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La chimica della scrittura. Lettura del Sistema periodico di Primo Levi

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN ITALIANISTICA

TESI DI LAUREA

La chimica della scrittura.

Una lettura del Sistema periodico di Primo Levi

CANDIDATO

RELATORE

Chiara Mattesini

Chiar.mo Prof. Raffaele

Donnarumma

CONTRORELATORE

Chiar.mo Prof. Alberto

Casadei

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INDICE

Introduzione

1. La tavola periodica di Levi

1.1. Primo Levi: chimico e scrittore

1.2. L’idea: dall’epica del chimico all’autobiografia chimica

1.3. Il genere letterario: microstoria, autobiografia, romanzo di formazione, raccolta di racconti

1.4. La struttura: ordine e corrispondenze nel sistema periodico di Levi

1.5. Lo stile: l’italiano marmoreo, il plurilinguismo e altre impurità linguistiche

2. Finzione del testimone e finzione letteraria

2.1. Primo Levi: da testimone a scrittone

2.2. Il sistema periodico: scrivere ‹‹noi›› e leggere ‹‹io›› 2.3. Il sistema periodico tra verità e finzione

2.4. Lo spazio: un’altra finzione

2.5. Ancora finzione: dialogo a distanza con il postmoderno

3. I significati della materia: dentro e oltre Il sistema periodico

3.1. Strade della memoria: gli elementi del Sistema periodico, i Mnemagoghi, Il fabbro

di se stesso

3.2. Radici profonde: ebraismo e alpinismo 3.3. Resistenza chimica: Primo Levi e il fascismo

3.4. Epica chimica: vittore e sconfitte nella lotta con la materia

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3.6. La chimica e la scrittura: oralità, libertà e ineffabilità della parola 3.7. Una vita concreta: la dedizione al lavoro

3.8. Mano che descrive, mano che scrive, mano che lavora, mano che comunica

4. Il chimico, lo scrittore e il montatore: La chiave a stella

4.1. Elementi di continuità: non un romanzo, la finzione, la scrittura, Il lavoro e il lavoro ben fatto

4.2. Il ciabattino e il montatore: il linguaggio di Faussone 4.3. Argento e Acciughe

Conclusione

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Introduzione

Troppo chimico, e chimico per troppo tempo, per sentirmi un autentico uomo di lettere; troppo distratto dal paesaggio variopinto, tragico o strano, per sentirmi chimico in ogni fibra [AM 801].

Comunemente, quando si nomina Primo Levi, di primo impatto, si pensa allo scrittore di

Se questo è un uomo, libro testimonianza del periodo trascorso dall’autore nel campo di

sterminio di Auschwitz. Levi è stato però autore di numerose opere e raccolte (quattordici in totale) che hanno generi anche molto diversi tra loro e che spaziano dalla testimonianza, al saggio, alla finzione, alla fantascienza. Ma Primo Levi non è solo superstite, testimone e scrittore: infatti per gran parte della sua vita egli è stato soprattutto un chimico, più correttamente un tecnico chimico. Primo Levi è stato, in realtà, chimico per scelta e scrittore per caso:

Non è mia intenzione dire che per scrivere un libro bisogna essere “non scrittore”, ma semplicemente che io sono approdato a questa qualifica senza sceglierla. Io sono un chimico. Sono approdato alla qualifica di scrittore perché, catturato come partigiano, sono finito in Lager come ebreo [PS 1390].

Affascinato dal mondo della materia, Levi, dopo gli studi classici, si iscrive alla facoltà di chimica a ridosso della proclamazione delle leggi razziali. Essere un chimico sarà una delle molte «fortune» che gli permetteranno di sopravvivere nel campo di sterminio di Auschwitz e, una volta rientrato in Italia, lavorerà come tecnico chimico nell’industria delle vernici. Dall’esperienza della deportazione Levi ritorna però con «il dono della parola». Inizialmente si tratta solo della necessità di testimoniare, di far conoscere al mondo l’orrore compiuto dai nazisti, per non dimenticare, per cercare di comprendere e per evitare che la storia possa ripetersi. Con il passare del tempo, anche grazie al successo editoriale di Se questo è un uomo, raccontare diventa un piacere, una vera e propria passione che Levi esercita come un secondo mestiere. Mentre lavora nella ditta di vernici di giorno, di notte indossa i panni dello scrittore, affermandosi presto presso la critica e il grande pubblico. Le due carriere si intrecciano nella quotidianità e ben presto anche nella pagina scritta. Il sistema periodico è il testo in cui quest’incontro avviene in maniera compiuta e dichiarata:

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Gli dissi che andavo in cerca di eventi, miei e d’altri, che volevo schierare in mostra in un libro, per vedere se mi riusciva di convogliare ai profani il sapore forte e amaro del nostro mestiere, che è poi un caso particolare, una versione più strenua, del mestiere di vivere. Gli dissi che non mi pareva giusto che il mondo sapesse tutto di come vive il medico, la prostituta, il marinaio, l’assassino, la contessa, l’antico romano, il congiurato e il polinesiano, e nulla di come viviamo noi trasmutatori di materia [SP 1010].

L’idea di scrivere Il sistema periodico nasce con il desiderio di raccontare il proprio mestiere attraverso una raccolta di avventure chimiche personali, di altri e anche inventate, che portano in letteratura un mestiere estraneo da sempre. Come scrive Levi in

Scrittore non scrittore, un anno dopo la pubblicazione del Sistema periodico: «mi

sembrava giusto “turare il buco”» [PS 1393].

Che cos’hanno in comune la chimica e la scrittura? Nel senso comune molto poco: esiste un pregiudizio di fondo per cui il sapere scientifico e quello umanistico si muovono su due binari separati, due monadi incapaci di comunicare tra loro, il primo dedito alle scoperte verificabili della materia (e per questo estraneo a qualsiasi forma di poesia), il secondo alle speculazioni sul mondo dello spirito umano (troppo poetico ed estraneo alla concretezza). Questa concezione che, in Italia, ha radici gentiliane, non è mai stata condivisa da Levi. Pur definendosi solamente come tecnico e mai come scienziato, l’autore vede nei due ambiti, scientifico e umanistico, piuttosto continuità che non divisione:

La scienza è sempre proposta da Levi come uno stimolo per l’attività dello scrittore, una formidabile fonte d’ispirazione, una ricca miniera di materia prima […] le due culture, quella umanistica e quella scientifica, solitamente separate, si uniscono nel comune compito di dare un ordine al labirinto, al caos in cui viviamo1.

L’essere umano vive nella costante ricerca di un ordine, di un senso da dare alle proprie esistenze ed ai fenomeni naturali che lo circondano. Per Levi sia la scienza che la letteratura contribuiscono in modi diversi, ma in egual misura, a questo scopo. L’importanza che la scienza riveste nell’opera di Levi, come fonte di ispirazione per la scrittura, è evidente nella mole di racconti a tema scientifico che anticipano la scrittura del Sistema periodico. Si tratta delle raccolte Storie naturali e Vizio di forma che complessivamente contano trentacinque racconti, nati grazie a suggestioni tratte dalla lettura della rivista “Scientific American” (“Le scienze”). Comunemente questi racconti

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vengono definiti come fantascientifici, ma si tratta di una definizione parziale e di comodo, che rispecchia solo in parte il contenuto dei testi: «la cifra espressiva dei racconti di Levi rimane legata a quelle profezie serie che costituiscono il nocciolo tematico della miglior hard science-fiction, cioè quella fantascienza basata su premesse fortemente plausibili dal punto di vista fisico e teorico»2. I racconti di Levi sono molto più scientifici che fantastici (ovviamente con alcune eccezioni che tendono verso il fantastico o il mitologico): ruotano attorno ad un elemento tecnico-scientifico e la parte fantastica si limita nell’immaginare l’abuso che l’essere umano è in grado di farne. Occorre una precisazione riguardo il concetto di scienza nelle opere di Levi: più che scienza pura, fatta di teoremi e speculazioni, quella preferita da Levi è la scienza pratica, la tecnica che coniuga assieme teoria e prassi. Frutto prediletto della tecnica sono le macchine e queste, a loro volta, sono il soggetto privilegiato dei racconti di Levi. Prendiamo come esempio il racconto conclusivo di Storie naturali, Trattamento di quiescenza: un macchinario di ultima generazione, concepito per allietare il tempo libero dei pensionati, permette di vivere delle esperienze virtuali a scelta dell’utente. Ben presto però la macchina crea una sorta di dipendenza, tale da alienare completamente il protagonista dal mondo reale e condurlo a morte prematura. Levi, con il Torec, anticipa quella che oggi viene chiamata realtà virtuale (i cui studi erano agli albori negli anni sessanta) e che inizia oggi a trovare spazio nell’industria dell’intrattenimento. Ma soprattutto l’autore pone l’accento sulla questione della dipendenza dalle macchine, tema oggi più attuale che mai. Questi racconti, più che concentrarsi sull’inverosimile, parlano invece di una tendenza tipicamente umana, quella di impiegare in modo distruttivo il frutto del suo ingegno:

Analizzare l’opera di Levi significa anche affrontare la definizione dell’homo faber, centro tematico di libri come Il sistema periodico e La chiave a stella, e di conseguenza […] le parabole di Storie naturali e Vizio di forma vanno accostate e integrate con la dimensione artigianale e manuale di Il sistema periodico e La chiave

a stella. Per Levi è sempre l’uomo, con la sua mano e la sua mente, a decidere

sull’utilizzo della tecnologia3.

