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IL CASO DELLE STATUE DELLE TERME ADRIANEE NEL CONTESTO DELLA FASE IMPERIALE DI DIFFUSIONE

LEPTIS MAGNA

IL CASO DELLE STATUE DELLE TERME ADRIANEE NEL CONTESTO DELLA FASE IMPERIALE DI DIFFUSIONE

DELLA TIPOLOGIA C.D. PUDICITIA

«At olim et pauca erant balnea nec ullo cultu exornata.[…] At nunc quis est, qui sic lavari sustineat? […] Quantum statuarum, quantum columnarum est nihil sustinentium, sed in ornamentum positarium impensae causa!»

Seneca, epistola 86

Il quadro statistico e l’analisi generale messa a punto da Manderscheid all’interno del lavoro da lui condotto a proposito degli apparati decorativi delle terme imperiali (Die Skulpturenausstattung der

kaiserzeitlichen Thermenanlagen) hanno chiaramente dimostrato come tale tipologia di strutture

pubbliche corredate del relativo arredo scultoreo si fosse diffusa su tutto il panorama dell’Impero ma che due regioni in particolare spiccassero all’interno di questo panorama complessivo per numero di edifici e qualità degli apprestamenti: da una parte l’Italia, dall’altra il Nord Africa, Africa Proconsolare e Numidia in testa. Tale fenomeno è cronologicamente assai ben collocabile nel corso del secolo II d.C. 241

Questo il contesto che in via preliminare è utile tenere a mente nell’avvicinare lo studio di alcune statue del tipo c.d. Pudicitia rinvenute presso le terme di Leptis Magna e della posizione che esse occupano nell’ambito cronologico e geografico di diffusione della tipologia.

Si tratta in generale del contesto della grande stagione che visse l’Impero nel corso del II secolo e che vide le provincie d’Africa, tra le altre, vivere momenti di grande prosperità che si protrasse nell’area fino ad inoltrato III secolo. Una floridità piuttosto generalizzata dovuta ad una serie concomitante di fattori, quali le connessioni commerciali con tutto l’orizzonte mediterraneo, la straordinaria fertilità del suolo ed efficacia dei sistemi di produzione agricoli unite alla domanda sempre crescente altrove di prodotti di questo tipo, l’estrazione ed il commercio di materie prime locali quali i marmi, la speciale protezione imperiale accordata ad alcuni distretti, la relativa marginalità dell’area rispetto alle regioni dove con più evidenza andavano manifestandosi i primi sintomi di quelle criticità preludio della crisi

156 generale dell’Impero, la stabilità dell’amministrazione e la sicurezza dei confini: tutti questi elementi, uniti a specificità culturali proprie dell’area capaci di mescolare un’identità profonda e radicata fin nel passato pre-romano insieme con una straordinaria ricettività nei confronti dei motivi e degli sviluppi circolanti nel mondo globalizzato contemporaneo, contribuirono alla stato di rigoglio e pacifico sviluppo che le province africane dell’Impero attraversarono nel corso di questa fase.

Grandiosi furono anche gli interventi di carattere urbanistico ed architettonico intrapresi nelle città di quest’area, che videro in alcuni decenni mutato il proprio volto nel segno imponete di quella che è stata definita «marble style architecture»: ovunque andavano intensificandosi gli sforzi per porre mano alla realizzazione di facciate scenografiche, lunghe vie colonnate, archi di trionfo ed imponenti e sfarzosi edifici destinati alla vita delle comunità cittadine.

Di estremo interesse per quanto riguarda l’oggetto di questo lavoro è lo strettissimo rapporto che intercorreva tra gli interventi e gli edifici concepiti secondo questa tendenza ed il tipo di arredo scultoreo che essi richiedevano. Per spiegare tale fenomeno si è giunti a coniare il termine di

«Statuomanie»242, con il quale si è voluto definire il duplice aspetto legato da una parte alla produzione

e alla diffusione in contesti pubblici a livelli prima d’allora inconsueti di una messe di statue onorarie raffiguranti personaggi della vita pubblica di varia natura, dall’altra la costruzione di grandi spazi ed edifici che fossero in grado di contenere ed esibire un quantitativo straordinario di questi oggetti. I luoghi pubblici si affollarono dunque d’immagini e di statue che dovevano essere percepite come parte ordinaria dell’arredo urbano convenzionale, le quali ciò non di meno per la loro natura ed i loro soggetti erano in grado di contribuire a qualificare come civico dove andavano a collocarsi.

