• Non ci sono risultati.

Diffusione della Pudicitia in Italia centro-meridionale tra la metà del I sec a.C e la metà del I sec d.C.

MAGNESIA SUL MAEANDRO

MP 22 Diffusione della Pudicitia in Italia centro-meridionale tra la metà del I sec a.C e la metà del I sec d.C.

143 onorario: si tratta di una statua databile al I sec. d. C. e proveniente dal foro della città di Pollentia nelle isole Baleari. Vero è anche che questa fase di diffusione delle Pudicitia è quella che più di tutte ha risentito di vicende che hanno fatto sì che le informazioni legate ai singoli pezzi siano estremamente scarse. Sono pochissimi infatti gli esemplari per i quali siamo a conoscenza della relativa provenienza e contesto originario, pochi sono gli oggetti di scavo moderno e tanti sono al contrario finiti da tempo all’interno di grandi collezioni pubbliche o private senza che sia più possibile risalire ad informazioni che per questa ricerca sarebbero fondamentali. Tuttavia è un dato di fatto che sebbene in molti casi la destinazione originaria dell’esemplare rimanga incerta, laddove questa sia ricostruibile si tratta nella stragrande maggioranza delle situazioni di una destinazione funeraria.

Il dato è tanto più rilevante in quanto si distacca profondamente da quella che era stata la situazione del tipo in età ellenistica ed in contesto orientale, dove tale destinazione non solo conviveva con quella che, genericamente, potremmo definire onoraria, ma anzi sembrerebbe essere stata da quella derivata: le immagini dei rilievi funerari imitavano, quando non direttamente raffiguravano, statue e pose proprie dei monumenti innalzati in luoghi pubblici in onore di cittadini benemeriti.

Questo legame venne, una volta compiuta la migrazione del tipo, in certo modo spezzato, proprio perché sconosciuto in Occidente. O meglio: certamente i romani conoscevano in Oriente la tipologia Pudicitia sia nelle sue destinazioni onorarie sia in quelle sue funerarie. Basti pensare che sull’isola di Delo, tanto frequentata dagli italici, sono note attestazioni del tipo per entrambi questi casi.

Il tipo era capace nel mondo ellenistico, ed in Occidente la cosa doveva essere nota, di adattarsi a tutte e due le destinazioni mantenendo inalterato, con ogni probabilità, il suo portato semantico ed attributivo che nasceva comunque in contesto onorario. Come si spiega dunque lo svincolamento radicale della tipologia dalla sua funzione originaria una volta giunto in Occidente?

Due cose: in primo luogo, lo si vedrà meglio in seguito, il confine intercorrente tra monumento funerario e monumento onorario è nelle necropoli italiche e romane della tarda repubblica piuttosto labile, nel senso che i primi ricalcano esplicitamente modalità di rappresentazione che sono proprie dei secondi. Un riflesso dell’estrema competitività che caratterizzava i ceti più in vista nella società dell’epoca.

Bisogna poi ricordare come nella tradizione romana fosse assente o rarissima, almeno fino ad età augustea, l’abitudine di dedicare statue a personaggi femminili viventi: fu proprio Augusto, agli esordi del principato, a consentire tramite il senato che per la prima volta le donne della sua famiglia, Livia ed Ottavia, fossero onorate secondo la consuetudine, fino a quel momento riservata solo a personaggi maschili, tramite la dedica di una statua dedicata in luogo pubblico222.

Ebbene, sappiamo che la diffusione della tipologia della Pudicitia prese il via alcuni decenni prima dell’avvento al potere d’Augusto e della rivoluzione etica e morale da lui perseguita: è naturale quindi

144 che, almeno in questa prima fase, essa abbia potuto esplicarsi solamente in quelle destinazioni d’uso che la realtà italico-romana consentiva.

Tuttavia sappiamo che la Pudicitia circolò anche e soprattutto nel corso degli anni del principato di Ottaviano: come mai, anche nel contesto del rinnovato indirizzo del princeps, il quale incentivava le donne a prender parte, certo entro determinati limiti e con modalità ben definite, alla vita pubblica e con essa alle modalità d’autorappresentazione riservata ai suoi attori, non fu rinnovata per questa tipologia l’originale funzione onoraria che le era propria?

Anche la tipologia Grande Ercolanese, cui pure tale destinazione era ed era destinata a rimanere in gran parte estranea, fu adattata in un paio di esemplari pompeiani a contesti necropolici223. Ciò non

impedì il suo impiego in contesto onorario nel corso dell’epoca augustea e giulio-claudia, perfino da parte di soggetti appartenenti alla famiglia imperiale224. Il fatto è che la sua circolazione in questa fase

fu, dal punto di vista quantitativo almeno, di gran lunga inferiore rispetto a quella della Pudicitia: nemmeno mi risulta che siano attestati, come invece è il caso di quest’ultima, raffigurazioni di Grande Ercolanese trasferite su stele sepolcrali di contesto romano-italico. Si trattò dunque di episodi piuttosto isolati nel quadro di una diffusione tutto sommato piuttosto limitata.

