. Ipotesi di introduzione di altri tipi di referendum

5.2.5. I referendum propositivi e consultivi negli Statuti regionali

istituti referendari ulteriori rispetto a quello abrogativo, con previsioni che possono essere evidentemente utilizzate, al pari dell’analisi delle esperienze costituzionali straniere, come riferimento in vista dell’introduzione di altri tipi di referendum nella Costituzione italiana. Per quanto riguarda il referendum propositivo, di cui si è più su auspicata l’introduzione nell’ambito dell’iniziativa legislativa popolare indiretta, lo Statuto della Regione Lazio prevede all’art. 62 il referendum propositivo di tipo eventuale nell’ambito di un procedimento legislativo di iniziativa popolare. In tal sede è disposto che cinquantamila elettori, due consigli provinciali o dieci consigli comunali che abbiano iscritti nelle proprie liste elettorali, nel complesso, cinquantamila elettori possono presentare al Presidente del Consiglio regionale una proposta di legge regionale da sottoporre a

141 referendum propositivo; nel caso in cui il Consiglio regionale, nell’ambito del necessario passaggio assembleare del procedimento, non deliberi in ordine alla proposta di legge da sottoporre al referendum propositivo entro un anno dalla dichiarazione di ammissibilità della relativa richiesta, il Presidente della Regione, con proprio decreto, indice il referendum propositivo sulla proposta stessa. L’esito del referendum è favorevole se abbiano partecipato alla consultazione la maggioranza degli aventi diritto al voto e si sia raggiunta la maggioranza dei voti validi. In ogni caso, l’esito positivo del referendum non determina l’entrata in vigore della legge, dal momento che, trattandosi di un ordinario procedimento legislativo, pur a proposta popolare e col passaggio eventuale del referendum propositivo, è comunque necessario che entro sessanta giorni dalla proclamazione dell’esito positivo del referendum il Consiglio regionale esamini la proposta, ai fini della sua approvazione definitiva.

La disciplina del referendum propositivo che invece si avvicina maggiormente alla proposta che abbiamo fatto più su è quella prevista nello Statuto della Regione Campania, che all’art. 15 contempla un’iniziativa popolare in senso proprio, di tipo indiretto. In particolare, è disposto che nell’ambito di tale procedimento cinquantamila elettori possono sottoporre rispettivamente al Consiglio o alla Giunta una proposta di legge o di regolamento affinché sia sottoposta al referendum popolare per l’approvazione. La proposta è previamente esaminata dal Consiglio o dalla Giunta, ed è sottoposta a referendum popolare solo ove nel termine di sei mesi non sia approvata o sia approvata con modifiche sostanziali; dopodiché, in sede referendaria, la proposta è definitivamente approvata ove partecipi alla consultazione la maggioranza degli elettori e si raggiunga la maggioranza dei voti validamente espressi. Peraltro, opportunamente, lo stesso articolo, al comma 4, prevede dei limiti oggettivi all’iniziativa popolare, escludendo le materie rispetto alle quali si potrebbero avere

142 iniziative demagogiche o pericolose per i loro contenuti: in questa sede, in particolare, è escluso che l’iniziativa possa avere luogo per le leggi di bilancio, tributarie, finanziarie, di governo del territorio, di tutela ambientale e sullo stato giuridico dei consiglieri regionali, per le leggi relative ai rapporti internazionali e con l’Unione europea nonché sullo Statuto e sulle leggi di revisione statutaria.

Ciò detto, dobbiamo poi registrare come la generalità degli Statuti regionali contempli il referendum consultivo, pur con discipline differenti per quanto riguarda l’iniziativa.

Lo Statuto della Regione Toscana dispone che un referendum consultivo su proposte di legge regionale di particolare interesse per la popolazione possa essere indetto su richiesta di trentamila elettori oppure su deliberazione del Consiglio regionale assunta a maggioranza dei due terzi, secondo una disposizione analoga, per quanto riguarda quest’ultima previsione, a quanto troviamo nell’art. 52 dello Statuto regionale lombardo, che attribuisce appunto l’iniziativa per i referendum consultivi su questioni di interesse regionale al Consiglio regionale, da esercitarsi mediante deliberazione assunta a maggioranza dei due terzi.

Se gli Statuti regionali di Campania, Lazio e Veneto169, tra gli altri, si limitano ad attribuire al Consiglio regionale la competenza a deliberare lo svolgimento di referendum consultivi su proposte di legge regionale di particolare rilevanza per la popolazione della Regione, rinviando a legge regionale per la definizione delle puntuali modalità di proposizione e svolgimento della consultazione, lo Statuto della Regione Puglia prevede, all’art. 19, che il Consiglio regionale può deliberare, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, lo svolgimento di referendum consultivi per conoscere l’opinione della popolazione regionale, o di parte di essa, circa proposte di legge, regolamenti regionali e atti di programmazione generale e settoriale.

