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La sicurezza nell'ambito delle piattaforme offshore per l'estrazione di idrocarburi

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

ACCADEMIA NAVALE

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DEL GOVERNO E DELL’AMMINISTRAZIONE DEL MARE

TESI DI LAUREA IN SICUREZZA DELLA NAVIGAZIONE

LA SICUREZZA NELL’AMBITO DELLE

PIATTAFORME OFFSHORE PER

L’ESTRAZIONE DI IDROCARBURI

LAUREANDO: RELATORE:

G.M. (CP) Silvia Carpanese C.F. (CP) Martino Rendina

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1 Indice

Introduzione

Capitolo I: INTRODUZIONE

- L’interesse per gli idrocarburi - La genesi degli odierni giacimenti

- Dai primi esperimenti alle odierne tecnologie Capitolo II: LE FONTI NORMATIVE

- Le fonti di provenienza internazionale - Le fonti di provenienza europea - Le fonti di provenienza nazionale

Capitolo III: LE PIATTAFORME OFFSHORE PER L’ESTRAZIONE DI IDROCARBURI

- Le diverse tipologie di piattaforme

- Il funzionamento e le tecniche di estrazione Capitolo IV: L’ANALISI DEI RISCHI

- L’analisi dei rischi nell’Unione europea - L’analisi dei rischi in Italia

Capitolo V: GARANTIRE LA SICUREZZA - I Piani interni di risposta alle emergenze - I sistemi di sicurezza

- Il Blow Out Preventer

- Gli inquinamenti in mare e le tecniche antinquinamento

Capitolo VI: VIGILANZA E CONTROLLO (soggetti e organi coinvolti) - Gli atti autorizzatori

- I controlli successivi

Capitolo VII: IL PROBLEMA DEL DECOMMISSIONING - L’Allegato 7 alle Linee Guida Relazioni grandi rischi - Le linee guida per la dismissione mineraria

- Il Progetto MUSES

- L’ENI e il Progetto POSEIDON Conclusione

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2 Introduzione

Oggi l’approvvigionamento energetico resta una delle maggiori priorità a livello mondiale e, nonostante le nuove tecnologie ormai da decenni siano alla ricerca di fonti energetiche rinnovabili, esso rimane dipendente principalmente dalla combustione, e quindi

dall’estrazione, di combustibili fossili. Questi includono petrolio e gas naturale, entrambi presenti in giacimenti sotterranei che si sono formati nel corso di migliaia di anni ma che, per loro natura, risultano essere di difficile asportazione.

I giacimenti più redditizi sono stati scoperti principalmente in corrispondenza dei fondali oceanici, ovvero le realtà da sempre abitate dal maggior numero di organismi viventi, che vedremo essere requisito fondamentale per la genesi degli idrocarburi fossili. Di

conseguenza, dal momento in cui nacque l’interesse per questi prodotti, si dovettero sviluppare nuove tecnologie, che fossero in grado di affrontare tutte le difficoltà derivanti dal dover operare ad alte profondità.

Quando si parla di perforazioni offshore si fa quindi riferimento, generalmente, alla scoperta e produzione dei giacimenti di petrolio e gas che si trovano al di sotto dei fondali marini, ma vi possono essere trivellazioni che perseguono lo stesso scopo anche

nell’entroterra, sulla terraferma o al di sotto dei fondali di laghi o fiumi, in base a dove sono rimasti “intrappolati” gli idrocarburi.

L’elaborato si pone l’obiettivo di delineare un quadro d’insieme sulle piattaforme offshore per l’estrazione di idrocarburi: dopo un breve excursus storico che chiarisce le dinamiche e le criticità sottese alla nascita delle prime piattaforme, si illustrerà il vigente quadro giuridico di riferimento concentrando l’attenzione principalmente sugli aspetti di rilievo sotto il profilo tecnico ed amministrativo, non mancando di mettere in evidenza gli aspetti più tipicamente volti alla sicurezza e alla tutela ambientale nonché al regime della

vigilanza e dei controlli, in tutto in una chiave di confronto a livello internazionale. In tal senso verranno illustrati i principali istituti giuridici nazionali ed internazionali di riferimento che costituiscono il presupposto giuridico per l’installazione di piattaforme; verranno esaminate le norme tecniche che tutelano la sicurezza della navigazione e la tutela dell’ambiente marino, nonché la sicurezza di bordo e verrà posta l’attenzione sui principali attori e portatori di svariati interessi pubblici e privati che ruotano attorno alle piattaforme di estrazione, sia in Italia che all’estero.

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Capitolo I: INTRODUZIONE

1. L’INTERESSE PER GLI IDROCARBURI

Il petrolio è una miscela naturale di idrocarburi liquidi e altre sostanze di origine fossile, contenuta in rocce sedimentarie e associata a idrocarburi gassosi e solidi (bitumi) in quantità minori.

Tutte le molecole degli idrocarburi esistenti sono costituite da due soli tipi di atomi: atomi di carbonio e atomi di idrogeno. In base alla quantità di atomi di carbonio presenti nella molecola, gli idrocarburi sono gassosi (fino a 4 atomi), liquidi (da 5 a 16 atomi) e solidi (oltre 16 atomi).

Gli idrocarburi costituiscono un’ampia categoria di sostanze, dal momento che il carbonio ha molte possibilità di legarsi ad altri atomi di carbonio e idrogeno in catene aperte (lineari o ramificate), chiuse (ad anelli, gli idrocarburi ciclici come il benzene ne hanno uno solo) o miste (con parti aperte e parti ad anello). Esistono migliaia di idrocarburi con una diversa struttura molecolare, ma la stessa composizione chimica. Vi sono idrocarburi con legami semplici (gli alcani o idrocarburi saturi, come il metano), doppi (gli alcheni, come il propilene) o tripli (gli alchini, come l’acetilene).

Ad oggi il petrolio si trova alla base della produzione di molteplici prodotti indispensabili per la vita ed operazioni commerciali quotidiane in tutto il mondo. Infatti, attraverso differenti modalità di raffinazione (meccaniche o chimiche), si ottengono svariati “tagli”, ognuno dei quali, in forma gassosa, liquida o solida, potrà essere diversamente impiegato.

[nell’immagine a fianco, il processo di raffinazione degli idrocarburi grezzi. All’interno della colonna di distillazione, con l’aumentare delle temperature, le molecole differenti raggiungono quote e stati differenti, così da poter essere prelevati separatamente.]

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Tra i prodotti più diffusi e conosciuti nella vita di tutti i giorni che si ottengono grazie all’operato delle piattaforme di estrazione e ad un successivo processo di raffinazione si possono riconoscere il metano e il propano (gas inodori e incolori utilizzati principalmente come combustibili); la nafta (leggera o pesante, utilizzata nei motori diesel); la benzina e il cherosene (combustibili per motori distribuiti agli utenti finali tramite oleodotti, treni, chiatte o autocisterne); il gasolio (leggero, utilizzato come carburante nei motori Diesel, e pesante, utilizzato nel cracking catalitico); l’olio lubrificante per motori; grassi semi-solidi quale la vaselina e la paraffina (utilizzata quest’ultima nella produzione di candele, lubrificanti e isolanti); lo zolfo (o più precisamente l’acido solforico, prodotto grazie ad un procedimento di desolforazione dei carburanti, viene solitamente inviato per mezzo di autocisterne agli impianti chimici); il bitume e l’asfalto per la pavimentazione stradale. Dalle nafte leggere derivano altresì prodotti finali quali solventi, fluidi per la pulizia a secco ed altri prodotti ad asciugatura veloce.

Tra i prodotti raffinati ha notevole importanza la produzione di sostanze chimiche per la realizzazione di materie plastiche ed altri materiali di uso comune. I prodotti che stanno alla base dell'industria petrolchimica vengono infatti inviati alle industrie specializzate per la produzione di concimi chimici, materie plastiche, elastomeri. Fra essi si ricordano gli alcheni e alcuni idrocarburi policiclici aromatici. Altri prodotti che possiamo trovare nella vita di tutti i giorni e derivanti dal petrolio sono i fertilizzanti, le pavimentazioni sintetiche, i profumi, gli insetticidi, i saponi e le vitamine.

Ne emerge la notevole rilevanza che hanno oggi gli idrocarburi nella vita di tutti i giorni, per via delle infinite applicazioni che essi sono in grado di garantire nell’epoca contemporanea.

