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Forme di riscrittura in A Fringe of Leaves di Patrick White

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Academic year: 2021

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Introduzione

L'obbiettivo che mi sono prefissata nella stesura di questa tesi è quello di esaminare le fonti di ispirazione a cui ha attinto Patrick White nella stesura del suo romanzo A Fringe of Leaves e analizzare le opere che si sono focalizzate sulla storia di Eliza Fraser.

Il primo capitolo è dedicato allo studio delle fonti utilizzate dallo scrittore (Tra cui Heart of Darkness di Conrad) e si tratta una riflessione sui punti in comune e quelli in contrasto tra il testo fonte e la variante.

Ho poi dedicato un capitolo all'autore, perché la sua vita, la sua poetica e la sua filosofia si legano indissolubilmente alla carriera e ai romanzi che scrive. Nel corso dell'analisi sono emerse alcune similitudini, a mio avviso rilevanti, tra la vita di White e la vita della protagonista Ellen Roxburgh, ed ho pertanto deciso di metterle a confronto, dove possibile.

La terza parte della tesi presenta la traduzione del settimo capitolo del romanzo, il fulcro di tutto il racconto: è in quelle pagine che Ellen vive il naufragio, la morte del marito, la vita con la tribù e la fuga con Jack. La lasciamo, nelle ultime righe del capitolo, alle soglie della civiltà, rappresentata da una casa nella quale lei si reca per chiedere aiuto.

La mia discussione si conclude con il commento alla traduzione: il testo di White, con il suo linguaggio così ricco di metafore, di paesaggi e di frasi ipotattiche mi ha presentato non poche difficoltà. Cercherò quindi di motivare le scelte che hanno portato ad alcune decisioni stilistiche di non poca rilevanza nella versione italiana.

In fondo alla tesi, ho ritenuto opportuno inserire un glossario che racchiude termini in italiano e in inglese che meritavano una spiegazione più approfondita. Come si vedrà, il glossario è di facile consultazione perché è organizzato in ordine alfabetico e ad ogni parola corrisponde una definizione di cinque o sei righe.

L'ultima sezione è un appendice, nella quale ho inserito alcune fotografie: tre quadri del pittore australiano Sidney Nolan, un'immagine di una corroboree e una foto di una tribù indigena, e per finire, due scatti di Moreton Bay e di un tramonto australiano.

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In questa introduzione ho sentito la necessità di fornire alcune indicazioni su che cosa si intenda quando si parla di postcoloniale e riscrittura: cerco di offrire qui solo alcuni spunti di riflessione, che consentano di inquadrare meglio A Fringe of Leaves.

1. Ancor prima di parlare del contesto storico che porta molti scrittori ad avvicinarsi al postcoloniale, ritengo sia utile cercare di individuare la definizione di riscrittura.

Il dizionario dell'Enciclopedia Treccani riporta:

riscrittura s. f. [comp. di ri- e scrittura]. – L’azione e l’operazione di riscrivere, il fatto di venire riscritto: r. in bella copia di una lettera; anche come rifacimento, come nuova stesura di un testo letterario: questo saggio è la riscrittura di un lavoro precedente. In linguistica, procedimento fondamentale della grammatica generativa, consistente nel convertire (materialmente, «riscrivere») un elemento sintagmatico generale in un altro elemento o gruppo di elementi sintagmatici che siano da esso generabili, secondo determinate formule, chiamate regole di riscrittura1.

È chiaro che questa definizione non è completa per la nostra indagine, ma offre un primo spunto di riflessione sulla parola rifacimento. Questo espediente letterario consiste dunque nel produrre un nuovo testo, partendo da una prima versione originale e apportando delle modifiche.

Uno dei maggiori esperti di riscrittura è lo studioso Gérard Genette, che nel suo Palinsesti2 esamina la storia di questo fenomeno, proponendo esempi e terminologie molto interessanti ed alcune di esse vengono qui riportate.

Prima di addentrarsi nell'analisi dei fenomeni della riscrittura, Genette individua e riprende cinque tipi di paratestualità, di cui fornirò una breve descrizione in queste righe.

È necessario tenere presente che la divisione è schematica ai fini dell'esposizione. Nel testo letterario tuttavia questi elementi si intrecciano e non sono così facilmente individuabili.

Il primo tipo è l'intertestualità, ossia una relazione di compresenza tra due testi, di cui uno è incastonato nell'altro. È il caso, tipico, della citazione.

1 Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da da Giovanni Treccani, La piccola Treccani:

dizionario enciclopedico, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da da Giovanni

Treccani, 1995.

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Il secondo è invece transtestualità, definita come la relazione che il testo mantiene con quello che è il paratesto, come per esempio titolo, sottotitolo, paragrafi e così via. Per spiegare questo fenomeno, Genette riporta l'esempio dell'Ulysses di Joyce, che venne pre-pubblicato in fascicoli, ognuno dei quali aveva un titolo. Alla fine, Joyce decise di eliminare questi titoli, ma se considerarli o meno parte del testo è un quesito transtestuale.

Con il termine metastualità si fa riferimento alla relazione che si instaura tra due testi, quando in uno si parla dell'altro testo. L'esempio più ricorrente di questo fenomeno è il commento.

Il penultimo caso è quello dell'ipertestualità, ovvero la relazione tra due testi, di cui uno è innestato un altro lavoro. La riscrittura postcoloniale rientra più in questo ambito che negli altri.

Infine, l'architestualità. Si tratta della decisione di esplicitare l'appartenenza dell'opera ad una determinata categoria.

Queste divisioni aiutano a delineare il concetto di riscrittura, ma per inquadrarla meglio è necessario inserirla in una visione storica.

Per capire quanto siano profonde le sue radici nella nostra cultura occidentale si può pensare alla variatio3 latina, ma il discorso si può ampliare a qualsiasi civiltà se si fa riferimento ai miti o alle leggende che vengono tramandati da secoli in tutto il mondo, soprattutto grazie al canale orale, che consentiva anche a coloro che non sapevano leggere e scrivere di conoscere storie e antiche credenze.

Inoltre, è considerata riscrittura anche la trasposizione di una storia da un genere artistico ad un altro: il mito di Orfeo e Euridice, per citare solo un caso, ha avuto riscritture nel fumetto, nelle canzoni, nei musical, nelle poesie e in molti romanzi contemporanei.

Il mondo classico si fa da subito portavoce della riscrittura, e i greci possono essere inseriti in questo filone letterario con il metodo della parodia. Questo termine ha oggi assunto una valenza molto diversa dall'originale, ma per gli antichi con parodia si intendeva sia una rivisitazione delle melodie dei poemi epici, sia la rappresentazione di personaggi che non fossero eroi. Ciò ha portato ad una continua 3 Questo procedimento consentiva di apportare delle modifiche al testo, sia dal punto di vista

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modificazione della tecnica e della definizione del fenomeno, tanto che sono stati molti gli studiosi che hanno riflettuto sul concetto di parodia. Per rendere l'idea di quanto la parodia sia ampia e diffusa, merita una menzione il pastiche, una tecnica che è

un'imitazione stilistica con funzione critica (autori poco approvati) o ridicolizzante- intenzione […] il più delle volte resta implicita, lasciando al lettore il compito di inferirla dall'aspetto caricaturale dell'imitazione4.

È interessante notare che questa tecnica può a sua volta sviluppare delle derivazioni, che in questo sono l'autopastiche e il pastiche fittizio. Mentre il primo consiste nell'accentuazione da parte dell'autore di alcune sue tecniche stilistiche, il secondo riguarda invece la presenza di un autore fittizio, spesso uno pseudonimo, che spinge lo scrittore ad inventare nuovi stili ed idioletti.

La riscrittura si sviluppa anche nel concetto di continuazione, che consiste appunto nel continuare un'opera lasciata incompiuta da un altro autore. Essa può diventare un falso solo quando non si rende esplicito il fatto che i due scrittori sono diversi, altrimenti si tratta solo di una tecnica letteraria. Esattamente come il pastiche, anche la continuazione può avere varie diramazioni; una di esse è la continuazione ciclica. Se infatti la tecnica originaria ha lo scopo di portare a termine un'opera incompiuta, questa sfumatura prende in considerazione l'ipotesi che anche un testo finito abbia bisogno di un prolungamento o di una fine. In questo caso, può essere l'autore stesso che mette mano al suo lavoro e decide di apportare le dovute modifiche. Un altro metodo è quello della continuazione infedele, un ampliamento del testo originale che può arrivare a diventare una nuova opera. Infine, quella che si chiama continuazione assassina, un nome suggestivo che indica appunto il fatto che una continuazione può “eliminare” il testo originario. Per rendere più chiara la definizione, riporto l'esempio proposto dallo stesso autore: l'Orlando Furioso è una continuazione assassina dell'Orlando Innamorato, un'opera che è molto meno nota del suo seguito.