La Pudicitia al contrario risulta aver goduto rapidamente di uno straordinario successo. È possibile pertanto che tale grande fortuna, la quale deve aver preso le mosse in una fase in cui ancora era preclusa al genere femminile la rappresentazione in ambito onorario, abbia contribuito a delimitare anche in seguito l’utilizzo della tipologia al solo contesto funerario. La Pudicitia si sarebbe pertanto imposta come il tipo par excellence destinato ad ornare i sepolcri ed i monumenti delle grandi necropoli, finendo per estromettere da tale funzione altre tipologie. Il suo impiego su stele funerarie fu in effetti massiccio, finendo a volte per assimilarsi tramite semplificazioni a quelle generiche raffigurazioni panneggiate che si proponevano come corrispettivo femminile del maschile togato. Quando poi, con il principio del governo d’Augusto, s’aprì anche per le donne il diritto a manifestare il proprio ruolo in contesti pubblici tramite la dedica di statue ritratto, la destinazione della Pudicitia era ormai cristallizzata nella comune percezione nel solco già percorso, così che gli spazi nuovamente aperti al proprio impiego le vennero preclusi dal successo di altri tipi (si veda a Pompei, e.g., il tipo d’Eumachia-Fundilia). Ancor più sorprendente alla luce di questo, è constatare come la duplicità di destinazione sia stata recuperata appieno, con anzi una preponderanza decisa per quella onoraria, nel corso del II sec. d.C., allorché il tipo Pudicitia conoscerà una nuova e decisa diffusione. Quale rapporto abbia tutto ciò con l’evoluzione del significato attributivo e semantico della tipologia, sarà discusso in altra sede.

Torniamo ora a Pompei. Qui, a differenza che in altre città dell’Italia meridionale coeve, è sconosciuta la produzione di stele figurate di derivazione ellenistica. Il tipo Pudicitia conobbe pertanto diffusione unicamente attraverso repliche statuarie. A Capua, per esempio, la situazione è diametralmente

223 Alexandridis 2004, pag. 243, nr. 10; 11.

145 opposta: numerose sono le attestazioni di Pudicitia su rilievo funerario, assenti invece le statue; ad Avellino, ancora, sono attestate entrambe le cose: insomma, si tratta di variabili dipendenti da portati tradizionali locali, cui tuttavia il tipo sembra adattarsi senza problemi, dimostrando fin da subito grande flessibilità.

La Pompei precedente la deduzione della colonia sillana non conobbe produzione e consumo di ritratti funerari: per le sepolture era invece diffuso un tipo di segnacolo piuttosto semplice, la c.d. columella. A partire dall’80 a.C., con l’avvento dei coloni, la situazione cambiò radicalmente e presee il via la costruzione di veri e propri monumenti funerari: la diffusione di statue ritratto in quest’ambito è legata soprattutto allo straordinario successo di cui la tipologia sepolcrale a più piani con coronamento ad aedicula o a tholos godette sul finire dell’età repubblicana e fino al principio dell’età augustea, allorché altri modelli cominciano ad imporsi. Questi monumenti, articolati, appunto su due livelli, di cui uno inferiore con basamento e, spesso, gradini, ed uno superiore con aedicula o tholos, prevedevano per loro stessa natura l’esposizione di statue e ritratti funerari dei defunti e titolari della tomba, incorniciati in un fastoso apparato architettonico ed innalzate rispetto al terreno circostante così da poter essere, quanto più possibile, visibili allo sguardo dei passanti e punto di riferimento all’interno del paesaggio. Non dobbiamo dimenticare come il contesto delle necropoli romane di questo periodo fosse, degno specchio della realtà sociale, estremamente competitivo.

Il monumento, ma anche il ritratto stesso, rispondevano all’esigenza del committente, da una parte di manifestare la propria individualità, attraverso l’esibizione di ciò che in vita si era realizzato e della posizione che si era riusciti a raggiungere, dall’altra di sottolineare ciò che li qualificava in quanto membri della società, riferendosi quindi in modo efficace all’immaginario etico, sociale e valoriale che essa ambiva ad incarnare. A questo scopo, come chiariranno gli esempi di cui ora si parlerà, parve prestarsi bene il tipo Pudicitia.

Uno sguardo alla ritrattistica femminile pompeiana di destinazione funeraria ci presenta un quadro piuttosto omogeneo. Non è esattamente corretto asserire con Bonifacio che per i ritratti femminili lo schema utilizzato sia «sempre lo stesso»225, vale a dire la Pudicitia. In realtà risultano attestati almeno

un paio di esemplari di grande Ercolanense226 già citati oltre che poche altre statue tipologicamente

meno aderenti a schemi determinati e tuttavia pesantemente panneggiate ed atteggiate in maniera da evocare quanto meno le tipologie ellenistiche analoghe a quelle appena citate. È chiaro tuttavia che in questo campo la Pudicitia rivestiva un ruolo di gran lunga preponderante.

