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DELLE STELE ELLENISTICHE D’ASIA MINORE

STELE ELLENISTICHE

DELLE STELE ELLENISTICHE D’ASIA MINORE

«Κομψὰν και χαρίεσσα<ν> πέτρος δείκνυσι, τίς ἐντι;» Stele di Menophila

La grande stagione dell’espansionismo romano verso l’Oriente ellenistico, aperta in modo definitivo dalle legioni a Cinocefale, coincide per le poleis greche microasiatiche con un periodo di relativa tranquillità politica e di straordinaria prosperità economica. Rispetto al III sec. a.C., quando il susseguirsi di conflitti e ostilità tra monarchie ellenistiche costringevano le città a barcamenarsi con istinto realpolitico nel contesto non privo di pericoli del grande gioco di Machtpolitik delle potenze rivali, il II sec. a.C. costituisce nell’area un periodo di maggiore stabilità e serenità, grazie soprattutto alla protezione ed al patronato attalide. Periodo di benessere che non si interruppe neppure con la

redactio in formam provinciae d’Asia (129 a.C.), almeno fino a quando l’esasperazione dovuta alle

vessazioni messe in opera dalle societates publicanorum non sfociarono in quegli episodi che costituirono il preludio tragico alle guerre mitridatiche. In seguito a questi eventi, fu inaugurata da parte romana una politica di progressiva limitazione della libertà d’azione interna ed esterna che aveva fino ad allora caratterizzato quelle poleis che procedette ad una loro integrazione stabile e strutturale all’interno del sistema amministrativo provinciale.

È noto come questo tempo di floridità economica coincida con una stagione di rinascita ideale all’insegna dello sguardo retrospettivo volto a quel passato della civiltà ellenica che da questo momento in poi sarà avvertito e definito come “classico”: da più parti è stato evidenziato come la radice di tale nostalgico trasporto fosse di natura essenzialmente politica, laddove uno degli elementi portanti della vita della polis veniva identificato con la sua aspirazione assiomatica all’αὐτάρκεια49. Di

49 Il dibattito sulla natura dell’istituzione “polis” è antico e complesso, poiché concorrono a precisarla aspetti di

natura politica e culturale di vario tipo che rendono la definizione semplice di “città-stato” inadeguata. Per un breve richiamo a tale dibattito si veda Puddu (2010), che a questo proposito ricorda la celebre definizione aristotelica: «ἡ πόλις οὐκ ἔστι κοινωνία τόπου, καὶ τοῦ μὴ ἀδικεῖν σφᾶς αὐτοὺς καὶ τῆς μεταδόσεως χάριν: ἀλλὰ

78 qui il diffondersi di un rinnovato sentimento di consapevolezza civica che caratterizza la vita culturale delle poleis tardo ellenistiche e che si tradusse in peculiari forme di rappresentazione e autorappresentazione di tali comunità e dei singoli che di esse erano parte.50

Questa premessa è utile ad inquadrare il fenomeno del successo riscontrato in ambito microasiatico nel corso del II sec. a.C.51 di stele funerarie sulle quali i defunti ed i vivi sono raffigurati esattamente

nella loro veste civile di politai. Le stele costituiscono uno straordinario veicolo attraverso il quale i defunti intendevano consegnare tanto alla posterità quanto ai contemporanei non solo il proprio immaginario ma anche l’immagine medesima che essi stessi avevano di sé: ciò che infatti il rilievo funerario si prefiggeva come scopo, era fissare e tramandare i tratti esemplari del defunto e della sua figura, così da rendere tangibili le sue qualità etiche e morali, ma anche il suo ruolo all’interno della società in quanto membro di una comunità politica. Ed è proprio il fatto che tutto ciò avvenisse nel quadro di un contesto valoriale condiviso, profondamente regolamentato e normativo a produrre la necessaria conseguenza che anche le forme di rappresentazione e di autorappresentazione dei personaggi legati a questo universo etico fossero necessariamente elaborate attraverso sistemi codificati e ripetitivi, così da trasmettere in maniera corretta, immediata ed inequivocabile i contenuti che si intendeva proporre. Molte elementi d’interesse emergono dunque attraverso l’analisi di questi monumenti che senza dubbio, ed è evidente, con la morte avevano a che vedere, ma anche e soprattutto con la vita, o meglio ancora con quelle relazioni che definiscono la vita e la rendono riconoscibile in accordo con norme e convenzioni sociali.