Quella che Levi tratta nei suoi libri è una scienza molto umana, fatta a misura d’uomo dall’uomo, con tutto ciò che questo comporta. Levi ha una concezione profondamente darwiniana dell’esistenza umana. Essa è il frutto di secoli di evoluzione e di adattamento

2 ANTONELLO 2005, p. 97. 3 Ivi, p. 103.

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della specie e la caratteristica che maggiormente la qualifica è la creatività, intesa sia come capacità manuale di costruire oggetti, sia come capacità inventiva della mente:

L’uomo è costruttore di recipienti; una specie che non ne costruisce, per definizione non è umana. Mi pare, insomma, che il fabbricare recipienti sia indizio di due qualità che, nel bene e nel male sono squisitamente umane. La prima è la capacità del pensare al domani […] la seconda qualità specificamente umana è la capacità di antivedere il comportamento della materia […] Nella nostra qualità di costruttori di recipienti, abbiamo in mano la chiave del massimo beneficio e del massimo danno: due porte contigue, due serrature, ma la chiave è una sola [RS 1113-1116].

Nel saggio Una bottiglia di sole Levi si sofferma sulla capacità umana di costruire recipienti, ma in altri testi la qualità costruttrice dell’uomo si estende a molti ambiti diversi. Così come il risvolto negativo: le invenzioni umane non sono né buone né cattive in sé, tutto dipende dall’utilizzo che se ne vuol fare. Levi ha la consapevolezza dell’esistenza di una «faglia, un vizio di forma», ovvero che in natura, e specialmente in quella umana, è sempre presente il seme della vanità, il «brutto potere» di cui scrive anche Leopardi, ma che Levi reinterpreta come tendenza al caos, piuttosto che al nulla:

Esso appare incontrastato ed evidente (non ascoso insomma) a chiunque si sia trovato a combattere la vecchia battaglia umana contro la materia. Chi lo ha fatto ha potuto constatare con i propri sensi che, se non l’universo, almeno questo pianeta è retto da una forza, non invincibile ma perversa, che preferisce il disordine all’ordine […] e la stupidità alla ragione. Contro questo potere, che (chi non lo ha provato?) lavora anche dentro di noi, occorrono difese. Il nostro presidio fondamentale è il cervello [PS 1552].

La tensione all’annullamento e al caos indistinto è insita nella materia e nell’uomo (che è costituito di materia) e soltanto la ragione permette di trovare una qualche difesa e forse di poter rimediare. Certamente Levi ha vissuto in prima persona il momento più basso della razionalità umana: «il Lager, per me, è stato il più grosso dei “vizi”, degli stravolgimenti di cui dicevo prima, il più minaccioso dei mostri generati dal sonno della ragione»4.

La scienza in questa sua forma manipolata della fantascienza ha una sua poesia, perché racconta comunque della condizione e della specie umana, che Levi immagina mossa dagli stessi impulsi anche in futuro non ben determinato. Fino al 1975 dunque Levi integra nella sua produzione la scienza in modo finzionale prendendo spunto dalle più

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recenti scoperte o da curiosità ancora in fase di studio. Mescolando scienza e scrittura, Levi si mantiene ancora in una zona franca, giacché la fantascienza è un genere popolare già molto diffuso. Nel Sistema periodico il cambio di rotta è notevole: infatti la scienza non è più astratta e distorta dalla prospettiva del possibile, ma concreta e quotidiana. La lotta per l’ordine si concretizza nello scontro fra il chimico e la materia. È una lotta impari in cui l’unico modo per non soccombere è ingegnarsi, utilizzando razionalità e fantasia. Nel Sistema periodico il connubio tra scienza e scrittura, iniziato con le raccolte fantascientifiche, è portato a compimento sfruttando stavolta la materia autobiografica dell’autore. Qui la scienza si restringe al mondo della chimica, non la chimica delle grandi scoperte, ma quella quotidiana, a volte anche domestica, che però ha il sapore di una vera impresa epica. Levi costruisce una personalissima tavola periodica degli elementi, scegliendo alcuni episodi salienti della sua vita che abbiano come punto di riferimento un elemento chimico:

Così è nato Il sistema periodico. È indubbiamente una provocazione il titolo e l’aver dato a ogni capitolo, come titolo, il nome di un elemento. Ma mi sembrava opportuno sfruttare il rapporto del chimico con la materia, con gli elementi, come i romantici dell’800 hanno sfruttato il «paesaggio»: elemento chimico-stato d’animo, come paesaggio-stato d’animo. Perché, per chi lavora, la materia è viva […] Perché dunque non creare un dramma dove i personaggi sono gli elementi di cui la materia è composta? [PS 1393].

Effettivamente da un libro che si chiama Il sistema periodico e che intitola i capitoli a ventuno elementi chimici, un lettore si potrebbe aspettare persino trattato di chimica. Invece Levi non accenna mai direttamente alle qualità intrinseche della materia, ma la interpreta sempre in una prospettiva umana, attribuendole dei significati che comunicano con il lettore: «il fatto è che chiunque sappia cosa vuol dire ridurre, concentrare, distillare, cristallizzare, sa anche che le operazioni di laboratorio hanno una lunga ombra simbolica» [PS 1393].

C’è poi un altro aspetto del Sistema periodico che coniuga chimica e scrittura in maniera più diretta: infatti il mestiere di chimico di Levi accompagna lentamente, nel corso dei capitoli, l’affermazione del mestiere di scrittore. Il libro ha i questo senso una vera e propria funzione di spartiacque, perché è scritto quando ancora l’autore esercita il suo primo mestiere, ma già all’ombra del pensionamento:

Questo libro è, a prima vista, un racconto per sommi capi della mia vita di chimico. Infatti al termine della mia carriera professionale, avevo sentito il bisogno di

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esprimere quanto dovevo a questo mio mestiere, quasi manuale, spesso faticoso e sporco, qualche volta anche pericoloso; mi sembrava doveroso che, per così dire, il letterato rendesse grazie al chimico che gli aveva aperto la strada [PS 1574].

Relativamente alle sue prime pubblicazioni, Levi ha sempre parlato di sé stesso come di un ibrido, metà chimico e metà scrittore. Con il Sistema periodico la barriera che separa le due metà cade definitivamente: Primo Levi è sia chimico sia scrittore. Il pensionamento dalla ditta di vernici è solo un momento che sancisce la predominanza di un aspetto sull’altro, ovvero quante ore al giorno può dedicare all’una o all’altra attività. Pur lasciando il suo primo mestiere, l’autore non abbandonerà mai la chimica e la mentalità scientifica che pervadono la sua scrittura. Per Levi la chimica ha sempre influenzato molto la sua scrittura, non solamente come repertorio da cui attingere storie e temi per le sue opere, ma anche il metodo stesso della scrivere:

Del resto, non è detto che l’aver trascorso più di trent’anni nel mestiere di cucire lunghe molecole presumibilmente utili al prossimo, e nel mestiere parallelo di convincere il prossimo che le mie molecole gli erano effettivamente utili, non insegni nulla sul modo di cucire assieme parole e idee, o sulle proprietà generali e speciali dei tuoi colleghi uomini [CS 1149].