2. LA GENESI DEGLI ODIERNI GIACIMENTI

Il petrolio, comunemente chiamato anche combustibile fossile, secondo le teorie comunemente accettate dalla comunità scientifica1, si è formato in seguito a trasformazioni

1 La teoria biogenica, descritta per la prima volta dallo scienziato russo Michail Lomonosov a fine Ottocento,

è oggi la tesi più accreditata per descrivere il processo di formazione delle riserve di idrocarburi ed è stata inoltre avallata da ulteriori studi condotti da Dmitrij Mendelev (inventore della tavola periodica) e da Alfred E. Treibs che, i primi del Novecento, osservò la somiglianza tra una molecola di metalloporfirina, estratta dal petrolio, e la molecola di clorofilla. La teoria biogenica si trova in contrasto con una nuova tesi, emersa negli ultimi decenni, secondo la quale gli idrocarburi hanno origini abiotiche (ovvero si sarebbero formati

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subite da materiali biologici in decomposizione (organismi marini e piante che crescono sui fondali oceanici, ma anche creature terrestri le cui carcasse sono state trasportate al mare dai corsi d’acqua) che si sono depositati insieme a sedimenti minerali sul fondo di laghi e oceani.

I resti della decomposizione si mescolano con le sabbie finissime e con il limo del fondo del mare, in zone non caratterizzate da forti correnti, formando sedimenti ricchi di materiali organici. Il fenomeno ebbe inizio molti milioni di anni fa, quando esisteva un’abbondante fauna marina, e continua ancora oggi. I sedimenti depositati sul fondo degli oceani, accrescendo il loro spessore e quindi il loro peso, sprofondano nel fondale marino; a mano a mano che altri sedimenti si accumulano, la pressione su quelli sottostanti aumenta considerevolmente e la temperatura si alza (fino a 150°C), comportando così processi di degradazione termica e cracking2. Il fango e la sabbia si induriscono trasformandosi in argillite e arenaria, il carbonio precipita, le conchiglie si induriscono trasformandosi in calcare, mentre i resti degli organismi morti si trasformano in sostanze più semplici composte da carbonio e idrogeno, gli idrocarburi appunto, costituendo il petrolio greggio e il gas naturale.

Il petrolio ha densità minore dell’acqua salmastra che riempie gli interstizi dell’argillite, della sabbia e delle rocce di carbonati che costituiscono la crosta terrestre: tende dunque a risalire verso la superficie, passando dai microscopici pori dei più grossi sedimenti sovrastanti. Se nulla blocca la risalita, questi idrocarburi arrivano ad affiorare in superficie. Più frequentemente però il petrolio e il gas naturale incontrano uno strato di argillite impermeabile o di roccia più compatta, che impedisce la risalita: rimangono dunque bloccati e danno origine al giacimento (c.d. “sacche”). Queste rocce impermeabili all’idrocarburo diventano così le “rocce magazzino”.

Le aree della superficie terrestre ove questo fenomeno si verifica con maggiore facilità risultano essere quindi quelle in prossimità delle coste marine, cioè i grandi bacini sedimentari delle piattaforme continentali.

secondo processi non biologici). Quest’ultima teoria, avanzata a seguito di studi condotti da Thomas Gold nel 1993 e da J. Kenney nel 2001, è ancora oggetto di controversie e necessita di ulteriori studi e ricerce.

2 Per cracking si intende la rottura dei legami carbonio-carbonio che viene applicata alle frazioni

medio-pesanti e medio-pesanti degli idrocarburi, quindi ad alto peso molecolare, al fine di ottenere frazioni più leggere, maggiormente richieste dal mercato. Il cracking può essere termico o catalitico ma quest’ultimo sta rapidamente sostituendo il primo quale principale processo per la produzione di benzine in una raffineria complessa.

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Si forma così una trappola petrolifera, in cui si instaurano pressioni che possono arrivare fino a 900 atmosfere e temperature dell’ordine dei 150° C. Se la trappola petrolifera permette l’estrazione del petrolio in essa contenuto tramite perforazioni, si ha un campo petrolifero coltivabile.

[nell’immagine a fianco, la genesi delle riserve di idrocarburi.]

All'interno della “trappola petrolifera” si viene quindi a trovare una miscela di idrocarburi liquidi e gassosi (in proporzioni variabili). Gli idrocarburi gassosi costituiscono gas naturale (metano ed etano) e riempiono le porosità superiori. Quelli liquidi (nelle condizioni di pressione esistenti nel giacimento, cioè svariate centinaia di atmosfere) occupano le zone inferiori del giacimento. In virtù della provenienza prevalentemente marina della materia organica all'origine del petrolio, quasi inevitabilmente gli idrocarburi sono associati ad acqua; è frequente la situazione per la quale all'interno della roccia madre si trovino tre strati: uno superiore di gas naturale, uno intermedio costituito da idrocarburi liquidi ed uno inferiore di acqua salata3.

La ricerca di idrocarburi viene svolta in genere attraverso prospezione geofisica, che consiste in un'indagine delle proprietà fisiche del sottosuolo da cui è possibile determinare la presenza di particolari disomogeneità delle proprietà del terreno, associate alla presenza di trappole strutturali o altre strutture di accumulo di idrocarburi.

3 Nelle operazioni di messa in produzione di un giacimento si presta notevole attenzione alla profondità alla

quale si situa lo strato di acqua perché questa informazione è necessaria per calcolare il rendimento teorico del giacimento.

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Ad oggi, le zone maggiormente produttive per l’estrazione di idrocarburi si trovano nel Mare del Nord, nei Campos e Santos Basins al largo delle coste del Brasile, in Terranova e Nuova Scozia, in Nigeria ed Angola, nel sud-est asiatico e a Sakhalin, in Russia.

[nell’immagine la distribuzione nel mondo delle riserve di idrocarburi, così come sono conosciute oggi.]

3. DAI PRIMI ESPERIMENTI ALLE ODIERNE TECNOLOGIE

Il petrolio era conosciuto fin dall’antichità in svariate parti del globo, e, laddove affiorava naturalmente, veniva utilizzato per accendere fuochi o a fini medici. Era infatti conosciuto in Cina, dove le popolazioni locali avevano tentato l’estrazione con rudimentali trivelle e nel territorio dell’odierno Azebarjian, scoperto da Marco Polo in uno dei suoi viaggi, dove non solo risultava esserci un giacimento affiorante di greggio, ma anche primitive miniere di asfaltene4.

I primi tentativi di estrazione di petrolio arrivarono quando sorse l’interesse a sostituire il costoso olio di balena, utilizzato per alimentare i lampioni, con il kerosene, un prodotto

4 Come abbiamo visto, gli asfalteni sono idrocarburi ad elevato peso molecolare che, per le loro

caratteristiche, qualora emergano spontaneamente in superficie, a temperatura e pressione atmosferica assumono forma solida e colore bruno-nero.

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derivato dal petrolio. Fu Edwin Drake5, detto “il Colonnello”, a compiere la prima trivellazione petrolifera nel 1859, grazie ai finanziatori della Seneca Oil Company6.

Questa compagnia, nata come Pennsylvania Rock Oil Company, fu la prima a vedere nell’ “oro nero”, un nuovo e remunerativo investimento. I suoi fondatori infatti, George Bissell e Jonathan Eveleth, volevano inserirsi nel mercato degli oli combustibili utilizzati per i lampioni con un nuovo ed economico prodotto, il kerosene. Il problema maggiore restava trovare un metodo economicamente vantaggioso per estrarre il petrolio dal terreno. Fu per questo che Drake venne assunto, per effettuare ricerche nei territori di proprietà della Compagnia, a Titusville, in Pennsylvania.

Edwin Drake era un macchinista nei primi treni a vapore, ma era rimasto senza lavoro, e trovò nell’amico George Bissell una alternativa opportunità di lavoro. Il “Colonnello”, per la perforazione, comprò una macchina a vapore che produceva 6 HP, inserì un tubo di trasmissione nel terreno per evitare che le pareti del terreno cedessero nel foro e lentamente, con un progresso di circa un metro al giorno, riuscì a giungere al giacimento, posto a circa 21 metri di profondità. Il 27 agosto 1859, dopo cinque mesi di tentativi e lo scetticismo di chi lavorava attorno a lui, il petrolio cominciò a fuoriuscire dal foro praticato nel terreno e, con una semplice pompa a mano, Drake poté raccogliere l’olio in una vasca da bagno.