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143 Da segnalare per la sua particolarità è poi il contenuto dell’art. 21 dello Statuto regionale dell’Emilia-Romagna, che attribuisce l’iniziativa per il referendum consultivo, alternativamente, a ottantamila residenti nei Comuni della Regione, a dieci Consigli comunali che rappresentino almeno un quinto degli abitanti della Regione, o a quattro Consigli provinciali.

Al di là di tali differenze di disciplina dell’istituto, la generalità degli Statuti contempla poi un’ipotesi di referendum consultivo obbligatorio per quanto riguarda le proposte di legge regionale concernenti l’istituzione di nuovi comuni e i mutamenti delle circoscrizioni e delle denominazioni comunali.

In conclusione, gli ordinamenti regionali costituiscono una ricca base di riflessione per l’arricchimento degli istituti di democrazia diretta a livello statale, così da adeguare l’ordinamento costituzionale nazionale, alla luce delle indicazioni che si sono più su fornite, alla varietà degli strumenti di partecipazione diretta contemplati dagli ordinamenti regionali.

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OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

In definitiva pare dunque che, mediante l’introduzione dell’insieme degli strumenti di democrazia diretta in questo capitolo ipotizzati, possano prevenirsi quegli usi distorti del referendum abrogativo che ne hanno caratterizzato, fino ad oggi, la prassi concreta: in particolare, sarebbe certamente superata la prassi degenerativa dei referendum manipolativi, sostanzialmente creativi in quanto vanno a comportare, mediante un ritaglio di frammenti normativi privi di un autonomo significato, l’attribuzione alle disposizioni residue significati additivi o diversi rispetto a quelli originari. Mediante il ripensamento complessivo dell’istituto referendario, comportante la disciplina di altri tipi di referendum costituzionalmente non previsti, si avrebbe la riconduzione del referendum abrogativo entro i limiti e i connotati suoi originari, per i quali l’unica funzione propria del referendum abrogativo deve essere quella della creazione di un vuoto legislativo, e niente di più.

Evidentemente, tale operazione radicale farebbe sì che le riforme della disciplina del referendum abrogativo, prevista all’art. 75 Cost. e alla legge n. 352 del 1970, non debbano essere tanto di tipo restrittivo e volte a limitare gli spazi operativi dell’istituto, quanto piuttosto ad aumentarne le potenzialità, come si è sostenuto lungo un po’ tutto il corso della trattazione con le proposte che si sono qui avanzate, esaltandone le caratteristiche di stimolo, correzione o sanzione delle scelte politiche operate dal Parlamento: è la sua caratteristica di strumento di partecipazione popolare attiva che ne risulterebbe, in definitiva, valorizzata.

Ma la condizione affinché ciò si realizzi, e perché quindi il referendum abrogativo sia ricollocato nel quadro del sistema democratico –

145 rappresentativo secondo la funzione sua propria, è un comportamento responsabile in materia da parte delle forze partitiche.

È necessario innanzitutto che i partiti politici, che nella prassi hanno esercitato l’iniziativa referendaria in via quasi esclusiva, non continuino a servirsi del referendum come di un mezzo riservato di lotta politica e di autoaffermazione, scaricando il peso della mediazione politica sulla Corte Costituzionale, recuperandosi così la funzione fondamentale di partecipazione dell’istituto: il referendum abrogativo è divenuto sempre più uno strumento della contesa interpartitica, “e sempre meno quel canale di partecipazione attraverso il quale si doveva instaurare un rapporto dialettico tra sistema politico – istituzionale e società civile”170. Si è passati da un uso dell’istituto volto prevalentemente al controllo e alla sanzione delle scelte partitiche, e quindi alla contestazione del sistema dei partiti, ad un suo utilizzo massiccio da parte degli stessi partiti politici, che hanno sempre più stravolto i caratteri e le funzioni originari dell’istituto quale strumento di correzione delle decisioni legislative adottate nell’ambito della democrazia rappresentativa.

Oltre a ciò, è necessario che il senso di responsabilità delle forze partitiche si manifesti anche nei termini di una maggiore lealtà nell’utilizzo dello strumento referendario: si vuole alludere alle utilizzazioni strumentali del referendum da parte delle forze politiche, per ragioni esclusivamente legate al consenso, magari in vista di un’imminente contesa elettorale.