La traduzione5 è, a suo modo, un'altra forma di riscrittura. Il dibattito sulla figura

4 Gérard Genette, Palinsesti. La letteratura al secondo grado, Torino, Biblioteca Einaudi, 1997. 5 Per un' introduzione:Marina Foschi Albert, Dallo stilo allo schermo, Pisa, PLUS, 2012.

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del traduttore ha coinvolto, e continua a coinvolgere, esperti del settore, studiosi e critici. Alcuni parlano del traduttore come di un autore vero e proprio, altri invece sostengono che debba rimanere invisibile. Quello che è importante sottolineare, è il fatto che negli ultimi anni il dibattito su questo mestiere si è fatto sempre più vivace e coinvolgente. Grazie a conferenze, incontri, studi sul lavoro e un sindacato istituito di recente, la figura del traduttore ha assunto infatti più dignità e rispetto nell'ambito lavorativo.

Tornando alla traduzione in ambito letterario è evidente che per quanto possa cercare di rendersi invisibile, il traduttore interviene sul testo e nel testo, mettendo in atto una vera e propria riscrittura, sia a motivo delle sue tendenze deformanti6, che

per ragioni redazionali ed editoriali.

La traduzione, naturalmente, è una riscrittura del testo originario. Tutte le riscritture, quali che siano le loro intenzioni, riflettono una certa ideologia e una poetica, e perciò manipolano la letteratura per farla funzionare [function] in una certa società e in un certo modo. La riscrittura è una manipolazione compiuta [undertaken] al servizio del potere, e nel suo aspetto positivo può contribuire all'evoluzione di una letteratura e di una società.7

Ma non solo: può essere lo stesso autore a proporre, come gioco stilistico, una traduzione del proprio lavoro nelle lingue che conosce, arrivando a creare testi completamente diversi dall'originale. Può anche accadere che un autore si cimenti nella riscrittura di opere classiche o scritte da altri, si pensi per esempio alle celeberrime traduzioni di Catullo proposte da Salvatore Quasimodo.

Si può intuire che i procedimenti di riscrittura possono essere potenzialmente infiniti ed interessare anche prosa e poesia, è il caso per esempio di prosicizzazione e versificazione, ma anche di transmetrizzazione (cambiamento da un metro ad un altro) e ancora transtilizzazione (creare un nuovo stile).

Quelli descritti finora sono modificazioni stilistiche nell'accezione più stretta del termine, ma può anche capitare, e si tratta di un fenomeno proficuo e diffuso, che lo scrittore decida di intervenire sulla struttura e sui macro elementi del testo.

6 Una breve spiegazione delle tendenze deformanti è offerta nel quarto capitolo.

7 Susan Bassnett, André Lefevere (a cura di), Translation, History and Culture, London-New York, Pinter, 1990.

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Per farlo, può per esempio decidere di modificare la lunghezza del lavoro: si parla in questo caso di aumento o di riduzione. L'aumento può a sua volta dividersi in estensione tematica ed espansione stilistica, ma è un procedimento molto meno diffuso rispetto alla riduzione. Quest'ultima può essere messa in atto grazie alla escissione, che è una vera e propria amputazione di porzioni, più o meno considerevoli, di testo. Un esempio tipico di escissione sono le versioni scolastiche di un libro, ma può essere messa in atto dal lettore, tutte le volte che decide di saltare alcune pagine del romanzo che sta leggendo. L'autore non rimane passivo in questo contesto: a lui può spettare il compito di rimettere mano al suo lavoro e di compier un processo di auto-escissione: è il caso del copione teatrale o di una sceneggiatura, in cui, per dovere di cose, il lavoro deve essere ridotto per adattarlo al nuovo mezzo.

Sempre per quel che riguarda la riduzione, altri due fenomeni vengono qui brevemente riportati: la concisione, che consiste nel creare una versione più ridotta dell'originale (un riassunto), e il riassunto fittizio, un espediente letterario molto usato secoli fa, che prevede una sintesi di un'opera inesistente, spesso trovata dal narratore, tecnica usata come incipit di un romanzo.

• Letto in chiave postcoloniale, il romanzo dello scrittore australiano è un tipico esempio di transmodalizzazione: con questo termine si intende infatti qualsiasi modificazione apportata sul piano narrativo o drammatico. Come si vedrà, A Fringe of Leaves viene definito un lavoro storico, ma uno dei suoi più grandi pregi è che sovrasta questa definizione e arriva a rappresentare tutta l'Australia e la sua storia sociale e personale.

I cambiamenti possono essere messi in atto da vari punti di vista:

• temporale: nel romanzo di White l'asse temporale è diverso se paragonato a Heart of Darkness, una delle fonti principali, ma rimane invariato se si prende in considerazione la storia di Eliza Fraser.

• Durata e frequenza: in White non è fondamentale sapere la durata del percorso di Ellen e lo stesso discorso vale per i quadri del pittore Sidney Nolan. Non si può dire lo stesso invece dei tre resoconti redatti da Eliza Fraser, in cui sappiamo con precisione quanto tempo trascorre con gli

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aborigeni.

• Modo-distanza: in questo caso è evidente che White adatta le influenze che riceve al suo stile, prendendone le distanze ad arrivando a creare un romanzo originale ed autonomo.

• Modo-prospettiva: si pensi in questo caso ai racconti di Eliza Fraser, che lei stessa narra in prima persona, o al protagonista dell'opera Conradiana, anch'egli narratore e soggetto del suo lavoro. White cambia la prospettiva e trasforma Ellen Roxburgh nella sola protagonista del romanzo, lasciando al narratore esterno il compito di raccontare la vicenda.

Le trasformazioni però non si esauriscono qui, poiché molte di esse interessano i personaggi e l'ambientazione del romanzo. Per quel che riguarda i personaggi, si può cambiarne il sesso, l'età, la provenienza geografica. In A Fringe of Leaves la protagonista è una donna, mentre in Heart of Darkness è un uomo. Cambiano anche le origini: Ellen è della Cornovaglia, Eliza è una donna scozzese. L'età rimane quasi la stessa, ma non è un fattore che incide particolarmente nel testo. Cambiare alcuni elementi non vuol dire solo modificare la storia, ma attribuire a ciò che è stato manipolato un valore intrinseco e questo principio è forse la base vera e propria della riscrittura postcoloniale.

Se ci soffermiamo su questo piano, la riscrittura assomiglia molto ad un gioco letterario, un divertissement da intellettuali, come possono essere gli Esercizi di Stile8 di Raymond Queneau, che propone svariate versioni di una storia, a partire da un primo testo prodotto.

Qual è dunque la differenza tra la riscrittura postcoloniale e la riscrittura in senso più ampio?

Tecnicamente, la differenza è nulla. Entrambe infatti consistono nella rivisitazione di un lavoro già prodotto e finito, ma ciò che le distingue è la ragione che spinge gli scrittori a cimentarsi con questa tecnica.

Se infatti, nella riscrittura in senso più ampio, l'artista spesso gioca con le parole,

8 Raymond Queneau, Introduzione e traduzione di Umberto Eco, Esercizi di Stile, Torino, Einaudi, 1985.

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per distrarsi e far divertire il suo pubblico, come un gioco nel quale sono coinvolte più parti, nella riscrittura postcoloniale l'intento assume toni più profondi, persino più cupi e tetri.

Lo scrittore abbandona il lato divertente di questa strategia, per concentrarsi invece sugli aspetti sociali e politici che lo coinvolgono maggiormente.

È questa, di fatto, la differenza sostanziale tra i due fenomeni: la riscrittura postcoloniale nasce dall'esigenza degli autori di riprendere possesso della propria voce e porre le basi di una nuova tradizione letteraria.

Prima di affrontare il concetto di questa letteratura postcoloniale, penso che sia necessaria una distinzione tra questo termine e il postmodernismo.

• Il dibattito su questo tema si fa sempre più forte: per alcuni critici infatti non esiste una differenza sostanziale tra le due parole, che possono addirittura essere considerate sinonime.

