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Studiare la devozione: una proposta etnografica

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione 5

L’oggetto di indagine 6

Scelte metodologiche 8

Articolazione dei capitoli 12

Cap 1: Studiare la devozione 15

La religione popolare 15

Santuari e Pellegrinaggi 28

La lezione di Blumer: l’interazionismo simbolico e la metodologia per la scienza empirica

44

Appendice: Il culto mariano 55

Cap 2: Il Santuario di Montenero 64

Storia di un luogo sacro 64

Il Santuario di Montenero 75

Appendice: Immagini del Santuario 81

Cap 3: I Pellegrini 85

In visita al Santuario di Montenero: la sacralità del silenzio 85 I pellegrini che visitano il Santuario in piccoli gruppi 89

Pellegrinaggi parrocchiani 93

La veglia dell’Immacolata Concezione 100

Il Cammino di Montenero 101

La “Chiamata” 105

Gli stranieri 109

Gli studenti 113

Livorno e la sua Madonna: alcune esperienze di chi non è religioso 121

Cap 4: Ex voto 127

Tradizionali 127

Moderni 134

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Cap 5: I Libri dei Pellegrini 171

Distribuzione dei messaggi nei mesi e nelle ricorrenze festive 173

Analisi del contenuto 178

Appendice I: Catalogo dei messaggi e delle firme 194

Appendice II: Provenienza dei pellegrini 195

Cap 6: La Gioventù Benedettina 198

Un gruppo di pendolari 198 Carriere religiose 205 Esperienze trascendentali 214 La fede 217 Pellegrinaggi 219 Gli “altri” 219 La Chiesa 224 Conclusioni 231

Osservazioni di carattere generale 231

Tipologie di persone in visita al Santuario 234

Gli ex voto: trasformazione del linguaggio votivo 240

I libri dei pellegrini 244

La Gioventù Benedettina 245

Fuori dal Santuario: la metaforizzazione della devozione mariana 251

Osservazioni conclusive 253

Appendice: Scelte metodologiche 255

Primi passi 255

“Entrare” nel Santuario 258

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Introduzione

Mi han detto che questa mia generazione ormai non crede in ciò che spesso han mascherato con la fede, nei miti eterni della patria o dell’eroe perché è venuto ormai il momento di negare tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura,

una politica che è solo far carriera, il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto e un dio che è morto nei campi di sterminio dio è morto, coi miti della razza dio è morto con gli odi di partito dio è morto…1

«Dio è morto» arriva a dichiarare Nietzsche prima nel La gaia scienza (1882) e poi in Così parlò Zarathustra (1883, 1885) per descrivere la fine dell’influenza dell’idea di Dio sia in ambito morale sia teologico. Anche se in pochi si sono spinti fino a un’asserzione così definitiva, anche in sociologia fino a pochi anni fa è prevalsa la convinzione che il progredire del processo di razionalizzazione avesse come conseguenza l’emancipazione dell’individuo dalle istituzioni ecclesiastiche. Il concetto di secolarizzazione, da qualcuno ritenuto un vero e proprio paradigma (Hadden, 1987), inteso come il processo di laicizzazione dei diversi ambiti della cultura, ossia della scienza, della politica, dell’economia e della morale (Pace, 2007), è stato a lungo la lente attraverso cui osservare il fenomeno religioso. Tuttavia, indipendentemente dalle diverse interpretazioni che sono state date a questo concetto, la religione anziché essere sul punto di scomparire sembra piuttosto essere attraversata da una serie di cambiamenti. Per       

1 Dio è morto (se Dio muore, è per tre giorni poi risorge), canzone scritta da Francesco Guccini,

1965. In realtà Guccini, pur riprendendo il celebre aforisma di Nietzsche, fa riferimento a un “Dio laico”, volendo denunciare i falsi miti proposti dalla società dei consumi.

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questo motivo, oltre alla necessità di comprendere l’emergere di fenomeni nuovi, diviene importante studiare anche quelli che, pur essendo tipici del passato, continuano a sussistere tutt’oggi. Tra questi, nella religione cattolica un ruolo di particolare importanza è stato da sempre rivestito dalla devozione mariana. Come sono espresse, quindi, ai giorni d’oggi le pratiche tipiche di una devozione così antica? Quali sono i significati a essa attribuiti dai fedeli? In che modo le abitudini religiose sono conciliate con la modernità secolare tipica della nostra società? Ci sono anche in questo ambito elementi inediti rispetto al passato che rappresentano un’innovazione?  

1. L’oggetto di indagine

Questo è un lavoro sulla devozione e le sue forme di espressione all’interno di un luogo di particolare rilevanza nella tradizione cattolica: il santuario, ossia quello spazio sacro che si differenzia dagli altri, come i monasteri, le cattedrali e le parrocchie, perché la sua esistenza si deve a una leggenda di fondazione basata su un fatto eccezionale, una “ierofania”. In altre parole, è il luogo dove la divinità si è mostrata e dove rimane presente e operante agli occhi della Chiesa cattolica e dei credenti (Eliade, 1948). Il fatto eccezionale, di rottura rispetto al mondo ordinario, è accettato dalle istituzioni, che assumono un ruolo di primaria importanza nel consolidamento e nella diffusione della fama di questi luoghi. Un santuario è, quindi, «ogni luogo segnato da “apparizioni” e “miracoli”, oggetto per questo di devozione e di pellegrinaggio spontaneo, nato in genere al di fuori dalle normali istituzioni ecclesiastiche, ma divenuto presto loro stretto “alleato”» (Rech, 2011: 450). In virtù di queste caratteristiche, i santuari hanno la capacità di sviluppare la pietà “popolare” che si esprime sia nei pellegrinaggi ma anche attraverso il lascito di ex-voto e testimonianze scritte. Il persistere delle manifestazioni devozionali tipiche di questo luogo in un periodo storico sociale in cui la religiosità è caratterizzata dalla pluralizzazione dei riferimenti e dagli effetti dei processi di individualizzazione, rende il santuario un luogo di particolare interesse per osservare il modo in cui si conciliano dimensione religiosa e modernità secolare in Italia (Abbruzzese 2010b).