Ora, è vero che nella stragrande maggioranza dei casi non abbiamo alcuna conoscenza né delle necropoli né dei monumenti cui queste stele dovevano appartenere (e quindi siamo in certa misura ignari delle modalità e dei contesti in cui la comunicazione affidata alle immagini si svolgeva)52;

cionondimeno è straordinaria la quantità di informazioni che questo tipo di oggetti, certo di pregio ma che presupponevano processi di produzione in certa misura seriale53, sono in grado di fornirci

riguardo ai ceti che ne costituivano la committenza: non quei ceti elevati dotati di straordinarie possibilità economiche costruttori dei grandi mausolei d’Asia, bensì una larga fascia di popolazione che dobbiamo immaginare non già come generica “middle class”, quanto piuttosto come la classe dei liberi cittadini. La narrazione affidata a questi rilievi, infatti, è più che mai focalizzata a definire la figura dell’individuo sulla base dei criteri propri della collettività politica: il discrimine tra coloro che

ταῦτα μὲν ἀναγκαῖον ὑπάρχειν, εἴπερ ἔσται πόλις, οὐ μὴν οὐδ᾽ ὑπαρχόντων τούτων ἁπάντων ἤδη πόλις, ἀλλ᾽ ἡ τοῦ εὖ ζῆν κοινωνία καὶ ταῖς οἰκίαις καὶ τοῖς γένεσι, ζωῆς τελείας χάριν καὶ αὐτάρκους.» Arist., Pol., 1280b.

50 Per un quadro sintetico del contesto politico e culturale si veda: Fabricius 1999, pp.99-100; Puddu 2010, pp.

29-34; Zanker 1993, pp. 212-213; Zanker 1995.

51 Con precedenti numericamente poco importanti sul finire del III a.C. ed un declino piuttosto brusco già

sull’inizio del I a.C.; decisamente ridimensionato il fenomeno tuttavia sopravvive fino in età imperiale.

52 Dobbiamo immaginare qualcosa di simile alle necropoli ateniesi di età ellenistica o esistevano peculiarità locali

di qualche tipo?

53 È ragionevole ipotizzare come, almeno nella maggioranza dei casi e con l’eccezione dei pezzi di maggiore

pregio, la gran parte di queste raffigurazioni fossero prodotte in serie e solo in una fase successiva completate con l’aggiunta di elementi “personalizzati”.

79 di queste modalità di rappresentazione sono partecipi e coloro che invece non lo sono è determinato non tanto da questioni di possibilità economiche o di appartenenza sociale, quanto piuttosto dal fatto che il defunto si riconosca o meno nell’ideologia della polis e di essa sia stato partecipe ed attivo fautore. Quel che sempre dobbiamo tenere presente è insomma che la stele doveva costituire per questi personaggi prima di tutto un oggetto d’identità civica.