Per altri invece, e mi sento di appoggiare questa tesi, la differenza c'è ed è netta: tutto ruota attorno all'interpretazione che si decide di dare del prefisso post.

Infatti, quando si parla di postmodernismo si analizza l'aspetto prettamente cronologico, mentre il postcoloniale deve essere letto come una ribellione al colonialismo.

Conseguentemente, se è vero, come affermano i critici occidentali, che i grandi imperi coloniali oramai non esistono più e che quindi la nostra società è tanto postmoderna quanto postcoloniale, è ancora più vero, dicono i teorici del Postcoloniale che, se non esistono più i grandi imperi coloniali, esiste perlomeno una forma di neocolonialismo estremamente esplicita che può essere rintracciata, per esempio, nell’imperialismo nordamericano9.

I due filoni letterari condividono molti aspetti in comune, soprattutto l'attenzione alla metanarrativa (raccontare di scrittori che riflettono sulla scrittura, simile a ciò che avviene in Flaws in the Glass di White), la revisione della storia e dei suoi protagonisti, la riscrittura di opere che fanno parte del canone occidentale. Se però si tiene a mente la diversa accezione di post, ci si rende conto che anche le intenzioni e i risultati finali saranno diametralmente opposti.

9 Questa citazione è tratta da un articolo della docente universitaria Silvia Albertazzi, reperibile al link http://www.fucinemute.it/1999/05/postmoderno-postcoloniale/

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Impossibile ad ogni modo negare l'influenza che il postmodernismo ha avuto sulla letteratura del secolo, un'ereditarietà non semplice da gestire.

Rimane indubbiamente il suo fantasma, che quanto più viene scongiurato, rimosso, allontanato, tanto più continua a provocarci con le sue apparizioni intermittenti, sollevando in noi dubbi sulla sua natura e consistenza […] Nel migliore dei casi si deve comunque riconoscere che il postmoderno ci ha lasciato la propensione ad affinare la nostra sensibilità per le differenze, la nostra capacità di tollerare l'indeterminato, l'informe, l'incommensurabile, ci ha abituato a sottrarci alla semplificazione, alla banalizzazione, all'univocità, all'appagamento delle belle forme, instillando in noi il piacere della ricerca incessante10.

Attorno agli anni '70 viene attribuito al postcolonialismo il nome di Letteratura del Commonwealth, un'espressione che racchiude già al suo interno una netta presa di posizione da parte del mondo occidentale britannico. Contro tutto ciò si scaglia, tra gli altri, lo scrittore indiano Salman Rushdie.

Letteratura del Commonwealth è un'espressione che però sottolinea in qualche modo il grande paradosso della letteratura postcoloniale: essa infatti consiste nel riscrivere la storia di un popolo o di una cultura che è stata colonizzata, ma non può farlo se non usando la lingua del colonizzatore, una lingua che lo scrittore può sentire come imposta.

Spetta al letterato il compito di rielaborare la lingua, di modellarla in base alle proprie origini ed esigenze, per far sì che anche gli altri protagonisti della storia possano avere una voce. In A Fringe of Leaves, per esempio, Patrick White mescola all'inglese alcuni elementi della lingua cornish e riporta parole indigene, seppur poche rispetto alla complessità della sua opera.

È qui d'obbligo sottolineare che alcuni autori usano solo ed esclusivamente la loro lingua madre, ma sono in proporzione molto pochi rispetto a quelli che adoperano invece la lingua del colonizzatore. Essi contribuiscono a creare l'idea di una letteratura nazionale; va però tenuto a mente che l'inglese consente una diffusione capillare del testo, al contrario di ciò che può accadere con una lingua meno parlata.

Per quel che riguarda i temi trattati, ho sostenuto precedentemente che la

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letteratura postcoloniale vuole dare voce a chi voce non l'ha mai avuta ed è questo, senza dubbio, l'aspetto più importante di questa corrente letteraria.

Come affermano infatti gli scrittori postcoloniali, la storia è sempre stata narrata dal punto di vista dei vincitori ed essi intendono invece rompere questo ciclo, per lasciare spazio ad altri personaggi. Cito qui il caso di Wide Sargasso Sea11, il romanzo di Jean Rhys, considerato un prequel di Jane Eyre12, poiché narra le vicessitudini di Antoinette Mason, la moglie di Rochester. La donna, che nel romanzo della Brontë viene descritta come una pazza che con il suo incendio rischia di causare la morte dell'uomo amato dalla protagonista, viene invece tratteggiata nella riscrittura come una donna che ha sofferto molto, perché si trova costretta a vivere in una società che non le appartiene. Il vortice di sospetti e delusioni nel quale viene inghiottita fanno sì che il lettore riesca a provare compassione e pena per questa figura.

L'esempio che ho riportato è uno tra i tanti, e anche la cinematografia fornisce un nuovo punto di vista: si pensi ai film sulle guerre contro gli indiani d'America, che iniziano finalmente ad essere caratterizzati in maniera positiva, come persone che difendono il luogo nel quale hanno sempre vissuto.

Il filone postcoloniale, inoltre, si prefigge l'obbiettivo di trovare una correlazione tra egemonia, potere e letteratura. È in questa ottica che molti critici leggono le grandi opere classiche, come Heart of Darkness13 e Robinson Crusoe, pensando

quindi di poter capire la civiltà colonizzatrice anche attraverso i libri che hanno lasciato in eredità.

Non può essere sottovalutato quanto il canone letterario occidentale14 abbia

influito, ed influisca tuttora, sulla narrativa postcoloniale, che rimane ancora poco conosciuta a molti studenti italiani. Per farsi un'idea di quanto ho detto, basterebbe chiedere ad un campione di essi quali sono i venti romanzi pilastro della letteratura: quasi sicuramente tra i nomi scritti non comparirebbe nessun autore postcoloniale.

11 Jean Rhys, Wide Sargasso Sea, Milano, Adelphi, 2013. 12 Charlotte Brontë, Jane Eyre, Sydney, Simon & Schuster, 1997.

13 Parlerò della lettura di Heart od Darkness in rapporto al romanzo di White nel primo capitolo 14 Per un'interessante riflessione sul canone occidentale si rimanda a Harold Bloom, Il canone

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In altre parole, il processo di canonizzazione dei testi letterari è sempre motivato dagli interessi (culturali, sociali, economici) e dalle credenze (religiose, politiche) di chi lo compila. D'altra parte, la stessa idea di canone letterario implica una demarcazione tracciata sulla base del concetto di letterarietà, tra testi squisitamente letterari e testi che, invece, sembrano piuttosto funzionare in base ad altri principi (ideologici, di divertimento e di evasione, didattici e didascalici ecc.).15

È evidente che con il termine postcoloniale si intende un fenomeno che coinvolge stati e culture in tutto il mondo, che sono emerse a seguito della fine del colonialismo. Quest'epoca ha lasciato un grande segno nella storia contemporanea, perché ha cambiato confini ed alleanze. Ai letterati, ai filosofi e agli artisti spetta l'arduo compito di riappropriarsi della loro cultura e di creare sinergie con quella dei colonizzatori, per costruirne una ibrida.

Come ho detto in precedenza, è impossibile scindere il postcoloniale dall'aspetto storico. Molti critici parlano di guerra coloniale, intendendo un periodo diviso in due fasi: la prima è antecedente agli anni '50 e coinvolge soprattutto l'Asia, la seconda invece comincia nel '57 e coinvolge il continente africano.

Questa definizione non è scevra da polemiche, perché c'è chi ritiene sia difficile delineare un periodo così netto a causa degli episodi di violenza e guerriglia anticoloniale che sono avvenuti nel corso del dominio europeo.

Ad ogni modo, accantonando questa diversità di opinioni, si parla generalmente di guerra coloniale un'azione che porta allo spiegamento e all'invio di truppe da parte dello stato colonizzatore.

È importante menzionare questo particolare storico non solo perché cambia completamente i confini geo-politici del mondo, ma anche perché, per la prima volta, le colonie diventano il centro focale e ciò ha evidenti ripercussioni anche nella scrittura e nella cultura in generale.

La fine del colonialismo non è l'unica spinta propulsiva al nascere di questo filone culturale; non può essere infatti dimenticato che il periodo che va dal 1966 è stato ricco di avvenimenti variegati, ma allo stesso modo importanti: la guerra in Vietnam, la contestazione giovanile, il femminismo e lo sviluppo delle teorie di gender, la guerra fredda e il diffondersi del capitalismo e della globalizzazione.