L’attenzione si è, quindi, rivolta a un tema che nelle scienze sociologiche è associato al concetto di “religione popolare”. Questo si è diffuso in Italia nella seconda metà del ‘900, a seguito dei lavori di De Martino (1958; 1959; 1961), che

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ha avuto il merito di andare oltre la metodologia storiografica crociana, eleggendo a oggetto di studio la storia delle persone delle classi sociali subalterne. In questo contesto, lo studio della religione popolare fonda le sue radici sul pensiero gramsciano, tant’è che, tradizionalmente, questo concetto è stato definito in relazione all’opposizione tra la religione delle élite e quella, appunto, del popolo o delle classi subalterne, caratterizzata dalla spontaneità, dall’incapacità di sviluppare elaborazioni critiche del proprio credo e dal bisogno di sviluppare un rapporto diretto e personale con il divino volto all’ottenimento di protezione e aiuto (Prandi, 1977). Proprio per questo, spesso la religione popolare è stata interpretata come una via d’uscita che permette alle classi subalterne di sottrarsi a una condizione di dipendenza socio-culturale ed economica (Cipriani, 1979). Tuttavia, questo concetto è rapidamente entrato in crisi in concomitanza a una complessificazione della divisione delle classi sociali tipica delle società post industriali per cui l’aggettivo “popolare” non è più ascrivibile solo a determinati strati sociali. D’altra parte, però, i fenomeni catalogabili con questa etichetta non sono andati esaurendosi, cosicché alla “saturazione” del livello teorico non è corrisposto una perdita dell’interesse e della necessità di ricerche empiriche sulla religione delle persone. Questa categoria analitica, quindi, è col tempo caduta in disuso sia a livello teorico, nonostante i diversi tentativi di dare una definizione che ne superasse i limiti, sia nelle ricerche empiriche che, anche quando sono incentrate sulla religione dei laici, evitano di collocarsi all’interno di questa tradizione.

In tutt’altra maniera si è sviluppato l’uso del concetto di “religione popolare” in altri contesti academici, tra i quali è stato scelto di approfondire per questo lavoro alcune proposte elaborate da studiosi statunitensi. In questo caso la “religione popolare” e stata prevalentemente intesa come «the voices of ordinary people speak for themselves» (Badone, 1990: 4). Sebbene non sempre sia riuscito il tentativo di superare l’opposizione tra un sistema informale e una struttura ufficiale, alla base di queste teorie vi sono le persone viste come attivamente creatrici della loro sfera religiosa. La religione popolare, etichetta da alcuni sostituita con altri nomi proprio per evitare di collocarsi nella tradizione degli studi che hanno utilizzato questo termine, è, quindi, intesa come la religione così come è vissuta dai credenti (Hall, 1997) e viene valorizzata l’interpretazione

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personale basata sulla negoziazione delle credenze e delle pratiche (Primano, 1995).

Sebbene implicitamente nel contesto statunitense è, quindi, stata adottata una concezione costruzionista della realtà, tipica del pragmatismo il cui fine è quello di sviluppare una conoscenza direttamente collegata al mondo dell’esperienza così come è vissuta dagli individui in essa coinvolti. In ambito sociologico, questi principi sono stati introdotti da Mead il cui lavoro è stato ripreso e sistematizzato da Blumer, lo studioso che ha costituito la base su cui si è sviluppato l’interazionismo simbolico. Questa corrente teorica si fonda sull’idea che la condotta umana si formi nell’interazione sociale che non è solo uno sfondo per la sua espressione ma un processo costituente (Blumer, 1969). Il fine di un ricercatore che sceglie questa prospettiva teorica, è quello di comprendere ciò che gli individui conoscono della propria realtà e che è rilevante per loro. Per questo le domande di ricerca si focalizzano su come le persone interpretano i significati e agiscono in determinati contesti. L’interazione è il collegamento fondamentale tra l’individuo e la società e, quindi, l’elemento centrale della ricerca. Devono, quindi, essere enfatizzati i processi piuttosto che la struttura e ciò implica che si cerchi di comprendere non solo il punto di vista degli individui ma anche il modo attraverso cui questo si è sviluppato. Secondo l’interazionismo simbolico i processi, infatti, hanno un’importanza primaria, perché il comportamento umano è un insieme di attività dinamico nel quale gli individui sono continuamente coinvolti tramite l’interpretazione reciproca delle azioni proprie e degli altri. Per questo motivo, i ricercatori che adottano questa prospettiva possono includere nelle loro ricerche una molteplicità di metodi, scelti in relazione al tipo di dati che è necessario studiare (Benzies e Allen, 2001).

2. Scelte metodologiche

Date le scelte compiute a livello epistemologico, ho studiato la devozione e le sue forme di espressione attraverso metodologie qualitative, svolgendo una ricerca etnografica. Il luogo che ho scelto per questa ricerca è il Santuario di Montenero, dedicato alla Madonna delle Grazie, Patrona della Toscana. Il Santuario, fondato il 15 maggio 1345, è stato e continua a essere un luogo di culto frequentato dai pellegrini provenienti da tutta la Toscana e non solo, e la sua storia si intreccia indissolubilmente con quella della città di Livorno in cui è ubicato.

