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Mnemagoghi, Il fabbro di sé stesso

4. Il chimico, lo scrittore e il montatore: La chiave a stella

4.3. Argento e Acciughe

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Nella Chiave a stella Primo Levi cambia il suo ruolo all’interno dell’opera: non è più narratore e protagonista, ma narratore e ascoltatore: «l’opera ha qualche contatto con Il

sistema periodico con la differenza che qui, anziché narratore, sono interlocutore: questo

operaio mi racconta come ha montato una gru in Arabia Saudita, come ha costruito un ponte in India e così via»239. Di questa sua nuova condizione l’autore fa mostra apertamente nelle pagine della Chiave a stella: «Infatti come c’è un’arte del raccontare, solidamente codificata attraverso mille prove ed errori, coì c’è pure un’arte dell’ascoltare, altrettanto antica e nobile, a cui tuttavia, che io sappia, non è mai stata data norma» [CS 1060]. In questo ruolo di ascoltatore Levi si era rispecchiato già nel Sistema periodico chiamandolo «il suo pianeta» e definendo sé stesso come «un uomo a cui molte cose vengono raccontate». Anche nella Chiave a stella viene riconfermato questo talento di Levi nel farsi raccontare le storie, stavolta da Faussone che si ritrova a narrare persino delle sue vicende sentimentali: «Però lo sa che lei è un bel tipo a farmi contare queste storie, che fuorivia di lei non le avevo mai contate a nessuno?» [CS 1069].

Levi è stato interlocutore anche sporadicamente nel Sistema periodico: in Nichel, in Arsenico, in Uranio, suo malgrado, e su richiesta in Argento. L’incontro tra Levi e il suo compagno di studi Cerrato, ha molto in comune con il modo in cui l’autore costruisce il rapporto narratore-ascoltatore nella Chiave a stella e soprattutto i capitoli Acciughe I e

II presentano delle somiglianze anche per quanto riguarda la storia narrata. Il personaggio

di Cerrato condivide con Faussone l’essere fittizio e costruito partendo da più persone realmente esistenti:

Be’ è un artefatto. Quando il tuo personaggio non è di prima categoria – quando è stupido o goffo – è buona politica ricostruirlo prendendo in prestito elementi qua e là, da persone diverse. Ho preso la fronte da un uomo, il mento da un altro, i tic da un terzo e così via. E nonostante ciò… Tutti hanno detto: sono io!240.

Levi ricava questo personaggio mettendo insieme caratteristiche fisiche di persone conosciute differenti, in modo da creare l’interlocutore perfetto capace di raccontare una storia da scrivere, una storia chimica, di quelle che vedono il protagonista in lotta con la materia avversa. L’altro punto di contatto tra i due testi, Argento e La chiave a stella nel suo complesso, è che l’autore chieda al suo interlocutore di raccontare storie per scriverle:

239 VIGLINO 1978, p. 926. 240 MOTOLA 1985, p. 806.

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«gli dissi che andavo in cerca di eventi, miei e d’altri, che volevo schierare in mostra in un libro […] Gli chiesi se a questo libro gli sarebbe piaciuto contribuire: se sì, mi raccontasse una storia» [SP 1010]; mentre nella Chiave a stella la richiesta iniziale è lasciata sottintesa, nelle parole di Faussone, ma viene ribadita anche in chiusura di libro: «dopo qualche esitazione, e dietro mia rinnovata richiesta, Faussone mi ha dichiarato libero di raccontare le sue storie, ed è così che questo libro è nato» [CS 1149]. Se all’interno del Sistema periodico la richiesta da parte dell’autore è un unicum, che però spiega la nascita del libro stesso, nella Chiave a stella questo fatto diventa strutturale: infatti costituisce la cornice che contiene tutte le storie di Faussone. Un altro punto in comune tra i due narratori, Cerrato e Faussone, è quello di lasciare a Levi libertà di inventiva sui dettagli. Prima di iniziare la sua storia Cerrato esordisce dicendo: «ti racconto l’essenziale: il contorno ce lo metti tu». Faussone inaugura La chiave a stella con la metafora tecnica della smerigliatura. Cerrato costituisce insomma un prototipo, chimico, del rapporto narratore interlocutore che intercorre nella Chiave a stella tra Faussone e Levi.