[nella fotografia, Edwin Drake a Titusville, Pennsylvania, a fianco al primo pozzo produttivo di petrolio del mondo.]

5 Edwin Drake nacque a Greenville, nello Stato di New York, il 29 marzo 1819 da una famiglia di agricoltori. A

19 anni lasciò la famiglia per lavorare come macchinista nell’industria ferroviaria ma perse il lavoro a seguito di una malattia. Nel 1858, dopo essersi sposato, andò a vivere a Titusville, in Pennsylvania. Qui egli fu coinvolto nelle ricerche petrolifere e sfruttò le sue conoscenze selle macchine a vapore nella ricerca petrolifera. Sfortunatamente Drake mancava di conoscenze e capacità imprenditoriali e non fu in grado di sfruttare la sua invenzione. Morì in povertà pochi anni dopo, il 9 novembre 1880 a Bethlem, pennsylvania. Nel 1902 il dirigente della Standard Oil fece innalzare un monumento in suo ricordo.

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I principi che stanno alla base dell’idea di estrazione che ebbe Drake sono gli stessi utilizzati dalle moderne compagnie nelle perforazioni di giacimenti di idrocarburi. Grazie al tubo di trasmissione infatti era possibile per le trivelle arrivare più in profondità senza soffrire di crolli alle pareti o di infiltrazioni d’acqua. In breve tempo il nuovo metodo si diffuse in tutta l’area circostante e permise di estrarre con sufficiente continuità l’idrocarburo da porre le basi della moderna industria petrolifera, con una produzione di circa 15900 barili di petrolio al giorno nell’intera area circostante.

Le prime trivellazioni offshore furono sperimentate intorno al 1891 sulle rive del Grand Lake St. Marys, in Ohio. Nel 1896, grazie all’appoggio di moli in legno che si prospettavano nel Canale di santa Barbara, in California, si aprirono i primi pozzi sotto i fondali marini. Questi rappresentavano una prospezione in acqua di un’area che già si stava sfruttando sulle rive dello stesso Canale. Nel corso di un anno oltre 20 compagnie installarono ulteriori moli nell’area, arrivando a trivellare fino a 400 nuovi pozzi. Sempre nella Contea di Santa Barbara, in California, nel 1901 si arrivò a costruire moli che si affacciavano fino quasi a 100 metri dalla costa sull’Oceano Pacifico.

[nella fotografia, i moli che per primi permisero di tentare l’estrazione di petrolio al di là del confine della terraferma.]

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Nel 1911 la Gulf Refining Company sperimentò le prime trivellazioni offshore senza l’appoggio di moli costruiti sulla costa. Nel Lago Caddo, in Luisiana, essa utilizzò per i suoi scopi una flotta di rimorchiatori, chiatte e semplici costruzioni in legno galleggianti. Quando la Compagnia si rese conto degli enormi profitti derivanti da un’estrazione di 450 barili al giorno di greggio, costruì piattaforme ogni 200 metri sulla superficie del lago. Nel frattempo si stavano aprendo sempre più pozzi in svariate parti del mondo: in Venezuela, sul Lago Maracaibo; in Azerbaijan, sul Mar Caspio, dove già dal 1923 si stava costruendo un’isola artificiale in una zona poco profonda per sfruttare un pozzo naturale conosciuto da decenni; nel Golfo del Messico, area oggi tra le più sfruttate in ambito petrolifero e dove nei primi anni Trenta la Compagnia Texas fu la prima ad avventurarsi con delle chiatte atte alla perforazione del fondale.

Nel 1938 la Pure Oil Company (ora Chevron) e la Superior Oil Company (ora ExxonMobil) commissionarono la costruzione di una piattaforma di perforazione nel Golfo del Messico alla East Texas Company, completamente in legno ma ad un miglio dalla costa e che fosse in grado di operare ad una profondità di 4 metri. Il sito designato per la trivellazione era vicino Creole, in Luisiana. Utilizzarono i criteri di costruzione normalmente applicati nelle costruzioni sulla terraferma per ottenere una piattaforma capace di resistere a venti fino a 240 km/h e che si ergesse sul fondale marino per circa 5 metri. Sul posto furono portati trecento pali di legno per poter porre le basi della piattaforma nel sabbioso fondale del Golfo. Questa imponente struttura però non resistette a lungo, e, meno di due anni dopo, fu spazzata via da un uragano, fenomeno assai frequente in quelle aree geografiche.

[nella fotografia, una delle prime strutture che si tentò di mettere in produzione al largo delle coste del Golfo del Messico]

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Nel 1947 Kerr-McGee sperimentò un impianto offshore che si ricorda oggi per essere stato la prima struttura offshore ad essere costruita ad una distanza tale dalla costa da non essere più visibile, la Kermac n. 16. A circa 10 miglia di distanza dalla costa, tale piattaforma era finalizzata a esplorare nuove aree ritenute essere, dagli studi dell’epoca, potenzialmente prolifiche per la produzione di petrolio. Il fondale nel Golfo del Messico decresce lentamente e rendeva possibile operare, sui siti designati per le trivellazioni, ad una profondità di poco più di 5 metri, ma era comunque necessario utilizzare le navi per rifornire le piattaforme di tutti i beni di prima necessità essenziali per l’equipaggio ed i lavoratori della piattaforma. Gli scavi iniziarono il 10 settembre 1947.

Una seconda piattaforma fu costruita poco dopo a circa 8 miglia di distanza dalla prima. Di dimensioni ancora maggiori, poggiava su un fondale di 30 metri, ed era anch’essa costruita interamente in legno.

Nonostante le tecnologie ancora primitive e i potenti uragani che investirono le nuove costruzioni solo pochi giorni dopo, queste riuscirono a resistere alle intemperie riportando danni minimi, ed entro la fine di novembre erano entrambe pienamente operative. Il 14 novembre sulla Kermac n. 16 si registrava un’estrazione di 40 barili all’ora. Fino al 1984 questa stessa piattaforma fu in grado di produrre 1,4 milioni di barili di greggio e 307 milioni di metri cubi di gas naturale.

Entro la fine del 1949 furono scoperti 11 “campi” di petrolio e gas naturale nel Golfo del Messico e furono installati 44 pozzi di estrazione offshore.

Con gli anni Cinquanta si iniziarono ad usare gli elicotteri per i collegamenti tra la terraferma e le piattaforme: il primo elicottero che venne utilizzato per portare viveri, rifornimenti e pezzi di ricambio ai lavoratori sfruttava lo spazio libero sul ponte di una “Landing Ship Tank”, ovvero una vecchia nave anfibia, utilizzata durante la Seconda Guerra Mondiale, che restava sempre all’ancora nei pressi della piattaforma, come area di atterraggio per i velivoli.

Nel 1961 si sperimentò la prima piattaforma semi-sommergibile, ad opera della Blue Water Drilling Company, che produceva nel Golfo del Messico per la Shell Company. La struttura era nata per essere fissata al fondale, dopo essere stata trasportata fino al luogo delle operazioni, ma la Blue Water Drilling osservò come essa fosse incredibilmente

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stabile anche nel momento in cui era galleggiante. Le due compagnie decisero quindi di avviare i lavori anche con questo differente assetto.

[nella fotografia, la Western Explorer, prima unità che era capace di trivellare, produrre e spostarsi grazie ad un sistema di eliche]

Due anni dopo nacque la prima piattaforma destinata, fin dal principio, ad operare in assetto di semi-galleggiamento piuttosto che ancorata al fondale marino.

Nei decenni successivi si registrò una corsa tra le compagnie che si avventuravano in questo campo, e che riuscirono a costruire piattaforme, fisse e semi-sommergibili, sempre più grandi e performanti e sempre più capaci di operare in acque profonde.