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Seguendo le indicazioni metodologiche elaborate da Blumer (1969) la ricerca è iniziata con un primo periodo dedicato all’esplorazione delle dinamiche in atto all’interno del Santuario con l’obiettivo di formarmi su di esse una dettagliata ed esauriente conoscenza “di prima mano”. La domanda da cui sono partita è stata volutamente la più ampia e generica possibile: “Che cosa sta succedendo qui?” (Charmaz, 2006). Durante questo primo periodo ho individuato gli elementi rilevanti per lo studio della devozione e ho imparato a interagire con le persone che frequentano questo luogo così da riuscire a sviluppare delle interviste con i pellegrini e non interferire, con la mia presenza, nello svolgimento delle loro pratiche religiose. In questo modo vi è stata anche la possibilità di entrare in contatto con alcuni osservatori privilegiati, come il parroco e la portinaia del Santuario, e una parrocchiana catechista, che si sono dimostrati importanti durante il corso della ricerca non solo perché sono stati il tramite per conoscere alcuni devoti frequentatori del luogo, ma anche per il loro bagaglio esperienziale. In ogni caso ho scelto di rendere manifesta la mia identità di ricercatrice e il motivo della mia presenza, nonché l’interesse che avevo nel fare domande sulle esperienze degli intervistati. Dato l’oggetto della ricerca, comunemente sentito come un’esperienza privata e personale, e l’importanza attribuita dai credenti ad alcune pratiche particolari, ho scelto di focalizzare l’attenzione non solo sull’osservazione partecipante e le interviste ma anche su alcuni oggetti prodotti dai devoti e presenti sul luogo come gli ex voto e i messaggi scritti sui Libro dei pellegrini. Del resto l’analisi dei documenti prodotti dalle persone coinvolte nell’ambito analizzato è una strategia scelta in numerosi studi sociologici, tra cui uno dei più noti è lo studio fatto da Thomas e Znaniecki sull’immigrazione polacca in America (Madge, 1962). Inoltre, ho analizzato tramite le tecniche dell’osservazione partecipante anche un gruppo di preghiera formato da giovani devoti provenienti dalla provincia di Livorno e di Pisa che si riuniscono settimanalmente. Questa scelta si è basata su un elemento emerso durante lo studio dei precedenti ambiti, ossia la quasi totale assenza dei giovani tra i pellegrini. Per questo motivo, ho ritenuto utile studiare questo gruppo con la speranza di comprendere il modo in cui il Santuario e le pratiche tipiche della devozione mariana sono interpretate e attuate dalle generazioni più giovani di credenti.

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La raccolta e l’analisi dei dati è stata svolta seguendo la logica abduttiva (Salvini, 2006) tipica della grounded theory, che si è sviluppata su più livelli a causa della molteplicità degli oggetti di analisi: la ricorsività reciproca tra la realtà empirica e la concettualizzazione teorica si è avuta in relazione a ciascun tipo di dato analizzato (quindi, per gli ex voto, cosi come per i Libri dei pellegrini e poi le interviste), ma anche alla ricerca nella sua interezza. Così, per esempio, l’analisi quantitativa dei messaggi sul libro dei pellegrini è servita per orientare l’analisi del contenuto degli stessi ma anche a privilegiare determinati periodi dell’anno o giorni della settimana per realizzare l’osservazione partecipante. La molteplicità delle fonti informative che ho ritenuto utile individuare al fine della ricerca, ha richiesto una grande flessibilità nell’impiego delle tecniche di raccolta e analisi dei dati, che sono state in ogni caso supportate dall’uso del software per l’analisi dei dati qualitativi HyperResearch. Come verrà spiegato più approfonditamente nell’appendice metodologica, per quanto riguarda la parte inerente ai pellegrini, la raccolta dei dati è stata compiuta tramite l’osservazione partecipante (Spradley, 1980) e interviste biografiche (Bichi, 2007). L’analisi visuale degli ex voto è stata svolta sugli “Ex voto Moderni”, ossia quelli lasciati dalla seconda metà del ‘900 a oggi, escludendo quelli più antichi, quasi soltanto pittorici, per due motivi: il primo è la disponibilità di un gran numero di studi fatti sugli ex voto pittorici, anche nel caso specifico delle tavolette presenti all’interno del Santuario di Montenero; il secondo è che questa ricerca è stata incentrata sulla devozione contemporanea e, quindi, gli elementi storici sono stati ritenuti rilevanti solo in virtù del significato assegnato loro dai visitatori contemporanei. In questo caso, il primo passaggio è stato quello di fotografare le tavolette così da poter compiere un’analisi del contenuto con il supporto di HyperResearch. Proprio perché in questo caso i codici sono stati individuati abduttivamente durante l’analisi, c’è stato una prima “raccolta”, durante la quale sono state selezionate 35 fotografie, che successivamente sono state analizzate per due volte così da applicare tutti i codici a tutti i casi. Al termine di questo procedimento sono tornata a fare una seconda raccolta, con l’intento di fotografare sia ex voto che mi permettessero di approfondire alcune idee che erano emerse dall’analisi compiuta, sia alcuni che sembravano non avere niente in comune con gli altri. In questo modo sono stati analizzati un totale di 86 tavolette, utilizzando 79 codici applicati 1.101 volte. Per quanto riguarda i Libri dei pellegrini, invece, ho analizzato i messaggi lasciati

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durante il 2010, anno in cui sono stati scritti 15.901 messaggi e 24.205 nomi distribuiti in tre volumi. In un primo momento ho compiuto una classificazione quantitativa dei messaggi in relazione alla data in cui sono stati scritti. Alla luce di questi dati, inoltre, è stato scelto di prendere in esame i messaggi lasciati nei primi sedici giorni di maggio, mese più importante per la tradizione mariana, e nei primi sedici giorni di agosto, incluso, quindi, il giorno dell’Assunzione di Maria, periodo con il più alto numero di testimonianze scritte. Nel primo caso sono stati analizzati 961 messaggi, mentre nel secondo 1.556. Utilizzando questo materiale è stata fatta l’analisi del contenuto2 (Losito, 1993) con il supporto del software HyperResearch, individuando alcune informazioni inerenti a: l’autore; la distribuzione dei messaggi in relazione ai diversi giorni della settimana e del mese; il destinatario; il contenuto del messaggio; la provenienza del credente che ha scritto sul libro dei pellegrini; il soggetto su cui il messaggio è incentrato; e l’individuazione di alcune parole che sono state riportate con particolare frequenza. Questi sono i concetti emersi dai codici individuati nel corso dell’analisi, anch’essa ripetuta per due volte proprio perché anche i primi messaggi fossero analizzati con tutti i codici emersi (in totale 274 applicati 21.409 volte).