Esiste poi una relazione più stretta tra il capitolo Argento e i capitoli Acciughe I e

II. Cerrato racconta un episodio, avvenuto in una ditta straniera, a cui venivano fornite

dalla sua azienda lastre fotografiche. Queste lastre, sottoposte ai dovuti controlli in azienda risultavano perfette, mentre una volta trascorsi un paio di mesi nei depositi degli acquirenti, iniziavano invece a manifestare delle macchie a forma di fagiolo che le rendevano inutilizzabili. Cerrato finisce dunque sotto accusa anche se si sente innocente, perché la formulazione era corretta e perché dai controlli non risultava nessun errore. Il chimico si ritrova così costretto ad indagare sulla causa di questa maculatura che sembra non avere spiegazione. La soluzione arriva per caso ed è collegata al sistema di pulizie dell’azienda acquirente: ogni mercoledì l’azienda viene pulita meticolosamente con degli stracci lavati nel fiume dove scarica una conceria. Il colpevole delle macchie a forma di fagiolo sono proprio i polifenoli dei conciati che venivano a contatto con la carta per via delle pulizie. Questa storia è sostanzialmente molto simile, sia nel contenuto che nel modo di raccontarla, a quella che compare in Acciughe I e II. In questi capitoli Levi personaggio riacquista curiosamente il suo ruolo di protagonista e narratore su richiesta di Faussone: «me la racconti, la sua grana; stavolta tocca a lei, visto che io delle mie gliene ho già raccontate diverse: così faccio il confronto» [CS 1150]. Il personaggio Levi si trova in Russia per risolvere una controversia su una partita di vernice per scatole di conserva. La vernice, preparata secondo commissione e sottoposta a tutti i collaudi necessari, risulta

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ottimale in un primo momento, ma dopo l’invio presso la ditta acquirente comincia a presentare delle imperfezioni che la rendono inutilizzabile per le scatole di acciughe. Anche in questo racconto la soluzione viene scoperta per caso, grazie ad un’alternanza di giorni «buoni e cattivi» nei controlli, ed ha a che fare con il sistema di pulizia (di nuovo la colpa è degli stracci, che lasciano filamenti sulle superfici) dell’ambiente in cui vengono immagazzinati i contenitori di vernice. Difficile dire quale delle due storie sia servita di ispirazione all’altra, considerando anche che Levi nel 1970 si recò davvero in Russia a Togliattigrad per una controversia su delle vernici di cui però non si conoscono i dettagli. Quello che però è davvero importante, e che emerge in entrambi i racconti, è il rapporto tra il chimico e la materia. Entrambi i personaggi si trovano infatti in una situazione di stallo: la materia si sta prendendo gioco di loro perché manifesta un errore che non ci dovrebbe essere. Il risultato è un forte senso di colpa ingiustificato e il bisogno di sapere che cosa sia andato storto. In questi termini si esprime Cerrato nel Sistema

periodico:

Io mi sentivo innocente, naturalmente: avevo rispettato tutte le regole, non mi ero permessa nessuna indulgenza. […] ma non ero: ero colpevole per definizione, perché un caporeparto risponde del suo reparto, e perché se c’è danno c’è peccato, se c’è peccato c’è un peccatore. È una faccenda, appunto come il peccato originale: non hai fatto niente, ma sei colpevole e devi pagare [SP 1013]

Per Cerrato questa è una delle tante storie in cui il chimico si trova a lottare da solo contro l’avversità della materia: «doveva essere una storia delle nostre, in cui ci si arrabatta nel buio per una settimana o per un mese, sembra che sarà buio per sempre, e viene voglia di buttare via tutto e di cambiare mestiere» [SP 1010]. Quella che Levi racconta nella Chiave

a stella, riguardo la vernice per le scatole di acciughe, è dello stesso tipo, ma porta a

sviluppi completamente diversi. Se infatti per entrambe le storie c’è soluzione positiva, il peso della colpa in Acciughe funge invece da spartiacque definitivo:

Come Faussone, anch’io stavo sotto l’ombra minacciosa di un incartamento in due lingue; anch’io ero approdato là in veste di accusato. Avevo anzi l’impressione che quell’episodio fosse in qualche modo un displuviale […] Poiché la veste di accusato è scomoda, sarebbe stata quella la mia ultima avventura di chimico. Poi basta: con nostalgia, ma senza ripensamenti, avrei scelto l’altra strada, dal momento che ne avevo la facoltà ed ancora me ne sentivo la forza; la strada del narratore di storie. Storie mie finché ne avevo nel sacco, poi storie d’altri, rubate, rapinate, estorte o avute in dono, per esempio appunto le sue; o anche storie di tutti e di nessuno, storie

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per aria, dipinte su un velo, purché un senso ce l’avessero per me, o potessero regalare al lettore un momento di stupore o di riso [CS 1149].

