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Le cosiddette Pudicitiae e la loro formazione, diffusione e ricezione in eta romana

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN ARCHEOLOGIA

TESI DI LAUREA

Le cosiddette Pudicitiae

e la loro formazione, diffusione e ricezione in età romana

CANDIDATO

RELATORE

Giovanni Colzani

Prof.ssa Lucia Faedo

CONTRORELATORE

Dott.ssa Anna Anguissola

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INDICE

INTRODUZIONE ... 10 ORIGINI MODERNE ... 18 DOCUMENTI ... 25 VICENDA ANTICA ... 31 ORIGINI... 33 EPOCA ELLENISTICA ... 35

TARDA REPUBBLICA ED ETA’ AUGUSTEA ... 38

EPOCA IMPERIALE ... 40 PUDICITIA O PUDICITIAE? ... 42 TIPOLOGIA I ... 52 TIPOLOGIA II ... 54 TIPOLOGIA III ... 57 TIPOLOGIA IV ... 59 TIPOLOGIA V... 61 TIPOLOGIA VI ... 63 TIPOLOGIA VII ... 66 TIPOLOGIA VIII ... 69

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TIPOLOGIA IX ... 71

TIPOLOGIA X ... 74

STELE ELLENISTICHE ... 77

MAGNESIA SUL MAEANDRO ... 96

DELO ... 117 POMPEI ... 141 LEPTIS MAGNA ... 155 CONCLUSIONI ... 169 ORIGINI... 171 EPOCA ELLENISTICA ... 179

TARDA REPUBBLICA ED ETA’ AUGUSTEA ... 189

EPOCA IMPERIALE ... 195 CATALOGO TIPOLOGICO ... 215 TIPOLOGIA I ... 216 TIPOLOGIA II ... 228 TIPOLOGIA III ... 296 TIPOLOGIA IV ... 318 TIPOLOGIA V ... 339 TIPOLOGIA VI ... 350 TIPOLOGIA VII ... 427 TIPOLOGIA VIII ... 438 TIPOLOGIA IX ... 464 TIPOLOGIA X ... 518 BIBLIOGRAFIA ... 534

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IMMAGINI

MAPPE E PIANTE

MP 1 - Diffusione geografica generale del tipo Pudicitia Pag. 32

MP 2 - Diffusione geografica del tipo Pudicitia nel corso della Ur-fase Pag. 33

MP 3 - Diffusione geografica del tipo Pudicitia nel corso della fase ellenistica Pag. 35

MP 4 - Diffusione geografica del tipo Pudicitia nel corso della fase di circolazione

occidentale Pag. 38

MP 5 - Diffusione geografica del tipo Pudicitia nel corso della fase di circolaznie

imperiale Pag. 40

MP 6 - Diffusione geografica della tipologia I Pag. 53

MP 7 - Diffusione geografica della tipologia II Pag. 56

MP 8 - Diffusione geografica della tipologia III Pag. 58

MP 9 - Diffusione geografica della tipologia IV Pag. 60

MP 10 - Diffusione geografica della tipologia V Pag. 62

MP 11 - Diffusione geografica della tipologia VI Pag. 65

MP 12 - Diffusione geografica della tipologia VII Pag. 68

MP 13 - Diffusione geografica della tipologia VIII Pag. 70

MP 14 - Diffusione geografica della tipologia IX Pag. 73

MP 15 - Diffusione geografica della tipologia X Pag. 75

MP 16 - Distribuzione geografica e tipologica delle stele funerarie ellenistiche con

soggetto del tipo Pudicitia Pag. 89

MP 17 - Pianta generale del settore pubblico di Magnesia al Maeandro Pag. 97

MP 18 - L'agorà di Magnesia al Maeandro Pag. 98

MP 19 - Il quartiere del Teatro a Delo Pag. 123

MP 20 - Serapeion C a Delo Pag. 125

MP 21 - La casa di Dioscuride e Cleopatra nel quartiere del teatro Pag. 129

MP 22 - Diffusione della Pudicitia in Italia centro-meridionale tra la metà del I sec. a.C. e la

metà del I sec. d.C. Pag. 142

MP 23 - La necropoli di Porta Ercolano Pag. 147

MP 24 - Diffusione africana complessiva dei tipi Grande Ercolanese, Piccola Ercolanese,

Ceres e Pudicitia Pag. 159

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9

MP 26 - Pianta delle terme adrianee di Leptis Magna Pag. 161

MP 27 - L'arredo scultore del complesso Natatio-Frigidarium delle terme Adrianee di

Leptis nella ricostruzione di P. Finocchi Pag. 162

MP 28 - Diffusione africana del tipo Pudicitia Pag. 168

MP 29 - Diffusione geografica di esemplari di statue ritratto femminili (quattro tipologie)

connesse alla presenza degli attributi costituiti da spighe di grano e papaveri Pag. 199

GRAFICI E TABELLE

GT 1 - Diffusione cronologica generale del tipo Pudicitia Pag. 32

GT 2 - Diffusione cronologica della tipologia I Pag. 53

GT 3 - Diffusione cronologica della tipologia II Pag. 56

GT 4 - Diffusione cronologica della tipologia III Pag. 58

GT 5 - Diffusione cronologica della tipologia IV Pag. 60

GT 6 - Diffusione cronologica della tipologia V Pag. 62

GT 7 - Diffusione cronologica della tipologia VI Pag. 65

GT 8 - Diffusione cronologica della tipologia VII Pag. 68

GT 9 - Diffusione cronologica della tipologia VIII Pag. 70

GT 10 - Diffusione cronologica della tipologia IX Pag. 73

GT 11 - Diffusione cronologica della tipologia X Pag. 75

GT 12 - Esemplari di stele funeraria aventi per soggetto una figura di Pudicitia con

indicazione di onorificenza particolare Pag. 80

GT 13 - Soggetti principali delle stele con raffigurazioni di Pudicitia Pag. 84

GT 14 - Relazioni familiari espresse all'interno delle iscrizioni di stele funerarie con

soggetto del tipo Pudicitia Pag. 85

GT 15 - Elementi di contorno nelle schede con soggetto figure di Pudicitia Pag. 95

GT 16 - Ricostruzione genealogica della gens dei Valerii Flaccii Pag. 116

GT 17 - Esemplari di Pudicitia con attributi demetriaci Pag. 196

GT 18 - Diffusione cronologica di esemplari di statue ritratto femminili (quattro

tipologie) connesse alla presenza degli attributi costituiti da spighe di grano e papaveri

Pag. 198

IMMAGINI

F 1 - Statua di Polla Valeria Pag. 102

F 2 - Statue di Dioscuride e Cleopatra Pag. 124

F 3 - L'esposizione delle statue di Dioscuride e Cleopatra secondo la ricostruzione di

Kreeb Pag. 130

F 4 - La tomba N 38 della necropoli di porta Ercolano, lato meridionale Pag. 148

F 5 - Monumento N 38 della necropoli di Porta Ercolano: decorazione della facciata

orientale Pag. 149

F 6 - Statua di togato pertinente al monumento N38 della necropoli di porta Ercolano Pag. 150

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INTRODUZIONE

«Das Kunstwerk ist grundsätzlich immer reproduzierbar gewesen.» Walter Benjamin, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit

Quando per la prima volta mi sono disposto ad affrontare il tema della vicenda della formazione, diffusione e ricezione della cosiddetta Pudicitia (o delle Pudicitiae) in epoca ellenistico-romana, possedevo, è vero, la grammatica di base necessaria ad affrontare e comprendere situazioni analoghe nell’ambito della storia dell’arte greca e romana, ma avevo ben poca cognizione di quelli che fossero i termini della questione legati a questa specifica tipologia e di dove questo lavoro potesse portare. Tutto ciò che era dovuto certamente ad una buona dose d’ignoranza da parte mia, ma anche al fatto che l’argomento non fosse mai stato trattato in maniera organica nella sua completezza né nei suoi aspetti che invece ne costituiscono i tratti caratterizzanti. Intendiamoci: non che non esistano pubblicazioni relative a singoli esemplari o a gruppi di questi, né che manchi cognizione del fatto che la Pudicitia costituisca una tipologia o per lo meno uno schema iconografico ricorrente.