Un’altra parte della ricerca è stata dedicata all’osservazione partecipante di un gruppo di preghiera composto da giovani devoti che si riunisce settimanalmente. In questo caso ho fatto osservazione partecipante completa (Babbie, 2008) o «partecipazione attiva» (Spradley, 1980), poiché ho assunto io stessa il ruolo di membro di questo gruppo, insieme a interviste informali (Lofland et al., 2006; Spradley, 1980) e, da ultimo, a interviste biografiche (Bichi, 2002, 2007). Per quanto riguarda l’analisi, ho applicato le procedure indicate dalla grounded theory (Charmaz, 2006): sia i resoconti etnografici che le interviste sono stati trascritti e codificati. La codifica iniziale è stata fatta con il supporto di HyperResearch, mentre il materiale così prodotto è stato stampato e analizzato manualmente. In questa parte della ricerca è stato molto utile sviluppare dei diagrammi che permettessero di relazionare tra di loro i codici prodotti e anche utilizzare diversi colori per evidenziare affinità nei testi.

      

2 In particolare è stata compiuta l’analisi delle frequenze di parole (Losito, 1993: 43) che poi ho

abduttivamente categorizzato in variabili sociografiche e simboli-chiave con il supporto di HiperResearch.

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Ciascuna di queste fasi non è stata realizzata nell’ordine descritto, ma la raccolta e l’analisi di ciascun ambito si è intersecata con quella degli altri, così da favorire un’influenza reciproca:la decisione di studiare la devozione dei visitatori del Santuario di Montenero è maturata nell’autunno 2010; così, ho iniziato a “esplorare” questa realtà nei mesi invernali tra il 2010 e il 2011; le prime interviste ai pellegrini sono state fatte nella primavera 2011; l’analisi dei Libri dei pellegrini è iniziata nella primavera del 2011, periodo in cui sono anche entrata nella Gioventù Benedettina, mentre gli ex voto sono stati analizzati tra ottobre 2011 e gennaio 2012; ho smesso di fare osservazione partecipante a ottobre 2012.

3. Articolazione dei capitoli

I capitoli che seguono sono così suddivisi. Il primo è strutturato in tre parti: nella prima è stato approfondito il tema della religione popolare come si è sviluppato nel contesto italiano per poi proporre l’interpretazione che ne è stata data da alcuni studiosi statunitensi; in seguito è stata fatta una disamina sulla letteratura inerente al santuario e il pellegrinaggio; infine, è stata presentata la prospettiva dell’interazionismo simbolico evidenziando le implicazioni che questa comporta a livello metodologico. In appendice è stato approfondito lo sviluppo del culto mariano in occidente, descrivendo i significati a esso attribuiti nei diversi periodi storici e la sua evoluzione all’interno delle istituzioni ecclesiastiche.

Il secondo capitolo introduce il contesto in cui ho realizzato questa ricerca: il Santuario di Montenero. Dopo aver ripercorso i principali avvenimenti della storia di questo luogo, è stata descritta la sua ubicazione rispetto alla città di Livorno e l’organizzazione degli spazi all’interno e all’esterno di esso.

I capitoli centrali sono dedicati ai quattro ambiti su cui si è focalizzata l’analisi. Nel terzo capitolo, infatti, sono state definite le principali tipologie di pellegrini che giungono in visita al Santuario di Montenero. A questo scopo sono stati, innanzitutto, distinti i pellegrini che arrivano autonomamente da quelli che invece si sono uniti a un gruppo organizzato, come per esempio, una parrocchia. Una particolare occasione per giungere al Santuario, poi, è la veglia organizzata per l’Immacolata concezione durante la notte tra il 7 e l’8 dicembre. In seguito sono stati descritti alcuni pellegrinaggi che si distinguono dagli altri perché caratterizzati dalla rielaborazione di alcune pratiche tradizionali: il “Cammino di Montenero”, e la “Chiamata”. Un paragrafo è stato, poi, dedicato all’esperienza

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vissuta dagli studenti maturandi che giungono in pellegrinaggio da Pisa e provincia cento giorni prima dell’esame di maturità o il giorno in cui sono estratte le materie. In seguito è stata rivolta l’attenzione ai visitatori stranieri e in particolare all’esperienza di alcuni immigrati. L’ultima parte è dedicata, invece, a un caso di “metaforizzazione” della devozione mariana inerente a un laboratorio d’arte chiamato “Ma… donna dell’essere e dell’apparire”. Il quarto capitolo ha come tema gli ex voto ed è suddiviso in due parti: la prima è dedicata alla descrizione delle caratteristiche delle tavolette più antiche, in questo studio chiamate “Ex voto Tradizionali”; l’altra è, invece, incentrata sull’analisi di quelle donate più recentemente che sono state chiamate “Ex voto Moderni”. La parte dedicata ai Libri dei pellegrini, il capitolo cinque, è organizzata secondo i due diversi tipi di analisi compiuta: l’analisi della distribuzione dei messaggi durante l’anno e l’analisi del contenuto di alcuni di essi. Il capitolo sei è, invece, incentrato sulle principali evidenze empiriche emerse dallo studio della Gioventù Benedettina. Sono in questo caso stati descritti: l’organizzazione del gruppo, i percorsi religiosi che i membri hanno compiuto e, infine, alcune caratteristiche della loro religiosità.

Nel capitolo dedicato alle conclusioni sono state evidenziate alcune tendenze emerse dall’analisi dei dati. A questo proposito è stato utile parlare, innanzitutto, di “temporalizzazione” (Dupront, 1993: 88), ossia l’accostarsi al tempo “sacro” quello “civile” che acquista sempre più importanza come dimostra per esempio la grande quantità di persone che decidono di visitare questo luogo in agosto. Rispetto al passato si è sviluppata, poi, una “pluralizzazione” dei significati associati a questo luogo, inerente sia le motivazioni che spingono le persone a visitarlo, non più esclusivamente religiose, sia le modalità attraverso cui viene espressa la devozione. Un’altra tendenza che emerge è quella dell’“individualizzazione” che, in alcuni casi, caratterizza il modo di credere delle persone che frequentano il Santuario, come emerge in diversi ambiti, per esempio nelle scelte compositive delle tavolette votive o nel modo di credere dei fedeli. A ciò si aggiunge una maggiore importanza attribuita al sé e al proprio percorso personale, che talvolta sovrasta anche il ruolo della divinità, processo che è stato riassunto nel concetto di “umanizzazione” del culto. Infine, è stato constatata anche la tendenza verso la “privatizzazione” della fede, ossia il suo ritirarsi nella sfera intima e privata delle persone.