4. LE PRIME SCOPERTE IN ITALIA

L’Italia si interessò all’estrazione di idrocarburi con l’Unità, dopo la quale si moltiplicano i tentativi prospezione nel sottosuolo della Penisola. Furono proprio le manifestazioni superficiali di idrocarburi a guidare le prime ricerche e produzioni di idrocarburi espletate con la tecnica moderna tramite la perforazione di un pozzo con apposito impianto: la prima estrazione di petrolio in Italia fu fatta da Achille Donzelli nel 1860, che perforò due pozzi a Ozzano, nell'Appennino parmense, a 32 e 45 metri di profondità con una produzione di 25

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kg di petrolio al giorno. Nello stesso anno il marchese Guido dalla Rosa Prati realizzò a Salsomaggiore Terme, sempre nell'area emiliana, un pozzo di 308 metri con una produzione fino a 3750 kg di petrolio al giorno. Nove anni dopo, nel 1869, Salsomaggiore divenne la prima città illuminata a gas7.

Verso la fine del secolo iniziò lo sfruttamento in miniera del bitume contenuto in fratture entro rocce dolomitiche (al tempo chiamate piroscisti o scisti bituminosi) della miniera di Resiutta, in provincia di Udine. Il bitume estratto da questa miniera era distillato nel paese per ricavarne oli minerali pesanti. Il processo era autoalimentato con i gas combustibili che venivano prodotti e la sua produzione permise la prima pubblica illuminazione di Udine. Dal bitume estratto veniva anche ricavato l'ittiolo, utilizzato a scopi medicamentosi.

Per tutto l’Ottocento si cercò soprattutto gas per l’illuminazione pubblica, ma da inizio Novecento si sviluppò l’interesse a cercare anche petrolio, da cui ricavare carburanti per i veicoli a motore. La Prima Guerra Mondiale e gli anni Venti, in tutto il mondo, sancirono l’inizio dell’era del petrolio, con le grandi compagnie europee e statunitensi che consolidano le loro attività in Nord America, Medio Oriente, Caucaso e anche in Italia. Nel 1905 venne fondata da Luigi Scotti, a Fornovo, sull'Appennino Parmense, la SPI - Società Petrolifera Italiana, che iniziò la sua attività con la miniera di Vallezza. Nella proprietà della SPI entrò l'americana Esso dal 1928 al 1948, attirata in Italia dalle manifestazioni petrolifere dell'area. La SPI negli anni '20 e '30 del secolo scorso produceva circa il 50% del petrolio estratto in Italia.

Il nostro Paese risultava essere il primo produttore europeo di idrocarburi, ma il settore era dominato dagli stranieri. L’industria italiana era arretrata e ancor di più lo era il settore petrolifero ed energetico, con piccole aziende che non potevano reggere la concorrenza delle corporation. In questi anni i grandi gruppi stranieri arrivarono a condizionare pesantemente la politica e l’economia del Paese.

Il primo tentativo di dotare l’Italia di una propria compagnia petrolifera arrivò nei primi anni del regime fascista, ovvero nel 1926 con la fondazione dell’AGIP - Azienda Generale Italiana Petroli, da parte del Governo stesso. Nonostante i finanziamenti fossero cronicamente insufficienti, l’AGIP riuscì a condurre le prime operazioni di esplorazione ed

7 La perforazione di questi pozzi venne intrapresa a tre anni di distanza dal famoso pozzo perforato negli

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estrazione sia in Italia che all’estero, nelle colonie in Africa e in Medio Oriente (Libia, Albania, Romania, Eritrea e Somalia).

Il governo italiano, nel 1927, emise il Regio decreto 1443 con le norme di carattere legislativo per disciplinare la ricerca e la coltivazione delle miniere in Italia. Si tratta della prima legge mineraria nazionale che stabilisce la proprietà statale delle risorse minerarie. Pochi mesi prima dell'entrata in guerra, nel 1940, l'AGIP fece arrivare in pianura padana dagli USA l'attrezzatura di prospezione geofisica per la ricerca di strutture geologiche sepolte tramite il metodo della sismica a riflessione8. L'introduzione di questa nuova tecnologia, che da dieci anni aveva permesso grandi ritrovamenti nelle aree in cui veniva utilizzata, segnò in Italia un punto di svolta nella ricerca di idrocarburi, aggiornando la fase esplorativa nella penisola al livello delle tecniche ed all'approccio di ricerca di giacimenti utilizzati all'estero9.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale l’Italia era in ginocchio e gli Alleati chiesero la liquidazione dell’AGIP. Il Governo affida l’incarico a Enrico Mattei, che però di fronte alle informazioni sul gas in Pianura Padana decise invece di intensificare le attività di esplorazione. Nel 1950 dodici squadre di prospezione geofisica operavano in Val padana per conto dell'AGIP ed un'altra nella pianura marchigiana. Alla fine dell'anno circa 27 sonde di perforazione erano attive, tra cui un impianto in grado di raggiungere la profondità di 5500 metri, capacità notevole per quei tempi. Questi grossi ritrovamenti di gas diedero a Mattei l'idea di sviluppare molto velocemente la metanizzazione dell'area padana, tramite una rete di metanodotti gestiti dalla SNAM, rendendo l'Italia il paese europeo pioniere nello sviluppo di una rete di metanodotti e riducendo in parte la dipendenza dalle importazioni di carbone a scopi energetici10.

8 La sismica a riflessione è una metodologia d’indagine geofisica utilizzata nell’esplorazione del sottosuolo

per riconoscere l’assetto stratigrafico e strutturale dei corpi geologici. In particolare essa sfrutta le particolarità del sottosuolo in quanto provocando uno scoppio sul terreno attraverso appositi sensori è possibile registrare le risposte emesse dalle differenti formazioni geologiche situate in profondità. È una metodologia geofisica attiva che trova applicazione principalmente nella ricerca di idrocarburi, ma anche nell’ingegneria civile.

9 Risale a quegli anni la scoperta di un grande giacimento di metano in Val Padana, il maggiore giacimento di

gas naturale conosciuto dell’epoca. L’imminente guerra e il rapporto di sudditanza rispetto alla Germania, portarono però a tenere segreta la scoperta, che diventerà pubblica solo dopo il 1945.

10 Il primo tratto di metanodotto, costruito fra Cortemaggiore e Torino, fu inaugurato da Alcide De Gasperi il

1º giugno 1952, iniziando la metanizzazione del Triangolo industriale e quindi allargata al Veneto ed all'Emilia, favorendo la nascita del futuro boom industriale italiano.

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[nella fotografia, i lavori per l’installazione dei primi gasdotti in Italia]

Con i primi successi nell’estrazione Mattei convinse il Governo a fondare la prima vera grande compagnia energetica nazionale. È così che nel 1953 nasce l’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi), al quale venne concesso il diritto esclusivo di ricerca e produzione di idrocarburi nella Pianura Padana e sopra un tratto di mare Adriatico adiacente, al fine di conservare le risorse nazionali in mano italiana.

Nel 1953 iniziarono le scoperte significative nella Sicilia orientale, con il ritrovamento da parte dell'americana Gulf, del giacimento di Ragusa (20 milioni di tonnellate di petrolio, a quel tempo il maggior giacimento di petrolio dell'Europa occidentale), che verrà velocemente messo in produzione e ben presto collegato, con un oleodotto, alla raffineria costruita ad Augusta11.

Il pozzo Piadena 23, perforato da AGIP nel 1957, raggiunse la profondità di 5251 metri, record europeo per quel tempo. Nel 1973 fu scoperto il giacimento petrolifero di Cavone, a circa 3200 - 3500 metri di profondità, in Pianura Padana.

Nel 1959 l’AGIP, grazie alla Saipem (Società Azionaria Italiana Perforazioni E Montaggi), che utilizzava i rilievi sismici marini, costruì la prima piattaforma offshore in Europa, al largo di Gela, e situato a 3500 metri di profondità (Pozzo GELA 21).

Il ritrovamento del campo gassifero a Ravenna confermò l'ipotesi che giacimenti di gas naturale si potessero trovare anche oltre le coste emiliane, nel mar Adriatico, ed a metà degli anni '50 l'AGIP effettuò la prima campagna di rilievi sismici marini in Italia.

11 Nel 1956 la sua produzione fu di circa 2500 tonnellate di petrolio, rapidamente incrementata a 493.000

tonnellate nel 1956 e poi a 1.437.308 nel 1958. In quell'anno, la produzione del giacimento contribuiva al 90% della produzione petrolifera italiana, coprendo il 10% della richiesta nazionale di petrolio.

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Nella seconda metà degli anni '50 iniziò anche la fase di ricerca diretta con perforazioni di pozzi nel Mar Adriatico.