Quel che invece è mancato è stata tanto la consapevolezza della vastità del fenomeno della sua diffusione quanto una corretta comprensione delle dinamiche attraverso cui questo sviluppo si è realizzato. Nessuno degli studi che, spesso in modo marginale, si è occupato dell’argomento, ha mai abbracciato con completezza tutta la parabola di questa vicenda, limitandosi invece e trattare di questo o quell’esemplare, questo o quel contesto, tuttalpiù allargando lo sguardo ad una sola delle fasi di diffusione del tipo, alcune delle quali sono state peraltro appena sfiorate dall’indagine degli studiosi. Questa visuale così ristretta ha portato naturalmente ad una serie di cattive interpretazioni legate a singole problematiche, ma più in generale ad una certa confusione complessiva nulla lettura della tipologia: il fatto che spesso la denominazione di Pudicitia sia utilizzata per designare esemplari che al tipo non sono ascrivibili se non per vaghe e generiche somiglianze, così come che essa sia stata intesa,

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12 in lavori anche piuttosto recenti, come effettiva denominazione antica della tipologia in relazione alla personificazione romana di tale divinità, sono solo due tra gli esempi più evidenti dello stato di generale disordine vigente intorno allo studio della Pudicitia.

Ciò che questo lavoro si propone è innanzitutto di fare un po’ di ordine all’interno di questa situazione, eliminando quel che è di troppo ed integrando quello che invece manca. Presupposto necessario è quello di guardare alla storia della tipologia nella sua interezza, seguendo la sua vicenda dal principio fino alla fine, in tutte le aree della sua diffusione ed in tutte le differenti modalità del suo impiego. Un approccio di questo tipo ha consentito di correggere alcuni errori e determinare meglio alcune imprecisioni invalse nella letteratura; comprendere più in profondità alcuni sviluppi della vicenda della circolazione del tipo e la natura dei nessi intercorrenti tra le sue diverse fasi di sviluppo; ipotizzare spiegazioni per fenomeni a volte poco o mal compresi. Ma, cosa più importante di tutte, ha reso possibile che con questo lavoro si pervenisse ad una proposta d’interpretazione generale della Pudicitia, capace di rendere conto per intero della sua vicenda di sviluppo, del suo significato attributivo e semantico e delle ragioni del suo straordinario successo nel corso dell’Antichità.

La Pudicitia, è prima di tutto, un corpo. Un corpo multiplo però, un format generalmente valido cui adattare alla bisogna le testa-ritratto desiderata, andando così a comporre un insieme che si colloca a metà tra il singolare ed il molteplice. Per questo motivo è stato necessario per prima cosa procedere ad una recensio generale degli esemplari esistenti ed alla compilazione di un catalogo che ha costituito il fondamento su cui sviluppare ogni successivo ragionamento. Questo catalogo ha l’ambizione di essere il più completo possibile, anche se è possibile, anzi probabile, che qualche replica sia sfuggita alla mia attenzione: il campione ottenuto è, ad ogni modo, piuttosto ampio e sufficientemente solido, tale insomma che le riflessioni sviluppate sulla base di esso risultino fondate con relativa sicurezza e che le linee guida individuate siano estendibili anche ad eventuali pezzi mancanti.

Alcuni dati emergono subito con grande chiarezza: il primo è che, a fronte dell’alto numero degli esemplari classificati, la quantità e la qualità della documentazione disponibile relativa a molti di essi risulti estremamente scarsa. Pochissime in relazione al totale sono quelle repliche per cui sono noti nella loro interezza o per lo meno in misura sufficiente, tutti quegli elementi che possano consentirne una corretta comprensione. Per tutti gli altri è stato invece necessario procedere per indizi, ipotesi e raffronti. Estremamente importante da questo punto di vista, è stata la possibilità di continuo confronto offerta in parallelo da alcune tipologie che con la Pudicitia condivisero molte caratteristiche comuni oltre che una vicenda storica per molti versi analoga: si vedrà come tale comparazione sia esercitata di continuo e programmaticamente nel corso del lavoro.

Un secondo punto che colpisce l’attenzione è la vastità dell’orizzonte spaziotemporale di diffusione della Pudicitia: da epoca medio e tardo-ellenistica fino agli inizi del III secolo, su un’area variabile nel tempo ma che nei suoi diversi sviluppi arrivò a raggiungere la gran parte delle regioni affacciate sul Mediterraneo e non solo.

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13 Terzo, e giungiamo qui ad un punto cruciale, il materiale raccolto sorprende per eterogeneità dei caratteri: eterogeneità che si manifesta sotto vari punti di vista, quello della varietà dei contesti, delle destinazioni d’uso, delle modalità d’esposizione e dei veicoli materiali cui la circolazione del tipo veniva affidata. Ma l’aspetto più rilevante in cui tale disomogeneità si esplica è certamente quello morfologico: la Pudicitia, e basta uno sguardo veloce al catalogo per rendersene conto, non fu mai una, bensì un insieme di tante piccole tipologie, sotto-tipologie e varianti, accomunate tutte però da alcuni elementi distintivi condivisi oltre che da una vicenda storica con radici comuni. Individuare, delimitare e separare questi diversi esemplari per poi raccoglierli in gruppi coesi sotto l’aspetto formale, cercando per ciascuno di delineare una parabola di diffusione cronologica e geografica, è stata la seconda delle operazioni cui si è dovuto procedere.

Quello della Pudicitia fu un cliché che si affermò nel tempo all’interno di koinè figurative legate a differenti aree di riferimento. Ciò che stupisce è la versatilità con cui tale tipologia seppe adattarsi a contesti e situazioni assai differenti tra loro nel corso di un lasso di tempo estremamente ampio. Per chiarire meglio: non che la propagazione della Pudicitia sia avvenuta in maniera costante e progressiva a partire da un’area per poi allargarsi a quelle circostanti. Al contrario la vicenda della sua circolazione si costituisce di momenti di grande successo alternati a fasi di recessione, diffusioni territoriali e poi su scala globale, migrazioni e variazioni, destinazioni d’uso molteplici e mutevoli.

Per questa ragione è necessario affrontare uno sviluppo tanto articolato e complesso suddividendolo per fasi, periodi di tempo determinati cui corrispondono da una parte diffusioni legate ad un territorio più o meno circoscritto, dall’altra modalità d’impiego della tipologia secondo prassi proprie le quali a loro volta si collegano a portati semantici in parte variabili: in tutto ho individuato tre di queste fasi, a cui occorre aggiungere un’iniziale proto-fase.

Ebbene, al fine di determinare i caratteri specifici di ciascuna di esse, è parso necessario procedere non solo alla selezione degli esemplari che fosse possibile loro ascrivere, ma anche all’analisi di casi concreti di contesti attraverso cui tali caratteri fossero in grado di emergere con chiarezza.

La selezione dei contesti cui dedicare un approfondimento specifico è stata compiuta tenendo a mente esigenze di due tipi: per prima cosa occorreva che per ciascuno di essi fosse disponibile una quantità di elementi sufficienti a consentire un’analisi capace di consegnare risultati generalizzabili alla tipologia nel suo complesso. In secondo luogo bisognava che all’interno del quadro complessivo da loro delineato fosse rappresentato l’intero spettro delle fasi di sviluppo in cui la vicenda della Pudicitia si articola e tutte le destinazioni d’uso per essa attestata.

Il capitolo Stele ellenistiche non si occupa in realtà di uno contesto specifico, quanto piuttosto di uno specifico veicolo di diffusione del tipo. Il fenomeno è qualificato da tratti specifici e ben delimitato nel tempo e nello spazio: questo giustifica il fatto che gli sia stato dedicato un approfondimento particolare. Gli elementi d’interesse sono molteplici: in primo luogo sono legati alla straordinaria

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14 quantità di esemplari attestanti la circolazione della c.d. Puudicitia non limitata alla statuaria già in una fase estremamente prossima (quando non contemporanea) al momento della sua origine. Le informazioni restituite inoltre grazie alla presenza in molti casi d’iscrizioni e di elementi accessori in grado di connotare con precisione le figure di Pudicitia cui erano riferiti sono risultate cruciali in fase d’interpretazione della tipologia.

Con il capitolo Magnesia sul Maeandro si affronta per la prima volta l’analisi di un vero e proprio contesto in cui sia attestata la presenza di statue del tipo Pudicitia. La peculiarità del caso è legata al fatto che nella vicenda della dedica di tali esemplari sia implicato il rapporto di patronato intercorrente tra alcune poleis greche dell’area e personaggi della nobiltà romana legati all’amministrazione della provincia d’Asia. Il grado di ragionevole sicurezza con cui questa situazione può essere ricostruita, il buono stato di conservazione degli esemplari, la presenza delle iscrizione ad essi connesse, sono tutti elementi che fanno di questo un caso emblematico delle modalità d’utilizzo e delle connotazioni attributive proprie della Pudicitia in contesto onorario ed in ambiente ellenistico-orientale.

Con la sezione dedicata a Delo si vogliono affrontare invece due differenti questioni: da una parte quella legata alle peculiari modalità d’esposizione nell’ambito di un’abitazione privata dell’isola di una statua in schema Pudicitia. Dall’altra la particolare vicenda storica che caratterizza questa località, unita alla particolare popolarità di cui la Pudicitia qui godette, offre qualche spunto di riflessione in merito al fatto che Delo abbia potuto rivestire un ruolo particolare nell’ambito della migrazione della tipologia verso Occidente.

