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L’elogio dell’impurezza e il caos primordiale: Zinco, La tregua, Quaestio de centauris, Disfilass

Mnemagoghi, Il fabbro di sé stesso

3.5. L’elogio dell’impurezza e il caos primordiale: Zinco, La tregua, Quaestio de centauris, Disfilass

Sulle dispense stava scritto un dettaglio che alla prima lettura mi era sfuggito, e cioè che il tenero zinco, così arrendevole davanti agli acidi, che se ne fanno un solo boccone, si comporta invece in modo assai molto diverso quando è molto puro: allora resiste ostinatamente all’attacco. Se ne potevano trarre due conseguenze filosofiche tra loro contrastanti: l’elogio della purezza, che protegge dal male come un usbergo; l’elogio dell’impurezza, che dà adito ai mutamenti, cioè alla vita. Scartai la prima disgustosamente moralistica, e mi attardai a considerare la seconda, che mi era più congeniale. Perché la ruota giri, perché la vita viva, ci vogliono le impurezze, e le impurezze delle impurezze: anche nel terreno, come è noto, se ha da esser fertile. [SP 884].

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Nel capitolo Zinco del Sistema periodico il giovane Levi non ha dubbi nel preferire l’impurezza della materia alla purezza assoluta, precetto moralistico e sterile. Nei paragrafi precedenti abbiamo visto come il concetto di impurezza giochi un ruolo centrale nella riscoperta dell’ebraismo da parte di Levi. Lo scrittore percepisce sé stesso, per via delle leggi razziali, come un’impurità rispetto agli altri, ma contemporaneamente la diversità diventa ricchezza grazie alla quale l’autore può intessere legami inaspettati con alcuni suoi compagni di corso. L’impurezza nel passo di Zinco non si collega solamente alla condizione di emarginazione dell’autore, ma anche ad un tema che attraversa gran parte della letteratura di Levi: quello della creazione. L’impurità è quel dettaglio che innesca, all’interno della materia, le reazioni chimiche necessarie al trasformarsi della materia e origine alla vita stessa. La purezza e la perfezione sono sintomi di stasi e di sterilità: un composto molto puro è restio alla reazione proprio perché la sua struttura molecolare è completa e solida. Essendo stabile non necessita di ulteriori legami, proprio come accade agli atomi dei gas nobili. L’immagine che Levi usa in Zinco è quella del terreno fertile che contiene le «impurezze delle impurezze»: soltanto un terreno ricco di sostanze nutritive, e quindi di elementi diversi tra loro, può garantire un buon raccolto. L’immagine del terreno, in particolare del fango, non è l’unica a fungere da simbolo della creazione. In altri testi di Levi utilizza anche l’elemento del vento, anch’esso imparentato con l’idea del caos primigenio da cui tutto ha origine.

Il caos primigenio compare per la prima volta in un breve passaggio della Tregua. Nel terzo capitolo, Il greco, ha inizio il lungo peregrinare dei reduci per tornare a casa e per Levi quei giorni sembrano specchio di una rinascita:

In quei giorni e in quei luoghi, poco dopo il passaggio del fronte, un vento alto spirava sulla faccia della terra: il mondo intorno a noi sembrava ritornato al Caos primigenio, e brulicava di esemplari umani scaleni, difettivi, abnormi; e ciascuno di essi si agitava, in moti ciechi o deliberati, in ricerca affannosa della propria sede, della propria sfera, come poeticamente si narra delle particelle dei quattro elementi nelle cosmogonie antiche [T 327].

È attraverso il vento che spira sul terreno che Levi introduce l’idea di un mondo post bellico come caos da cui tutto si rigenera. È un caos fatto di esemplari umani imperfetti: «scaleni, difettivi, abnormi: i tre aggettivi tratti rispettivamente dal linguaggio geometrico, grammaticale e anatomico, significano, con sfumature diverse, ‟irregolari”» [AP 1386]. Ogni uomo si comporta come un atomo estremamente reattivo, alla ricerca di

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una catena cui legarsi stabilmente. Il riferimento alla creazione in questo testo rimanda alla tradizione filosofica presocratica degli antichi greci, secondo cui ogni particella si muove alla ricerca della sua sede naturale:

Questa prima visione del mitico Caos è sinistra e inquietante. Le creature che sciamano verso la rinascita sono deformate dal disastro, e non si prevedono per esse nuove forme. Ciò che si prevede, invece, è che nel frattempo saranno cresciute nuove barriere tra loro e tutto ciò che si sono lasciati dietro […] E quando ritorna l’idea del caos, è nello spaventoso sogno finale di Levi, che rivela come dopo la tregua vi sia solo, ancora una volta, il Lager, e quel Caos è il Lager190.