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Quelli che ho citato sono episodi accaduti in un breve lasso di tempo, che hanno però modificato completamente l'assetto mondiale e che hanno avuto un forte impatto nella formazione letteraria e sociale di molti autori postcoloniali. Immediato il richiamo a Patrick White, che vive con apprensione il pericolo della guerra nucleare e i profondi mutamenti della società australiana.

Ritengo sia d'obbligo fare una precisazione: molti studiosi sottolineano le analogie tra la letteratura postcoloniale e quella di stampo femminista. Entrambi i generi infatti si preoccupano di persone che fino a quel momento avevano avuto ben poca voce in capitolo, ed entrambi i generi nascono quasi nello stesso periodo storico, sotto influenze culturali molto simili.

Ciò che però a mio avviso li distingue e li allontana molto, è che la letteratura postcoloniale abbraccia moltissimi stati, diventando un magma troppo eterogeneo per essere confrontato con altri elementi. Inoltre, la letteratura postcoloniale si occupa anche di donne, ed è di nuovo il caso di A Fringe of Leaves, ma non solo. Tratta infatti di aborigeni, bambini, persone deboli. Una così grande varietà forse non era presente nella letteratura femminista del periodo sopra citato.

Per quel che concerne l'aspetto linguistico, le lingue presentano due tratti distintivi: da una parte ci sono le omeoglotte, ossia quelle che partono da una lingua d'origine e la modificano, inserendo termini che nascono dal contatto tra le due culture, creando quindi un idioma più variegato.

Nel secondo caso, e si parla qui di lingue creole, predomina senza dubbio l'influenza delle lingue europee, che impongono la loro presenza in maniera molto vigorosa, arrivando a far sì che la lingua di origine sia dimenticata dai più.

In entrambi i casi, si parla di ibridismo linguistico: l'ibridismo è un concetto molto importante nell'ottica postcoloniale, ed abbraccia lingue, culture, società. In linea di principio, è possibile ritenere ibrido tutto ciò che comporta l'incontro, a volte anche complicato, tra gruppi diversi di persone: per esempio, con il termine di ibridismo antropologico nella letteratura, si designa quella tematica che affronta i problemi d'amore tra due persone che appartengono a una classe sociale e ad un gruppo etnico diverso.

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contraddistingue gli autori postcoloniali è che per loro non si tratta solo di identità letteraria, ma anche di appartenenza ad una cultura storica e geografica.

Infatti, per i postcoloniali le diverse identità si fondono ed arrivano a creare un unico concetto: nell'ambito della letteratura si uniscono l'identità linguistica, a cui ho accennato precedentemente, e quella dei temi trattati.

Un'altra delle tematiche dominanti è quella della memoria:

all'idea del rapporto con se stessi, con la coscienza di sé nella continuità temporale e spaziale, ma anche nella discontinuità operata dalla colonizzazione: da cui l'alta frequenza di racconti di fondazione, di gesta di eroi storici o mitici [...]16.

Vi è anche il tentativo di individuare un nuovo modo di guardare ciò che circonda l'autore, come se si dovesse riappropriare del proprio sguardo per poter vedere davvero, con una certa distanza e disincanto, il mondo esterno.

Nelle pagine che seguono ho ritenuto potesse essere interessante una breve analisi di due tipi di letterature postcoloniali: quella dell'Africa e quella dell'India. La scelta è sicuramente parziale e soggettiva, ma volevo sottolineare da un lato l'impegno politico e la ricerca di un'identità africana, e dall'altro invece il rifiuto al concetto del Commonwealth. Come si vedrà, l'autore indiano Amitav Gosh chiede di essere escluso da un premio letterario del Commonwealth, e questa sua decisione mi ha immediatamente spinta a ricordare Patrick White e la sua ritrosia nei confronti delle candidature ricevute.

L'Africa è stata senza dubbio la zona del mondo più colonizzata nel corso dei secoli e non stupisce quindi trovare una forte resistenza a questo fenomeno. Come rifiuto nei confronti del colonialismo che hanno dovuto affrontare gli scrittori si rimpossessano della loro storia, e raccontano le vicende di uomini e donne di colore, quasi sempre ambientate nel continente africano.

The African colonial experience has dominated the origin and nature of contemporary African protest literature and rendered it opposed to Western standards of aesthetics. This Manichean perception must have been a reaction to Horace's position, "O imitatores, servum pecus!" Imitators are a servile race. The rejection was reinforced by the general impression that Africa needed to evolve a literature that will not be an imitation of the literary norms of Europe. It is therefore not 16 Carla Fratta, Identità in Abbecedario postcoloniale I-II, Macerata, Quodlibet, 2004.

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surprising that authors of protest literature advocated a literary endeavor, whose style, language, aesthetic standards and concerns were required to be different from those of the colonizing powers who were seen as having subjugated them and undervalued every aspect of their lives. The desire for originality was thus to become the prerequisite for authentic African literature, which would explore Africa's past, buttress its present, and advocate a hopeful future17.

La letteratura postcoloniale africana è indiscutibilmente legata alla négritude, un concetto ideato per la prima volta in Francia dal poeta e politico senegalese Léopold Sédar Senghor, assieme a Aimé Césaire (poeta ed esponente politico della Martinica) e a Léon Damas, anche egli poeta impegnato nella politica, di origine africana.

La négritude arriva a diventare un vero e proprio movimento letterario e culturale, ribaltando l'accezione negativa che la radice della parola aveva nella Francia degli anni '30. Il fulcro di questa corrente è il desiderio di ritrovare le proprie radici, tradizioni e culture per affrancarsi dal dominio coloniale. Questa filosofia si fa sempre più inclusiva, tanto che Jean Paul Sartre, nel 1948, arriva a sostenere che si tratta di un vero e proprio caso di razzismo antirazzista.

Le critiche non smorzano l'impatto che la négritude ha, e continua ad avere, sugli scrittori africani, anche ai nostri giorni. Si arriva addirittura a parlare di tre tipi diversi di négritude

There are many negritudes: the aggressive Negritude clamouring for recognition of African values; the conciliatory Negritude advocating cultural miscegenation or cross-breeding; and an inventive Negritude tending toward a new humanism. These three major currents have been present from 1931 onwards; but according to the period and the 'militant', one of these aspects has taken precedence over the other. 18

La lingua diventa ancora una volta, lo strumento con il quale decidere di attuare delle strategie stilistiche e narrative: per gli scrittori africani è quasi impossibile smarcarsi dalla predominanza delle lingue dei colonizzatori, nello specifico l'inglese e il francese.

Alcuni però, cercano di comporre testi adoperando solo ed esclusivamente la lingua nativa, per cercare di mantenere la propria identità culturale. Va però tenuto a

17 Asante-Darko, Kwaku, “Language and Culture in African Postcolonial Literature” in CLCWeb:

Comparative Literature and Culture 2.1, 2000.

18 Jacques Louis Hymans, Leopold Sedar Senghor: An Intellectual Biography. Edinburgh, Edinburgh UP, 1977.

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mente che lingua e cultura possono non andare di pari passo: è il caso per esempio di chi cerca di mantenere le proprie tradizioni pur parlando molto frequentemente la lingua del colonizzatore.

Il risultato di questo approccio linguistico è ciò di cui prima si è già discusso, l'ibridismo. Infatti, i testi postcoloniali africani presentano una vera e propria mescolanza di lingue, con forte influenza della lingua dei colonizzatori. Si creano perciò neologismi, sperimentazioni che portano a risultati sempre nuovi e diversi da scrittore a scrittore, poiché evidentemente ciascuno interviene nel testo con il proprio stile personale.

Il postcoloniale in Africa è forse quello più politicizzato, e anche chi sceglie di scrivere nella lingua inglese o francese, può venire accusato di fare una letteratura afroeuropea e borghese, perché usando la lingua dell'invasore esclude volontariamente una larga fetta di lettori che conoscono solo le lingue native.

La lingua diventa quindi strumento di lotta politica e sociale, ed ogni decisione presa da un autore ha un impatto e delle conseguenze molto rilevanti, tanto che molti scrittori esplicitano chiaramente le ragioni che li spingono a scegliere una lingua piuttosto che un'altra.

L'India è uno dei centri focali della letteratura postcoloniale, luogo di origine di alcuni degli scrittori più interessanti. Come in Africa, anche in India non si può scindere il postcoloniale dalla lotta contro l'impero, ma i metodi e i risultati ottenuti sono ben diversi.