A tale argomento Levi dedica anche il saggio Ex chimico in cui descrive dettagliatamente tutti i benefici che dal primo mestiere si sono spostati nel nuovo, dalla mentalità scientifica, dedita a «separare, pesare, distinguere» sino al patrimonio linguistico, che si arricchisce di significati inusuali e molto specifici: «“nero come…”; “amaro come…”; vischioso, tenace, greve, fetido, fluido, volatile, inerte, infiammabile: sono tutte qualità che il chimico conosce bene, e per ognuna di esse sa scegliere una sostanza che la possiede» [AM 811]. Per Levi non c’è discrepanza tra assemblare un lunga catena di molecole per realizzare una vernice e unire assieme le parole per scrivere un libro. Si tratta comunque di selezionare gli elementi giusti e scegliere accuratamente le parole per la loro efficacia: «non c’è molta differenza tra costruire un apparecchio per il laboratorio e costruire un bel racconto. Ci vuole simmetria. Ci vuole idoneità allo scopo. Bisogna togliere il superfluo. Bisogna che non manchi l’indispensabile. E che alla fine tutto funzioni»5. Per Levi anche la scrittura, come la chimica e la scienza, è un agire razionale

e nel Sistema periodico l’autore lo teorizza apertamente, facendo derivare il suo scrivere da un processo biologico comune quanto impercettibile: attraverso un atomo di carbonio

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che alimenta il cervello dell’autore stesso. Nel passo conclusivo di Carbonio l’azione dello scrivere del personaggio Levi è sovraintesa dal cervello, centro della razionalità umana e baluardo contro il brutto potere. Anche la scrittura come la ragione e la scienza si oppone al caos nella ricerca di ordine:

Nei miei libri, nei primi ma anche nel recente I sommersi e i salvati, ravviso semmai un grande bisogno di riordinare, di mettere ordine in un mondo caotico, di spiegare a me stesso e agli altri […] Scrivere è un modo per mettere ordine. Ed è il migliore che io conosca, anche se non ne conosco molti6.

Il sistema periodico non si limita a mettere in ordine degli avvenimenti della vita di Levi,

ma anche a mettere ordine nella sua vita di chimico e scrittore, mostrando come le due carriere, tutt’altro che separate, si compenetrino a vicenda e come anche la scrittura abbia una sua chimica non fatta di atomi, ma di segni, parole e significati.

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1. La tavola periodica di Levi

Il sistema periodico viene pubblicato nel 1975 da Einaudi. Si tratta del quinto libro di

Primo Levi e nelle sue pagine l’autore fa il punto della sua carriera di chimico e insieme di scrittore, costruendo una sua personalissima tavola periodica degli elementi, i quali attraversano tutta la sua vita. Prima di parlare dell’opera in sé, di affrontare la sua complessa genesi, la struttura articolata che la sorregge, assieme al problema del genere letterario e dello stile, occorre contestualizzarla: definire che scrittore sia Levi a metà degli anni Settanta; come si presenti nelle interviste; cosa si aspettino lettori e critica da lui.

1.1. Il contesto: Primo Levi chimico e scrittore

Il 1° dicembre 1974 Primo Levi, all’età di cinquantacinque anni, festeggia il suo pensionamento dalla ditta di vernici Siva dopo ventisette anni di servizio. Anche se continuerà a svolgere il ruolo di consulente occasionalmente fino al 1978, si tratta comunque di un momento sognato da Levi a cui le responsabilità di direttore generale ormai pesano, poiché desidera dedicarsi alla scrittura a tempo pieno7: «ho fatto seriamente e per ventisei anni l’ingegnere chimico, dirigendo una fabbrica. Ho smesso pochi mesi fa con una grande sensazione di sollievo per il maggior tempo libero e per la cessazione della responsabilità»8.

Tecnico di giorno e scrittore di notte, o nei pochi ritagli di tempo libero, Primo Levi nel 1974 è già autore di quattro libri: Se questo è un uomo (Edizione de Silva 1947 poi Einaudi 1958) e La tregua (1963) sono testimonianze della deportazione ad Auschwitz e del tortuoso ritorno in Italia dopo la liberazione; Storie naturali (1966 pubblicato con lo pseudonimo Damiano Malabalia) e Vizio di forma (1971) sono invece raccolte di racconti fantascientifici. Mentre i primi valsero a Levi un grande successo editoriale in Italia e la vittoria della prima edizione del premio Campiello con La tregua, i successivi ricevettero recensioni tiepide. I critici italiani non trovavano modo di conciliare le due facce della produzione letteraria di Levi: da un lato quella memorialista, testimoniale e basata sui

7 THOMSON 2017, pp. 490-522. 8 BRUCK 1976, p. 85.

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fatti, dall’altra quella favolista, intrisa di fiction e fantascienza. Ciò che ne seguì fu l’elaborazione, incoraggiata dallo stesso autore in numerose interviste, di una mitologia dello scrittore scisso interiormente, proprio come il mitico centauro protagonista del racconto Quaestio de centauris: metà uomo e metà cavallo, da una parte saggio maestro, dall’altra creatura irrazionale9. Levi si presenta analogamente diviso in un’intervista del 1966, tenuta in occasione della messa in scena di tre racconti delle Storie Naturali. L’autore risponde così a Edoardo Fadini, che chiede espressamente se esista una correlazione tra l’uomo del Lager e le sue storie di fantascienza:

«Io sono un anfibio, un centauro» […] E mi pare che l’ambiguità della fantascienza rispecchi il mio destino attuale. Io sono diviso in due metà. Una è quella della fabbrica, sono un tecnico, un chimico. Un’altra, invece, è totalmente distaccata dalla prima, ed è quella nella quale scrivo […] Sono proprio due mezzi cervelli. È una spaccatura paranoica […] E sono due parti di me stesso talmente separate che sulla prima, quella della fabbrica, non riesco nemmeno a lavorarci su con la penna e la fantasia10.

Sono molti però gli elementi che compongono l’ibrido Primo Levi: non soltanto il chimico da una parte e dall’altra il narratore, ma anche autore di due libri di testimonianza sull’orrore concentrazionario e contemporaneamente scrittore, in senso tradizionale, che rivendica il proprio diritto all’invenzione in brevi racconti, che sembrano non aver alcun rapporto con l’esperienza vissuta; a queste Levi aggiungerà negli anni anche la scissione tra l’essere italiano ed ebreo11.

In realtà Levi mostrerà in seguito, nei suoi scritti e nelle sue interviste, come queste divisioni non siano affatto «paranoiche» e contraddittorie, ma si influenzino reagendo tra di loro nella pagina scritta. In Ex chimico (1980), che compare nella raccolta L’altrui

mestiere (1985), l’autore affronta il passaggio dal mestiere di chimico a quello di scrittore.

Esistono delle affinità tra i due lavori e queste affinità costituiscono dei benefici: le esperienze tratte dal confronto continuo con la materia, le vittorie su di essa, ma soprattutto le sconfitte sono combustibile per il suo scrivere; l’abitudine mentale del non fermarsi alla superficie delle cose, ma cercare di comprenderle, utilizzando l’arte del separare, pesare e distinguere, costituisce un metodo imprescindibile anche per lo scrittore che deve impaginare fatti accaduti o inventati; infine il mestiere di chimico dona

9 Ivi, pp. 437-438.

10 FADINI 1966, pp. 17-18. 11 BELPOLITI 2018, p. XV

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allo scrittore un repertorio linguistico ampio e dettagliato, arricchito di quei significati che sono propri della chimica:

Per tutti questi motivi, quando un lettore si stupisce del fatto che io chimico abbia scelto la via dello scrivere, mi sento autorizzato a rispondergli che scrivo proprio perché sono un chimico: il mio vecchio mestiere si è largamente trasfuso nel nuovo. [AM 810-811]

Il testo amplifica e meglio chiarisce quanto già Levi aveva precedentemente affermato nel corso di un’intervista con Gabreilla Poli nel 1976:

Mi sono sentito […] un chimico che possiede, accanto agli strumenti di laboratorio, uno strumento in più: agile, preciso, ben tarato. Mi è parso appropriato trasferire nel mio nuovo mestiere il metodo di quello vecchio: pesare, separare unire: spesso mi chiedono: ‹‹Perché tu sei un chimico e scrivi?›› Rispondo: ‹‹Scrivo proprio perché sono un chimico››. La mia professione mi serve a comunicare esperienze12.