È evidente che tale sviluppo abbia costituito un fenomeno essenzialmente e profondamente urbano: al di fuori delle città mancava infatti non solo la cornice monumentale adatta all’esposizione di tali immagini, ma anche e soprattutto i presupposti sociali e valoriali sottesi a questo tipo di manifestazioni. Legati alla vita delle città erano in effetti anche i soggetti stessi delle statue in questione. Si trattava infatti prevalentemente di ritratti onorari di varia natura che ritraevano soprattutto, come era naturale in un sistema amministrativo e sociale che ancora si fondava sul modello della relazione evergetica, i membri più influenti e benemeriti appartenenti alle élites cittadine locali.

Naturalmente non mancavano nemmeno i ritratti dell’imperatore del momento e dei membri della famiglia imperiale che certamente dominavano lo spazio pubblico. Ed è proprio la presenza di questi ultimi che induce a qualche riflessione circa il tipo di rapporto che i ritratti privati di questo tipo erano in grado di manifestare in tre direzioni: da una parte agivano verso il basso, andando a rappresentare visibilmente agli occhi della comunità lo stato di dipendenza delle città nei riguardi dei ceti dominanti. Vero è che molto spesso gli appartenenti a queste classi, vale a dire coloro che di questo genere di onori venivano fatti oggetto, erano i medesimi che ricoprivano quegli incarichi e quelle magistrature

242 Manderscheid 1981 pag. 19; sul concetto di “Statuomainie” vedi Cagnat – Chapot, Manuel d’Archéologie

157 tramite cui gli stessi onori venivano decretati a nome della cittadinanza: si capisce dunque come il sistema fosse estremamente chiuso ed autoreferenziale al punto che la stragrande maggioranza della popolazione rimaneva completamente esclusa da qualsiasi ruolo tanto attivo quanto passivo al suo interno. Il fatto però che onorificenze di questo tipo si mantenessero nonostante ciò così desiderabili nel tempo agli occhi degli appartenenti alle classi più elevate, costituisce una dimostrazione del prestigio di cui dovevano godere agli occhi dell’intero corpo civico.

Da ciò discende una seconda tipologia di relazione che la presenza di questi monumenti onorari era in grado di raffigurare, questa volta in senso orizzontale: non dimentichiamo che tutti questi oggetti andavano spesso a combinarsi in vere e proprie gallerie composte da un numero anche molto alto di statue tutte poste in relazione l’una con l’altra. Dal momento che l’accesso a tali onorificenze era piuttosto limitato, bisogna immaginare che i nomi ed i soggetti rappresentati fossero assai ricorrenti e riconducibili sempre alla stessa cerchia di famiglie. Insomma gli onorati manifestavano se stessi non solo in quanto individui ma anche in quanto classe, in quanto collettività che era sì parte della comunità cittadina più ampia, ma che di questa ambiva ad incarnare la quintessenza, una cerchia ristretta e chiusa di individui sulla cui virtù poggiavano le sorti della comune fortuna: o per lo meno tale era l’immagine di sé che questi stessi personaggi amavano proporre.

Vi è poi un terzo tipo di rapporto che queste raffigurazioni manifestavano, indirizzato verso l’alto: nel condividere il medesimo spazio con soggetti appartenenti ad una sfera per molti aspetti incomparabilmente superiore a quella legata alla comunità cittadina quali erano i membri della casa regnante, i soggetti effigiati venivano a porre se stessi ed i propri ceti di riferimento quali mediatori visibili tra questi due universi tanto distanti e come perno della dialettica tra potere centrale ed istanze locali.

In questo scenario si colloca la vicenda della diffusione in Africa del tipo Pudicitia. È già stato notato come queste regioni si fossero mantenute quasi totalmente estranee alla vicenda della circolazione di tale tipologia nel corso delle prime due fasi del suo sviluppo, quella ellenistico-microasiatica e quella relativa alla sua diffusione occidentale nel corso della prima età imperiale.