Un esempio lampante di quanto si sta dicendo emerge dalla sentenza n.13 del 2012 della Corte Costituzionale, con la quale essa si espresse nel giudizio di ammissibilità di due quesiti referendari, uno avente ad oggetto l’intera legge elettorale n. 270 del 2005, l’altro diretto all’abrogazione parziale della stessa legge, limitatamente ad alcune sue parti: in effetti, in particolare col quesito che ne prevedeva

170

M. Volpi, Il referendum tra rinnovamento e declino in Politica del diritto, XIX, n.3, p. 440

146 l’abrogazione totale, alla luce della copiosa giurisprudenza costituzionale precedente in materia, l’esito del giudizio di ammissibilità doveva ritenersi scontato. La Corte ha avuto buon gioco nel richiamare le sentenze n.32 del 1993 e n. 15 e 16 del 2008, in cui già aveva precisato che le leggi elettorali, in quanto appartenenti alla categoria delle leggi costituzionalmente necessarie, non possono essere oggetto di referendum totale, che comporti quindi l’eliminazione della legge stessa dall’ordinamento, bensì soltanto di referendum parziali che, mirando “ad espungere dal corpo della legislazione elettorale solo alcune disposizioni, tra loro collegate e non indispensabili per la perdurante operatività dell’intero sistema”171

, garantiscano, pur nell’eventualità di inerzia legislativa, la costante operatività e quindi il funzionamento e la continuità degli organi costituzionali e a rilevanza costituzionale della Repubblica.

È evidente, insomma, che in alcuni casi, come in quest’ultimo, l’istituto del referendum abrogativo sia utilizzato in maniera demagogica e quindi strumentale, con il solo intento di ricavare, nel breve termine, un maggiore consenso elettorale, dandosi alla generalità dell’elettorato l’illusione di poter effettivamente abrogare leggi ampiamente percepite come ingiuste, proprio come nel caso della vecchia legge elettorale n. 270 del 2005, pur essendo scontato, per gli stessi promotori, che il referendum non possa avere luogo.

La conseguenza di tali avventate operazioni è che il giudizio di (non) ammissibilità della Corte Costituzionale possa in concreto essere avvertito da strati significativi della popolazione elettorale come ingiusto, in quanto ostativo all’abrogazione di una legge percepita come ingiusta: l’effetto è, oltre alla sostanziale distorsione dell’istituto, una crescente sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, avvertite come di ostacolo alla realizzazione di operazioni ampiamente condivise nell’opinione pubblica.

171

Corte Costituzionale, sentenza n. 13 del 2012, che richiama le sentenze n. 15 e 16 del 2008

147 È evidente, insomma, che soltanto un rinvigorimento dei rappresentanti politici dal punto di vista etico può impedire un uso utilitaristico degli istituti democratici, e del referendum abrogativo in particolare, da parte della struttura rappresentativa: soltanto così si preverrebbero, al di là di qualsiasi ipotesi di riforma dell’istituto referendario, operazioni demagogiche che, piegando l’istituto a fini elettorali e propagandistici, ne comportano in definitiva la distorsione e ne impediscono il funzionamento quale momento di compensazione alla prevalenza nel sistema di governo della componente rappresentativa. L’utilizzazione opportuna dell’istituto referendario da parte di tutti gli operatori della vita pubblica è condizione imprescindibile per un recupero della funzione propria e originaria del referendum abrogativo, quale momento di reale stimolo e correzione delle scelte del sistema rappresentativo da parte del corpo elettorale: in assenza di un comportamento responsabile delle forze politiche qualunque intervento di riforma si rivelerebbe, in definitiva, inefficace rispetto all’obiettivo di valorizzare le potenzialità operative dell’istituto referendario.

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GRAFICI

GRAFICO 1. Percentuale media dei votanti nei referendum abrogativi.

GRAFICO 2. Percentuale dei votanti nelle elezioni politiche per la Camera dei Deputati

87,7 81,2 79,4 77,9 65,1 43,1 62,4 76,9 57 30,2 49,6 32,2 25,55 25,55 23,49 54,8 20 30 40 50 60 70 80 90 1974 1978 1981 1985 1987 1990 1991 1993 1995 1997 1999 2000 2003 2005 2009 2011 92,2 93,8 93,8 92,9 92,8 93,2 93,4 90,6 89 88,9 87,2 86,12 82,6 81,2 83,6 80,5 75,2 70 75 80 85 90 95 1948 1953 1958 1963 1968 1972 1976 1979 1983 1987 1992 1994 1996 2001 2006 2008 2013

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