Nella Tregua il momento della rinascita, della nuova creazione dell’uomo, dopo il baratro di Auschwitz e della seconda guerra mondiale, è un attimo di sospensione in uno stato di guerra permanente (i fatti della Tregua si svolgono infatti tra la fine della seconda guerra mondiale e l’istaurarsi del clima della guerra fredda). Ma soprattutto è una tregua di fronte al destino ineludibile di tutti gli esseri viventi:

Nel sogno, il Lager si dilata ad un significato universale […] e si identifica con la morte a cui nessuno si sottrae. Esistono remissioni, ‟tregue”, come nella vita del campo l’inquieto riposo notturno; e la stessa vita umana è una tregua, una proroga […] perché la morte è iscritta nella vita, è implicita nel destino umano, inevitabile, irresistibile191.

La creazione e la trasformazione sono fasi di un continuum vita-morte che coinvolge tutta la materia, non solo quella vivente, ma anche quella inanimata, soggetta comunque a distruzione e mutamento. Da questa considerazione derivò la scelta del titolo La tregua rispetto a quello previsto di Vento alto, tratto proprio dal terzo capitolo. Vento alto avrebbe sicuramente dato maggior risonanza al momento di rinascita, eclissando la riflessione sulla sua condizione di instabilità e parzialità.

Il caos primordiale ritorna anche nel racconto Quaestio de centauris in modo diverso da come viene descritto nella Tregua. Levi, per bocca del centauro Trachi, racconta la storia della seconda creazione seguita al diluvio universale. Dalla distruzione di ogni specie seguì una nuova creazione, non divina, bensì frutto dell’evoluzione naturale. Si tratta di una creazione che lega assieme elementi biblici della Torah, cosmogonia e filosofia greca192. Il centauro Trachi racconta la nascita della sua specie, in

190 ANGIER 2007, p. 14. 191 Ivi, p. 1406.

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un momento di euforia riproduttiva del mondo, originatasi a partire dal fango e non dal vento:

Questo fango che albergava nella sua putredine tutti i fermenti di quanto nel diluvio era perito, era straordinariamente fertile: non appena il sole lo toccò, si coprì di germogli, da cui scaturirono erbe e piante di ogni genere; ed ancora, ospita nel suo seno cedevole e umido le nozze di tutte le specie salvate nell’arca. Fu un tempo mai più ripetuto, di fecondità delirante, furibonda, in cui l’universo intero sentì amore, tanto che per poco non ritornò in caos. […] Il mare di fango tiepido, che occultava la faccia della terra fredda e vereconda, era un solo talamo sterminato, che ribolliva di desiderio in ogni suo recesso e pullulava di germi giubilanti [SN 596].

La fertilità del fango è data dal contenere in sé innumerevoli impurità: tutte quelle derivanti dalla decomposizione delle creature perite durante il diluvio. Dalla morte si genera nuova vita, in un tripudio riproduttivo per cui è sufficiente un raggio di sole che tocchi il terreno fangoso per far germogliare istantaneamente la vegetazione. Un’analogia tra l’episodio descritto nella Tregua e il racconto Quaestio de centauris esiste e passa proprio attraverso il fango: «Il fango è il luogo della mescolanza, umidità fecondatrice sul punto di accogliere la rinascita: tale era stato il fango del lager decomposto al tempo della liberazione, come pure il fango del disgelo nella pianura sovietica […] la distruzione provocata dalla follia nazista è stata un nuovo diluvio, con sommersi e salvati»193. Il caos primordiale della Tregua dà origine ad una creazione metaforica dell’uomo, una rinascita morale più che materiale. Quaestio de centauris affronta invece la creazione come nascita materiale delle specie partendo da un presupposto biblico, ma spostandosi in un orizzonte naturale ed evoluzionistico. La creazione delle specie non è invenzione dal nulla, ma assemblaggio di elementi esistenti che si mescolano tra di loro.