Ben differente è invece il caso della ritrattistica di tipo onorario, dove questa tipologia risulta essere stata completamente assente: al contrario, solo per citare alcuni esempi, in questo caso Pompei restituisce tra gli altri il famoso esemplare eponimo del tipo Eumachia-Fundilia227, oltre che una statua

225 Bonifacio 1997, pag. 59.

226 Vedi Alexandridis 2004, pag. 243, nr. 10; 11.

146 del tipo Artemisia-Themis228, entrambe tipologie d’ascendenza ellenistica; la prima peraltro non

dissimile nell’ispirazione generale al tipo Pudicita.

Le necropoli esplorate cui gli esemplari della nostra tipologia sono riconducibili, sono quelle di porta Ercolano e di porta Nocera. Si tratta in tutto di quattro statue e di una testa che verosimilmente appartenne ad un quinto: due sono realizzate in marmo (l’una a porta Nocera, la seconda a porta Ercolano), le altre sono di tufo.

Valentin Kockel229 ha in passato sottolineato come sussistano alcune differenze riguardo al bacino

d’utenza di riferimento delle due necropoli: nell’area di porta Ercolano, infatti, sembra abbiano trovato sepoltura defunti appartenenti alla classi sociali più in vista tanto dal punto di vista economico, quanto riguardo alle cariche ricoperte in vita, oltre ad un numero consistente di defunti onorati dalla città per particolari meriti tramite la concessione spazio pubblico ove realizzare il proprio monumento funerario. Insomma, si tratterebbe di un luogo in certa misura privilegiato. Cosa che non si può affermare riguardo alla necropoli di porta Nocera, dove i defunti appaiono provenire da contesti sociali più variegati. Ebbene, per quanto riguarda gli esempi che prenderemo in considerazione, tale differenza non sembra rivestire un ruolo di primaria importanza: i monumenti da cui le statue del tipo Pudicitia provengono sono infatti analoghi, come analoga sembrerebbe la provenienza sociale dei rispettivi defunti. Nemmeno il diverso materiale delle statue può essere fatto valere in questo senso, secondo il ragionamento per cui alla spesa maggiore del marmo rispetto al tufo corrisponderebbe un maggior prestigio dell’oggetto finito: non che quest’impostazione sia in generale sbagliata, il fatto è che tanto nell’una, quanto nell’altra necropoli, sono state rinvenute statue di questa tipologia, tanto in marmo, quanto in tufo. È probabile anzi che230, perlomeno in età pre-augustea, le differenze di strato

sociale e di possibilità economiche influenzassero maggiormente le dimensioni dei ritratti piuttosto che il loro materiale e la loro qualità.

Passiamo ora ad esaminare i casi specifici, cominciando da quello relativo alla necropoli di porta Ercolano. Laddove la via delle tombe e la via superior si dipartono, dirigendosi l’una verso la pianura costiera, l’altra verso la Villa dei Misteri, s’incunea uno spazio affollato di sepolcri.

Tra questi un gruppo in particolare, le tombe N 38–43, riveste per noi particolare interesse: da qui provengono, infatti, le tre statue del tipo Pudicitia rinvenute in questa necropoli. Solo per una di queste è certo il collegamento con il monumento cui si riferiva: per le altre due mancano sufficienti indicazioni per procedere a tale identificazione. Per questo motivo, vale la pena spendere in via preliminare un paio di parole sul gruppo di tombe in generale, per poi passare ad una lettura dei singoli monumenti più nello specifico.

Si tratta, dunque, di un insieme di sei tombe le quali non solo costituiscono un’unità dal punto di vista topografico, ma condividono anche una vicenda di scavo piuttosto complessa e mal documentata. In

228 Vedi Bonifacio 1997, pag. 53, nr. 12.

229 Kockel 1983.

147 questa sede basti, sotto questo ultimo punto di vista, fare menzione del fatto che la loro indagine ebbe inizio nell’anno 1776, con il rinvenimento della tomba di quel M. Arrio Diomede cui la villa poco di stante deve, a torto, il nome, e si concluse, tra stalli e riprese ben un secolo dopo, nell’anno 1874. Una ricostruzione puntuale della storia dell’esplorazione di quest’area è stata approntata da Kockel231,

grazie anche al ricorso all’opera documentale di Mazois232 e altri: è evidente, ad ogni modo, che tale

situazione non facilita il compito di interpretazione del contesto e degli oggetti ad esso riconducibili. Queste sepolture, ad ogni modo, sono raggruppate in un lembo di terra che si estende da NO a SE, rialzato rispetto al terreno circostante e contenuto, lungo tutti i lati meno quello nord-occidentale, da una muraglia in opera incerta che sul versante meridionale raggiunge i tre metri d’altezza. L’accesso a questo settore della necropoli era possibile, in antico, solo dalla parte nord. Accanto a sepolture di modesto impegno monumentale, (N40, N41, N42 – la tomba di Diomede) spiccano per imponenza tre edifici sepolcrali appartenenti alla medesima tipologia delle tombe a più piani con edicola innalzata su alto basamento (N38, N39, N43).

Dall’area provengono 9 tra statue o frammenti di statue: tre esemplari in marmo, pertinenti al monumento N38, ed i restanti sei in tufo: purtroppo per quanto riguarda questi ultimi, proprio a causa

231 Kockel 1983, pp. 168-169.

232 Mazois 1824.