Il legame tra testimonianza e scrittura è ancora più forte perché dall’una scaturisce l’altra. Levi identifica nell’esperienza di Auschwitz la ragione prima della sua scelta letteraria:

Conosco compagni di deportazione e compagne di deportazione che hanno cancellato tutto […] altri ancora ci vivono dentro e io ho scelto questa via. Non saprei dire per quale motivo, ma ho l’impressione, se non sembra cinica l’espressione, che mi abbia arricchito questa avventura, cioè mi ha fornito un’enorme mole di esperienze, di cui ho travasato una parte abbondante nei miei libri. […] perché io probabilmente non avrei mai scritto se non avessi avuto queste cose da scrivere.13

Trasfondere e travasare: sono le esperienze quelle che sorreggono gli scritti di Levi, legando assieme tutte le sue molteplici sfaccettature di uomo, compresa anche quella di essere un italiano ebreo. Rispondendo a Philip Roth, che lo incalza sulla «tensione tra radicamento e impurità», in una conversazione avvenuta nel 1986 e pubblicata postuma, Levi afferma che:

Non vedo contraddizione fra la ‹‹rootedness›› ed il sentirsi “un grano di senape”. Per sentirsi tale, cioè un catalizzatore, uno stimolo per l’ambiente culturale a cui si appartiene, […] non c’è bisogno di leggi razziali, né di antisemitismo, né di razzismo in generale, però è utile appartenere ad una minoranza, ossia, in altri termini, non essere troppo puri. […] Insomma il possedere due tradizioni, come avviene per gli ebrei ma non solo per loro, è una ricchezza, per gli scrittori e non solo per gli scrittori.

12 POLI 1976, p. 112. 13 LUCE 1982, pp. 312-313.

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[…] A mondo mio, sono rimasto un’impurezza, un caso anomalo, ma per altri motivi: non tanto come ebreo, ma come superstite di Auschwitz, e come scrittore outsider, che non proviene dall’establishment letterario o accademico ma dal mondo dell’industria.14

Come suggerisce Roth nel corso della stessa intervista: «non solo il sopravvissuto e lo scienziato sono inscindibili, ma anche lo scrittore e lo scienziato […] c’è un’unica anima, di invidiabile capienza e priva di saldature15». Questa unità si materializza per la prima volta quando Il sistema periodico trova la sua stesura definitiva. Libro singolare, che mette assieme autobiografia, chimica, testimonianza e finzione, saldando le spaccature di un autore che ha dismesso da poco i panni del tecnico per indossare quelli dello scrittore a tempo pieno. Il sistema periodico raccoglie ventuno racconti, episodi, alcuni tratti dalla vita dell’autore, altri di invenzione, che ruotano ciascuno attorno ad un elemento della tavola periodica di Mendeleev. Anche se il libro non divenne propriamente un bestseller, ne furono comunque vendute migliaia di copie e l’accoglienza della critica letteraria fu positiva a tal punto che la lettura del libro divenne un segno di distinzione intellettuale16. A metà degli anni ’70 e grazie al Sistema periodico, Levi può finalmente riconoscersi nel titolo di scrittore a cui aveva sempre ambito17.

Il primo a leggere il dattiloscritto definitivo del libro fu Italo Calvino, il suo commento costituisce la prima recensione positiva al testo antecedente alla pubblicazione e fornisce anche alcuni spunti di riflessione sulla genesi e sulla struttura del Sistema

periodico:

Parigi, 12 ottobre 74 Caro Primo,

ho guardato Il sistema periodico nuova stesura e mi pare che vada molto bene. Ho letto i nuovi capitoli Ferro, Fosforo, Azoto, Uranio, Argento, Vanadio, che arricchiscono l’‹‹autobiografia chimica›› (e morale).

Mettere Carbonio in fondo, facendogli simboleggiare l’esperienza dello scrittore è una buona idea. Ed essendo ora tutto l’impianto del libro più robusto, anche l’eterogeneità di Piombo e Mercurio (in corsivo) non turba l’insieme.

Quanto a Argon ho sempre le mie riserve sul fatto che sia in apertura (nonostante il suo valore di prologo) perché è il solo capitolo in cui l’elemento chimico sia metaforico; anche qui la difformità strutturale darebbe meno nell’occhio se il capitolo comparisse verso la metà del libro. […] Ma se i capitoli seguono un ordinamento anche per peso atomico (con eccezioni, mi pare) non parlo più.

14 ROTH 1986, pp. 1084-1085. 15 Ivi, pp. 1080-1081.

16 THOMSON 2017, pp. 513. 17 Ivi, pp. 512-513.

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Insomma, secondo me adesso il libro c’è e ne sono molto contento. Spero di rivederti presto,

tuo Calvino [LT 1256]

Calvino segnala innanzitutto la presenza di una nuova stesura e l’aggiunta ad essa di sei nuovi capitoli: si tratta di un fatto piuttosto importante perché Levi si è dimostrato finora uno scrittore di getto, mentre Il sistema periodico richiese molto tempo e lo studio di una struttura adeguata. A proposito della struttura l’autore rileva una cornice (delle tante) data dalla posizione in chiusura di Carbonio, scelta per simboleggiare l’esperienza dello scrittore. Si dimostra in disaccordo solamente per la posizione di Argon, perché si differenzia troppo dagli altri racconti e la sua posizione in apertura risalta troppo all’attenzione. Subentra qui un’annotazione singolare: Calvino è disposto a riconoscere la scelta di Argon come testo iniziale, se i capitoli sono disposti anche per successione di peso atomico, ma contemporaneamente marca la presenza di eccezioni, senza specificare quali. È quasi un eufemismo dato che questa regola non è assolutamente rispettata. Non è chiaro se la disposizione in sequenza di peso atomico sia una supposizione dello stesso Calvino, se l’idea gli sia stata suggerita da una precedente redazione del testo (la cui esistenza si ricava dalla presente lettera), o se sia stato Levi stesso a suggerirla parlando della tavola di Mendeleev. Quale che sia la risposta, resta comunque un fatto rilevante perché quel valore metaforico che Calvino riconosce ad Argon è lo stesso che giustifica la presenza del sistema periodico nel testo.

Datazione dei testi, loro rielaborazione, ordine e rapporti intertestuali, nonché la natura duplice, autobiografica e mendeleeviana, della cornice del Sistema periodico sono tutti aspetti che verranno indagati nei prossimi paragrafi.

1.2. L’idea: dall’epica del mestiere di chimico all’autobiografia

chimica

Il sistema periodico raccoglie racconti pensati e scritti in un arco di tempo di quasi

trent’anni: contrariamente a quanto avvenuto per Se questo è un uomo e la Tregua, per i quali Levi possedeva molto chiaramente sia materia da raccontare sia schema di lavoro, per Il sistema periodico necessita invece di una lunga gestazione per definire chiaramente la materia e per trovare una struttura adeguata. Si tratta quindi di un testo pensato e costruito, che ha richiesto anni di preparazione e rielaborazione: i capitoli più datati,

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Carbonio, Argon, Titanio, Zolfo e Ferro, sono racconti dai contenuti disparati, alcuni

compaiono in rivista in forme molto diverse dalle definitive e senza l’idea di fondo di una struttura che li contenga tutti, sviluppando un percorso coerente.

Il germe di questa idea è rintracciabile già nel 1963, al tempo della pubblicazione della Tregua. Intervistato da Pier Maria Paoletti in occasione della candidatura al primo premio Campiello, Levi precisa:

Guardi, in fondo oggi forse mi diverte più scrivere che fare il chimico e tuttavia un’altra aspirazione da coltivare in segreto sarebbe quella di trovare un punto di congiungimento, mi lasci dire, raccontare cioè al pubblico il significato della ricerca scientifica, una documentazione fantastica, ma non poi tanto, di ciò che avviene nel chiuso dei laboratori, che è poi riprodurre sotto veste moderna le emozioni più antiche dell’uomo, le più misteriose, il momento dell’incertezza, ammazzare il bufalo o non ammazzarlo, trovare quel che si cerca o non trovarlo. C’è tutta una tradizione narrativa, vede, sulla vita dei minatori, o dei medici o delle prostitute: quasi niente sulle avventure spirituali di un chimico18.