All’altro capo del fenomeno migratorio è precisamente il caso delle statue da Pompei analizzate nel capitolo dedicato. Oltre ad essere straordinariamente ben documentato rispetto agli altri coevi in Italia ed in Occidente, il contesto relativo agli esemplari pompeiani è particolarmente significativo in merito alle nuove modalità d’utilizzo, alle nuove destinazioni d’uso oltre che alla nuova carica semantica proprie della Pudicitia nell’ambito della sua circolazione occidentale.

È infine il caso delle statue provenienti dalle terme adrianee di Leptis Magna a testimoniare quali fossero le forme ed i modi con cui si verificò il fenomeno della rinnovata diffusione della Pudicitia nel corso del II secolo, in un’area, per di più, che fino a quel momento si era mantenuta completamente estranea alla circolazione della tipologia.

I dati emersi grazie agli approfondimenti condotti in tutti questi capitoli convergono, insieme ad altri, a determinare il contenuto dell’ultima parte di questo lavoro, quella cioè dedicata alla formulazione di una proposta d’individuazione ed interpretazione dei contenuti semantici della Pudicitia nel suo complesso. Una visione unitaria di tal fatta, tuttavia, data la vastità e l’eterogeneità del panorama cronologico, geografico e culturale di diffusione del tipo, è estremamente difficile quando non impossibile da raggiungere. Non a caso d’altronde, ho parlato in precedenza di Pudicitiae: non è solo una questione morfologica legata all’esistenza di tipologie, sotto-tipologie e varianti. Il problema è

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15 anche costituito dal fatto che ciascuna delle diverse fasi di diffusione della Pudicitia possedette, accanto agli indiscutibili elementi di coesione che la legavano alle altre, tratti anche rilevanti capaci di conferirle una specificità tutta propria. Anche in questo caso pertanto, ho preferito affrontare l’argomento procedendo fase per fase, mettendo in luce di volta in volta continuità e discontinuità.

La Pudicitia fu fin dalla sua origine, o per lo meno fin dalle prime fasi cui la nostra ricostruzione è in grado di spingersi, un multiplo, una tipologia: in questo senso è forse più corretto parlare, in riferimento agli esemplari che l’attestano, di repliche piuttosto che di copie. Il processo attraverso il quale si verificò la sua diffusione, per lo meno all’inizio della vicenda, non fu tanto quello dell’imitazione in riferimento più o meno consapevole ad un originale, quanto piuttosto quello dell’iterazione di un motivo iconografico considerato efficace ed adatto a determinate esigenze espressive e comunicative sorte a partire da ben individuate istanze generate dalla dialettica sociale di cui protagonisti erano precisamente quei ceti che di forme di rappresentazione tali costituivano i referenti.

Tradizionali e superate impostazioni critiche volevano che il concetto d’autenticità dell’opera d’arte fosse indissolubilmente connesso al suo hic et nunc, vale a dire alla sua esistenza irripetibile nel luogo in cui si trovasse: questo ambito si sottraeva interamente all’idea di riproducibilità.

Ebbene, il caso della Pudicitia contraddice sostanzialmente quest’assunto estetico: ciascun esemplare è unico, da una parte poiché ciascuno è connesso ad un ben determinato soggetto che s’individua principalmente tramite un volto-ritratto (questo vale soprattutto per le fasi di diffusione d’epoca tardo-repubblicana, augustea ed imperiale, dal momento che in epoca ellenistica prevalgono volti dai tratti idealizzati) ed un’iscrizione di dedica che ne chiarisce l’identità tramite la specificazione dei rapporti di natura familiare capaci di qualificarlo in quanto individuo ma anche di mettern in luce la relazione con la comunità cui doveva appartenere ed il suo ruolo all’interno di essa; dall’altra perché unico e singolare è il contesto dove è collocato, il quale contribuisce in maniera determinante a connotarne i contenuti semantici attraverso la rete di legami che vanno ad istituirsi tra l’esemplare stesso e l’ambiente che lo circonda, il che significa anche tra l’esemplare ed altri oggetti o figure che condividano con lui il medesimo spazio, sia esso uno spazio materiale (come può essere ad esempio un’agorà o un foro), oppure uno spazio figurato (quale quello delimitato sul rilievo delle stele funerarie).

Al contempo tuttavia, il contenuto estetico e semantico di ogni replica non è scindibile dal suo essere parte di una serie. La riconoscibilità, la capacità di veicolare in maniera rapida e comprensibile agli occhi dell’osservatore alcuni significati ben precisi ed inequivocabili, l’attitudine a connotare il soggetto effigiato in modo conforme ad una serie di criteri socialmente accettati per come ci si aspettava che fosse ed attraverso ciò ad assumere carattere paradigmatico e finanche normativo: tutto ciò risiede proprio nel fatto che fosse possibile riferire ciascuna singola riproduzione all’intero insieme delle repliche ed attraverso ciò ad un esemplare archetipico il quale tuttavia non era costituito da un

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16 seppur remoto originale, il quale, se pure esistette come è logico pensare, non costituì mai un rigido canone (e tanto basta per rendere la sua priorità irrilevante), quanto piuttosto da un modello contemporaneamente ideale e concretamente realizzato nella serie stessa che doveva essere ben conosciuto ed anzi riconosciuto a tutti e tre i livelli della commissione, produzione e fruizione dell’opera.

La Pudicitia insomma come parte di un vocabolario proprio di una cultura figurativa altamente replicativa: è esattamente questa la chiave per comprendere il fenomeno della sua diffusione ed il paragone con la comunicazione linguistica mi pare assai calzante. Tale vocabolario richiedeva a tutti e tre i livelli sopra indicati il possesso di una competenza comunicativa generale, benché in effetti la comunicazione fosse monodirezionale ed i soggetti in essa implicati fossero in parte solo attivi ed in parte solo passivi: ad ogni modo era necessario che ciascuno di essi possedesse competenze che potremmo definire di natura grammaticale e sintattica, vale a dire la capacità di leggere e comporre in un discorso di significato complessivo i vari elementi di natura morfologica e formale ma anche contestuale ed associativa che connotavano ciascun esemplare. Inoltre dovevano padroneggiare competenze, se mi è consentito, di natura sociolinguistica, cioè la capacità di riconoscere tale discorso come appropriato a determinate situazioni comunicative ed attraverso ciò d’individuare quali fossero le implicazioni di natura sociale in esso implicate. Quest’ultimo punto è di fondamentale importanza:

«In dem Augenblick, da der Maßstab der Echtheit an der Kunstproduktion versagt, hat sich auch die gesamte soziale Funktion der Kunst umgewälzt. An die Stelle ihrer Fundierung aufs Ritual tritt ihre Fundierung auf eine andere Praxis: nämlich ihre Fundierung auf Politik.»1

Ebbene, è proprio all’interno d’una prassi di questo tipo che prendono corpo tanto il linguaggio quanto il vocabolario figurato di cui abbiamo parlato. Essi costituiscono una manifestazione tangibile della dialettica sociale delle comunità cui facevano riferimento e sono pertanto frutto delle intenzioni comunicative di quei ceti che di questa erano protagonisti: la Pudicitia, così come le altre tipologie ad essa assimilabili, sono uno dei prodotti delle esigenze di rappresentazione ed autorappresentazione di ben individuabili attori all’interno delle diverse collettività ed è precisamente in ciò che si esplicavano tanto la funzione sociale dell’arte quanto i fondamenti politici che ad essa erano presupposti.

Il concetto stesso d’iterazione era funzionale alla buona riuscita dell’operazione: non solo era in grado di semplificare e velocizzare la comunicazione, ma contribuiva a denotare l’omogeneità dei gruppi che a queste forme di rappresentazione ricorrevano e con ciò a qualificarli in quanto classe, connotandoli secondo le loro esigenze: esigenze in questo caso estetiche ma che rimandavano chiaramente a quei

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17 significati etico-morali che costituivano in qualche modo la garanzia e la legittimazione del loro ruolo all’interno delle società.

In questo si spiega principalmente il grande successo di cui la Pudicitia godette per un periodo di tempo tanto lungo e su un’area tanto vasta. Diversi poterono essere i contesti e differenti sotto molti aspetti le situazioni socio-politico-culturali in cui essa trovò diffusione: quello che però rimase a lungo costante furono le esigenze dei ceti che di lei si servirono al fine di realizzare le proprie intenzioni comunicative. Fintanto che il sistema sociale fondato su di essi rimase attivo e vitale, tale si mantenne anche la cultura figurativa di cui la Pudicitia faceva parte. Quando però questo venne meno, si determinò anche l’estinzione delle forme di rappresentazione che erano state suo strumento: così giunse al termine anche la lunga parabola della tipologia cosiddetta Pudicitia.