La storia di Argento funge da preludio metaletterario al Sistema periodico perché spiega com’è nata l’idea del libro stesso. Analogamente, la vicenda delle Acciughe chiarisce come l’autore sia arrivato a scrivere La chiave a stella. Per la seconda volta in un testo letterario Levi si autoproclama scrittore: finché ne avrà da raccontare, scriverà storie sue, tratte dalla propria esperienza di vita; una volta finite, racconterà poi storie di altri, oppure storie completamente inventate.

Conclusione

Il sistema periodico rappresenta un esperimento letterario unico nella produzione

complessiva di Levi. Come abbiamo visto l’idea di scrivere un altro libro che intrecci chimica e scrittura non va a buon fine e da questo punto di vista il testo rimane isolato. Il rapporto che lo lega al suo libro gemello è di tipo diverso: sono due libri che narrano avventure di due mestieri, chimico e montatore, esclusi dal panorama letterario, ma la poesia della chimica trova raramente spazio nella Chiave a stella così come nelle opere

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successive. Tuttavia Il sistema periodico rappresenta un punto di svolta decisivo nella produzione di Levi. È anzitutto il testo in cui l’autore fa i conti con la propria natura di scrittore, legittimandosi come tale. Autobiografico, ma non un’autobiografia, il Sistema

periodico permette a Levi di comporre un puzzle con episodi della sua vita per creare

un’immagine di sé scrittore legata all’esperienza del Lager e alla chimica. Ne emerge un’idea specifica di scrittura, già presente negli altri testi, ma che viene confermata e rafforzata. Lo scrivere di Levi è caratterizzato dalla brevità della novella, dal piacere del raccontare storie, da uno stile che ricerca la chiarezza, perché persegue gli obbiettivi della comprensione e della comunicazione. I temi trattati al suo interno sono molti, alcuni provengono dalle opere precedenti e vengono arricchiti, altri sono specifici del Sistema

periodico, altri ancora sono presenti solamente in fase di abbozzo e verranno sviluppati

compiutamente soltanto in seguito.

Non sorprende dunque che, pur trattandosi di un unicum nell’opera di Levi, echi più disparati del Sistema periodico possono essere ritrovati anche in altri testi successivi. Ad esempio, vorrei notare il modo in cui Levi descrive gli elementi chimici. Nel capitolo

Batter la lastra della Chiave a stella compare una descrizione del rame che potrebbe

appartenere perfettamente al Sistema periodico:

Avevo col rame una lunga dimestichezza, trapunta di amore e odio, di battaglie silenziose ed accanite, di entusiasmi e stanchezze, di vittorie e sconfitte, e fertile di sempre più affinata conoscenza, come avviene con le persone con cui si convive a lungo e di cui si prevedono le parole e le mosse. La conoscevo sí, la cedevolezza femminea del rame, metallo degli specchi, metallo di Venere; conoscevo il suo splendore caldo e il suo sapore malsano, il morbido verde-celeste dei suoi ossidi e l’azzurro vitreo dei suoi Sali. Conoscevo bene con le mani l’incrudimento del rame […] se maltrattato, cioè battuto, stirato, piegato, compresso il rame fa come noi, i suoi cristalli si ingrossano e diventa duro, crudo, ostile [CS 1095].