Levi desidera scrivere un testo capace di trovare un punto di contatto tra quelle due metà, chimico e scrittore, che lo caratterizzano e allo stesso tempo rendere conto ai propri lettori le sfide e le meraviglie del suo primo mestiere, fin troppo assente dalla tradizione letteraria non solo italiana ma generale. Avventure spirituali di un chimico: l’emozione di trovare un’idea, verificarla con i fatti, confermandola o smentendola, è paragonabile soltanto ad uno dei più antichi mestieri dell’uomo: la caccia, con le sue incertezze, il pericolo della sconfitta e della morte, e le sue vittorie. Si tratta di una metafora venatoria che comparirà altre volte nelle interviste e anche nel testo stesso, e che rivela l’idea di un libro giocato in chiave epica, sulla scia delle opere di Conrad19, autore che Levi apprezzava tanto da inserirlo nella sua antologia personale La ricerca delle radici. In questo testo Levi ne parla come di un ‹‹uomo di terra [che] si è fatto uomo di mare per profonda vocazione; nobile polacco, si è fatto inglese; capitano della marina mercantile si è fatto scrittore. È un buon esempio di come un uomo possa costruire sé stesso.›› [RR 77]. Conrad è un uomo che si è costruito per come voleva, da marinaio a scrittore, esattamente come Levi si costruisce nel Sistema periodico, passando da chimico a scrittore. Tuttavia in questi anni le epiche avventure di un chimico alla scoperta della materia sono quelle di un chimico ideale, capace di rappresentare il mestiere in modo esemplare; manca ancora un elemento cruciale per l’impostazione del libro:

18 PAOLETTI 1963, p. 11. 19 THOMSON 2017, p. 252.

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l’autobiografia. Da queste poche osservazioni si capisce che nel 1963 Levi non aveva già in mente quello che sarebbe stato poi Il sistema periodico: se il libro pubblicato nel 1975 reca ancora delle tracce di epica conradiana, essa però non rappresenta più la soluzione narrativa dominante. Le avventure non sono più quelle di un chimico generico, ma del chimico Primo Levi: l’elemento autobiografico si è intersecato nel frattempo con quello epico.

Un altro indizio del processo creativo è presente nell’intervista del 1966 di Edoardo Fadini:

“Ho tentato di fare dei racconti sulla mia vita di fabbrica. Sono i peggiori. No. Non ci riuscirò mai, ne sono sicuro. È l’altro mondo che si realizza nei miei libri. Quello che comprende le mie esperienze giovanili, la discriminazione razziale, i miei tentativi di non differenziarmi dai miei compagni di scuola, poi il mio recupero della tradizione ebraica (ebraismo opposto a fascismo, come libertà a terrore […] e la guerra partigiana, e infine i Lager e l’averne scritto di questa mostruosa distorsione dell’umano.”20

In queste parole si può già scorgere il comparire della materia autobiografica: l’altro mondo di cui Levi parla è quello della sua giovinezza, che sarà proprio dei racconti da

Argon a Cromo (con le eccezioni di Piombo e Mercurio). Scrivere di queste vicissitudini

gli è congeniale, mentre emerge invece la difficoltà di scrivere del lavoro in fabbrica, materiale che occuperà poi tutti i racconti successivi a Cromo, con l’esclusione di Titanio e Carbonio; i due blocchi di materia che compongono Il sistema periodico sono qui abbozzati, ma solo come suggestioni e soprattutto sono ancora molto lontane dal poter convivere in un unico testo narrativo.

Una data più precisa sull’inizio della produzione di alcuni testi è il 1968. Ce ne dà conto un’altra intervista, rilasciata a Mladen Machiedo, traduttore croato di Levi, svoltasi il 28 febbraio del 1968. Machiedo interroga l’autore sulla sua futura attività di scrittore: riferendosi ad un suo quarto libro, Levi risponde:

L’ho iniziato. Sarà un libro sulle mie esperienze di chimico. All’infuori di queste, non ho più molto da dire. Il primo racconto, descrive il mio amore giovanile per la chimica, anzi per l’alchimia; […] Ho scritto un altro racconto su un atomo. L’ho letto a qualcuno. In generale l’hanno trovato noioso; è piaciuto invece agli scienziati che è già un cattivo segno.

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Nella scienza ognuno ha avuto qualche avventura, anche se poi non ha scoperto nulla. È come la caccia. Si va a caccia, si spara, si uccide la selvaggina o la selvaggina scappa o si rimane uccisi.21

È avvenuto un passaggio importante: il prossimo libro di Levi sarà sulle sue esperienze di chimico: l’elemento autobiografico ha finalmente trovato posto nell’idea generale di questa sua opera chimica. Non solo, il modo in cui Levi esordisce è eloquente: ha già iniziato a scrivere alcune parti e cita rispettivamente due racconti, i futuri Idrogeno e

Carbonio. Sono due testi indicativi: il primo recupera quanto detto nell’intervista a Fadini

sulle esperienze giovanili, mentre l’altro è un testo scientifico, che ricorda quelli di Storie

naturali. La reazione chimica si è innesca, ma manca ancora la cornice adatta, una

struttura capace di rendere coerente l’intero progetto.

Salta all’evidenza però un problema di ordine cronologico: Levi sta parlando in questa intervista del suo quarto libro, ma nel 1971 pubblica Vizio di forma, con ben quattro anni di anticipo riaspetto al Sistema periodico, che sarà quindi il quinto. È probabile che i due progetti siano stati portati avanti contemporaneamente e che Vizio di

forma sia stato pubblicato prima perché è una raccolta di racconti gemellata con le Storie naturali. Tuttavia questo slittamento di pubblicazione è anche il sintomo di

un’insicurezza riguardo l’andamento del progetto letterario, già rintracciabile nell’intervista a Machiedo: il testo sull’atomo riscuote l’interesse solo degli scienziati e la vena creativa dell’autore è ormai unicamente legata alle vicende chimiche. La stessa negatività si ripropone nel 1971 in una lettera a Piero Bianucci:

Per quanto riguarda il mio ‘attuale lavoro di narratore’, esso si riduce per il momento ad assai poco, anzi nulla. Ho in mente un progetto vago di trovare una congiungente, un meticciamento fra le mie attività (di chimico e di scrittore): ma per ora il risultato si riduce a una ventina di cartelle che, in fondo a un cassetto, attendono un tempo migliore.22

Il progetto del Sistema periodico è fermo ad una serie di cartelle che prendono polvere dentro ad un cassetto; si ricava nonostante tutto un nuovo dato interessante da questa lettera: Levi a questo punto non solo vuole trasmettere il mondo della chimica ai lettori, non desidera soltanto costruire un’epica del proprio mestiere, ma trovare un

21 MACHIEDO 1968, p. 33. 22 BELPOLITI 2015, p. 253.

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meticciamento tra l’attività di chimico e scrittore, una vera e propria ibridazione: raccontare anche la storia della sua vocazione di scrittore.

Le difficoltà nella stesura dell’opera proseguirono anche negli anni successivi, come testimoniato da alcune lettere inviate a corrispondenti abituali. Nel 1973 Levi scrive a Hety Schimtt-Maas commentando l’andamento generale del libro, che alcune parti sono noiose, altre divertenti, nessuna memorabile23. Nello stesso anno scrive anche a Ezra BenGershôm definendo il libro come un parto difficile e doloroso: la sua stesura procede a singhiozzi, dovendo l’autore combattere costantemente con la fatica derivante sia dal lavoro che dai continui sbalzi d’umore della depressione.24 Levi però non abbandona il progetto: trovata la chiave di volta dell’autobiografia il progetto si concretizza in meno di due anni; lo testimonia il dattiloscritto consegnato a Einaudi in cui la datazione mostra che la maggior parte dei capitoli sono stati scritti tra il 1972 e il 1974: nel 1973 Levi ne compone ben dieci, quasi la metà del totale25. Gli altri trovano una sua stesura definitiva nel 1974, alcuni durante un soggiorno estivo a Pietra Ligure26. Il manoscritto che Levi inviò per primo a Calvino conteneva tutti i ventuno racconti, di cui sedici completamente nuovi e cinque, Ferro, Oro, Zolfo, Titanio, Carbonio, già editi in precedenza e sottoposti a revisioni e riscritture. Si tratta della stessa versione che verrà mandata in stampa qualche mese dopo.