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ORIGINI MODERNE

STORIA DELLA RISCOPERTA DELLA TIPOLOGIA C.D. PUDICITIA

«Pudicita erat Dea verecundiae, et castimoniae Praeses, ideo velo vultum obtegens.» Amaduzzi, Venuti, Monumenta Matthaeiana

«Quam Paullus Alexander Maffeius sub Sabinae Hadriani Aug. Coniugis nomine vulgaverat; et ex eo quinetiam Montfauconius; quam Venutius Faustinae Senioris Antonini Pii Uxoris Imaginem habuit; quae apud vulgum Antiquariorum audit Livia Drusilla quarta Augusti Coniux; ac quae tandem Iohanni Winkelmannio Melpomenes Tragoediae Praesidis Simulacrum visum fuerat, nunc nos sub Pudicitiae nomine insignem Statuam proferimus.»2

Corre l’anno 1779 allorché, per la prima volta, il nome di Pudicitia viene associato ad un esemplare di statua riconducibile alla tipologia che con questo appellativo sarà destinata ad esser designata. Padri della fortunata congettura furono gli abati Giovanni Cristofano Amaduzzi3 e Ridolfino Venuti4, coautori

dell’opera in tre volumi, «Vetera monumenta quae in hortis Caelimontanis et in aedibus Matthaeiorum

adservantur». Era questa una rassegna dal sapore squisitamente antiquario, meglio nota come Monumenta Matthaeiana, all’interno della quale venivano enumerati e commentati gli oggetti

appartenenti, appunto, alla collezione Mattei5.

2 Venuti 1779, Tav. 62.

3 (1740-1792) Originario di Savignano in Romagna, si trasferì, dopo i primi studi riminesi, a Roma. Qui si dedicò

a studi di carattere erudito e filologico, con particolare interesse per le lingue orientali. Intervenne in più occasioni nel vivace dibattito filosofico del tempo, dimostrando adesione ad un ideale capace di coniugare il cattolicesimo con alcuni portati tipici dell’allora rampante illuminismo.

4 (1705-1763) Nativo di Cortona, fu erudito ed antiquario tra i più attivi ed illustri nella Roma del XVIII sec.

5 Il nucleo principale della collezione fu raccolto, attorno alla seconda metà del secolo XVI da Ciriaco Mattei,

proprio con l’intenzione di decorarne la villa Mattei-Celimontana. Gran parte di questi oggetti è confluita ora nella raccolta del Museo Nazionale Romano ed esposta alle Terme di Diocleziano.

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20 Nel primo di questi volumi, quello appunto «Statuas comprehendens», viene dato conto del dibattito che da qualche tempo infiammava il «vulgum Antiquariorum» di Roma, quello cioè che ruotava intorno alla corretta interpretazione di una «statua insigne» tra quelle esposte alla Villa Celimontana. Per la verità, a testimonianza di quanto celebre fosse diventato quest’oggetto, al momento della pubblicazione dell’opera dell’Amaduzzi e del Venuti, la statua in questione era stata da ormai cinque anni acquistata da papa Clemente XIV Ganganelli per essere esposta con gran risalto all’interno della Galleria che si andava allestendo in Vaticano6: per questo motivo mi riferirò da qui in avanti ad essa

con il nome di Mattei/Braccio Nuovo. Si trattava di un bell’esemplare del tipo che oggi noi chiamiamo Pudicitia7, di provenienza ignota ma in stato di conservazione, fatto salvo per alcuni interventi di

restauro, nel complesso ottimo oltre che di fattura qualitativamente elevata: intorno ad essa si andava discutendo da decenni.

La prima menzione che in letteratura venne fatta di quest’oggetto è riscontrabile all’interno della

«Raccolta di statue antiche e moderne data in luce sotto i gloriosi auspicj della Santità di N.S. Papa Clemente XI, da Domenico de Rossi illustrata, colle sposizioni a ciascheduna immagine di Pauolo Alessandro Maffei», pubblicata nell’anno 17048. Maffei propone in quest’opera l’identificazione della

statua Mattei /Braccio Nuovo con un ritratto di Sabina imperatrice, moglie di Adriano.

Tale proposta, come si è visto dal frammento dai Monumenta Matthaeiana, non era che una delle molte avanzate nel corso degli anni: gli eruditi credettero di riconoscere nel volto della donna il ritratto di una serie di personaggi femminili di grande fama da Livia a Sabina, fino ad arrivare a Faustina Maggiore. Identificazioni tutte, e lo si vedrà, ugualmente infondate, dal momento che il volto della statua era frutto di restauro, ancorché di ottima qualità, di epoca moderna. E tuttavia questo non era che un segno dei tempi: di una disciplina storico-artistica che, faticando nel trovare la via di un proprio autonomo sviluppo, andava di continuo ricercando conferme alle proprie congetture nel conosciuto rifugio della Grande Storia e degli autori antichi. Maffei non merita biasimo per questo motivo: anzi, quel che invece è interessante constatare, è il fatto che egli abbia colto per primo, nel descrivere la statua, una «singolarità che manca nell’altre»: la foggia curiosa della veste e di quel lembo di stoffa che tanto delicatamente discende diritto dalla mano destra levata lungo il corpo della figura. Un elemento caratteristico al punto che l’osservazione sarà, immagino inconsapevolmente, ripresa dai moderni studiosi e utilizzata per operare una classificazione tipologica dei molti esemplari di Pudicitia pervenutici.

6 Il fatto è, peraltro, specificato anche dagli autori dei Monumenta Matthaeiana: «Tandem monendus a nobis

Lector est, Statuam hanc inter vetera Monumenta Musei Clementino – Vaticani nuper fuisse adscitam.»

7 Vedi catalogo nr. 145. All’incirca verso la metà del XIX secolo, la statua venne ricollocata all’interno del da poco

inaugurato Braccio Nuovo delle Gallerie Vaticane voluto da papa pio VII per poter dare degno risalto alle opere di ritorno dalla Francia a seguito della restituzione delle confische napoleoniche.

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21 La statua Mattei meritò una rapida menzione anche all’interno dell’opera dell’«ispirato ierofante che accese una nuova face della scienza dell’arte e per l’Italia e per l’Europa dotta»9. Nella seconda parte

del quinto capitolo della Geschichte der Kunst des Altertums, nella sezione dedicata alla descrizione dello stato delle arti sotto Augusto ed i suoi immediati successori, Winkelmann colse l’occasione per proporre il proprio punto di vista all’interno del dibattito in corso:

«Die in Büchern gepriesene Livia oder wie andere wollen, Sabina, des Hadrian Gemahlin, in der Villa Mattei, ist als die tragische Muse Melpomene vorgestellt, wie der Cothurnus anzeigt.»

L’intervento del Winkelmann, per quanto contenuto e poco argomentato, spostò completamente il fuoco del dibattito. Furono le calzature della figura a suscitare, d’ora in avanti, le più varie perplessità: ed in effetti si tratta di calzature davvero piuttosto alte, quantunque sia da sottolineare il fatto che esse siano proprie unicamente dell’esemplare in causa. Di qui in poi la discussione non verté più sull’identificazione del ritratto con questa o quella imperatrice, anche perché ci si avvide che il volto della figura era interamente frutto di restauro moderno, bensì sull’approvazione o meno dell’ipotesi di Winkelmann.

A questo punto della controversia s’inseriscono le osservazioni di Amaduzzi e Venuti10 con cui

abbiamo voluto aprire questo capitolo. Lunga parte del loro intervento è dedicato a confutare la tesi Winkelmanniana. E ciò risulta curioso, se si considera quanto poco spazio essi riservino invece all’avanzamento della propria ipotesi interpretativa, destinata in futura a grandissimo successo.

L’identificazione della statua Maffei con la dea Pudicitia venne fondata dai due autori dei Monumenta

Matthaeiana sul confronto con le raffigurazioni su emissioni monetali di alcune Augustae recanti la

legenda PVUDICITIA. L’osservazione non è priva di acume: a maggior ragione se si considera che tali emissioni non si riferiscono unicamente alle donne della casa imperiale menzionate dai due eruditi, ma a molte altre, oltre che ad alcuni imperatori e cesari11, tanto da costituire in quest’ambito un vero e

proprio topos. Ed è vero, tutte le figure accompagnate da tale dicitura sono figure di donne velate ed in posa talvolta somigliante a quella della statua Mattei/Braccio Nuovo12. Tuttavia alla legenda

PVUDICITIA corrispondono sulle monete raffigurazioni femminili tanto varie che istituire un legame diretto ed univoco con la tipologia diffusa nella statuaria e nel rilievo appare impossibile. Ma ciò sarà riconosciuto più tardi: su questo punto potremo tornare in seguito.