Ancora una volta la lingua diventa il veicolo primario adoperato dagli scrittori per esprimere le loro idee sulla colonizzazione e il colonialismo: sperimentazione rimane la parola chiave per leggere la riscrittura indiana. Gli autori infatti giocano con parole ed espressioni idiomatiche, inserendole nel testo per creare effetti di commistione linguistica molto particolari.

I romanzi postcoloniali indiani affrontano quasi sempre il tema della società, delle divisioni di classi e del rapporto ambivalente che si è instaurato con il capitalismo occidentale: sono temi storici e sociali, dettati probabilmente dal fatto che l'India è sempre stata una terra colonizzata, prima degli Europei in quelle terre c'era stato il dominio islamico. Quello che è importante sottolineare, come si vede

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nella citazione che riporto, è il fatto che questa corrente letteraria e storiografica, in India, non si concentra tanto sul riappropriarsi delle proprie tradizioni, quanto piuttosto sul bisogno di riprendere un discorso storico e politico che è stato interrotto.

For postcolonial historiography, the embattled and anxious enunciation of history as a form of beimng and knowledge provides the opportunity to seize and reinscribe it catachrestically, not to restore lost forms of telling knowing but to pick apart the disjunctive moments of discourses authorized by colonialism and authenticated by the nation-state and rearticulate them in another-third-form of writing history.19

Non solo temi storici e sociali, ma anche un desiderio di riappropriarsi del proprio sé: in un luogo come l'India, in cui vigono ancora di fatto le classi sociali, parlare della propria identità culturale, politica, tradizionale e religiosa assume un significato più profondo rispetto ad altri contesti.

Parlare di sé e affrontare il tema della persona in una società che presenta anche persone induiste, che credono pertanto nella reincarnazione e in una vita che è il frutto di chi si è stati nell'esistenza precedente, vuol dire riflettere anche sulle tematiche religiose e sociali, come la presenza dei paria o la a volte difficile convivenza tra persone di fede diversa.

Nelle pagine precedenti ho accennato all'opinione dello scrittore Salman Rushdie in merito alla cosiddetta letteratura del Commonwealth, e penso che sia doveroso dedicare qui qualche riflessione alle affermazioni dello scrittore.

Rushdie sostiene che la letteratura del Commonwealth semplicemente non esista: ora, questa frase deve essere contestualizzata se si vuole comprendere appieno la sua accezione.

Ciò che sostiene lo scrittore indiano è che parlare di Commonwealth porta una divisione tra le nazioni, tra chi ne fa parte e chi no. Non solo: Rushdie ritiene anche che siano ben pochi i critici che prendono in considerazione le letterature dei paesi postcoloniali,cosicché la divisione che si crea non è solo politica, ma diventa anche una divisione sociale e culturale, nonostante il fatto che i testi siano scritti in lingua inglese.

19 Gyan Prakash, “Postcolonial Criticism and Indian Historiography,” in Social Text, n° 31/32 Third World and Postcolonial issues, 1992.

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Il più grande problema di questa letteratura è proprio la divisione che crea, perché corre il rischio di far dimenticare la nuova linfa che gli scrittori di altri paesi hanno apportato alla letteratura (e alla lingua) britannica. Rushdie infatti sostiene che

If all literatures could be studied together, a shape would emerge which would truly reflect the new shape of the language of the world, and we could see that English literature has never been in better shape, because the world language now possesses a world literature, which is proliferating in every conceivable direction.20

I toni diventano molto duri quando Rushdie arriva a parlare di ghetto e segregazione, un vero e proprio attacco all'imperante cultura occidentale che provoca non poche reazioni nel mondo intellettuale.

He further notes that "it is also uncertain whether citizens of commonwealth countries writing in languages other than English-Hindi, for example -- or who switch out of English, like Ngugi, are permitted into the club or asked to keep out". For Rushdie, the idea of Commonwealth Literature is just an attempt to create an exclusive literary ghetto. He further adds that the "effect of creating such a ghetto was, is, to change the meaning of the far broader term 'English literature' which I'd always taken to mean simply the literature of the English language -- into something far narrower, something topographical, nationalistic, possibly even racially segregationist.21

Della stessa opinione è anche lo scrittore Amitav Gosh, che nel 2001 rifiuta il Commonwealth Prize22 per il suo romanzo The Glass Palace: in una lunga lettera

indirizzata a Sandra Vince, la responsabile di questo premio, Gosh spiega le sue posizioni e chiede che il suo lavoro venga tolto dall'elenco dei finalisti.

Per prima cosa va sottolineato che l'autore non era a conoscenza della decisione, presa dagli editori, di candidare The Glass Palace e decide quindi di intervenire in prima persona per cercare di risolvere la situazione e ritirare la candidatura.

La sua posizione nei confronti del Commonwealth Prize è sicuramente ben esplicitata, ma lo stesso scrittore ritiene doveroso spiegare che nutre un grande rispetto sia per i vincitori passati del premio, sia per la giuria: conosce molti di essi ed ammira e rispetta il loro lavoro. Allo stesso tempo, è consapevole che questo 20 http://canlit.ca/reviews/encounters_literatures_in_english

21 Ako, Edward O. From Commonwealth to Postcolonial Literature. In CLCWeb: Comparative

Literature and Culture 6.2, 2004.

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premio consente una grande visibilità anche a scrittori emergenti, grazie soprattutto al premio First Book. Ciò che Gosh non approva è, come per Rushdie, il termine Commonwealth, perché esclude le molte lingue che sostengono le culture e le tradizioni dei paesi che facevano parte del paese britannico. Infine, lo scrittore indiano, con un po' di ironia, fa notare che il suo romanzo può essere candidato perché è stato scritto in inglese e perché lui fa parte di uno stato del Commonwealth: di tutte le ragioni, queste gli paiono quelle meno affascinanti ed efficaci, perché si concentrano solo sulla provenienza geografica e meno sui meriti artistici dell'opera.

So far as I can determine, The Glass Palace is eligible for the Commonwealth Prize partly because it was written in English and partly because I happen to belong to a region that was once conquered and ruled by Imperial Britain. Of the many reasons why a book's merits may be recognized these seem to me to be the least persuasive. That the past engenders the present is of course undeniable; it is equally undeniable that the reasons why I write in English are ultimately rooted in my country's history. Yet, the ways in which we remember the past are not determined solely by the brute facts of time: they are also open to choice, reflection and judgment. The issue of how the past is to be remembered lies at the heart of The Glass Palace and I feel that I would be betraying the spirit of my book if I were to allow it to be incorporated within that particular memorialization of Empire that passes under the rubric of "the Commonwealth".23

Infine, un breve cenno al postcolonialismo in Australia, uno dei luoghi più interessato ad un ampio e vivace dibattito culturale e letterario. La storia dell'Australia obbliga i letterati, in seguito a grandi cambiamenti politici e storici che avvengono a partire dalla fine degli anni '50 fino al 1976, a confrontarsi con le loro origini, soprattutto con la cultura aborigena e la difficile convivenza tra due mondi così diversi.

Pur mantenendo un legame con l'Inghilterra, testimoniato anche dalla bandiera e ovviamente dal Commonwealth, l'Australia cerca di trovare un'identità storica e culturale che sia però in grado di accogliere anche coloro che sono sempre rimasti ai 23 Un commento alla decisione di Gosh e l'intera lettera di rifiuto inviata dallo scrittore è reperibile al

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margini della storia: gli aborigeni e i detenuti delle colonie.

Inizia quindi per la letteratura australiana postcoloniale un'indagine che guarda al passato, ma che allo stesso tempo tende al futuro, per una nazione che diventa ben presto terra di migranti e che avverte l'esigenza di trovare una tradizione in comune prima di poter essere davvero accogliente.

Capostipite di questa grande tradizione letteraria è sicuramente Patrick White, il fondatore del movimento postcoloniale australiano: come vedremo, il suo romanzo A Fringe of Leaves tratta proprio degli emarginati e dei reietti della società.

Di White si dirà che la sua letteratura consente di vedere con un altro sguardo chi ci sta attorno, perché riesce a portare il lettore in un viaggio di conoscenza della realtà, tracciando ritratti di persone e storie che non possono lasciare indifferenti.24

24 Agostino Lombardo (a cura di), Verso gli antipodi: le nuove letterature di lingua inglese: India,

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1.1 Biografia

Queste pagine nascono dall'esigenza di fornire un inquadramento generale dell'autore e delle sue scelte poetiche, prima di poter iniziare ad analizzare il tema centrale della tesi.