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L’ultimo capitolo è l’appendice metodologica, incentrata sui metodi e le tecniche che ho utilizzato, sulle scelte gradualmente compiute durante la ricerca, e, infine, i vantaggi e i problemi che ne sono derivati.

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Studiare la devozione

What we learned was to show not how exploited and helpless "the people" always were, but how their weakness made it possible for them to be open to clues that other ways of answering political questions always closed off 1.

L’oggetto della ricerca qui trattata è la devozione delle persone laiche e le sue forme di espressione all’interno di un luogo di particolare rilevanza nella tradizione cattolica: il santuario. Per questo motivo il seguente capitolo è incentrato sul concetto di religione popolare, le teorie sviluppate in relazione ai luoghi sacri e alle pratiche ad essi connesse, con particolare riferimento ai santuari e ai pellegrinaggi e, infine, all’esposizione dei principali assunti dell’interazioni simbolico che viene qui proposto come prospettiva teorica attraverso cui studiare la devozione.

1. La religione popolare

All’interno delle discipline che hanno per oggetto di studio la religione, si è andato sviluppando nel tempo l’interesse nei confronti del modo in cui la “religione ufficiale” è interpretata e vissuta dai credenti. Non vi è mai stata, infatti, e probabilmente è impossibile che vi possa essere, una totale aderenza del vissuto religioso delle persone ai principi teologici e liturgici elaborati dal clero. A questo proposito Prandi mostra come la storia del cattolicesimo sia, sin dalla sua origine2, caratterizzata da questa discrepanza che ha prodotto un rapporto dialettico con la chiesa, la quale ha nel tempo opposto svariate strategie oscillanti tra la tolleranza e la condanna (Prandi, 1977). Del resto, sono molteplici anche le       

1 Victor Turner & Edith Turner, Image and Pilgrimage in Christian Culture, p. XIV.

2 Prandi ricorda il De Civitate Dei di Agostino come esempio delle critiche che erano opposte alla

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reazioni delle classi subalterne verso gli schemi ideologici prevalenti (Cipriani, 1979). Durante il medioevo, per esempio, le precarie condizioni esistenziali, soggette a guerre, malattie spesso degenerate in epidemie, alle pessime condizioni igieniche e alle carestie, hanno favorito la diffusione di una religiosità caratterizzata dalla polarizzazione tra bene e male, nella quale hanno avuto un ruolo fondamentale il potere del diavolo, la personificazione dei fenomeni naturali e la stregoneria. Come è noto, la reazione della chiesa a queste manifestazioni fu di drastica condanna e di repressione attraverso l’istituzione dell’Inquisizione.

Per quanto riguarda la realtà italiana, questo tema è stato oggetto di studio per altre discipline, prima che in ambito antropologico e sociologico. Nei primi decenni del Novecento, infatti, diversi autori italiani, tra i quali Prandi ricorda Gabriele D’Annunzio, Carlo Levi, Ignazio Silone, hanno sviluppato dettagliate descrizioni della realtà popolare (Prandi, 1977). Lo studio del folklore, o della cultura popolare, vive un periodo di particolare fortuna tra le due guerre in cui prevale l’interesse nei confronti della produzione orale, dei canti, degli usi e costumi. Si sviluppa in questo periodo un modello romantico secondo cui il popolo è idealizzato e in cui si mescolano motivi populistici e nazionalistici. Proprio sulla base di questa particolare interpretazione, la religione popolare è stata usata in maniera strumentale nei momenti di maggiore crisi, tant’è che Cipriani arriva a definirla:

àncora di salvezza per le classi subalterne ma anche e in primo luogo, per quelle dominanti, che si appoggiano all’universo popolare per sostenere linee ideologiche altrimenti perdenti sul piano razionale (Cipriani, 1979: 56).

Questo, infatti, è ciò che è avvenuto durante il periodo della dominazione fascista3 ma anche in tempo di guerra. Secondo questo studioso, la religione popolare ha una facile diffusione in questi casi perché in grado di assolvere all’esigenza di distogliere l’attenzione delle persone dalle sofferenze terrene per indirizzarla verso una realtà altra a sostegno delle posizioni ideologiche predeterminate.

      

3 Nell’introduzione del testo sulla cultura popolare in Italia, Cipriani descrive dettagliatamente

l’esempio dell’Organo del Comitato Nazionale per le Tradizioni Popolari e della Mostre Nazionale di Arte Religiosa Popolare come occasione per veicolare elementi dell’ideologia fascista (Cipriani, 1979).

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Per quanto riguarda le scienze sociali, lo studioso che per primo ha fatto della religione popolare l’oggetto della sua analisi è De Martino (1958; 1959; 1961) il quale rifacendosi alle teorie gramsciane4, definisce questo ambito in relazione alla differenziazione tra la cultura di élite e la cultura del popolo. L’importanza dei lavori di De Martino risiede, innanzitutto, nel fatto che per la prima volta la storia delle classi subalterne acquisisce pari dignità di quella delle persone di cultura, sulle quali si erano concentrate le speculazioni degli studiosi influenzati dalla metodologia storiografica crociana (Prandi, 1997). La concezione di Croce era basata, infatti, sull’idea che la storia sia fatta dalle élite e, di conseguenza, sull’esistenza di due storie autonome, l’una dei dominati, tramandata oralmente, e l’altra dei dominatori, basata su documenti scritti e che viene fatta coincidere con la storia tout court5. Con De Martino, al contrario, si afferma l’idea di un’unica storia, che si forma dalla circolarità e dal reciproco condizionamento tra la cultura egemonica e quella subalterna (Apolito, 2001). Tuttavia, questo studioso considera il folklore come una realtà residuale di cui il popolo deve liberarsi in vista dell’acquisizione di una propria coscienza di classe. Nei suoi lavori, infatti, è descritto un meridione immerso in una cultura magico-religiosa bloccata dall’impotenza a operare e caratterizzata dall’assenza di intellettuali organici che ne tematizzassero i contenuti (Prandi 1977). D’altra parte i lavori dell’antropologo napoletano nascono in un contesto in cui non si era ancora sviluppata nessuna scuola di studi sulla religione popolare poiché, essendo l’Italia una nazione che ha avuto una limitata esperienza coloniale, le scienze antropologiche e etnologiche non hanno avuto un oggetto verso cui rivolgere la loro attenzione come è accaduto in altre nazioni (Apolito, 2001). Nonostante ciò, attraverso i suoi studi è stata messa in luce l’incapacità delle istituzioni cattoliche di proporre una “offerta” teologica e liturgica capace di rispondere alle esigenze di protezione psicologica e di reintegrazione culturale tipiche del mezzogiorno. Per De Martino, inoltre, è la       