Nel 1957 la legge n. 6 fu la prima legge europea a disciplinare tale tipologia di attività, fornendo le regole per l’attività e l’attribuzione dei diritti di ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi sulla piattaforma continentale e nel mare territoriale.

La ricerca nell'offshore siciliano tra gli anni '70 e '80, permise all'AGIP i ritrovamenti dei giacimenti petroliferi di Nilde, nell'offshore trapanese e di Prezioso e Perla. Quest'ultimo verrà messo in produzione nel 1976 con la prima piattaforma operante in "remote control" per l'Italia. Nell'offshore ragusano la Montedison scoprì i giacimenti di Mila e di Vega (1981) ad una profondità di circa 2700 m. Il campo di Vega verrà messo in produzione nella seconda metà degli anni '80 con la piattaforma Vega A costruita nei cantieri del Consorzio Ital Offshore di Punta Cugno Augusta, installata nel febbraio 1987, che costituisce il maggior impianto offshore italiano. Nel 1975 la francese ELF scoprì il giacimento petrolifero di Rospo nel medio Adriatico, ad una profondità di circa 1300 m. All'inizio degli anni '90 venne scoperto dall’AGIP nel Canale d'Otranto, con la perforazione di un pozzo esplorativo (1993), il campo petrolifero di Aquila, primo giacimento italiano sviluppato in acque profonde (maggiori di 800 metri), che detiene il primato del giacimento europeo in acque più profonde.

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CAPITOLO II: LE FONTI NORMATIVE

Nel precedente capitolo abbiamo visto come è nata l’industria petrolifera e sotto la pressione di quali interessi essa si è sviluppata, fino ad arrivare ai giorni nostri. Oggi, vista l’importanza che tale settore occupa a livello mondiale, possiamo trovare svariate fonti normative che si occupano di disciplinare la materia, sotto molteplici punti di vista, partendo da fonti di provenienza internazionale fino ad arrivare alle discipline più di dettaglio. In questo capitolo andremo quindi ad analizzare come e con quali strumenti gli stati hanno reagito alla necessità di regolare tutte le operazioni attinenti all’estrazione di idrocarburi.

1. LE FONTI INTERNAZIONALI

A livello internazionale per quanto riguarda le piattaforme di estrazione troviamo fonti che vanno a disciplinare più specificamente il diritto degli Stati di esercitare la propria sovranità all’interno del proprio territorio, per cui anche il diritto di sfruttamento dei fondali marini, ma anche Convenzioni con le quali gli Stati si impegnano a proteggere l’ambiente marino a fronte dei gravi rischi ai quali esso è sottoposto e derivanti dalle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi. Tra le prime rientra la Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare (UNCLOS 82), mentre incentrate sulla tutela dell’ambiente vi sono la Convenzione internazionale sulla preparazione, la lotta e la cooperazione in materia da inquinamento da idrocarburi (Internationale Convention on Oil Pollution Preparedness, Response and Co-operation, OPRC 90, che esamineremo più nel dettaglio), la Convenzione MARPOL 73/7812 (Marine Pollution Convention) e la Convenzione di Barcellona del 1976 (REMPEC – Regional Marine Pollution Emergency Response Centre fo the Mediterranean sea).

12 La Convenzione MARPOL rappresenta uno dei più importanti accordi internazionali in materia

ambientale. Si compone di due trattati, l’originale firmato nel 1993 ed uno successivo adottato nel 1998 (TSPP, Tanker Safety Prevention of Pollution) e si pone l’obiettivo di ridurre l’inquinamento in mare causato dai rifiuti marittimi, idrocarburi e gas di scarico, attraverso l’eliminazione dello scarico in mare di rifiuti e sostanze inquinanti e la riduzione degli sversamenti accidentali degli stessi. Al suo interno la Convenzione MARPOL è strutturata in 20 articoli, 3 protocolli e 6 annessi. Questi ultimi sono dedicati ognuno a contrastare una differente fonte di inquinamento, ovvero gli oli minerali, le sostanze liquide nocive trasportate alla rinfusa, le sostanze dannose trasportate in colli, le acque di scolo delle navi, i rifiuti solidi scaricati dalle navi e gli scarichi dei motori che provocano inquinamento atmosferico.

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1.1. La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare

La Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, firmata a Montego Bay nel 1982, si occupò di definire gli spazi marittimi13 e, con essi, i diritti e i doveri che ricadono sugli stati nell’ambito di suddetti spazi.

Come disciplinato dalla suddetta Convenzione, lo stato costiero ha piena sovranità, al pari che nel suo territorio, nel mare territoriale, nello spazio aereo sovrastante e nel relativo fondo marino e sottosuolo14. Il mare territoriale è fissato dallo Stato stesso entro un limite massimo di 12 miglia marine dalle linee di base1516.

13 Gli spazio marittimi sono definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare al fine di

distinguere, all’interno di ciascuno di essi, il regime giuridico esercitabile da ciascuno Stato. Questi sono, a partire dai confini terrestri delle Nazioni rivierasche, le acque interne, il mare territoriale, la zona economica esclusiva e la zona di protezione ecologica, l’alto mare.

14 UNCLOS, Parte II, Sezione 1, articolo 2, commi 1 e 2 15 UNCLOS, Parte II, Sezione 2, articolo 3

16 Con linea di base si intende “la linea di bassa marea lungo la costa, come indicata sulle carte nautiche a

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Passando alla Parte V della Convenzione, questa si occupa della Zona Economica Esclusiva, ovvero un’area dichiarata unilateralmente dallo Stato costiero e che non può estendersi oltre le 200 miglia marine a partire dalle linee di base. In questa zona lo Stato gode di una serie di diritti che gli consentono di installare, tra le altre, piattaforme per l’estrazione di idrocarburi. Infatti all’articolo 56, che si occupa più specificamente dei diritti, giurisdizione e obblighi dello Stato costiero nella zona economica esclusiva, troviamo l’indicazione che nella stessa lo stato costiero gode di diritti sovrani sia ai fini dell’esplorazione, sfruttamento e gestione delle risorse naturali, biologiche e non, che si trovano sul fondale marino o nel sottosuolo, sia al fine di svolgere tutte le attività necessarie e strumentali a queste. Inoltre la Convenzione specifica la facoltà degli Stati di installare e utilizzare isole artificiali e altri impianti e strutture strumentali ad un idoneo sfruttamento delle risorse marine17.

Per quanto attiene isole artificiali, installazioni e strutture nella zona economica esclusiva, lo Stato costiero gode del diritto esclusivo di costruire e di autorizzare e disciplinare la costruzione, la conduzione e l’utilizzo di installazioni e strutture realizzate per gli scopi già citati in precedenza18. Di conseguenza spetta allo Stato stesso anche l’adozione di un’adeguata disciplina, conformemente alla normativa nazionale, per ogni aspetto che possa interessare la sicurezza della navigazione, inclusi gli aspetti di safety e security, e la tutela dell’ambiente e delle risorse biologiche in mare19.

17 UNCLOS, Parte V, articolo 56

18 Ovvero l’esplorazione, sfruttamento, conservazione e gestione delle risorse naturali, biologiche e non 19 UNCLOS, Parte V, articolo 60 “Lo Stato costiero ha giurisdizione esclusiva su tali isole artificiali,

installazioni e strutture, anche in materia di leggi e regolamenti doganali, fiscali, sanitari, di sicurezza e di immigrazione. Debito preavviso deve essere dato della costruzione di tali isole artificiali, installazioni e strutture, e debbono essere predisposte attrezzature permanenti per segnalarne la presenza. Le installazioni o strutture che siano state abbandonate o disattivate, debbono essere rimosse per garantire la sicurezza della navigazione, tenuto conto di ogni disposizione internazionale generalmente accettata, emanata a questo proposito dalla competente organizzazione internazionale. Tale rimozione viene effettuata tenendo in debito conto anche la pesca, la protezione dell'ambiente marino e i diritti e obblighi degli altri Stati. Adeguata informazione viene data in merito alla profondità, alla posizione e alle dimensioni di qualunque installazione o struttura che non sia stata completamente rimossa. In caso di necessità lo Stato costiero può istituire, intorno a tali isole artificiali, installazioni e strutture, ragionevoli zone di sicurezza all'interno delle quali possa adottare misure atte ad assicurare la sicurezza sia della navigazione sia delle stesse isole artificiali, installazioni e strutture.