Il dattiloscritto del Sistema periodico fornisce numerose informazione sulle date e sulla stesura di molti dei testi che formano il libro:

Si compone di 195 pagine numerate più due pagine ‹‹bis››. Ci sono tutti i capitoli, battuti a macchina su fogli differenti tra loro, con l’inserimento di parti mediante nastro adesivo su stesure precedenti sempre a macchina per scrivere; in alcuni casi si tratta di fotocopie di dattiloscritti. Presenta varie correzioni e parti cassate, segno di un lavoro che continua sino all’ultimo, come negli altri suoi libri, e sotto le strisce di carta si trovano versioni antecedenti. […] La maggior parte dei racconti è dunque del 1973-74 (14 su 21); solo tre capitoli sono del 1972, anno in cui ha inizio la stesura finale del libro: stesura che comincia con Cromo nel novembre del 1972 e termina con Vanadio nel settembre del 1974. […] La stesura dei capitoli non segue la successione che poi assumeranno nell’indice definitivo27

23 THOMSON 2017, p. 492. 24 Ivi, p. 496. 25 BELPOLITI 2016, pp. 1517-1518. 26 THOMSON 2017, p. 500. 27 BELPOLITI 2016, p. 1521.

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La prima stesura di Cromo è del 1972, ma nel dattiloscritto è datato 18 novembre 1973 e rispetto alla versione precedente riporta l’aggiunta di un brano; anteriori a Cromo sono sicuramente sia Titanio sia Zolfo. Titanio reca la data del 1947 anche nel dattiloscritto Einaudi e venne pubblicato in maniera indipendente il 19 settembre 1948 sulla rivista “Italia socialista” con il titolo Maria e il cerchio. Zolfo reca nel dattiloscritto una doppia data, 31 agosto 1950 e 20 luglio 1973: la prima è quella relativa alla pubblicazione del racconto Turno di notte su “L’unità”; in questa prima versione l’espediente chimico della narrazione era costituito dal bicarbonato, poi convertito in zolfo nella riscrittura del 1973 per essere inserito nello schema della tavola periodica. Per quanto riguarda Carbonio la data riportata sul dattiloscritto è il 1970, ma la volontà di scrivere un testo su un atomo di carbonio è però di molto precedente: Levi ne aveva un’idea già prima di essere deportato ad Auschwitz, dove ne parla con Jean Sameuel28, il Pikolo di Se questo è un uomo. Thomson lo retrodata addirittura al 1943 durante il periodo di detenzione ad Aosta basandosi sulla nota all’edizione scolastica apposta al testo da Levi stesso29. Lo stesso

Levi scrive nel racconto:

Proprio verso il carbonio ho un vecchio debito, contratto in giorni per me risolutivi. Al carbonio elemento della vita, era rivolto il mio sogno letterario, insistentemente sognato in un’ora e in un luogo nei quali la mia vista non valeva molto. [SP 1027].

Il brano si adatta ad entrambe le situazioni, sia quella del campo di sterminio, sia quella della detenzione ad Aosta, data la minaccia costante della fucilazione da parte dei fascisti. Sicuramente la sua prima stesura risale invece al 1968 come testimonia l’intervista a Machiedo. Carbonio apparve inoltre nel 1972 nella rivista “Uomini liberi” con alcune differenze testuali rispetto al dattiloscritto.

Al 1972 appartengono sia Stagno, datato 16 aprile, che Zinco, 3 dicembre. Anche

Cerio viene datato nel 1972, con riferimento a due giorni diversi, il 17 e 31 dicembre; è

probabile tuttavia che il testo sia una rielaborazione di un’idea o del materiale di scarto di Se questo è un uomo. L’idea era già presente nella riedizione del 1958, come testimonia un appunto dell’autore, ma potrebbe risalire persino alla stesura del 1947 dal momento che Levi afferma di non averlo inserito in Se questo è un uomo per il suo carattere troppo allegro rispetto resto del libro. Potassio, 4 febbraio, e Nichel, 1 maggio, sono i primi testi datati nel 1973, seguiti da Oro, 26 maggio, poi pubblicato il 18 luglio 1974 sulla rivista

28 MATTIODA 2011, p. 99. 29 THOMSON 2017, p. 492.

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21

Il mondo; Arsenico 10 agosto, e Piombo 30 settembre. Il 1974 è l’anno di Mercurio, 6

gennaio, Ferro, 15 aprile, Fosforo, 1 maggio, Uranio, 30 giugno, Azoto, Pietra Ligure 14-19 agosto, Argento, Pietra Ligure 14-14-19 agosto, Vanadio, 15 settembre 14-1974. Per quanto riguarda Ferro è anch’esso un testo nato da un racconto precedente: si tratta de La carne

dell’orso, pubblicato per la prima volta nel 1961 sulla rivista Il mondo e che presenta

sostanziali differenze soprattutto sotto il punto di vista stilistico.

Di due testi infine il dattiloscritto non riporta le date dell’ultima stesura: Idrogeno e Argon. Del primo sappiamo che un abbozzo è contemporaneo di Carbonio dal momento che il suo contenuto viene citato nell’intervista di Machiedo del 1968. Per quanto riguarda

Argon la situazione è più complessa: esiste infatti una prima stesura dattiloscritta risalente

al 24 giugno 1973, presentata da Cavaglion30, e indipendente da quella Einaudi. In questa stesura il testo differisce per la presenza di un’epigrafe latina, quem leges, ut noris, poi espunta, e per lunghezza ridotta di circa tre pagine rispetto alla versione definitiva, che sono quelle in cui compare l’elemento autobiografico31; il testo doveva originariamente

essere stato concepito da Levi come un saggio sugli ebrei piemontesi e sul gergo ebraico-piemontese e solo successivamente raccordato al Sistema periodico, con la descrizione dei propri parenti. Nella veste di saggio è possibile pensare che questo testo esistesse fin dal 1946, ovvero dal rientro in Italia dopo la deportazione32.

Questo excursus cronologico mette in evidenza come alcuni testi del Sistema

periodico costituiscano addirittura alcuni tra i primi esperimenti letterari di Levi, e come

l’elaborazione di questo testo, nella sua struttura complessiva così come nei singoli racconti, abbia attraversato buona parte della vita dell’autore. Tutto ciò è utile per comprendere la struttura definitiva che Levi ha dato al testo: come sottolineato anche da Belpoliti, la cronologia della stesura dei racconti non detta legge nel susseguirsi dei capitoli all’interno del testo. L’ordine è invece garantito da altri due fattori: la tavola periodica degli elementi e i dati biografici di Primo Levi. L’avventura del mestiere di chimico è diventata in tutto e per tutto l’avventura di un uomo e insieme quella dell’Italia durante la seconda guerra mondiale, ma anche quella del popolo ebraico, elemento di impurità, nella storia contemporanea d’Europa.33 Prima di affrontare la struttura del testo

è necessario però soffermarsi sul genere del Sistema Periodico.

30 CAVAGLION 1991, pp. 169-196. 31 Ivi, p. 187.

32 MATTIODA 2011, p. 99. 33 BELPOLITI 2015, p. 258.

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1.3. Il genere letterario: microstoria, autobiografia, romanzo di

formazione, raccolta di racconti

Primo Levi è uno scrittore singolare perché nella sua grande produzione letteraria ha scritto solamente un’opera che può essere definita a pieno titolo un romanzo: si tratta di

Se non ora quando?, pubblicato nel 1982. Anche se altre opere di Levi sono state

impropriamente definite romanzi, come ad esempio Se questo è un uomo e La tregua, nessuna lo è. Generalmente Le opere di Levi raccolgono una serie di episodi, divisi in capitoli identificati da un titolo che ne sintetizza il contenuto34. Ogni capitolo può anche essere letto però come un testo indipendente: infatti si tratta di veri e propri racconti legati assieme da una struttura ben definita. Belpoliti fornisce una descrizione dei racconti di Levi, basandosi sulla definizione di novella:

Novella sta per notizia, novità, indica un tipo di narrazione breve che ha come proprio contenuto una vicenda reale o immaginaria. Le novelle appartengono alla tradizione letteraria italiana, alle sue origini, il Novellino, il Decameron, e precedono la nascita del racconto vero e proprio. Si caratterizzando per la brevità, l’unità dell’evento narrato, per la conclusione che sfrutta a fondo le premesse, ma anche per l’insegnamento morale che vi è enunciato. L’intento del narratore di novelle è sempre quello di modificare il proprio ascoltatore o lettore: persegue la finalità del

docere e non solo quella del delectare. Levi è uno scrittore moralista […]

leggendolo, si ha la sensazione che le sue storie nascano da un bisogno di ordine: solo raccontando i fatti della vita essi possono assumere una ‹‹forma››, un pattern, rivelando al contempo la loro verità nascosta35.

I capitoli del Sistema periodico si adattano bene a questa definizione e le novelle ottocentesche sono quasi sicuramente gli esempi da cui Levi trae ispirazione36, ma l’autore stesso non chiama mai i suoi testi in questo modo, preferendo invece sempre il termine racconto.