Questa descrizione, che presenta le caratteristiche dell’ilozoismo, è molto simile a quella dello stagno che compare nell’omonimo capitolo del Sistema periodico:

lo stagno era un amico […] perché si sposa con il ferro, trasformandolo nella mite latta, e privandolo per altro della sua qualità sanguinaria di «nocens ferrum»; […] perché si allega col rame per dare il bronzo, materia rispettabile per eccellenza, notoriamente perenne e well established; perché fonde basso, quasi come i composti organici, cioè quasi come noi; ed infine, per cue sue proprietà uniche, dai nomi pittoreschi e poco credibili, mai viste né udite (che io sappia) da occhio od orecchio umano, tuttavia fedelmente tramandate, di generazione in generazione, da tutti i testi

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scolastici, la «peste» e il «pianto» dello stagno […] Nulla della bonarietà generosa dello stagno, metallo di Giove, sopravvive nel suo cloruro [SP 997-999].

In entrambe le citazioni l’autore stabilisce un rapporto di confidenza con gli elementi che sta presentando, ne descrive alcune qualità chimiche che li rendono particolarmente apprezzabili per poi soffermarsi sul loro accoppiamento alchemico, che li vuole collegati ai corpi celesti, rispettivamente Venere e Giove.

Echi del Sistema periodico non si ritrovano solo nelle descrizioni degli elementi, ma anche in alcuni racconti delle raccolte successive che richiamano per atmosfera, tema o struttura Il sistema periodico. È il caso, ad esempio, della Sfida della molecola (Lilít). Il racconto è molto vicino al Sistema periodico, cronologicamente e tematicamente, anche se non autobiografico. In questo testo ritroviamo il tema della lotta dell’ingegno umano contro la materia restia a lasciarsi comprendere e manipolare. Nel sistema periodico Levi si proponeva di rappresentare vittorie e sconfitte dell’ingegno umano alle prese con i misteri della materia, ma a ben vedere si può parlare solo di vittorie. In alcuni capitoli la vittoria è schiacciante, come in Potassio, Cromo e Argento, dove la soluzione del problema viene trovata seppure con difficoltà. In altri racconti invece, come Nichel e

Azoto, sono apparentemente delle sconfitte: infatti in entrambi i casi la soluzione trovata

da Levi personaggio non è applicabile per fattori esterni alla materia (costi di produzione troppo elevati in rapporto al guadagno). Si tratta di vittorie smorzate, ma comunque di vittorie. Nella Sfida della molecola si assiste invece ad una vera e propria sconfitta: il racconto prende le mosse dallo sfogo di Rinaldo, studente universitario e verniciaio come il suo interlocutore (presumibilmente alter ego dell’autore), per una cottura di vernice partita:

Una cottura che parte, vuol dire che solidifica a metà strada: che da liquida diventa gelatinosa, o anche dura come il corno. È un fenomeno che viene descritto con nomi decorosi come gelazione o polimerizzazione precoce, ma è un evento traumatico, brutto da vedersi anche a parte i quattrini che fa perdere. Non dovrebbe succedere, ma qualche volta succede, anche se si sta attenti, e quando succede lascia il segno. [L 376].

La traumaticità dell’evento non sta nella malriuscita della vernice, piuttosto nell’impossibilità di comprendere perché si sia verificata la gelazione. La miscela non si presentava particolarmente complessa e ogni passaggio della preparazione è stato svolto come sempre. Per un qualche ignoto motivo però questa volta la vernice si è addensata. Ed è proprio il fatto di non sapere che tormenta lo stesso Rinaldo. Il personaggio

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preferirebbe sentirsi accusare di aver commesso un qualsiasi errore, piuttosto che restare con le mani in mano senza sapere da cosa sia dipeso il guasto alla vernice: «io sono l’imputato insomma, ma mi piacerebbe che se ho fatto uno sproposito venisse fuori. Te lo giuro, mi piacerebbe: preferirei che mi dicessero «disgraziato, hai fatto questo e quest’altro e non dovevi», piuttosto che stare qui a farmi delle domande» [L 377]. La lotta con la materia è persa perché in questo caso è impossibile comprenderla e determinare la natura dell’errore. Questo rivela ancora una volta la presenza del vizio di forma insito nella realtà, che tende al caos anche quando dovrebbe esserci ordine. La conclusione del racconto, una considerazione da parte dell’autore-ascoltatore, è molto esplicativa:

Fra tutte le mie esperienze di lavoro, nessuna ne ho sentita tanto aliena e nemica, quanto una cottura che parte, qualunque sia la causa, con danni gravi o scarsi, con colpa o senza. Un incendio o un’esplosione possono essere incidenti molto più distruttivi, anche tragici, ma non sono turpi come una gelazione. Questa racchiude in sé una qualità beffarda: è un gesto di scherno, l’irrisione delle cose senz’anima che ti dovrebbero obbedire e invece insorgono, una sfida alla tua prudenza e previdenza. La «molecola» unica, degradata ma gigantesca, che nasce-muore fra le tue mani è un messaggio e un simbolo osceno: simbolo delle altre brutture senza ritorno né rimedio che oscurano il nostro avvenire, del prevalere della confusione sull’ordine, e della morte indecente sulla vita. [L 380].