9 Michaelis 1879, pag. 2.

10 Vedi Documenti, nr. 2, tav. 62.

11 Si possono menzionare: Plotina, Adriano, Sabina, Faustina Minore, Lucilla, Crispina, Giulia Domna, Giulia

Maesa, Orbiana, Otacilia Severa, Gordiano III, Herennia Etruscilla, Decio, Herennio Etrusco, Volusiano, Treboniano Gallo, Gallieno, Salonina, Magnia Urbica.

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22 Quel che davvero è interessante nella trattazione di Amaduzzi e Venuti, è l’aver colto la statua Mattei/Braccio Nuovo nella sua essenza di «schema»13: essi infatti ravvisavano la medesima

impostazione anche in una seconda statua Mattei inserita nel loro catalogo che, allo stesso modo, decisero di denominare Pudicitia14. Non già che essi possedessero la nozione di copia quale noi la

possediamo dopo lo sviluppo degli studi nello scorso: eppure giustamente individuavano in statue diverse una comune attitudine che consentiva loro di associarle sotto la medesima definizione.

Ultimo intervento che merita di essere menzionato, nel contesto di questo dibattito antiquario settecentesco, è quello di Ennio Quirino Visconti, contenuto nel secondo volume, dedicato alla statuaria del suo «Il museo Pio-Clementino», anno 1784. In questo che è un catalogo delle collezioni vaticane, curato insieme al padre Giovanni Battista Antonio, l’archeologo romano riassume in certo modo la vicenda in discussione per poi proporre un proprio, personale, punto di vista15:

l’identificazione dell’esemplare in questione con la raffigurazione di Sapienza/Sofia.

Un paio di precisazioni: primo, Visconti attribuisce a Maffei l’identificazione della statua Mattei/Braccio Nuovo con Livia. In realtà, come abbiamo visto, egli pubblicò la statua con il nome di Sabina; secondo, a quanto sostiene Visconti, a Venuti, «non abbastanza osservatore», sarebbe sfuggito un dettaglio capitale della statua che inficerebbe la validità della sua proposta: «l’altezza del coturno» sia. La verità è che, come si è detto, Venuti si sforza a lungo di confutare la tesi del Winkelmann; inoltre l’osservazione relativa alla peculiarità della calzatura è senza dubbio pertinente in relazione all’esemplare in questione, ma pressoché irrilevante in relazione all’intera serie, dove tali «coturni» non figurano se non in maniera sporadica. Quello di Visconti è, in questa circostanza, un vero e proprio errore di consultazione del catalogo dei Monumenta Matthaeiana: egli fa riferimento non alla tavola 62, quella in cui Venuti tratta della statua della collezione Mattei, in seguito acquistata da papa Clemente ed oggi presso il Braccio Nuovo dei musei Vaticani, bensì alla tavola 61, in cui viene discussa una seconda statua Mattei: la confusione nasce dal fatto che entrambi gli esemplari sono da Venuti e Amaduzzi a buon diritto riuniti sotto lo stesso nome di Pudicitia. Si è visto come ciò costituisse in realtà un punto di forza nella trattazione dei due antiquari, capaci di cogliere i due diversi esemplari come parte di una stessa serie.

La proposta del Visconti d’identificare l’esemplare discusso con Sapienza/Sofia fu l’ultima in questo senso ad essere stata avanzata e non riscosse alcun successo. In seguito, anzi, s’impose ovunque la denominazione di Pudicitia.

Certo, l’identificazione tout court della statua come imago della divinità venne rapidamente ridimensionata nel corso del XIX sec.: per fare un esempio, Emil Braun nel suo «Ruinen und Museen

Roms. Für reisende Künstler und Alterthumsfreunde» dell’anno 1854 si riferisce all’esemplare

13 «Nonnullae Augustarum volebant sub hoc schemate effingi».

14 Vedi Documenti nr. 2, tav. 61.

(23)

23 Mattei/Braccio Nuovo come «sogenannte Pudicitia»16. Con lo stesso appellativo essa viene designata

da Wolfgang Helbig nel suo «Führer durch die öffentlichen Sammlungen klassischer Altertümer in

Rom»17 del 1891. L’archeologo sassone si spinge anche oltre: egli non solo riconosce il motivo come

ricorrente, ma ne riconduce anche l’origine ad epoca ellenistica («Das Motiv lässt sich bis zur hellenistischen Epoche hinauf verfolgen») e ne identifica la natura legata alla ritrattistica privata («Wir dürfen es doch nach der Analogie anderer ähnlicher Figuren als wahrscheinlich annehmen, dass diese Statue das Porträt einer römische Dame wiedergab»).

La parola definitiva riguardo al legame statua Mattei/Braccio Nuovo-monetazione imperiale romana-dea Pudicitia spettò però a Walter Amelung, il quale definitivamente escluse qualsiasi tipo di diretta, se non estremamente generica, correlazione18.

Con ciò si compì la prima fase della storia dello studio di quello che oggi viene designato come tipo c.d. Pudicitia. Partendo dalla controversia erudita intorno alla natura di un solo esemplare, la statua Mattei/Braccio Nuovo, la ricerca aveva fatto molti passi in avanti. In un primo momento gli antiquari avevano voluto cercare di identificare quell’unico oggetto con il ritratto di qualche celebre personaggio menzionato dagli autori antichi, una Livia, una Sabina, ancora, una Faustina. In seguito, una volta constatata l’impossibilità dell’operazione, si era preferito ricercare l’identità del soggetto effigiato all’interno del pantheon greco-romano: ecco quindi le ipotesi legate alle figure di Melpomene, Pudicitia o Sofia. La seconda di queste congetture risultò a lungo essere la più convincente.

Ma la prima e fondamentale conquista fu l’aver riconosciuto quel singolo oggetto come parte di una serie, di una tipologia: furono indicati altri esemplari raffigurati nello stesso o in analogo schema, fu individuata un’attitudine che, sulla base di confronti, è stato possibile indicare come denominatore comune di una lunga serie di oggetti. Così la denominazione di Pudicitia finì per designare non più solamente la statua Mattei/Braccio Nuovo, bensì un tipo figurativo, non un ritratto individuale bensì una tipologia cui adattare ritratti individuali e privati.

Il tentativo di guardare ad essa in prospettiva diacronica fu il secondo e decisivo avanzamento di questa ricerca: si cercò, secondo le modalità ed i sistemi di quella grande stagione della storia dell’arte che prede il nome di archeologia filologica, di risalire alla realtà dell’originale, al nome dell’autore che primo avesse realizzato una statua di questo tipo. Poco importa se questi sforzi risultarono in gran parte infruttuosi: essi consegnarono agli studiosi successivi il senso di uno sviluppo articolato in differenti fasi e differenti contesti che si dipana da epoca ellenistica fino all’apogeo dell’Impero romano.

16 Braun 1854, pag. 233, nr. 3.

17 Helbig 1891, Die vatikanische Skulpturensammlung. Die kapitolinischen und das lateranische Museum, pag.

10, nr. 8.

(24)

24 La denominazione di Pudicitia fu infine riconosciuta come non corretta: e tuttavia permase, affermata com’era nella tradizione dell’uso e forse perché, in fondo, sembrava ben adattarsi al contegno ed alla posa delle figure.

Un altro passo mancava ancora alla piena comprensione del tipo: il riconoscimento cioè del fatto che l’eterogeneità dei pezzi accomunati sotto la definizione unica di Pudicitia potesse essere ricondotta all’interno di categorie più piccole e che ciascuna di esse, delle vere e proprie sotto-tipologie, aveva conosciuto vicende autonome di sviluppo e diffusione. Questo passo sarà compiuto dagli studiosi delle generazioni successive, ma di ciò si potrà parlare più avanti.

(25)

25

DOCUMENTI

1.

Maffei A., De Rossi D.