4 Gramsci, pur inquadrando la cultura popolare come un’ideologia in contrapposizione a quella

dominante, ritiene che ciò avvenga solo implicitamente e non in maniera tematizzata. Pur rimanendo presente l’idea della necessità del superamento della religione, lo studioso ha concentrato la sua attenzione sulle motivazioni per le quali le istituzioni egemoniche della chiesa cattolica hanno trovato da sempre l’opposizione della cultura popolare. La religione in Italia è, quindi, una realtà molteplice e stratificata e la sua analisi presuppone la necessità di riconoscere due polarità contrapposte: le concezioni delle classi subalterne e quelle elaborate e sistematizzate delle classi dominanti, che tuttavia non riescono ad imporsi in maniera univoca e definitiva.

5 Secondo Croce «esistono uomini che appartengono alla storia e uomini della natura, uomini

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stessa chiesa che ha contribuito a elaborare forme magico-religiose di compromesso con le ideologie magiche contadine con lo scopo di conseguire una più efficace penetrazione nelle campagne (Apolito, 2001).

Solo a partire dalla seconda metà del novecento il tema della religione popolare ha attirato l’attenzione anche in ambito sociologico6. In questo ambito, di fondamentale importanza sono i lavori di Prandi il quale definisce la religione popolare come:

l’insieme delle credenze e dei comportamenti religiosi di quegli strati sociali che, quale che sia la loro collocazione, fruiscono dei messaggi provenienti dalle chiese e dalle istituzioni religiose senza essere in grado di controllarli criticamente o di elaborare autonomi sistemi teologici affidati alla tradizione scritta pur essendo in grado talora di esprimere credenze e riti dotati di una relativa autonomia (Prandi, 2002: 87).

Prandi nei suoi lavori, oltre a fornire una dettagliata disamina degli studi che sono stati fatti su questo tema, offre una complessa visione delle forme in cui la religione popolare ha trovato espressione nel corso della storia. Particolarmente rilevante per questo studioso è la dialettica che si sviluppa tra «imposizione e appropriazione» che presuppone un certo livello di creatività (Prandi, 2002: 13). Il principale elemento per definire la religione popolare non sta nei suoi contenuti quanto nella capacità della loro gestione e diffusione, caratteristica che appartiene esclusivamente alle classi dominanti. Prandi, infatti, aggiunge alla polarità popolare/egemonico quella di parziale/globale, con cui indica:

la capacità da parte di un gruppo di tematizzare la realtà e di elaborare gli strumenti per comprenderla e dominarla, nonché di cogliere i fenomeni storici nei loro diversi aspetti come “processi” e di inserirli entro un contesto in cui essi assumono, in un ottica ideologica, significato e prospettiva (Prandi, 2002: 23).

Al “popolare”, quindi:

appartiene una modalità di rapportarsi alla realtà secondo visioni parziali dove viene meno quel processo di formalizzazione dei dati conoscitivi e comportamentali attraverso il quale una cultura raggiunge il livello dell’autoconsapevolezza concettuale (Prandi, 2002: 24).

      

6 Cipriani sottolinea come la cultura popolare sia stata caratterizzata da una posizione di

subalternità non solo in ambito politico ed economico ma anche in quello intellettuale dato lo scarso interesse che ha nel tempo riscosso. In particolare lo studioso mette in evidenza come, in Italia, siano stati assai più numerosi gli antropologi culturali attenti alla realtà contadina che non i sociologi (Cipriani, 1979).

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Secondo questo studioso, inoltre, la religione popolare appare sempre come una reazione di compensazione per rispondere a dei bisogni affettivi spesso insoddisfatti da parte di una religione ufficiale percepita come troppo distante e fredda. Le persone elaborano, quindi, spontaneamente e collettivamente modalità che assolvono all’esigenza di stabilire un contatto più diretto e immediatamente redditizio con il divino7. Tuttavia, per Prandi studiare la religione popolare in relazione a strati sociali predefiniti come “popolari” e, quindi, stabilire una relazione unilaterale tra determinati contesti e religiosità sarebbe «un errore ideologico» (Prandi, 2002). Il fenomeno religioso, infatti, è inteso come “popolare” in quanto ha in sé un’implicita ostilità alla «tematizzazione dei contenuti», una forte accentuazione dell’affettività e la tendenza a stabilire un collegamento diretto tra mondo divino e realtà quotidiana. Oltre a ciò, Prandi ha individuato una serie di caratteristiche tipiche della religione popolare “tradizionale”. Innanzitutto egli rileva un fondamentale rapporto tra religiosità e cicli naturali, sia in riferimento alle stagioni che alla dualità vita/morte, che sono, del resto, simbolicamente interconnessi. Un’altra caratteristica è rappresentata da un legame con il mondo dei morti basato sulla memoria e sull’affetto ma anche sull’aspettativa di protezione e aiuto nell’ottenere le richieste formulate. Tipico della religione popolare è, inoltre, il riconoscere un particolare potere capace di contrastare il male ai santi, ai quali viene con il tempo associato un preciso settore in un processo che viene per questo chiamato di «specializzazione taumaturgica». In questa prospettiva il male è inserito in un contesto che ne ridimensiona i caratteri e il ciclo della vita ha una scansione ben precisa che trova una corrispondenza nelle celebrazioni rituali e sacramentali. Un tratto fondamentale di questa religiosità è la protezione garantita dalle potenze ultraterrene nei confronti dei rischi della vita, e della precarietà del futuro. Infine, accanto al tempo altamente strutturato in feste e rituali anche lo spazio è organizzato secondo simboli e comportamenti che ne definiscono la valenza come i pellegrinaggi e le processioni (Prandi, 2002).