Il sistema periodico è l’esempio più rilevante, assieme alla Chiave a stella, della

predilezione di Levi per il testo breve e la conseguente capacità di organizzarlo coerentemente. Nell’ultimo capitolo del libro è proprio l’autore a dare delle indicazioni sul genere dell’opera:

34 Ivi, pp. 7-8. 35 Ivi, pp. 352 – 353. 36 Ivi, p. 354.

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Il lettore, a questo punto, si sarà accorto da un pezzo che questo non è un trattato di chimica: la mia presunzione non giunge a tanto […] Non è neppure un’autobiografia, se non nei limiti parziali e simbolici in cui è un’autobiografia ogni scritto, anzi, ogni opera umana: ma storia in qualche modo è pure. È, o avrebbe dovuto essere, una microstoria, la storia di un mestiere e delle sue sconfitte, vittorie e miserie, quale ognuno desidera raccontare quando sente prossimo a conchiudersi l’arco della propria carriera, e l’arte cessa di essere lunga. [SP 1026]

In Carbonio Levi spiega gli intenti che hanno animato la scrittura del testo e ricava delle definizioni in negativo. Il sistema periodico non è un testo di chimica: non vi si parla della struttura degli atomi o di altri problemi scientifici, ma delle esperienze di vita dell’autore collegate ad un dato elemento chimico. Non è nemmeno puramente un’autobiografia: tutto ciò che viene scritto riflette in qualche modo l’esperienza dell’autore, ma l’autobiografia in senso proprio non è ciò che gli interessa. Ciò che Levi si proponeva di scrivere non era un’autobiografia tradizionale, ma una microstoria.

Con microstoria oggi si indica una corrente storiografica che privilegia lo studio di fatti minuti della storia umana in ambiti circoscritti. Si tratta di una categoria che riguarda gli studi storiografici piuttosto che la letteratura. Levi fu uno dei primi autori italiani ad impiegare il termine, favorendone la diffusione nel lessico: si imbatté nella parola verosimilmente durante la lettura del romanzo Les fleurs bleues di Raymond Queneau, nella traduzione operata da Italo Calvino37. In questo testo Queneau usa la parola

microstoria in uno scambio di battute sulla storia, tra il duca d’Auge e il suo cappellano: il risultato è proprio quello di mettere in evidenza l’aspetto tecnicistico del termine, che non viene compreso dal Duca. Queneau fa eco alla teoria di Fernand Braudel, citando apertamente l’histoire événementielle e attribuendo alla microstoria un valore negativo, di poca rilevanza38 (nel testo si parla infatti dell’importanza storica da attribuire al matrimonio delle figlie del duca). Levi nel Sistema periodico tratta effettivamente una microstoria perché scrive di una condizione minoritaria, quella del mestiere di chimico, e ancor più in particolare della sua singolare esperienza di tecnico chimico. Levi sceglie la microstoria perché vuole rivalutare l’importanza del proprio mestiere troppo poco conosciuto, percepito solo come funzionale e pressoché assente dalla letteratura. Il

sistema periodico per il suo autore non è quindi un’autobiografia e si presenta invece

come una microstoria: si tratta di un’affermazione programmatica, funzionale alla

37 GINZBURG 2006, p. 246. 38 Ivi, p. 244.

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conclusione del testo, piuttosto che di una vera e propria identificazione del genere letterario.

L’idea dell’autobiografia torna però anni più tardi: Giovanni Tesio chiede a Levi se abbia mai pensato di scriverne una e l’autore risponde seccamente «L’ho scritta››. Allorché il critico precisa che non intende ‹‹il sistema periodico, che è un’autobiografia

per modo di dire» ma «un’autobiografia esplicita, senza altri filtri se non della scrittura39.» Levi si limita a rispondere che un testo del genere sarebbe troppo doloroso

per lui da scrivere. Se ne ricava che l’autore non considera davvero il suo testo un’autobiografia, ma che Il sistema periodico è il testo più simile ad un’autobiografia che potrà mai scrivere (se si considerano Se questo è un uomo e La tregua come una testimonianze). I dati biografici da soli non sono sufficienti per far rientrare un testo nel genere letterario dell’autobiografia e questo lo sanno bene sia Tesio sia Levi. Il genere dell’autobiografia è stato analizzato nel 1975 da Philippe Lejeune nel testo Le pacte

autobiographique: «l’autobiografia è un racconto retrospettivo in prosa che una persona

reale fa della propria esistenza, quando mette l’accento sulla sua vita individuale, in particolare sulla storia della sia personalità»40. Fin qui potrebbe sembrare che Il sistema

periodico rientri nella definizione con qualche licenza, ma il critico francese puntualizza

ulteriormente questo assunto. Lejeune descrive l’autobiografia come un genere contrattuale, che prevede un patto di lettura basato sull’identità dichiarata tra autore del libro, narratore del racconto e il personaggio di cui si parla. Il patto autobiografico consiste proprio nell’affermazione di tale identità nel testo: che sia esplicitata dal titolo dell’opera, dichiarata dall’autore stesso in una premessa, oppure si riveli nel corso della narrazione la corrispondenza tra chi dice ‹‹io›› nel testo e il nome proprio presente sulla copertina del libro deve essere confermata. Questa è la premessa indispensabile affinché un testo possa dirsi compiutamente un’autobiografia, genere fattuale, distinguendola dal romanzo, genere tipicamente finzionale41. Nel Sistema Periodico è chiaro e comprovato dalla prova dei fatti che gli eventi descritti siano quelli della vita di Primo Levi, autore stesso del libro, ma nel testo questa identità non viene mai esplicitata. È un’eventualità che Lejeune indica con il nome di patto assente, ovvero di un caso in cui il personaggio non ha nome e l’autore non stringe né un patto autobiografico, né tantomeno romanzesco, lasciando libero il lettore di decidere in che modo leggere il testo. Il patto assente per

39 TESIO 1987, p. 1040. 40 LEJEUNE 1975, p. 12. 41 Ivi, pp. 11-48.

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Lejeune non rientra nel genere dell’autobiografia42. Ci sono poi altri aspetti da

considerare e che squalificano Il sistema periodico dal genere autobiografico: innanzi tutto la volontà stessa con cui è nato il testo: non solo per porre l’accento sulla vita individuale di Primo Levi, ma per far assaporare al lettore un brivido del mestiere di chimico. Protagoniste dei racconti sono proprio le avventure chimiche con i loro esisti formativi e morali su chi sta narrando. L’elemento autobiografico è per l’autore una cornice che struttura il testo, non il punto focale del racconto. Ci sono poi racconti in cui è Levi a raccontare, ma in realtà i protagonisti sono altri: è il caso di Ferro e Cerio, monumenti di parole per Sandro e Alberto, amici molto cari di Levi che non sono sopravvissuti alla resistenza e alla deportazione. Troviamo poi quei racconti che esulano dall’esperienza diretta, o perché inventati o perché raccontati all’autore, che costituiscono un’eccezione notevole alle regole dell’autobiografia: i racconti Piombo e Mercurio, sono entrambi narrati in prima persona, ma da personaggi che non sono l’autore. Sia Zolfo che

Titanio sono invece narrati in terza persona e mettono nuovamente in scena personaggi

che non hanno nulla a che fare con l’autore. Ad un esame più attento dei dati biografici è poi possibile notare come Levi sia intervenuto adattando i fatti a seconda delle necessità, lasciando quindi lo spazio per un andamento talvolta romanzesco delle vicende.

Vicende dai tratti romanzeschi non vuol dire però romanzo: è da escludere infatti che Il sistema periodico possa essere considerato un romanzo in senso proprio: il testo è composto di racconti, non omogenei, che si susseguono in ordine cronologico, ma che seguono soprattutto una loro logica interna. Va escluso di conseguenza anche il romanzo di formazione, il Bildungsroman, come invece lo definisce Mattioda43. All’interno del

Sistema periodico si possono rintracciare diversi percorsi di formazione: quello

propriamente inteso dell’individuo che diventa adulto e viene inserito nella società civile; la formazione del Primo Levi chimico; infine quella di scrittore, ma si tratta soltanto di una parte limitata ad alcuni racconti e non alla totalità dell’opera. Inoltre sia l’autobiografia che la propria formazione non costituiscono per l’autore l’elemento principale di interesse. Sono piuttosto dei pretesti, non generi letterari di riferimento. Il

sistema periodico non racconta solamente dell’individuo Primo Levi, della sua

formazione, della sua vita, ma è un testo che, come tutti i testi leviani, mira a parlare anche dell’umano in generale: il mestiere di chimico «è caso particolare, una versione più strenua del mestiere di vivere» [SP 1010], la chimica «l’anello mancante tra il mondo

42 Ivi, p. 30.

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delle carte e il mondo delle cose» [SP 891]. Persino «elementi e composti hanno, come i concetti in Hegel, “mani e piedi”, e tutte le altre connotazioni umane»44: lo zinco è un

‹‹metallo noioso›› [SP 884]; «nulla della bonarietà generosa dello stagno, metallo di Giove, sopravvive nel suo cloruro […] i cloruri sono gentaglia» [SP 999]; Levi descrive poi minerali come magici ed evasivi, ponendo l’accento sull’etimologia dei loro nomi45.