Non si possono mettere in opera isole artificiali, installazioni e strutture, né istituire le zone di sicurezza circostanti, quando ne possa derivare un'interferenza con l'utilizzo di corridoi riconosciuti, essenziali per la navigazione internazionale.

Le isole artificiali, le installazioni e le strutture non hanno lo status di isole. Non possiedono un proprio mare territoriale e la loro presenza non modifica la delimitazione del mare territoriale, della zona economica esclusiva o della piattaforma continentale”.

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Altra regolamentazione attinente alla facoltà degli Stati di effettuare la ricerca, prospezione ed estrazione di idrocarburi dal sottosuolo marino deriva dalla definizione di piattaforma continentale, alla Parte VI della Convenzione.

All’articolo 76 la piattaforma continentale è infatti definita come “il fondo e il sottosuolo

delle aree sottomarine che si estendono al di là del suo mare territoriale attraverso il prolungamento naturale del suo territorio terrestre fino all'orlo esterno del margine continentale, o fino a una distanza di 200 miglia marine dalle linee di base dalle quali si misura la larghezza del mare territoriale, nel caso che l'orlo esterno del margine continentale si trovi a una distanza inferiore”.

La Convenzione riconosce allo Stato costiero diritti sovrani ed esclusivi sulla piattaforma continentale, allo scopo di esplorarla e di sfruttarne le risorse naturali, intese quali le risorse minerali e altre risorse non viventi del fondo marino e del sottosuolo e gli organismi viventi appartenenti alle specie sedentarie20. Inoltre la Convenzione prevede espressamente che lo Stato costiero ha il diritto esclusivo di autorizzare e regolamentare le perforazioni nella piattaforma continentale, qualunque sia il loro scopo.

I diritti che lo Stato costiero ha sulla piattaforma continentale non devono comunque pregiudicare la navigazione o il sorvolo nelle acque o nello spazio aereo sovrastante la piattaforma continentale da parte di mezzi di altra nazionalità.

Le disposizioni alla Parte VI, appena analizzata, attinenti alla libertà di costruire installazioni, si applicano anche all’alto mare.

La Convenzione di Montego Bay, dopo aver disciplinato le competenze e le facoltà degli Stati all’intero dei diversi spazi marittimi, si occupa, nella Parte XII, della protezione e preservazione dell’ambiente marino. A tal fine, gli Stati sono tenuti ad adottare tutti i provvedimenti necessari a limitare l'inquinamento prodotto da installazioni e macchinari utilizzati per l'esplorazione o lo sfruttamento delle risorse naturali del fondo marino e del sottosuolo, con particolare riferimento ai provvedimenti intesi a prevenire incidenti e a fronteggiare le emergenze, garantendo la sicurezza delle operazioni in mare, e

20 Cioè organismi che, allo stadio adulto, sono immobili sul fondo o sotto il fondo, oppure sono incapaci di

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regolamentando la progettazione, la costruzione, l'armamento, le operazioni e la conduzione di tali installazioni e macchinari21.

Altro elemento fondamentale che troviamo all’interno della Convenzione delle Nazioni Unite e che verrà riproposto in tutti i documenti successivi, siano essi di carattere internazionale, europeo o nazionale, è l’importanza della cooperazione tra Stati, a livello mondiale o regionale, nell’elaborazione delle migliori norme, pratiche e procedure e nello scambio di informazioni utili22.

1.2. Convenzione internazionale sulla preparazione, la lotta e la

cooperazione in materia di inquinamento da idrocarburi

Altra fonte che a livello internazionale si occupa degli idrocarburi è la convenzione OPRC 1990 (International Convention on Oil Pollution Preparedness, Response and Co-Operation), ratificata dall’Italia con legge ordinaria il 15 dicembre 1998, numero 464. L’obiettivo della Convenzione e degli Stati contraenti è quello di salvaguardare l’ambiente marino dagli incidenti che provocano inquinamento da idrocarburi ad opera di navi, unità offshore, porti marittimi e strutture per il trattamento degli idrocarburi.

Diventa di fondamentale importanza l’applicazione di provvedimenti precauzionali e di prevenzione al fine di evitare tale tipo di inquinamento, ma allo stesso tempo una rigorosa applicazione degli strumenti internazionali già esistenti relativi alla sicurezza marittima ed alla prevenzione dell'inquinamento marino, in particolare la Convenzione Internazionale per la Sicurezza della Vita in Mare del 1974 (SOLAS) così come emendata e la Convenzione Internazionale per la Prevenzione dell'inquinamento da navi del 1973, come modificata dal relativo Protocollo del 1978 emendato (MARPOL 73/78), e l’elaborazione quanto prima di norme più rigorose per la progettazione, il funzionamento e la manutenzione delle navi che trasportano idrocarburi e delle unità offshore.

In base alla Convenzione i paesi aderenti sono obbligati a predisporre un idoneo apparato organizzativo e gli strumenti necessari per affrontare in mare un'emergenza ambientale, in

21 UNCLOS, Parte XII, Sezione 1, articolo 194. Più specificamente, per quanto attiene l’inquinamento

provocato da attività relative al fondo marino e soggette alla giurisdizione nazionale, al fine di prevenire tale tipo di inquinamento gli Stati costieri sono tenuti ad adottare leggi e regolamenti atti a prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l'inquinamento dell'ambiente marino provocato direttamente o indirettamente da attività relative al fondo marino soggette alla loro giurisdizione, o da isole artificiali, installazioni e strutture sotto la loro giurisdizione.

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collaborazione con altri paesi aderenti e sotto la guida dell'IMO, al quale la Convenzione affida un ruolo di coordinamento.

Risulta infatti fondamentale l’assistenza reciproca e la cooperazione internazionale, soprattutto per quanto riguarda lo scambio di informazioni sui mezzi di cui dispongono gli Stati atti a far fronte inquinamenti da idrocarburi, la predisposizione di piani di emergenza contro gli stessi, lo scambio di rapporti concernenti incidenti significativi e suscettibili di pregiudicare l’ambiente o il litorale marino e gli interessi connessi ad essi degli Stati costieri, nonché i programmi di ricerca e sviluppo sui mezzi per la lotta all’inquinamento. Allo stesso tempo, nel proprio ambito giurisdizionale, i paesi aderenti sono tenuti a dotarsi di mezzi navali, apparecchiature e personale specializzato in grado di intervenire con rapidità e efficacia, a effettuare esercitazioni, e a elaborare piani operativi, da coordinarsi a livello nazionale, per rispondere a qualsiasi inquinamento accidentale di petrolio. Infatti ogni Stato è tenuto a designare l’autorità nazionale competente alla lotta contro l’inquinamento da idrocarburi e a stilare il Piano di emergenza nazionale di preparazione e di lotta che comprenda uno schema dei punti di contatto tra i vari enti interessati, sia pubblici che privati.

Secondo la Convenzione ciascuna parte deve accertarsi che le navi che battono la sua bandiera abbiano a bordo un Piano di emergenza contro gli inquinamenti da idrocarburi23, e lo stesso è richiesto anche alle unità di perforazione offshore24 che operano sotto la giurisdizione delle parti contraenti. Tale Piano di bordo deve essere coordinato con l’ordinamento nazionale e approvato in conformità con le procedure prescritte dall’autorità competente nazionale.

Infine qualsiasi nave o unità offshore che conosca di fatti avvenuti a bordo che comportino il rischio di una discarica di idrocarburi in mare deve farne immediatamente rapporto allo Stato costiero più vicino o allo Stato sotto la cui giurisdizione l’unità è posta25. Tali rapporti sono fondamentali per poter reagire prontamente ad ogni evenienza e per dare la possibilità alle giurisdizioni, nazionali e non, di poter aggiornare la propria normativa in materia sulla base delle più recenti tecnologie ed esperienze.

23 Di tale Piano tratteremo in maniera più esaustiva nel Capitolo V. 24 Previsione contenuta all’articolo 3, comma 2 della Convenzione. 25 Secondo le procedure indicate all’articolo 4 della Convenzione.