Raccolta di statue antiche e moderne data in luce sotto i gloriosi auspicj della Santità di N.S. Papa Clemente XI, da Domenico de Rossi illustrata, colle sposizioni a ciascheduna immagine di Pauolo Alessandro Maffei

Tav. 107

«Gli antiquari concordano, che in questa statua si rappresenti l’immagine di Sabina figliuola di una sorella di Trajano, la quale per opera di Plotina fu data ad Adriano in moglie, quasi pegno del futuro impero, a cui per favore della stessa Plotina fu egli assunto dopo la morte del medesimo Trajano, come se da lui fosse stato adottato per figliuolo, e chiamato alla successione della grande eredità del Mondo. L’abito, di cui essa è rivestita, è quello della stola, e della palla matronale, che è stato osservato già in altre. Ha però questa statua in esso qualche singolarità, che manca nell’altre: perché dopo averle ricoperta la testa, le cade su gli omeri, e sul petto con tanta grazia, ed ordine accomodato, e disposto dall’istessa mano di lei, che nulla velandole del volto, e per tutto a far la figura di uno di quei veli, che le nostre matrone chiamano scussini, e apparisce come un antico modello della moderna usanza; e poi questa palla si sottilmente condotta, che non altrimenti, che un velo la stola interiore ricopre, come evidentemente si ravvisa dalla mano sinistra, la quale ancorché in essa involta, ad ogni modo tutta affatto traluce. L’ornamento pur della testa è simigliante a gli altri da me sopra osservati; è però più ornato di quei rabeschi, che lo fregiano, e più ricco di quelle perle, che vi si veggono sovrapposte.»

(26)

26 2.

Venuti R., Amaduzzi G. C.

Vetera monumenta quae in hortis Caelimontanis et in aedibus Matthaeiorum adservantur

Tav. 62

«Quam Paullus Alexander Maffeius sub Sabinae Hadriani Aug. Coniugis nomine vulgaverat; et ex eo quinetiam Montfauconius; quam Venutius Faustinae Senioris Antonini Pii Uxoris Imaginem habuit; quae apud vulgum Antiquariorum audit Livia Drusilla quarta Augusti Coniux; ac quae tandem Iohanni Winkelmannio Melpomenes Tragoediae Praesidis Simulacrum visum fuerat, nunc nos sub Pudicitiae nomine insignem Statuam proferimus.

Caput siquidem recens additum est, nec illud sane vel Sabinae, vel Faustinae, aut etiam Liviae vultum exprimere ulla ex parte videtur; quemadmodum etiam nec multo validum argumentum esse videtur, quod pro adstruenda Melpomene ex cothurnis, quibus instructi Statuae huic nostrae pedes adsunt, petit Winkelmannius; Quandoquidem non ita Tragoedorum proprii erant cothurni, quin alii etiam interdum illis calcearentur. Commode siquidem ex Etymologico magno discimus, hunc calceum mulierum proprium fuisse: “Cothurnus, muliebre celceamentum quadrilaterum figura, quadrans utrisque

pedibus”. Tum etiam prodit Iuvenalis, mulierum insectator acerrimus,

quasdam earum, quas parcior natura breviores, contractioresque efformaverat, iisdem usas esse, ut altius attolerentur; qui si tum ab ipsis subducerentur, dimidia sui parte minores, humilioresque videbantur; Sic enim ipsas proinde subsannat:

“Si breve parvi

Sortita est lateris spatium, breviorque videtur Virgine Pygmaea, mullis adiuta cothurnis.”

Quapropter quid mirum, si cothurnis instructi muliebri hic Statuae pedes aptantur? Tum si Imperatores quinetiam cothurnati in publicum aliquando prodierunt, ut de Caligula praesertim Svetonius prodidit, cur non eorum Uxoribus (quarum forte aliquam hoc Signum olim praeferebat, cum antiquo capite, quod nunc best, donabatur) placuisse interdum credamus hoc calcei

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27 genus induere sive ad iuvandam corporis staturam, sive in regii generis

ostentationem? His adde, Melpomenem, quae cospicienda venit in celebri Musarum Sarcophago Hortorum Matthaeiorum, quem Sponius omnium primus, et Montfauconius ex eo vulgaverat, quemque nos etiam inter Anaglypha proferemus, nudis pedibus exprimi, sed pro eius iudicio larvam sinistra, dextera clavam tenere, ut in nummo Familiae Pomponiae apud Fulvium Ursinum cernitur. Ceterum magni artificii Statua haec est; corpus enim totum eleganti veste obvolutum tegitur, caput velo, ut proinde ex hoc ipso corporis habitu, qui Pudicitiae mire convenit, Imaginis huius titulum, nomenque mutuaris satius duxerimus. Diadema vero, quod capiti superimpositum est, nihil moramur, cum caput, ut diximus, recens adscitum fuerit; etsi non ignoremur diademate ornatum in nummis haberi Faustinae Iunioris caput, ut baccatum, ac margaritis concinne distinctum ibidem etiam diadema ipsum apparet, quod et capite Statuae huius nostrae conspicitur. Quod ad Pudicitiam pertinet, ut plurimum sedet haecc Dea peplo, sive flammeolo vultum obnuens, ut verecundiam et pudorem exprimat; quod in nummis Herenniae Etruscillae, Lucillaeque praesertim observatur.»

Tav. 61

«Amabant antiquitus Feminae sub Pudicitiae Symbolo exprimi. Effigebant Deam Pudictiam peplo, sive flammeo vultum obnuentem in signum verecundiae, et pudoris. […] Pudicita erat Dea verecundiae, et castimoniae Praeses, ideo velo vultum obtegens. Nonnullae Augustarum tam in nummis, quam in signis volebant sub hoc schemate effingi; Ita Faustina, Lucilla, Salonina, aliaeque ad designandam earum castitatem, quamvis ipsam non adeo colerent, ut de earum aliquot perhibetur.»

(28)

28 3.

Visconti E.Q, Visconti G.

Il Museo Pio Clementino

«Questa statua, tutta spirante di greca eleganza, fu già pubblicata dal Maffei fralle principali di Roma col nome di Livia, secondo l’uso di quel tempo di ravvisare in ogni monumento la storia o i personaggi romani. Qualunque però fosse stata la somiglianza del volto col creduto di quell’Augusta, quale s’incontra nelle monete coll’epigrafe Pietas, non dovea servir mai di fondamento a veruna conghiettura, essendo ristauro moderno, benché di non ordinaria maestria. Osservando esattamente i caratteri che somministra l’antico per determinare il soggetto del simulacro, mi parvero da principio assai notabili i calceamenti, che per l’altezza molto ragguardevole della lor sola, posson chiamarsi coturni. Quindi non sembrava lungi dal vero il ravvisarvi la musa della tragedia, quale appunto la vediamo nel bassorilievo altrove lodato dell’apoteosi dell’Omero coturnata e velata. Il contegno serio, anzi tristo della figura

«Ad talos stola demissa, et circumdata palla»,

non ismentirebbe la denominazione, che tal’è da soddisfare con molta apparenza di probabilità chiunque si faccia ad esaminare la statua. Mi risolsi però di non allontanarmi dal sentimento di Venuti, e seguire piuttosto la scorta delle medaglie che ci presentano assai volte siffatte immagini di donna velata e ravvolta nella sua sopravvesta, coll’epigrafe replicata Pudicitia. Tanto meno ci dà luogo ad allontanarci da una così facile e fondata denominazione l’altezza del coturno, sfuggito alla considerazione di Venuti non abbastanza osservatore. Abbiamo altrove notato che il coturno tragico ha la sola più alta in altri monumenti, e che questi sono propriamente i calcei tirrenici descritti da Polluce, né addetti privatamente al teatro né alle muse. Eppure sarebber questi l’unico segnale per riconoscere Melpomene nella nostra figura. E quando s’insista a dar loro l’appellazione di coturni, l’abbian pure; ma piuttostochè nel vestiario dell’antico teatro, si ripongano fragli attrezzi del mondo donnesco, senza de’ quali non solea comparire al pubblico una

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29 matrona, “nullis adiuta coturnis” . Che se taluno si opponesse con dire che non

abbiamo immagini greche di questa dea, soltanto impressa sulle medaglie latine; onde non convenga attribuirle un simulacro, che opera sembri di greca scuola: assai facile sarebbe il ribattere l’obbiezione. Primieramente perché la Pudicitia è divinità riconosciuta dalla greca teologia sin da’ tempi d’Esiodo, ov’è appellata Ἀιδός, Aedos, e data per compagna di Nemesi : onde possono averla i greci artefici rappresentata, e dalle loro immagini averla imitata i monetarj romani. In secondo luogo, perché fiorirono le arti greche per bene un secolo e mezzo del romano impero, e in quel tempo non isdegnarono talora impiegarsi a rappresentare soggetti della religione de’ Romani e i fasti de’ loro Cesari. Tanto più che la bella scultura che consideriamo è più vicina a quella grazia e finezza di stile che precedette la decadenza delle arti, che a quella semplice ed austera bellezza che ci richiama ai tempi della maniera sublime e della libertà della Grecia.