Non ho qui la pretesa di illustrare in modo esaustivo la sua vita, perché altri autori lo hanno fatto in maniera eccelsa25, e lui stesso ha raccontato i fatti più salienti

della sua esistenza nel suo libro-ritratto Flaws in the Glass. Molte delle citazioni che riporto in queste pagine sono tratte da questa opera, proprio perché mi sembrava doveroso lasciare il giusto spazio alla voce dell'autore.

Il mio intento è pertanto quello di presentare Patrick White ed evidenziare alcuni episodi e aspetti della sua vita che possono aver influito sul suo stile narrativo e sui temi da lui affrontati. Ad una breve introduzione biografica, seguono cinque sottoparagrafi dedicati a tematiche ed avvenimenti salienti nella vita dello scrittore.

Come si vedrà, ho inoltre deciso di dedicare in ogni sezione alcune righe alle similitudini che ho riscontrato tra l'autore e la protagonista del romanzo oggetto della mia tesi: pur essendo consapevole che la scelta possa essere azzardata, poiché non ho trovato bibliografia specifica che accosti le vite dei due protagonisti, ritengo tuttavia che possa essere interessante sottolineare i molti tratti che a mio avviso accomunano Patrick White ed Ellen Roxburgh.

Nella seconda metà di questo capitolo mi soffermo invece sulla poetica dell'autore: prima di analizzare le sue scelte stilistiche mi concentrerò sul percorso artistico che lo ha portato ad elaborare il suo stile.

Concluderò infine affrontando la produzione critica ai suoi lavori; questa sezione è volutamente divisa in due parti, perché volevo che anche in questo capitolo si potesse cogliere il dualismo che accompagna sempre l'analisi delle sue opere. Da una parte si collocano coloro che non amano la sua poetica e lo criticano ferocemente, dall'altra invece chi lo apprezza al punto di nominarlo premio Nobel per la

25 Per un'introduzione ricca di informazioni sull'autore si rimanda in particolare a Ingmar Bjorksten,

Patrick White: A General introduction, St. Lucia, University of Queensland, 1976 e a Pietro

Spinucci, Il verme e la rosa: La narrativa di Patrick White, Roma, Bulzoni, 1983. Quest'ultimo volume offre spunti interessanti per il lettore italiano perché, pur non essendo recente, è uno dei testi più interessanti sull'autore australiano.

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Letteratura. Mi sono sentita inoltre in dovere di riportare alcune delle motivazioni che lo hanno spinto a condannare con fermezza tanto le critiche quanto i premi ricevuti.

Patrick Victor Martindale White nasce a Knightsbridge, Londra, il 28 maggio del 1912, da Victor Martindale White e Ruth Whitecombe. Quando è ancora piccolo la famiglia si trasferisce in Australia, dove White rimane fino ai tredici anni, dopodiché torna nel vecchio continente per studiare e curare la sua asma. Trascorre i primi quattro anni della sua esperienza all'estero a Cheltenham, nel Gloucestershire,

descritta come una vera e propria prigionia e, prima di proseguire gli studi a Cambridge, trascorre un lungo periodo in Australia, lavorando come jackaroo.

Tornato nel vecchio continente egli si rende conto che in quelle terre non si sentirà mai completamente a casa, tanto che durante un' estate nel Sussex arriva a sostenere

[...]for myself it meant solitude in which wounds were healed, until country voices reminded me I was a foreigner..26

Una volta in Australia, White si sente uno straniero nella propria terra, e questa situazione lo getta in uno stato di profondo sconforto.

Trascorre a Londra un periodo della sua vita molto interessante, perché decide di diventare uno scrittore professionista, frequenta alcuni gruppi di teatro e riesce a pubblicare il suo primo romanzo, Happy Valley, nel 1939.

Va a New York alla ricerca di un editore che pubblichi i suoi lavori anche in America, ma fatica molto prima di trovarne uno che apprezzi il suo talento.

Lì manda alle stampe The Living and the Dead, ma lo stesso White sostiene che il romanzo sia stato pubblicato troppo in fretta, e che necessitava di altri anni di incubazione prima di venire alla luce.

Proprio negli Stati Uniti viene travolto dall'inizio della Seconda Guerra Mondiale e, dopo un periodo di esitazione, torna in Inghilterra per arruolarsi nella RAF (Royal Air Force) e a causa di questa esperienza passa molti anni all'estero, in Egitto, in Palestina e in Grecia.

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Durante la guerra conosce il suo amico e compagno Manoly, una presenza fondamentale nella sua vita, con cui vivrà per un periodo in Grecia, finché decidono di andare a vivere in Australia, prima in campagna e poi, nel 1964, in città.

Nel 1973 viene insignito del titolo di Australian of the Year; nello stesso anno vince il premio Nobel per la Letteratura ma, come vedremo in seguito, la sua reazione non sarà certo entusiasta.

Investe il denaro ha ricevuto con il Nobel per creare un premio letterario per scrittori australiani, mentre si fa sempre più significativo il suo impegno politico e civile, soprattutto contro l'uso del nucleare.

Nel 1979 viene candidato per il The Booker Prize, ma fa esplicita richiesta di esclusione dall'elenco dei nominati per lasciare spazio a talenti più giovani.

Nello stesso anno dichiarerà di voler scrivere solo per la radio o il teatro. Scriverà anche l'adattamento cinematografico del suo lavoro The Night The Prowler.

Nel 1986 Voss diventa anche un'opera teatrale, ma White si rifiuta di partecipare alla prima all'Adelaide Festival of Arts perché presente la regina Elisabetta.

Lo scrittore muore il 30 settembre 1990 a Sydney.

Elenco delle sue opere

Riporto qui, in ordine cronologico, e divise per genere, le opere scritte dall'autore nel corso della sua proficua carriera.

Romanzi

Happy Valley (1939)

The Living and the Dead (1941) The Aunt's Story (1948)

The Tree of Man (1955) Voss (1957)

Riders in the Chariot (1961) The Solid Mandala (1966) The Vivisector (1970) The Eye of the Storm (1973) A Fringe of Leaves (1976)

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The Twyborn Affair(1979) Memoirs of Many in One (1986) The Hanging Garden (2012)

Poesie

Tredici poesie stampate privatamente, sotto lo pseudonimo di Patrick Victor Martindale circa 1929.

The Ploughman and Other Poems (1935) Poems (1974)

Opere teatrali

Bread and Butter Women (1935) The School for Friends (1935) Return to Abyssinia (1948) The Ham Funeral (1947)

The Season at Sarsaparilla (1962) A Cheery Soul (1963)

Night on Bald Mountain (1964) Big Toys (1977)

Signal Driver: a Morality Play for the Times (1982) Netherwood (1983)

Shepherd on the Rocks (1987)

Raccolte di racconti brevi

The Burnt Ones (1964) The Cockatoos (1974) Three Uneasy Pieces (1987)

Sceneggiatura

The Night the Prowler (1978)

Autobiografia

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1.1.1 Il rapporto con la famiglia: conflitto e ispirazione

Il rapporto che si instaura negli anni tra White e i suoi genitori è freddo e quasi anaffettivo: è interessante notare che quando li nomina usa quasi sempre il nome di battesimo, o in alternativa Mom and Dad, con la lettera maiuscola. Il padre viene descritto come un uomo debole, incapace di arrabbiarsi e di prendere decisioni senza prima essersi consultato con la moglie: il loro discorso di addio alla stazione, prima che il ragazzo torni a Cheltenham, doveva essere un commiato in grado di segnare il suo passaggio nel mondo degli adulti, ma si risolverà un discorso banale e superficiale. I sentimenti che prova nei confronti della madre sono invece contrastanti: lo stesso autore ammette di non aver mai provato affetto per lei, ma al contempo ammirava il suo essere una donna forte e tenace. Il distacco tra i due si fa netto e forse incolmabile quando lei lo porta a studiare all'estero, una decisione così poco capita dal ragazzo che gli fa perdere fiducia in sua madre. Ruth viene descritta come una donna vanitosa, e spesso Patrick da bambino cerca di assecondare questo suo lato caratteriale, per creare un legame con lei.