Dico quasi totalmente poiché in verità un unico esemplare del tipo Pudicitia proveniente dall’area esiste, e si tratta di una statua proveniente da Apollonia di Cirenaica databile ad epoca flavia243. Si

tratta tuttavia di un esemplare per il quale non conosciamo l’esatto contesto di provenienza e che ad ogni modo appare piuttosto isolato, tanto dal punto di vista cronologico, quanto dal punto di vista geografico. È riconducibile alla tipologia VI, pertanto pienamente ascrivibile alla seconda fase di diffusione della Pudicitia, e dobbiamo pensare che il modello sia giunto ad Apollonia da Occidente piuttosto che dalla più vicina Asia Minore, dal momento che qui tale tipologia era ormai da tempo caduta in disuso: purtroppo i dati in nostro possesso non consentono di verificare se l’esemplare sia stato prodotto da una bottega locale o se piuttosto sia stato importato da qualche altra regione. Quel

158 che però è certo è che esso costituisce un unicum, un caso isolato rispetto all’andamento generale della diffusione della Pudicitia, che né in precedenza né in seguito ebbe mai fortuna in Cirenaica.

Sono piuttosto le regioni centro-occidentali della costa africana, l’Africa Proconsolare e la Tripolitania, quelle in cui la circolazione della Pudicitia prese forza nell’ambito di quel fenomeno generale che abbiamo descritto poco sopra. L’incremento esponenziale della domanda di monumenti onorari in questa regione ed in questa fase coinvolse naturalmente anche il settore della ritrattistica femminile. Come si è già osservato in precedenza le tipologie legate a questo tipo di soggetto sono diverse, tutte però riconducibili ad un insieme di tratti ed elementi comuni sia dal punto di vista formale che, di conseguenza, dal punto di vista semantico, oltre che tutte accomunate dal fatto di condividere vicende di diffusione non identiche ma per molti aspetti analoghe.

Ebbene, un’analisi che oltre al tipo della Pudicitia si allarghi ad altre tre tra le principali tipologie di questa sorta, vale a dire la Grande Ercolanese, la Piccola Ercolanese ed il Ceres-Typus, rivelerà che per tutte queste la vicenda della diffusione in area africana sia analoga: tutti e quattro questi tipi infatti, benché tutti originati in area microasiatica nel corso del medio e tardo ellenismo e benché fossero da tempo conosciuti, sebbene con differente diffusione, anche in Occidente, mai avevano trovato spazio nelle regioni della costa Sud del Mediterraneo. Quasi all’improvviso, nel corso della tarda età traianea e poi in misura crescente in epoca adrianea e con un picco cronologicamente collocabile in fase antonina, conobbero in Africa una fortuna veramente straordinaria, per poi declinare e scomparire definitivamente dopo i primi decenni d’inizio III secolo.

Il Ceres-Typus fu certamente quello capace di una più ampia diffusione, legata forse anche ad elementi propri di alcuni portati culturali locali, con ben 15 esemplari attestati tra Cartagine, Cesarea di Mauretania, Bulla Regia ed altri centri244. A seguire il tipo della Grande Ercolanese, attestato 13 volte di

cui ben 7 nella sola Leptis Magna245. Viene poi il tipo Pudicitia per il quale sono conosciute 10 repliche

di cui si parlerà più avanti, ed infine la Piccola Ercolanese attestata in 8 casi246. Insomma, si parla in

totale di ben 46 esemplari di statue riconducibili a queste quattro tipologie, calcolando i soli esemplari di provenienza nota: un numero ragguardevole se si considera come esse fossero completamente sconosciute nell’area prima di questa fase e la relativa breve durata di questo fenomeno (un secolo scarso se valutato nella sua interezza, qualche decennio invece se lo considera nella sua fase piena). La città di Leptis Magna sembra aver avuto un ruolo particolare all’interno di questa vicenda, come naturale del resto, essendo nell’area tra quelle più prospere e connesse con gli altri grandi centri del Mediterraneo: 7 repliche della Grande Ercolanese, 3 della Pudicitia e 2 della Piccola Ercolanese sono qui attestate.

244 Vedi Alexandridis 2004, pp. 229-231.

245 Vedi Alexandridis 2004, pp. 238-243.

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