Siccome però nella Pudicitia rappresentata sulle monete romane si è voluta per lo più adulare qualche Augusta, così non sarei lontano dal credere che se esistesse ancora la testa antica del simulacro, non ci offrisse i lineamenti di qualche illustre ritratto. Il signor Morison ha posseduto in Roma una statua simile, quantunque di minor merito dell’artifizio, la cui testa antica era il ritratto di una matrona. Gli ornamenti femminili che non si sono omessi dallo scultore, dan forza alla conghiettura; giacchè oltre i calcei tirrenici v’ha espresso ancora un braccialetto in forma di serpe che traspare sotto la sopravveste e circonda il braccio destro della figura. Pare che lo scultore abbia voluto lusingare quel genio agli abbigliamenti, che nel bel sesso domina ancora le più savie: e questi abbigliamenti appunto mi han fatto lasciare l’opinione di creder nel nostro marmo effigiata la Sapienza, o Sofia, espressa pure in atto similissimo nel bassorilievo dell’Omerica apoteosi; e poco diversamente rappresentata in compagnia di Socrate in una delle fiancate del bel sarcofago Capitolino, sulla cui fronte sono scolpite le muse.

Il nostro simulacro ci offre un panneggiato da poter servire di scuola a chi volesse ricalcare la buona strada, insegnandoci come si può unire la ricchezza della drapperia col savio accorgimento di accennare le parti principali del nudo, e sino a che segno si può combinare ne’ panneggiamenti la varietà e la moltiplicità de’ partiti colla naturalezza e col vero. La figura forma un bel tutto; rimane solamente alquanto scarna verso le spalle; difetto che si deve

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30 4.

Amelung W.

Die Sculpturen des vatikanischen Museums

pag. 36, nr. 23

«Der Name «Pudicitia» wurde der Statue in Rücksicht auf einige römische Münztypen der Kaiserzeit gegeben, auf denen eine weibliche Gestalt durch die Umschrift als Pudicitia bezeichnet wird. Von Diesen Typen haben einige mit der Statue das Motiv gemeinsam, daß das Gewand über den Kopf gezogen und von der Rechten in der Nähe des Gesichtes gefaßt wird, was indes bei der weiten Verbreitung dieses Motives nichts bedeutet; da die Typen im Übrigen in allen Einzelheiten von der Statue abweichen, so ist es sehr unwahrscheinlich, daß ein antiker Römer eine derartige Figur jemals als Pudicitia genannt habe.»

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VICENDA ANTICA

STORIA DELLA CIRCOLAZIONE DELLA TIPOLOGIA C.D. PUDICITIA ARTICOLATA SECONDO LE SUE FASI DI SVILUPPO

«Amabant antiquitus Feminae sub Pudicitiae Symbolo exprimi. Effingebant Deam Pudicitiam peplo, sive flammeo vultum obnuentem in signum verecundiae et pudoris.» Amaduzzi, Venuti, Monumenta Matthaeiana

La vicenda antica della tipologia c.d. Pudicitia si dipana attraverso una serie di fasi che meritano di essere riassunte qui prima di procedere ad un’analisi più puntuale ed approfondita dei vari aspetti che caratterizzano il tipo. Una delimitazione precisa e, per così dire, impermeabile, di ciascuna fase è spesso molto difficile da raggiungere a causa dell’ampiezza che il fenomeno della diffusione della Pudicitia assunse, tanto a livello geografico che cronologico: pur nel mondo, per così dire, globalizzato, del Mediterraneo di epoca tardo ellenistica e romana, quel che si verificava in determinati luoghi e tempi, poteva non verificarsi o verificarsi in modi e tempistiche differenti altrove. Ciò nonostante alcune linee di sviluppo sono ben individuabili e meritano di essere messe in luce. Come si vedrà più avanti, a ben individuate fasi di sviluppo corrispondono spesso solo alcune o alcune per eccellenza tra le sotto-tipologie che si possono riconoscere nell’ambito generale di quello che definiamo tipo Pudicitia. In questa fase, tuttavia, il tipo verrà trattato in modo unitario, prescindendo, per il momento, da questa ulteriore complessità. Ci sarà modo più avanti di approfondire anche questo punto.

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MP 1 - Diffusione geografica generale del tipo c.d. Pudicitia

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ORIGINI:

UR-FASE

MP 2 - Diffusione geografica del tipo c.d. Pudicitia nel corso della Ur-fase

Le prime fasi di sviluppo del tipo sono di difficile ricostruzione, proprio perché di “tipo”, almeno in origine, non si può davvero parlare. Con la definizione di Pudicitia si è soliti identificare in letteratura quelle figure che manifestano un determinato portamento e, soprattutto, una determinata gestualità: una braccio è poggiato in grembo, in secondo, flesso, viene portato in alto, così che la mano sfiori il volto. Ebbene, questo tipo di gesto compare e si diffonde ben prima che si possa parlare di vera e propria tipologia o di circolazione di copie. Fenomeni che presupporrebbero l’esistenza di un modello prototipico replicato poi in una serie di esemplari derivati: ciò può avvenire per motivi che possono essere discussi, con maggiore o minore accuratezza ma ad ogni modo, almeno in una prima fase, in riferimento ad un originale. Ebbene, questo non sembra essere stato il caso, in questa fase almeno, della diffusione su statue e rilievi di un tipo di gestualità che potremmo pertanto definire come Ur-Pudicitia.

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34 Il motivo è riconoscibile, già a partire da epoca tardo classica, su alcuni rilievi provenienti dall’Attica19,

da Rodosto20 (sulla costa tracica del Mar di Marmara), ma anche in un rilievo funerario originario

della Peraea di Rodi21, oltre che in alcune figure del famoso Klagefrauensarkophag22 proveniente da

Sidone ed oggi conservato ad Istanbul . A ciò si aggiungano alcuni esemplari da Atene e Rodosto, una statua ed alcuni rilievi, che sembrano invece condividere tra loro, oltre alla gestualità, una più marcata somiglianza anche, per esempio, nella foggia della veste23.

Tutti questi, invero non molti, esemplari, hanno dunque in comune un’attitudine ed una posa, in cui Kleiner24 ha voluto vedere quella che ha definito una «Gebärde des Sinnens und Trauerns», un

generico atteggiamento, vale a dire, di lutto e di raccoglimento. In effetti la gran parte di queste rappresentazioni provengono da contesti di natura funeraria: tuttavia vi è almeno un esemplare25, un

rilievo votivo rinvenuto sul monte Pentelico, in cui tale gestualità è associata a tre ninfe, in una situazione che con il lutto e la lamentazione sembra poco avere a che fare.

Per il momento, senza approfondire ulteriormente il dibattito intorno al significato del gesto, basti dire che, nel corso del IV secolo a.C., prese piede in diverse parti del mondo ellenizzato ma in particolar modo in Attica secondo gli elementi in nostro possesso, l’abitudine di raffigurare, perlopiù in situazioni di natura funeraria ma non solo, alcune figure femminili in una modalità generica ma ben riconoscibile ed affine a quella che sarà poi propria della tipologia c.d. Pudicitia: questa modalità è quella che definiamo di Ur-Pudicitia.

19 Vedi catalogo, e.g. nr. 273.

20 Vedi catalogo nr. 272.

21 Vedi catalogo nr. 271.

22 Si veda Fleischer 1983, pag. 35.

23 Si vedano, e.g. cat. nr. 240, 242, 245.

24 Kleiner 1984, pag. 160 ss.

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35

EPOCA ELLENISTICA:

DEFINIZIONE TIPOLOGICA

MP 3 - Diffusione geografica del tipo c.d. Pudicitia nel corso della fase ellenistica

Il motivo che abbiamo descritto, il quale in qualche modo circolava già da tempo, conobbe, probabilmente verso la fine del III sec. a.C., la propria trasposizione in quella che davvero, a partire da questo momento, possiamo definire tipologia Pudicitia. Cominciano a circolare ora, e con intensità sempre crescente nel corso del II sec. a.C., per raggiungere il massimo picco di diffusione a cavallo tra II e I sec. a.C. una serie di raffigurazioni femminili in tutto somiglianti e standardizzate, prodotte evidentemente ad imitazione di uno o più modelli.

Dal punto di vista geografico la diffusione della tipologia è piuttosto omogenea: un ruolo di primo piano sembra essere stato giocato dalle città greche della costa dell’Asia Minore dalla Bitinia fino alla Licia, Smirne ed Efeso tra tutte, ma anche alcune città dell’interno, quali Magnesia sul Meandro o Afrodisia. Grande successo ebbe il tipo anche presso anche le poleis delle isole dell’Egeo meridionale e Settentrionale, Rodi, Chio, Delo, Taso, fino a raggiungere le più nordiche propaggini del mondo greco come Panticapeo. Sorprendentemente estranea a questo fenomeno sembra sia stata invece la madrepatria greca, per la quale, forse, è possibile indicare un solo esemplare di Pudicitia.