Risulta più chiaro adesso il perché Levi non abbia compiuto il passo dell’identificazione del narratore con il protagonista e con l’autore: voleva lasciarsi dei margini di libertà per poter intervenire qualora lo avesse ritenuto opportuno. Deve esser presa in considerazione anche un’altra ipotesi, collegata a Giovinezza di Conrad: nella

Ricerca delle radici Levi si sofferma sul carattere in buona parte autobiografico del

racconto:

Non è Conrad colui che parla in prima persona. Compare qui, per la prima volta, Marlow, il suo alter ego, e la narrazione è attribuita a lui. Le ragioni di questo sdoppiamento sono profonde: credo che la principale sia il pudore di Conrad: Marlow, pure così simile a lui, lo esonera dall’angoscia di dire ‹‹io››. [RR 77]

Nell’angoscia di dire io risuona quanto detto nell’intervista a Tesio, scrivere una vera autobiografia sarebbe troppo doloroso per l’autore. La difficoltà di parlare in prima persona è qualcosa che emerge anche nel Sistema periodico, dove per la maggior parte del tempo a prevalere è il noi. L’io di Levi deve legittimarsi e lo fa progressivamente incastonandosi all’interno della dimensione collettiva dei chimici46. L’autore preferisce

quindi rimanere nel non detto: non crea un alter ego distinto da sé come Conrad con Marlow, ma nemmeno dà un nome al narratore di carta identificandolo con sé stesso.

Se si vuole proprio attribuire un genere letterario al Sistema periodico, questo va classificato come raccolta di racconti. Potremmo definire la raccolta in generale il genere preferito di Levi: già prima del Sistema periodico, l’autore ha pubblicato due raccolte a tema fantascientifico, Storie naturali e Vizio di forma, e dopo il 1975 pubblicherà Lilít, raccolta più variegata e divisa in sezioni; L’altrui mestiere, una raccolta di saggi; infine un testo misto Racconti e saggi, che raccoglie alcuni racconti e saggi sparsi, suddividendoli in due sezioni. Il sistema periodico non si limita a raccogliere assieme tanti racconti scritti in anni diversi, ma li organizza in una struttura complessa e articolata

44 CASES 1987, p. 12. 45 Ibidem.

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che lega ogni capitolo al successivo e crea delle corrispondenze anche a distanza: i singoli racconti così diventano capitoli di una vera e propria storia coerente ed organizzata.

1.4. La struttura: ordine e corrispondenze nel Sistema periodico

di Levi

«Con il suo quinto libro Levi si dimostra uno scrittore di racconti, memorialista attento alla disposizione delle sue storie, alla struttura delle sue opere e soprattutto alla cornice all’interno della quale inserirle»47. Che cosa lega assieme ventuno racconti scritti in

momenti diversi e che hanno contenuti eterogenei? Ritroviamo nei capitoli il saggio linguistico che richiama gli articoli dell’Altrui mestiere, come Argon; racconti che ricordano invece quelli di Storie naturali, come Carbonio, Mercurio e Piombo; racconti che anticipano alcuni scritti di Lilít, come Zolfo, e persino racconti il cui tema ritornerà nell’ultima opera di Levi, i Sommersi e i salvati, come Vanadio48; infine abbiamo anche

dei racconti che non sono autobiografici, ma che vennero raccontati a Levi, ovvero

Titanio e Zolfo. Certamente tutti questi testi sono accumunati dai titoli: sono tutti elementi

chimici costituivi della materia, rintracciabili nella tavola periodica degli elementi. Ogni racconto è costruito attorno all’elemento che funge da titolo, sia esso presente materialmente nel testo, oppure soltanto usato metaforicamente. Non si tratta mai però di elementi neutri: il principio è che ognuno sia evocatore di una storia da raccontare, legata in qualche modo alla vita dell’autore. Non sappiamo con certezza quando Levi decise di intitolare il libro Il sistema periodico, ma si tratta comunque di un titolo suggestivo e allo stesso tempo legislatore. Durante la trasmissione televisiva Settimo giorno, mandata in onda dalla RAI il 14 settembre del 1975, il critico Lorenzo Mondo intervista Primo Levi in merito al suo ultimo libro di racconti, Il sistema periodico; chiedendo all’autore di spiegare il significato di un titolo così insolito, questi risponde:

È quella tabella appesa nell’aula magna dell’Istituto chimico, che rappresenta la scoperta di un chimico russo, Mendeleev, che si era accorto che ordinando gli elementi secondo il loro peso progressivo si ottengono delle corrispondenze che allora sembravano molto misteriose e che adesso sono spiegate; si ottiene un ordine, un ordine che mancava prima e che, come spesso avviene nel nostro mestiere,

47 BELPOLITI 2015, p. 258. 48 Ivi, p. 257.

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sopravviene, lo si scorge. Di colpo. Come quando si accende una lampada: prima era buio e dopo è luce.

Dopo l’opera di Mendeleev ci si accorge che la materia è ordinata, non è disordinata e quindi si ha ragione di supporre che l’intero universo sia ordinato e non disordinato; e per questo mi è piaciuto questo ambiguo titolo, anche se non dice molto a molti e l’ho scelto come ordinatore di racconti.49

La tabella di cui parla Levi è appunto uno schema, appeso tutt’ora in qualsiasi aula dove si insegni chimica, che raccoglie tutti gli elementi conosciuti secondo il loro numero atomico crescente; disposti in questo modo gli elementi mostrano ulteriori corrispondenze se considerati in riga oppure in colonna: lungo le righe, o periodi, il numero di elettroni nell’orbitale esterno degli elementi aumenta, fino a completarsi nei gas nobili; le colonne, dette gruppi, contengono invece elementi in cui il numero di elettroni dell’orbitale esterno è costante, il che permette anche che si comportino in maniera simile durante una reazione chimica. Esistono poi le serie chimiche che descrivono le caratteristiche fisiche e chimiche degli elementi, le quali mutano nel corso delle righe e sono invece stabili all’interno dei gruppi.

La tavola periodica, o sistema periodico, venne ideata dal chimico russo Dmitrij Ivanovič Mendeleev nel 1869 ed è diventata la tavola periodica per antonomasia anche se nel corso degli anni sì è modificata: Mendeleev ordinò infatti gli elementi per peso atomico, non per numero atomico come oggi; la concepì con numerosi spazi vuoti, destinati ad elementi da scoprire in futuro, alcuni dei quali sono stati effettivamente riempiti nel corso del XX e del XXI secolo; inoltre il chimico russo decise occasionalmente di ignorare l’ordine suggerito dal peso atomico e di scambiare elementi adiacenti, affinché rientrassero nella colonna con le medesime proprietà chimiche. La tavola periodica consta oggi di centodiciotto elementi chimici, quella costruita da Levi nel suo libro di ventuno: Argon, Idrogeno, Zinco, Ferro, Potassio, Nichel, Piombo,

Mercurio, Fosforo, Oro, Cerio, Cromo, Zolfo, Titanio, Arsenico, Azoto, Stagno, Uranio, Argento, Vanadio, Carbonio. Dando una rapida occhiata ad una qualsiasi tavola

periodica, appare evidente come la disposizione dei capitoli non segua però né il numero atomico, né tantomeno il peso atomico degli elementi citati: basti sapere che l’argon (Ar) ha numero atomico 18 e peso atomico prossimo a 40 e il carbonio (C) ha numero atomico 6 e peso atomico prossimo a 12. La motivazione è ovvia dal momento che l’autobiografia è la vera cornice strutturale di questo libro infatti gli eventi narrati sono disposti in ordine

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