L’esperienza della vernice guastata non vale solo per sé stessa, ma diventa il simbolo di tutte le storture presenti nel mondo, che esistono e resistono impermeabili alla ragione dell’uomo, quasi ad irriderlo della presunzione di voler conoscere tutto. Oltre il tema anche l’atmosfera del testo ci riporta al Sistema periodico: infatti La sfida della molecola è un racconto nel racconto dove l’autore diventa ascoltatore e cede il posto al suo personaggio nel raccontare l’accaduto. Il tutto avviene in un momento di convivialità (davanti ad un bicchiere di cognac), frangente preferito da Levi per narrare storie. La tavola è per Levi luogo prediletto della condivisione di racconti: nel Sistema periodico la si ritrova sia in Cromo (la mensa dei verniciai dove ognuno racconta le proprie esperienze) sia in Argento (la cena degli ex studenti diventa occasione per Levi di farsi raccontare una storia). Quasi tutti i racconti di Faussone nella Chiave a stella avvengono in concomitanza di un pasto e persino il sogno angoscioso di Se questo è un uomo si svolge attorno alla tavola familiare.

Infine mi vorrei soffermare sulla presenza nel Sistema periodico del germe di un tema che Levi approfondirà solo nei Sommersi e i salvati. Si tratta della zona grigia

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impersonata in Vanadio dal dottor Müller. Nel capitolo Levi commenta così la lettera di risposta del suo corrispondente:

Paradossale, offensivo, ma non da escludersi: a quel tempo, presso la maggioranza silenziosa tedesca, era tecnica comune cercare di sapere quante meno cose fosse possibile, e perciò non porre domande. Anche lui evidentemente, non aveva domandato spiegazioni a nessuno, neppure a se stesso, benché le fiamme del crematorio, nei giorni chiari, fossero visibili dalla fabbrica di Buna […] il personaggio Müller si era «entpuppt», era uscito dalla crisalide, era nitido, a fuoco. Né infame né eroe: filtrata via la retorica e le bugie in buona e in mala fede, rimaneva un esemplare umano tipicamente grigio, uno dei non pochi monocoli nel regno dei ciechi [SP 1023-1024].

Müller si rivela un esemplare umano grigio perché, pur non avendo nuociuto in prima persona a nessuno, comunque ha preferito fingere di non vedere per quieto vivere e così facendo ha dato il suo implicito consenso allo sterminio. Il dottor Müller era però un civile che lavorava all’interno del reparto chimico di Auschwitz, non un deportato. Non un carnefice quindi, ma nemmeno una vittima: Müller-Meyer è l’emblema dell’uomo normale che svolge il suo lavoro di tutti i giorni non rendendosi conto, per scelta, del mondo in cui sta vivendo. È compromesso nella misura in cui ha deciso di non vedere e di non capire quello che il nazismo stava facendo. Müller-Meyer non compare nel capito

La zona grigia dei Sommersi e i salvati perché qui Levi affronta soprattutto la

compromissione all’interno del Lager tra vittime e carnefici, alcuni talmente complessi da impedire un qualsiasi tipo di distinzione semplificatrice e quindi di giudizio. È il caso di tutti quegli individui che all’interno del campo hanno ottenuto un qualche tipo di protezione o di privilegio, perché svolgevano un lavoro utile (per quanto brutale) al mantenimento del Lager. Si tratta dei Kapos, che avevano il compito di amministrare le baracche, e dei Sonderkommandos, il caso più complesso, perché avevano il compito di condurre i deportati alle camere a gas e occuparsi dei forni crematori. Questi sono gli esempi estremi di compromissioni, il cuore della zona grigia che costituiva la macchina burocratica del Lager:

Per quanto riguarda i prigionieri privilegiati, il discorso è complesso, ed è anche più