È forse questo un aspetto che è presente anche nell'autore: sua madre è vanitosa nel senso più ampio del termine, perché ha sempre bisogno di un pubblico che la assecondi. Se si pensa ai primi spettacoli di White, allestiti in giardino per i familiari, si fa forse più evidente questo lato in comune. Anche da adulto, egli sente il bisogno di trovare un punto di incontro con la madre, ed è in quest'ottica che bisogna leggere il suo frequentare le ragazze che la madre gli presenta ai balli. Come si evince dal brano che riporto, egli è consapevole che la donna è interessata più all'idea della famiglia che alla sua felicità amorosa, ma cerca quanto può di accontentarla.

Which of them do you like? Was Ruth's recurring refrain. She desperately wanted me, not so much to fall in love, as to become engaged, so that she could stage-manage a wedding. she wanted Sunday lunch at the Royal Sydney Gold Club with a daughter-in-law and grandchildren.27

Il ragazzo riconosce in una balia che ha avuto da piccolo la figura materna, ed è

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interessante sottolineare che questo aspetto è in qualche modo presente anche nei suoi romanzi. Paradossalmente, infatti, sono proprio le donne incapaci di avere figli quelle che si dimostrano ottime madri. Impossibile qui non pensare alla protagonista di A Fringe of Leaves che, dopo l'aborto durante il naufragio, diventa un punto di riferimento importante per i bambini della sua tribù. Meritano una breve menzione anche i rapporti con gli altri familiari, in particolare con la sorella Suzanne e con gli zii. Di nuovo, forse a causa del carattere sensibile e introverso dell'autore, le relazioni che instaura non sono mai semplici. Con la sorella il rapporto è competitivo e conflittuale, tanto che quando Suzanne gli legge alcune sue poesie, il ragazzo si rende conto che quanto aveva scritto lui non aveva lo stesso impatto artistico e se ne dispiace molto. Gli zii di Patrick sono una vera e propria tribù variegata, con destini e personalità completamente diversi. Con alcuni di loro non riesce ad instaurare un rapporto che vada al di là della mera visita di cortesia, per altri proverà un vero e profondo affetto. Anche dalle loro personalità trae ispirazione per i suoi romanzi: basti pensare che si rifà alla sua madrina per il personaggio di Theodora, in The Aunt's Story. Nei suoi romanzi White scandaglia con intelligenza i legami che si creano tra i protagonisti e le loro famiglie, di sangue o acquisite. Faccio qui di nuovo riferimento a A Fringe of Leaves, poiché in questo romanzo la parentela ha anche un significato più profondo, simbolico e sociale: a sostegno di questa affermazione, porto due esempi di figure che nel testo compaiono poco, ma che hanno un grande impatto sulla protagonista: il padre e la suocera. Il padre è per Ellen un uomo burbero, chiuso, incapace di dimostrarle il suo amore; in lui però la giovane ragazza trova il legame forte con le propri origini, con la sua vita semplice che conduceva in Cornovaglia, e anche durante la fuga con il condannato Jack, il suo pensiero corre spesso all'uomo e ai ricordi della giovinezza. Agli antipodi si colloca invece la figura della suocera: per lei la giovane nuora è stata un gioco, quasi un esperimento il dover trasformare una “selvaggia” in una lady, istruirla sui vestiti adatti, sulle letture in latino del figlio, su tutto ciò che prevedeva l'etichetta. La suocera rappresenta a mio avviso il cambiamento sociale che Mrs Roxburgh non interiorizza mai fino in fondo: è per questo che la donna le compare in sogno, come fosse una visione, in un momento di enorme difficoltà durante la sua vita nella tribù, per rimproverarla.

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1.1.2 La formazione della sua personalità

Gli anni che White trascorre in giro lontano dall'Australia contribuiscono a plasmare il suo carattere. Sono anni cruciali per la crescita di qualsiasi individuo, ma soprattutto per un ragazzo che si trova dall'altra parte del mondo, senza famiglia e con molte difficoltà ad integrarsi.

L'impatto con questa nuova realtà è molto forte, White parla a stento coi compagni perché si vergogna della sua austrialianness e del suo accento, non riesce a farsi molti amici e si ritrova a vivere in un ambiente in cui il sesso, o meglio il divieto di praticarlo, è un morboso punto focale.

In quegli anni l'autore esplora la propria sessualità, innamorandosi di alcuni ragazzi e per cercare di assecondare i desideri della madre frequenta anche alcune donne, arrivando a sostenere che “sexual ambivalence helped drive me in on myself.”28 La sua omosessualità non è un problema, né per lui né per chi gli è vicino,

ma ciò che lo isola dagli altri è la sua componente quasi femminile, un tratto che pochi apprezzano e gradiscono.

[...]and soon accepted the fact of my homosexuality. In spite of looking convincingly male I have been too passive to resist, or else I recognised the freedom […] to play so many roles in so many contradictory envelopes of flesh. […] I did not question the darkness in my dichotomy, though already I had begun the inevitably painful search for the twin who might bring a softer light to bear on my bleakly illuminaed darkness.29

Nel frattempo, continua il suo percorso scolastico, studia a Cambridge, frequenta l'ambiente londinese, si arruola nell'esercito, inizia la sua carriera lavorativa.

Sono tutte esperienze che contribuiscono a renderlo un uomo diverso, così come certamente assume una forte valenza anche il rapporto con i genitori e con la sua terra, l'Australia.

Quello che colpisce dell'autore è che, sebbene ancora giovane, presenta già la capacità e il talento di potersi scrutare a fondo.

Egli infatti è consapevole della sua unicità come individuo, della sua sensibilità

28 Patrick White, Flaws in the Glass: A Self-portrait, Londra, Penguin Books, 1983. 29 White, Flaws in the Glass: A Self-portrait, op.cit.

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quasi femminile e del suo desiderio più profondo: diventare uno scrittore. Lascia ad una lettera l'incombenza di comunicare ai suoi genitori la decisione di rimanere a Londra per tentare la carriera artistica e una volta compiuto questo passo non guarda più indietro. È inoltre ben consapevole del proprio talento e delle proprie origini, al punto di sostenere:

I was born with that silver spoon, the metaphor popular novelists and Sunday journalists love to trot out. Unfortunately, or not, I was given eyes, hyperactive emotions, and an unconscious apt to take over from them.30

La sua personalità così peculiare fa sì che fin da giovane egli venga sottoposto a feroci critiche da parte dei compagni di scuola, che non accettano il suo dualismo maschile-femminile, e da parte di sua madre, che al ritorno dall'Inghilterra lo apostroferà con il termine freak. Questa parola non trova piena corrispondenza in italiano, perché indica l'essere “strani” a tutto tondo: nella personalità, nel modo di comportarsi, nei gusti sessuali. Se ora essere freak è un punto di orgoglio per molte persone, che celebrano la propria diversità, ai tempi la parola non aveva questa valenza anche positiva, ed era solo un'offesa che la madre rivolgeva ad un figlio che non riconosceva più.

Mi permetto qui però di sostenere che forse quegli attacchi costanti hanno contribuito a temprare il carattere forte e resistente dell'autore, in grado poi di reagire alle critiche, sia in campo letterario che privato, con ironia e sarcasmo: un lato del suo essere che si riflette inevitabilmente anche nei romanzi e nei saggi. Egli ha fatto dell'ironia la sua difesa, lo scudo dietro il quale si ripara: è impossibile leggere i suoi lavori senza sentire una vena ironica che scorre tra le pagine. Anche in A Fringe of Leaves questa tecnica è usata di frequente, come si vedrà nel capitolo 4 di questo lavoro: è feroce, impietosa anche nei confronti di quei personaggi che non si sarebbero meritati un simile trattamento. Tutta la caratterizzazione di Mr Roxburgh è dettata dall'ironia pungente: un uomo malaticcio, affidato alle cure delle donne, che invece di occuparsi del giardino impara a memoria i nomi di piante e fiori, e che muore nel tentativo di attaccare la tribù, non può non far sorridere il lettore.

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1.1.3 I viaggi nel mondo

Come già accennato nella prima sezione, la vita di White è densa e ricca di viaggi attorno al mondo. Non solo il suo trasferimento dall'Australia all'Inghilterra e viceversa, ma anche gli Stati Uniti, la Grecia, l'Egitto, la Palestina, la Libia, sono alcuni dei luoghi nei quali si ritrova a vivere durante gli anni trascorsi in aviazione.