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2. LE FONTI DI PROVENIENZA EUROPEA

L’Unione europea ha seguito l’evoluzione del settore dell’estrazione degli idrocarburi, su terraferma o in mare, producendo una normativa anch’essa in continua evoluzione e capace di abbracciare la materia sotto molteplici punti di vista. Infatti con gli anni le priorità politiche dell’Unione si sono adattate alla società che evolveva e di conseguenza anche l’attenzione verso le piattaforme di estrazione offshore si è fatta sempre più consapevole ed attenta al dettaglio, anche al fine di perseguire una politica energetica tale da garantire una sempre maggiore autonomia in tal senso agli Stati membri.

Alla base di tutta la disciplina di provenienza europea, il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea26 stabilisce gli obiettivi di salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente e di utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali. Istituisce l’obbligo di sostenere tutte le azioni dell’Unione attraverso un alto livello di protezione, basato sul principio della precauzione e sui principi dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente nonché sul principio del “chi inquina paga” (articolo 191 TFUE). A partire da questi elementi chiave derivano alcune direttive che vanno a toccare, direttamente o indirettamente, il funzionamento delle piattaforme offshore per l’estrazione di idrocarburi. Di seguito andremo ad analizzare l’evoluzione della normativa in oggetto.

4.1. I primi interventi

Il primo atto rilevante ai fini della nostra trattazione è dei primi anni Novanta ed è dedicato ad un aspetto specifico delle operazioni svolte dalle piattaforme offshore, ovvero la sicurezza e la salute dei lavoratori a bordo dell’impianto. Con la Direttiva 92/91/CE del Consiglio infatti, relativa alle prescrizioni minime intese al miglioramento della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori nelle industrie estrattive per trivellazione durante la perforazione, essendo essa una direttiva particolare27 ai sensi della direttiva 89/391/CEE, si vanno a vedere nel dettaglio le disposizioni minime di sicurezza da applicare nell’ambito in oggetto.

26 Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), da ultimo modificato dal trattato di Lisbona nel

2007, costituisce, insieme al Trattato sull’Unione europea, la base fondamentale del diritto dell’Unione.

27 Le direttive particolari sono, in ambito europeo, atti di dettaglio emanati a seguito di una “direttiva

quadro” e da questa previsti. Nel caso qui esaminato la Direttiva 92/91/CE è particolare rispetto alla Direttiva 89/391/CEE in quanto incentrata su specifici aspetti in materia di salute e sicurezza sul lavoro per i lavoratori impegnati nelle industrie estrattive, che saranno differenti per altre categorie di lavoratori.

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In particolare vengono definiti gli obblighi del datore di lavoro e, nell’Allegato alla direttiva, troviamo le disposizioni di dettaglio circa ogni aspetto della vita dei dipendenti presso il luogo di lavoro. L’unico Allegato distingue quindi le precauzioni necessarie a seconda se queste siano da applicarsi ad impianti offshore o sulla terraferma e le elenca in modo chiaro ed esaustivo. Nello specifico le prescrizioni speciali applicabili al settore offshore sono elencate nella Sezione C dell’Allegato.

Pochi anni dopo, la direttiva 94/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 1994, relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, afferma che le operazioni in mare nel settore degli idrocarburi nell’Unione sono subordinate all’ottenimento di un’autorizzazione. In questo contesto, l’Autorità competente per il rilascio delle licenze è tenuta a prendere in considerazione i rischi tecnici e finanziari e, se del caso, i precedenti in termini di affidabilità dei candidati che richiedono licenze esclusive per l’esplorazione e la coltivazione. È ritenuto inoltre necessario garantire che in sede di esame della capacità tecnica e finanziaria del licenziatario, l’Autorità competente per il rilascio delle licenze valuti a fondo anche la sua capacità di garantire in maniera costante operazioni sicure ed efficaci in tutte le condizioni prevedibili. Nel valutare la capacità finanziaria degli enti che fanno richiesta di autorizzazione a norma della direttiva 94/22/CE, gli Stati membri devono infatti verificare che gli stessi siano in grado di coprire finanziariamente tutte le misure idonee per coprire le responsabilità derivanti da incidenti gravi28.

Tale direttiva è finalizzata inoltre al miglioramento della politica energetica dell’Unione, considerando il fatto che questa, e con essa gli Stati membri, è largamente dipendente dalle importazioni per l’approvvigionamento di idrocarburi. Risulta quindi necessario favorire lo sfruttamento delle risorse presenti nei territori degli Stati membri, e quindi dell’Europa stessa.

Gli Stati restano comunque titolari del diritto di determinare, all’interno del loro territorio, le aree da rendere disponibili per le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, esercitabili da enti appartenenti a qualunque Stato membro della Comunità. Lo Stato sotto la cui giurisdizione ricade l’area interessata sarà inoltre tenuto ad adottare le disposizioni necessarie affinché le autorizzazioni siano rilasciate in esito a procedimenti nei quali tutti gli enti interessati possano presentare domanda.

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Resta di responsabilità dello Stato interessato la vigilanza normativa specializzata, onde garantire che siano messi in atto controlli efficaci per prevenire gli incidenti gravi e limitare l’impatto di questi ultimi sulle persone, l’ambiente e la sicurezza dell’approvvigionamento energetico.

Vista la sempre crescente attenzione, a livello internazionale alla tutela dell’ambiente, l’emanazione della Direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 si concentra sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale.

I titolari delle autorizzazioni per le operazioni in mare che abbiamo visto nella Direttiva 94/22/CE sono anche gli “operatori responsabili” a norma della Direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, che non dovrebbero delegare le proprie responsabilità a tale riguardo a terzi contraenti incaricati.

Infatti alla base della Direttiva in oggetto vi è il principio del “chi inquina paga”, già menzionato nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e coerentemente con il principio dello sviluppo sostenibile29. Ne deriva quindi che l’operatore la cui attività ha causato un danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno sarà considerato finanziariamente responsabile delle misure necessarie alla riparazione o alla prevenzione, in modo tale da indurre gli operatori ad adottare misure e a sviluppare pratiche atte a ridurre al minimo i rischi di danno ambientale30.

4.2. Le operazioni in mare nel settore degli idrocarburi oggi: la Direttiva

2013/30/UE

La norma che è oggi fondamentale nella disciplina delle operazioni offshore nel settore degli idrocarburi è la Direttiva 2013/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12

29 Il concetto di sviluppo sostenibile è stato introdotto nel rapporto Brundtland del 1987 della Commissione

mondiale sull’ambiente e lo sviluppo, intitolato “Il nostro futuro comune”, come “uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Esso è volto a conciliare lo sviluppo economico e la salvaguardia degli equilibri sociali e ambientali.

30 Resta comunque legittimo per un operatore di non sostenere i costi di misure di prevenzione o

riparazione che sono state necessarie in situazioni in cui il danno in questione o la minaccia imminente di esso derivano da eventi indipendenti dalla volontà dell’operatore. Questo può altresì essere autorizzato a non sostenere le spese di riparazione o prevenzione di un danno la cui origine siano emissioni od eventi espressamente autorizzati o la cui natura dannosa non era nota al momento del loro verificarsi.

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giugno 2013, che tratta della sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi. Essa modifica, in parte, la Direttiva 2004/35/CE già citata.

È necessario tenere presente che tale Direttiva riguarda gli impianti per le operazioni in mare quando essi siano stazionari in mare per attività di perforazione, produzione e le altre attività connesse al settore degli idrocarburi31.

Nell’attuare gli obblighi previsti dalla Direttiva 2013/30/UE, si deve altresì tener conto del fatto che le acque marine soggette alla sovranità o a diritti sovrani e alla giurisdizione degli Stati membri formano parte integrante delle quattro regioni marine identificate nell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2008/56/CE (che istituisce un quadro per l’azione comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino), ossia il Mar Baltico, l’Oceano Atlantico nordorientale, il Mar Mediterraneo e il Mar Nero. Per questo motivo l’Unione punta a rafforzare, in via prioritaria, il coordinamento con i paesi terzi che esercitano sovranità o diritti sovrani e giurisdizione sulle acque marine di queste regioni marine. I quadri di cooperazione adeguati comprendono le convenzioni marittime regionali, quali definite all’articolo 3, paragrafo 10, della direttiva 2008/56/CE.