      

7 Prandi sottolinea la concretezza delle richieste che vengono fatte dalle “persone comuni” che,

anziché essere orientate verso questioni escatologiche, sono caratterizzate dall’esigenza di assolvere a necessità di tipo economico, sentimentale o riguardati la salute del credente (2002).

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Un altro studioso che si è approfonditamente occupato di questo concetto è Cipriani, che ha posto l’accento principalmente sull’uso strumentale della cultura popolare che è messo in atto talvolta dalle classi dominanti. Pertanto, egli mostra come solitamente il ricorso alla cultura popolare sia compiuto dall’élite dominante in momenti di difficoltà che investono la società nel suo complesso e in cui sono in rischio gli interessi socio-economici generali (Cipriani, 1979). D’altra parte, come già aveva sostenuto Prandi, la religione popolare è considerata una reazione a un contesto socio-politico che non risponde alle esigenze della base popolare ed è intesa, quindi, come «un sostituto funzionale che opera a livello sentimentale», una via d’uscita che permette alle classi subalterne di sottrarsi ad una condizione di dipendenza socio-culturale ed economica. (Cipriani, 1979).

Lanternari, invece, si sofferma in particolare sulla dialettica tra la visione ufficiale e quella popolare, introducendo la questione di un’eventuale integrazione sul piano storico (Lanternari, 1979). Secondo questa lettura, la cultura popolare non è necessariamente associata a una contrapposizione implicita e caotica nei confronti della cultura delle élite bensì può assumere, nel tempo, una connotazione politica consapevole. In particolare Lanternari differenzia il folklore come protesta, ossia in luogo della protesta, e un folklore di protesta, cioè che attua la protesta, e, quindi, tra un folklore tematizzato e un folklore non tematizzato (Lanternari, 1979). C’è, infine, chi recentemente ha definito la religione popolare come una forma di pensiero magico che si differenzia da quella ufficiale perché orientata a produrre un cambiamento della vita intramondana immediato e concreto (Marzano 2012b: 31).

Sebbene non sia mai stata delineata una definizione univoca del concetto di “religione popolare”, dalle riflessioni degli studiosi sin qui riportate, emergono alcuni elementi chiave. Come sottolinea Nesti, fondamentale è il modo in cui viene interpretato l’aggettivo “popolare” (Nesti, 1979). Tuttavia, a causa della sua complessità questo è solitamente definito in opposizione a un altro aggettivo, come autentica, dotta, sacerdotale (Prandi, 2002). Del resto, è importante osservare come i tentativi di definire il “popolare” non siano mai stati sviluppati dalle classi subalterne, ma sempre dalla cultura dominante per connotarne le differenze (Apolito, 2001). Innanzitutto, il “popolare” è stato definito in contrapposizione alla “cultura colta” delle élite. In alcuni casi, ciò ha portato a sottolineare la capacità di imporre l’ideologia delle classi dominanti, in senso

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marxista, mentre in altri si è soprattutto accentuata la capacità di compiere elaborazioni teoriche sistematizzate in contrapposizione a una cultura spontanea e non organizzata, caratterizzata dall’espressività emotiva e dalla valenza dell’esperienza umana. Frequente è anche l’associazione tra cultura popolare e realtà rurale del mezzogiorno, sulla scia degli studi di De Martino. In altri casi ancora, il “popolare” è stato definito in base ai rapporti di produzione e, quindi, riferito alle classi subalterne che variano in relazione al contesto storico. Infine, questo aggettivo è stato interpretato in relazione alle modalità di trasmissione da una generazione all’altra così da accentuare l’opposizione tra l’esperienza tramandata secondo la tradizione e i mezzi caratterizzati dal cambiamento tipici degli ambienti urbani e rurali.

Proprio per questa stretta dipendenza dal concetto “popolare” l’idea di religione folkloristica è entrata in una crisi8, dalla quale peraltro non è ancora uscita, in concomitanza a una complessificazione della divisione delle classi sociali che si è sviluppata nel tempo. Diviene, infatti, necessario specificare quali classi sociali rientrino nella categoria definita dall’aggettivo “popolare”. Già a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, infatti, l’idea di “popolo” non coincide più con la massa rurale ma inizia a svilupparsi il proletariato che nel corso del novecento subirà una progressiva frammentazione. Un tentativo di risposta a questo interrogativo è stato proposto da Cipriani, il quale include nel “popolare” tutte le classi che si è soliti definire sottoproletariato, proletariato, semiproletariato, proletariato artigianale, ma anche la borghesia dipendente (Cipriani, 1979). Si è verificato, quindi, un cambiamento nell’idea stessa di subalterno che non indica più solo il proletariato ma si allarga fino a comprendere anche strati della borghesia che sono pur sempre caratterizzati dalla dipendenza socio-economica e culturale, con la conseguenza che la categoria non è più ascrivibile soltanto a determinati strati sociali (Cipriani, 1979). Apolito, inoltre, pone l’accento sul dinamismo che caratterizza le relazioni delle persone a prescindere dall’appartenenza a una classe sociale, relazioni che non si sviluppano più in rapporto a:

      

8 Sia Cipriani (1979) che Prandi (2002) evidenziano la necessità di ripensare il concetto in termini

che rispecchino i cambiamenti della realtà sociale e che vadano oltre la cornice gramsciana che lo vede ancorato alla dualità egemonico subalterno.

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culture intese come realtà perimetrate quasi compartimenti stagni bensì su reciproche (cioè non commisurabili sulla base di uno standard assoluto) distanze e vicinanze di atteggiamenti, azioni, interpretazioni simboliche (Apolito 2001: 18).