Gli Stati Uniti rappresentano un punto di rottura con il suo passato e una svolta per la sua carriera letteraria: egli infatti si trasferisce a New York nel tentativo di trovare un editore disposto a pubblicare i suoi romanzi, e quando ne trova uno la sua vita cambia per sempre. È infatti durante il suo soggiorno statunitense che scoppia la seconda guerra mondiale (dall'autore spesso definita Hitler's War) e nei salotti dell'intellighenzia letteraria egli scopre il disprezzo che molti nutrono nei confronti della sua decisione di non prendere parte alla guerra.

White torna allora in Inghilterra e decide di arruolarsi nella RAF, perché sente dentro di sé di dover compiere questo passo. Sono anni che lo portano a viaggiare molto e lo cambiano profondamente: è l'unico australiano, nessuno conosce ancora i suoi romanzi e trova pochi punti in comune con gli altri soldati. Fatica ad accettare le gerarchie, non comprende la necessità dei saluti, si sente sempre un principiante rispetto agli altri suoi colleghi. È grazie a questa esperienza però che egli conosce Manoly, un uomo che diventerà il suo punto di riferimento, tanto che l'autore passerà del tempo con lui in Grecia ed assieme decideranno poi di trasferirsi di nuovo in Australia, per vivere insieme.

Mi si permetterà qui di tracciare una similitudine tra l'autore e la protagonista del suo libro, Ellen. Entrambi infatti hanno subito esperienze traumatiche (la guerra per l'autore e il naufragio per l'eroina del libro) ed entrambi hanno compiuto un viaggio da un continente all'altro, viaggio dal quale tornano completamente diversi. Quello che a mio avviso li lega di più è che a causa di ciò che hanno vissuto durante le loro esperienze di vita, si sentono esclusi e rifiutati dalla società nella quale cercano di nuovo di integrarsi. Come l'autore sostiene

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too young to know that freedom is a theory anyway).31

Così Ellen, una volta tornata alla civiltà dopo un lungo periodo trascorso con la tribù degli aborigeni, si sentirà esclusa da quello che dovrebbe essere il suo ambiente, isolata da tutti perché protegge chi l'ha catturata, perché ha avuto una storia d'amore con un condannato e perché restia ad incontrare l'unico altro superstite del naufragio.

Si tratta in entrambi i casi di due viaggi che provocano un profondo cambiamento in chi ne è stato coinvolto, non solo perché si tratta di esperienze dure, ma anche perché coinvolgono altre persone, Manoly in un caso e Jack Chance nell'altro: persone e personaggi fittizi qui sullo stesso piano, per sottolineare la forza salvifica di chi vuole bene.

La differenza sostanziale però che mi sento di riscontrare tra le due vicende è che White riesce a trovare un senso di pace e di appartenenza quando torna in Australia con Manoly, come se l'affetto di una persona cara potesse in qualche modo colmare il vuoto che si prova a stare in una società che senti tua solo in parte, e che fa sempre fatica ad accoglierti completamente.

Ellen invece compie il suo rientro nella civiltà del tutto sola: nuda, ed è impossibile non attribuire a questa nudità un forte valore simbolico, senza la fede nuziale, che ironicamente perde poco prima di giungere alla casa, e che rappresenta senza alcun dubbio il legame che la univa a a suo marito, e senza il condannato Jack, che l'abbandona a poca distanza dall'abitazione, per paura di essere ucciso per la sua fuga dal penitenziario nel quale stava scontando l'omicidio della sua compagna Mab.

Viene qui dunque da chiedersi come sarebbe stato il ritorno di Ellen se fosse riuscita a convincere Jack ad affrontare assieme a lei le sfide del mondo moderno, se fosse stata più convincente nel giurargli protezione e salvezza, se fosse stata in grado di garantirgli l'assoluzione dai suoi crimini per il nobile gesto di aver guidato la sua fuga.

Forse Jack, proprio come è riuscito a fare Manoly con il suo autore, l'avrebbe fatta sentire meno sola e disperata, più pronta a confrontarsi con una società che non è mai stata in grado di accettarla.

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1.1.4 Religione e spiritualità

La religione riveste un ruolo di grande importanza nella vita di White e merita alcune considerazioni più approfondite.

Come sostiene lo stesso scrittore, la religione fa parte della sua vita ed è un tema di rilievo in tutti i suoi libri.

RELIGION:Yes, that's behind all my books. What I am interested in is the relationship between the blundering human being and God. I belong to no church, but I have a religious faith; it's an attempt to express that, among other things, that I try to do. Whether he confesses to being religious or not, everyone has a religious faith of a kind. I myself am a blundering human being with a belief in God who made us and we got out of hand, a kind of Frankenstein monster. Everyone can make mistakes, including God. I believe God does intervene.32

Cresciuto in una famiglia cristiana, sebbene con l'impressione che per i suoi parenti la fede fosse solo una sequenza di riti da compiere, senza un valore particolare, fin da piccolo White cerca di trovare risposte alle sue domande, chiedendosi se è possibile trovare Dio anche negli alberi. Sembra una fede quasi animista, una spiritualità molto simile a quella di Ellen, come spiegherò in seguito.

Da ragazzo poi vive in un ambiente religioso e frequenta persone di fede cristiana; di nuovo, l'esperienza della guerra lo cambia e lo spinge per un certo periodo a vivere il credo anglicano, che trova però troppo insoddisfacente.

Non si ritiene mai un cristiano, ma non riesce a lasciare quella religione in favore di un'altra, per quanto per esempio tessa le lodi della religione ebraica.

È lo stesso autore a ritenersi un essere umano di livello “ basso”, ed arrivare ad immaginare che in una vita futura si reincarnerà in una roccia o in un cane.

Tutte queste esperienze e questi tentativi, a volte fallimentari, lo spingono a formulare quella che è la sua vera fede, quella che non abbandonerà mai e che cercherà di riproporre anche con le sue opere: il vero credo di White, e mi si perdonerà l'eccessiva semplificazione, sono in realtà gli esseri umani, e il loro modo di rapportarsi alla vita e a Dio.

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My inkings of God's presence are interwoven with my love of the one human being who never fails me. This is why I fall short in my love of human beings in general. There are too many travesties of an ideal I am still foolish enough to expect after a lifetime's experience, and knowledge of myself.33

Vorrei ora dedicare qualche riflessione agli aspetti religiosi presenti in A Fringe of Leaves, e di nuovo, trovo sia necessario sottolineare alcune similitudini tra l'autore e la protagonista, che a mio parere sono rilevanti.

Ellen nasce da una famiglia che, come quella di White, vive la fede come un obbligo, i suoi genitori recitano a memoria le preghiere, a volte cantano ad alta voce, ma non sono mai del tutto convinti di quello che recitano. Questa caratteristica sembra accompagnare molte delle persone della vita di Ellen: si pensi per esempio al Capitano Purdew, che subito dopo il naufragio formula una preghiera opportunistica, o si pensi anche a suo marito, che rimanda il momento del ringraziamento a Dio, fino a che, una volta ferito mortalmente, chiede a sua moglie di pregare per lui.

Quello che accomuna White e la protagonista del libro però non è solo l'atmosfera religiosa nella quale crescono, ma soprattutto il loro rapporto mistico con la natura. Si fa qui riferimento al capitolo 7 del romanzo, nel quale Ellen vive un vero e proprio momento di comunione con la natura che la circonda, così intenso e profondo che anche gli aborigeni coi quali vive colgono questo aspetto, ed arrivano a considerarla quasi una dea. È la stessa protagonista che si sente una divinità, un tutt'uno spirituale e quasi mistico con le piante, i fiori, l'acqua, la vegetazione e il sole, che tanto le ricordano quelli della sua terra natale: anche da piccola infatti aveva avvertito questa stessa sensazione di unione con la natura, quando correva libera e spensierata nella sua Cornovaglia. Va dunque letto in quest'ottica, a mio avviso, il riferimento al cannibalismo che Ellen compie. Sebbene nelle ultime righe dedicate a quel momento si ripropone di non pensarci più, scopriamo poi che il suo senso di colpa non è così forte: certo, si può pensare che condizioni estreme richiedano a volte soluzioni estreme, ma dal punto di vista religioso il suo non sentirsi in colpa può derivare dal fatto che lei non ha fede nella religione cristiana, ma solo nella natura.

E in natura, un gesto del genere, può essere accettato e compreso. 33 Patrick White, “In The making” in Patrick White's Speaks, op.cit.

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