In relazione al Mar Mediterraneo, insieme alla presente direttiva, sono state adottate le misure necessarie affinché l’Unione aderisca al protocollo relativo alla protezione del Mare Mediterraneo dall’inquinamento derivante dall’esplorazione e dallo sfruttamento della piattaforma continentale, del fondo del mare e del suo sottosuolo («protocollo offshore») della convenzione per la protezione dell’ambiente marino e del litorale del Mediterraneo (Convenzione di Barcellona), conclusa con decisione del Consiglio 77/585/CEE e successivamente aggiornata nel 1995.

Questo nuovo atto vuole primariamente ridurre, per quanto possibile, il verificarsi di incidenti gravi legati alle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi ed allo stesso tempo limitarne le conseguenze, aumentando così la protezione dell’ambiente marino e delle economie costiere dall’inquinamento, fissando nel contempo le condizioni minime di sicurezza per la ricerca e lo sfruttamento in mare nel settore degli idrocarburi, e

31 Nella situazione in cui gli impianti di perforazione mobili in mare sono in transito devono essere

considerati navi, essi sono soggetti alle convenzioni marittime internazionali, in particolare la SOLAS, la MARPOL o le norme equivalenti della versione applicabile del codice dell’Organizzazione marittima internazionale per la costruzione e l’equipaggiamento delle piattaforme di perforazione mobili in mare (codice MODU). Quando transitano in mare, tali piattaforme di perforazione mobili in mare sono anche soggette al diritto dell’Unione in materia di controllo dello Stato di approdo e il rispetto degli obblighi dello Stato di bandiera.

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migliorando i meccanismi di risposta in caso di incidente. È quindi un atto normativo che vuole ricomprendere in sé tutti gli aspetti che in qualche modo intersecano le operazioni in mare nel settore degli idrocarburi.

L’Europa ha voluto reagire al disastroso evento avvenuto nel 2010 nel Golfo del Messico sulla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon e far derivare da esso nuovi insegnamenti da poter applicare alla normativa vigente, in modo tale da ridurre ulteriori disastri di notevoli dimensioni, anche in ambito europeo.

[nell’immagine, i primi interventi condotti sulla piattaforma Deepwater Horizon a seguito dell’incidente avvenuto il 20 aprile 2010. Questa stava operando sul Pozzo Macondo, nel Golfo del Messico, a 1500 metri di profondità, per conto della British Petroleum, quando si verifica un’esplosione che provoca un incendio e la fuoriuscita senza controllo degli idrocarburi presenti nel giacimento. L’evento causò la morte di 11 persone e lo sversamento in mare di milioni di barili di petrolio nelle acque antistanti la Luisiana, che perdurò anche nei mesi successivi, fino a quando non si riuscì a chiudere definitivamente il pozzo il 4 agosto.]

Gli incidenti legati alle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi, in particolare l’incidente nel Golfo del Messico del 2010, hanno sensibilizzato l’opinione pubblica circa i rischi legati alle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e hanno dato avvio a una revisione delle politiche volte a garantire la sicurezza di tali operazioni. La Commissione ha avviato un riesame delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e ha espresso il

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proprio parere iniziale sulla loro sicurezza nella sua comunicazione «Affrontare la sfida della sicurezza delle attività offshore nel settore degli idrocarburi» del 13 ottobre 201032. Al fine di perseguire gli obiettivi primari dell’Unione quindi risulta essere di fondamentale importanza la condivisione di informazioni tra gli Stati all’interno dell’Unione, che siano essi direttamente interessati per operazioni svolte nelle loro acque o che non lo siano. Tutti gli Stati membri sono quindi invitati, con l’emanazione di questa Direttiva, a richiedere relazioni sugli incidenti gravi occorsi al di fuori dell’Unione che coinvolgono società registrate nel loro territorio e a condividere tali informazioni a livello comunitario33. Gli Stati membri devono quindi concentrarsi sulla rilevanza dell’incidente ai fini dell’ulteriore sviluppo della sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi nell’Unione. Il valore della collaborazione tra le autorità competenti è stato stabilito in tutta l’Unione nell’ambito di un gruppo di esperti, il gruppo di autorità dell’Unione europea per le attività offshore nel settore degli idrocarburi (EUOAG), il cui compito è quello di promuovere la cooperazione efficace tra rappresentanti nazionali e la Commissione, anche diffondendo le migliori pratiche e informazioni operative, stabilendo priorità per rafforzare le norme e fornendo alla Commissione consulenza sulla riforma della regolamentazione.

Data l’importanza della produzione in mare di idrocarburi per la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dell’Unione, è necessaria una normativa specifica che affronti i grandi rischi attinenti al settore degli idrocarburi in mare, nella fattispecie in materia di sicurezza del processo, contenimento sicuro degli idrocarburi, integrità strutturale, prevenzione di incendi ed esplosioni, evacuazione e soccorso nonché limitazione dell’impatto ambientale a seguito di un incidente grave, e che sia applicabile all’intero ciclo di vita delle attività di esplorazione e produzione, dalla progettazione alla dismissione.

Per garantire la sicurezza nella progettazione e operazioni costantemente sicure, gli operatori del settore sono tenuti a seguire le migliori pratiche definite in norme regolamentari e linee guida autorevoli. Tali norme e linee guida devono essere

32 La Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio di sicurezza del 2010 è stata la

prima reazione europea all’incidente avvenuto alla “Deepwater Horizon” nel Golfo del Messico, finalizzata a compiere un attento esame dei livelli di sicurezza nelle attività di ricerca e produzione di idrocarburi in acque europee e a sostenere la necessità di una normativa uniforme a livello europeo in materia.

33 L’obbligo di presentare relazioni non deve comunque interferire con le risposte alle emergenze o con le

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costantemente aggiornate in base a nuove conoscenze e innovazioni tecnologiche per garantirne un miglioramento continuo.

Le migliori pratiche attualmente disponibili per la prevenzione di gravi incidenti nelle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi sono basate su un approccio orientato alla definizione di obiettivi e sul raggiungimento di risultati desiderabili attraverso una valutazione approfondita del rischio e sistemi di gestione affidabili34.

Gli operatori del settore devono quindi riuscire a ridurre il rischio di incidente grave fino a raggiungere un livello minimo ragionevole oltre il quale il costo di un’ulteriore riduzione del rischio sarebbe assolutamente sproporzionato rispetto ai vantaggi di tale riduzione (rischio accettabile)35. L’attuabilità ragionevole delle misure di riduzione del rischio va comunque riesaminata periodicamente sulla scorta delle nuove conoscenze ed esperienze e degli sviluppi tecnologici.

Le operazioni di pozzo devono, pertanto, essere effettuate esclusivamente da un impianto che sia tecnicamente in grado di controllare tutti i rischi prevedibili nel luogo della perforazione e con riferimento al quale sia stata approvata una relazione sui grandi rischi36. Questa riporterà al suo interno le valutazioni del rischio e le modalità di prevenzione degli incidenti gravi e sarà complementare al documento di sicurezza e di salute di cui alla direttiva 92/91/CEE.

Nel momento in cui si verifica un incidente grave o è in procinto di verificarsi, gli operatori devono comunicarlo senza indugio agli Stati membri, affinché questi possano reagire in modo adeguato. Pertanto, gli operatori sono tenuti a comunicare tutti i dettagli necessari riguardo al luogo, alla gravità e alla natura dell’incidente grave avvenuto o imminente, alla loro risposta e all’ipotesi peggiore di aggravamento della situazione, compreso il potenziale coinvolgimento transfrontaliero.

34 In base alle migliori pratiche nell’Unione, gli operatori e i proprietari saranno incoraggiati a porre in

essere efficaci politiche aziendali in materia di sicurezza e ambiente e ad attuarle nell’ambito di un sistema globale di gestione della sicurezza e dell’ambiente e di un piano di risposta alle emergenze. Potranno individuare in modo completo e sistematico tutti gli scenari di incidenti gravi legati a tutte le attività pericolose che possono essere svolte su tale impianto, compreso l’impatto ambientale di un incidente grave. Tali migliori pratiche richiedono anche una valutazione della probabilità e delle conseguenze e, pertanto, del rischio di incidenti gravi, nonché delle misure necessarie a prevenirli e delle misure necessarie per la risposta alle emergenze nel caso in cui dovesse tuttavia verificarsi un incidente grave.

35 Nel valutare se il tempo, i costi e gli sforzi sarebbero assolutamente sproporzionati rispetto ai vantaggi di

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