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36 Una svolta di tal fatta, presuppone, evidentemente, l’esistenza di un artista o di una bottega che, in un dato momento, abbia deciso di realizzare una statua di tali fattezze, raffigurando un soggetto determinato.

Gli archeologi hanno molto discusso nei primi decenni del secolo scorso riguardo alla possibile identificazione di questo personaggio. Le ipotesi fatte sono in definitiva due, entrambe, per la verità, piuttosto deboli. La prima fu formulata da Amelung26, sulla base della somiglianza che egli notò tra la

nostra tipologia e le muse raffigurate sul famoso rilievo dell’apoteosi di Omero realizzato da Archelao di Priene. Egli sostenne, dunque, che tanto quelle, quanto l’originale del tipo Pudicitia, fossero da ricondurre alla cerchia dell’artista Filisco di Rodi27. La seconda ipotesi assegnerebbe invece la

paternità dell’originale ad Atenodoro di Rodi, padre o avo (ma questa è puramente una congettura) di quell’Atenodoro che lavorò alla realizzazione del Laocoonte: la tesi si basa su di un passo di Plinio28, il

quale per la verità non dice altro che questo Atenodoro sarebbe stato un famoso autore di ritratti di donne celebri29.

Questo per dovere di cronaca: in verità la questione è, ai fini della nostra trattazione, piuttosto irrilevante. Intanto perché, come si vedrà nei prossimi capitoli, dal momento che più di una sono le sotto-tipologie del tipo Pudicitia, bisognerebbe ipotizzare l’esistenza di più originali e, probabilmente, di più artisti; la tipica gestualità delle statue poi, come abbiamo visto, non sarebbe da ricondurre ad un atto di creazione artistica ma ad una più generale e, probabilmente, reale modalità femminile di atteggiarsi in determinate situazioni. Ma, cosa più importante, quello della Pudicitia sembra aver rapidamente assunto i caratteri di un vero e proprio cliché figurativo, una modalità di rappresentazione canonica legata a forme di ritrattistica privata. È vero, un prototipo della serie dovette pure esistere, così come il soggetto di questo primo esemplare dovette essere una ben determinata donna, così come ben determinata deve essere stata l’occasione per la realizzazione dell’opera. Tuttò ciò, comunque, risulta essere stato del tutto ininfluente nella vicenda della diffusione del tipo: quel che rapidamente assunse rilevanza fu invece il significato attributivo che la tipologia portava seco, di modo che essa risultò in breve del tutto “spersonalizzata”, e che qualunque riferimento al prototipo passasse in deciso secondo piano.

Si è spesso ripetuto come forme di rappresentazione di questo tipo, che realizzino cioè il proprio valore semantico attraverso la giustapposizione di elementi replicati e dal carattere, appunto, attributivo, appartenessero ad una modalità di comunicazione artistica tipicamente romana. Il caso

26 Amelung 1895, pag. 82, nota 3; Amelung 1905, pag. 35.

27 «Es ist sehr wahrscheinlich, dass das Original der Pudicitia derselben Zeit und dem gleichen Kreise angehört,

wie das Werk des Philiskos.» Amelung 1895, pag. 82, nota 3.

28 Plin. N.H. XXXIV, 86: «Nunc percensebo eos, qui eiusdem generis opera fecerunt, ut Apollodorus, Androbulos,

Asclepiodorus, Aleuas philosophos, Apellas et adornantes se feminas, Antignotus et perixyomenum tyrannicidasque sopra dictos, Antimachus, Athenodorus feminas nobiles, Aristodemus et luctatores bigasque cum auriga, philosophos, anus, Seleucum regem.» vedi Laurenzi 1939.

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37 della Pudicitia fa parte di quelli che dimostrano come fenomeni di questo tipo non fossero estranei al mondo tardo ellenistico.

Interessante è notare come la diffusione della tipologia sia, in questa fase, legata alla realizzazione di monumenti onorari e, solo in derivazione da questi ultimi, alla diffusone di stele funerarie aventi come soggetto politai o comunque figure di individui caratterizzati in senso civico. Il fenomeno, come si vedrà meglio, fu dunque più ampio, e non riguardò unicamente la tipologia di cui si tratta in questa sede. Le sue radici sono legate alla crisi del sistema polis per come lo si era conosciuto in età classica ed alla crescente importanza che nel corso dell’età ellenistica assunsero, nella gestione della vita comune, forme di evergetismo e beneficienza privata da parte di individui tanto di sesso maschile che femminile. Il rapporto che si instaurava tra evergete e comunità di riferimento era, in certa misura, di scambio, laddove, a fronte della munificenza privata, la polis riconosceva all’autore di questa forme particolari di pubblici onori: i ritratti onorari, realizzati a pubbliche spese e collocati in spazi comuni, erano uno dei più diffusi riconoscimenti in questo senso. Il prestigio di cui queste forme di rappresentazione dovettero godere è testimoniato dal fatto, già menzionato, della loro massiccia trasposizione in ambito funerario.

Insomma, l’origine e il successo di cui il tipo Pudicitia godette in questa fase deve essere ricondotta a questo più ampio fenomeno che l’accomuna, tra l’altro, ad altre tipologie della statuaria femminile, tra tutte quelle della Grande e Piccola Ercolanese.

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TARDA

REPUBBLICA

ED

ETA’

AUGUSTEA:

CIRCOLAZIONE OCCIDENTALE

MP 4 - Diffusione geografica del tipo c.d. Pudicitia nel corso della fase di diffusione occidentale

A partire dagli ultimi anni della repubblica ed i primi dell’età triumvirale ed augustea, assistiamo ad un fenomeno che potremmo definire di vera e propria appropriazione da parte delle élites italico-romane di quelle forme di rappresentazione ed autorappresentazione che erano state proprie dell’Oriente ellenistico. Il caso del tipo Pudicitia è emblematico in tal senso, poiché, a fronte di una sua pressoché totale estinzione in quelli che erano stati i territori della sua origine, esso conobbe in questa fase, e fino ad epoca giulio-claudia avanzata, uno straordinario successo in Italia ma anche in altre provincie occidentali.

Il fenomeno prese le mosse da Roma e dall’Italia Meridionale, in particolare dalla regione campana (alcuni centri che vale la pena menzionare in base alle evidenze in nostro possesso sono Pompei, Capua, Avellino e Benevento, seppure il loro particolare rilievo in questo senso sia dovuto probabilmente più alla vicenda delle indagini moderne che ad un effettivo ruolo da protagoniste nella diffusione della tipologia), per poi estendersi verso il centro e l’area padana. Non solo: rapidamente, sebbene in misura, almeno dal punto di vista quantitativo, più limitata, il tipo si diffuse fino alla Gallia Narbonense, alle isole Baleari ed alla costa spagnola.

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39 È interessante constatare come nei contesti di arrivo, la tipologia, tanto per quanto riguarda la statuaria, quanto per quanto riguarda il rilievo, trovi spazio soprattutto in contesti di natura funeraria: vero è che la gran parte degli oggetti risalenti a questa fase più che ad altre, hanno conosciuto vicende moderne legate a collezionismo tardo rinascimentale o a forme di compravendita che rendono impossibile risalire alla loro originaria collocazione. Tuttavia il dato rimane, a mio giudizio rilevante. Occorre tuttavia su questo punto ricordare, il fatto che a Roma, diversamente che nel mondo ellenistico, la ritrattistica onoraria con soggetto femminile era cosa assai rara, per lo meno fino ad età Augustea. Contemporaneamente al tipo Pudicitia però giungono in Italia altre tipologie legate al mondo femminile, quali le due Ercolanesi o il cosiddetto tipo Eumachia, che proprio per contesti perlopiù onorari risultano essere state impiegate: la cosa potrà essere approfondita.

Questo problema ci offre ad ogni modo la possibilità di osservare il fenomeno con uno sguardo più ampio: questa, che possiamo definire una forma vera e propria di migrazione tipologica, fu una vicenda che, lungi dall’essere limitata alla Pudicitia, riguardò invece una serie di tipi femminili, tutti dai tratti in qualche modo classicistici e tutti dalle fattezze analoghe. Tutte manifestavano una serie di tratti condivisi, insomma, che ben si dovevano adattare agli ideali augustei ed ai programmi di rinascita morale dello stato che si auspicava trovassero realizzazione anche nel rinnovamento, inteso però come sguardo retrospettivo, del ruolo e della raffigurazione della donna in contesti pubblici e privati.

Tali, dunque, le ragioni probabili di questi sviluppi. In seguito a questa fase, la tipologia Pudicitia, come però anche le altre analoghe, conobbe un deciso regresso: una ripresa si verificherà solamente dopo diversi decenni.

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