Affine alla panspermia di Quaestio de centauris è il racconto Disfilassi raccolto in

Vizio di Forma. In questo racconto Levi immagina un futuro prossimo in cui, per colpa

di un farmaco, sono state annientate tutte le difese immunitarie che impedivano gli incroci tra specie. In questo modo tutte le specie sono in grado di riprodursi tra loro senza più alcun limite: può capitare di ritrovarsi una nonna ibrido di essere umano e larice, di avere un fidanzato con un quarto di sangue di spinarello, oppure di innamorarsi di un ciliegio. Si tratta però di una panspermia depotenziata: se in Quaestio de centauris alla riproduzione partecipa anche l’inanimato (la carena dell’arca di Noè unitasi al fango

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origina la balena), in Disfilassi l’unione è possibile solo tra esseri viventi. In questo caso l’elemento portatore di fecondità non è la terra bensì il vento, come lo era nella Tregua:

Prese a dire del vento dei boschi, saturo di fecondità innumerevoli, di germi invisibili ed infiniti, ed in ogni germe era scritto un messaggio pieno di destino, scagliato nella vacuità del cielo e del mare alla ricerca del suo consorte, latore del secondo misterioso messaggio che avrebbe dato senso al primo. Così per miliardi di anni, dagli equiseti al Carbonifero ad oggi: no, non ad oggi, a ieri, al momento in cui la ferrea barriera fra specie e specie era andata infranta, ed ancora non si sapeva bene se per il bene o per il male […] perché non confidare in una nuova selezione millenaria, in un uomo nuovo, rapido e forte come la tigre, longevo come il cedro, prudente come le formiche? [VF 317-319]

In un mondo in cui ogni specie può riprodursi con qualunque altra, pollini e germi contenuti nell’aria possono diventare occasione per fecondazioni involontarie dagli esiti imprevedibili: «qualunque seme animale, vegetale o umano che il vento o l’acqua o un incidente qualsiasi portassero a contatto con qualunque ovulo, aveva buone probabilità di dare origine ad un ibrido» [VF 316]. Diversamente dalla Tregua in cui il caos primordiale appare come qualcosa di sinistro, in Disfilassi si avverte invece un forte senso di speranza, di libertà assoluta, non ancora soggetta al giudizio della storia. Non è infatti dato sapere se la disfilassi sia un bene o un male: si tratta solamente di un mutamento in atto. Ci sono poi altri elementi di differenza fra la Tregua, Quaestio de centauris e Disfilassi. In quest’ultimo ad esempio manca la distruzione rigeneratrice: il ritorno alla condizione di caos primordiale è dovuto all’intervento di un farmaco di cui l’uomo non ha valutato con attenzione gli effetti collaterali. C’è la distruzione di una barriera, ma non c’è morte che genera vita: piuttosto, solamente vita in continua trasformazione. L’abbattimento delle barriere tra specie e specie è inoltre occasione per l’istaurarsi di un nuovo ordine, per la creazione di specie nuove rispetto a quelle conosciute. Si apre la possibilità per una nuova selezione naturale millenaria come agli albori della vita sulla Terra. Il problema che

Disfilassi pone è di prospettiva: sia la Tregua sia Quaestio de centauris presentano la

questione della creazione in una prospettiva umana. Disfilassi getta invece un’ombra di dubbio sul fatto che il futuro possa ancora essere abitato da esseri umani come siamo abituati a pensarli. Nella Tregua il mito della creazione consiste nel recupero dell’umanità intesa come condizione morale. In Quaestio de centauris l’uomo è una delle creature salvate nell’arca di Noè e contribuisce a dare origine ad altre specie, come quella dei centauri. La specie umana viene però preservata fino ai giorni presenti del racconto senza sostanziali alterazioni. In Disfilassi invece non è dato sapere se in fondo alla catena

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evolutiva ci sia ancora l’uomo, o qualcosa di diverso, un «uomo nuovo» di cui non è dato conoscere le caratteristiche. Amelia immagina che possa essere più forte, più longevo, più prudente. Forse una specie umana più prudente avrebbe saputo valutare meglio gli effetti collaterali del farmaco prima di usarlo. Forse la prudenza è uno degli elementi necessari all’uomo per rimediare al vizio di forma connaturato nell’esistenza.

3.6. La chimica e la scrittura: oralità, libertà, e ineffabilità della