Occorre in via preliminare mettere in luce alcuni tratti caratteristici delle stele ellenistiche provenienti da questo contesto, per i quali esse si distinguono dalle ben conosciute stele attiche della tarda classicità e della prima età ellenistica, così come furono evidenziati da von Hesberg:

«Im klassischen Relief wird ein innerer Zusammenhang der Figuren gleichsam szenisch durch Neigen der Köpfe, Führung des Schleiers u.dgl. erreicht. Sie wenden sich einander zu und geben so ihre Verbundenheit zu erkennen […]. Attributen fehlen ganz. Das Augenmerk richtet sich vielmehr auf die Figuren und ihre physische Gegenwart. Das hellenistische Relief präsentiert dagegen das Bild der Verstorbenen wie die Statue eines Ehrenmonumentes. Darüberhinaus erhalten alle Dinge um sie herum den Charakter von Attributen, deren Größe nicht mehr eine realistischen Zuordnung entspricht und die daher nach Belieben in den kompositionellen Zusammenhang des Bildes gefügt werden können.»54

Le figure rappresentate sulle stele stanno accostate tra loro «come statue di monumenti onorari» dunque. Diversi elementi confermano il parallelismo che corre tra questi ed i rilievi funerari, i quali anzi sembrano spesso contenerne deliberate citazioni od imitazioni: fatto che del resto non stupisce se si considera come le radici ideologiche del successo di queste due tipologie di monumenti siano in fondo le medesime.55

In primo luogo le pose in cui i soggetti delle stele sono raffigurati sono spesso identiche a quelle proprie delle statue impiegate sui monumenti onorari: si pensi, per quanto riguarda le figure maschili, al ricorrere di posture analoghe a quella di Demostene56 o di Eschine57. Non, probabilmente, con

l’intenzione di richiamarsi a modelli famosi ma piuttosto in quanto queste tipologie erano in grado di riprodurre in modo immediato e riconoscibile standard comportamentali considerati corretti e socialmente accettabili.

54 Von Hesberg 1988, pag. 188.

55 Della diffusione in epoca ellenistica di statue onorarie in contesti pubblici rimane la testimonianza tramite le

numerosissime basi rinvenute nelle agorai delle poleis: una statua di questo tipo costituiva «the quintessential expression of public recognition by one’s fellow citizens». (Zanker 1993).

56 E.g. vedi catalogo nr. 53.

80 Inoltre bisogna considerare come la forma e la cornice della stele fosse essa stessa importante quanto il contenuto figurato: il fatto che in non pochi ed elaborati esemplari in cui l’intera stele assume i tratti di una piccola edicola o di naiskos, che l’apparato architettonico sia spesso estremamente ricco e curato, che le figure siano spesso presentate come stessero al di sopra di un piedistallo, tutti questi sono elementi che dovevano rivestire grande peso nella relazione con l’osservatore .

In alcuni casi l’identificazione tra stele ed Ehrenmonument era portata a compimento dalla presenza esplicita d’indicazioni in questo senso: alcuni esemplari infatti presentano raffigurazioni di corone contenenti l’iscrizione «ὁ δῆμος», un’onorificenza riservata a pochi defunti. Questo tipo di onore concesso a costoro deve a tutti gli effetti essere considerate come un sostituto, seppur in tono minore, di quelle che erano le modalità tipiche d’onorificenza promosse dalla boule e dal demos nei riguardi dei cittadini benemeriti: corone civiche, pubblici decreti d’encomio, statue pubbliche. Tutto ciò contribuiva a fare della tomba una sorta di piccolo monumento pubblico.

Ora, in alcuni casi, per i quali alla rappresentazione della corona non corrisponde l’indicazione epigrafica esplicita del decreto popolare, è ipotizzabile che questo non fosse in effetti stato deliberato e che l’apposizione della corona fosse uno mezzo “alla moda” per nobilitare il titolare della stele. Laddove però l’indicazione «ὁ δῆμος» è presente non si può dubitare del fatto che il popolo, attraverso l’ecclesia o attraverso i suoi magistrati, avesse effettivamente stabilito di onorare pubblicamente il defunto o la defunta. Ciò è attestato tanto per personaggi di sesso maschile quanto per soggetti di sesso femminile. Interessante poi è notare come tale abitudine fosse uso quasi esclusivo della città di Smirne (qualche caso tuttavia è attestato anche altrove come i casi di Sardi58 e Iulia Gordos59

testimoniano).