Non solo diviene difficile identificare il popolo, ma contemporaneamente entra in crisi anche il modello tradizionale di religione popolare che non trova più un riscontro nella realtà empirica. Da una parte, infatti, tra la religione popolare moderna, da qualcuno recentemente definita «religione dei sensi» (Berzano, 2012: 27), e quella tradizionale vi sono degli elementi in comune, come la forte componente di devozione nei confronti dei Santi e di Maria, la valenza delle manifestazioni divine, le apparizioni, la persistenza delle richieste di grazia dei fedeli (Prandi, 2002). Dall’altra parte vi è una crisi del modello tradizionale che Prandi individua nel mescolamento di comportamenti tipici del passato con il calo dell’osservanza dei cicli dell’anno e della vita; nella diffusione dei temi elaborati durante il Concilio vaticano II; nella comparsa di forme religiose progressiste di sinistra; il cambiamento del ruolo della bibbia nella religiosità delle persone; l’affacciarsi dei primi movimenti religiosi non tradizionali; e, infine la diffusione del concetto di secolarizzazione (Prandi, 2002).

Proprio per le ragioni sin qui esposte, non sono mancati studiosi che hanno messo in luce i limiti e l’inadeguatezza del concetto di “religione popolare” rispetto al contesto attuale. In alcuni casi si è cercato di accentuare alcuni aspetti dell’aggettivo “popolare” così da svincolarlo dall’identificazione con la categoria socio-economica “proletariato”. Nesti, per esempio, valorizza la definizione che si basa sull’opposizione a ciò che è razionale e critico, andando contro: chi definisce il “popolare” come un fenomeno incontaminato e statico, caratterizzato da un’intrinseca carica contestativa; chi tende a escludere ogni rapporto dialettico fra il popolare e il mercato, l’ideologia dei consumi, l’industria culturale, la logica dei mass media; chi, ancora, tende a minimizzare la specificità antropologica del popolare, volendo sottolineare esclusivamente la dimensione politica ed economica (Nesti, 1979). In altre parole, per Nesti, è di fondamentale importanza cogliere il “popolare” nella sua complessità che è data dalla «contaminazione» con fattori esterni (Nesti, 1979). Ciò comporta l’impossibilità di definire a priori questo concetto a causa del suo essere costantemente in divenire, in mutamento e in formazione. Nesti propone, quindi, una definizione basata su tre caratteristiche che contraddistinguono il “popolare”: il carattere subalterno; la dimensione

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rivendicativa; la progettualità sociale. Burgalassi, invece, rifiuta definitivamente la possibilità di interpretare la devozione popolare alla maniera marxista, ossia come una forma di contrapposizione alla devozione teologicamente e gerarchicamente definita, o come una forma di reazione al potere ecclesiastico (Burgalassi, 1993). Cipriani pone l’accento sull’impossibilità di definire sociologicamente sia la religione sia quali aspetti possano qualificarla come “popolare” anche se è innegabile la presenza di una religiosità distante da quella ufficiale della chiesa cattolica:

essa non va definita sulla base di categorie confessionali o di categorie ideologiche-politiche prefissate, con rischio pertanto di classificarla entro schemi logici e mentali che scaturiscono dal soggetto senza il debito confronto con l’oggetto di analisi (Cipriani, 1979: 235).

Le riflessioni di questo studioso sono, quindi, rivolte a evitare di dare per scontati elementi che sono in continua evoluzione arrivando a mettere in discussione la possibilità di parlare in generale di religiosità popolare. Giordan, inoltre, evidenzia che lo studioso che sceglie di occuparsi di religione popolare corre il rischio di essere influenzato dagli stereotipi che ne caratterizzano la definizione (Giordan 2012: 38). Nonostante le considerazioni sviluppate sui i limiti del concetto di “religione popolare”, nel contesto italiano di fatto non vi è stato un rinnovamento di questo concetto che, piuttosto, è lentamente stato abbandonato come categoria analitica9.

Tuttavia, i fenomeni catalogabili con questa etichetta non sono andati esaurendosi10 cosicché alla “saturazione” del livello teorico non ha corrisposto una perdita dell’interesse e la necessità di ricerche empiriche su questo argomento. Anzi, secondo Prandi le credenze popolari trovano nelle società contemporanee «nuovi spazi di espressione e legittimazione» a causa del declino       

9 Solo recentemente sembra esserci stato un risveglio dell’interesse nei confronti di questo

concetto a seguito del convegno “La religione popolare nella società post-secolare. Nuovi approcci teorici e nuovi campi di ricerca” organizzato a Padova dal 19 al 20 ottobre 2012.

10 Garelli stima che ci siano circa 5-6 milioni di pellegrini che si muovono verso 2.000 santuari

presenti in Italia, cui vanno aggiunti quelli che si muovono verso i luoghi di culto stranieri. Sempre secondo questo studioso il 15% della popolazione italiana tra i 18 anni e i 74 ha partecipato a un pellegrinaggio e il 13% ha fatto un voto (Garelli, 20011: 82-83). Da una ricerca compiuta da Cipriani risulta che il 21% degli intervistati ha svolto spesso un pellegrinaggio e che il 48% lo è stato una o più volte in passato (Cipriani, 2012: 62). Sempre Cipriani ritiene che siano giunti a Roma in occasione del Giubileo del 2000 dieci milioni di pellegrini (Cipriani, 2012: 109). Cavagnero parla di 40 milioni di pellegrini in un anno in Italia (Cavagnero, 2012: 71).

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delle ideologie classiche e, quindi, delle certezze tradizionali11 (Prandi, 2002: 20). Durante gli anni ‘60 e ‘70 del novecento, infatti, si riscontra in Italia un incremento dell’interesse verso esperienze spirituali vecchie e nuove che portano alla ripresa di quelle pratiche tradizionali che nel passato erano tipiche dei ceti rurali come, ad esempio, i pellegrinaggi ai santuari (Prandi, 1977). Per altro è anche importante sottolineare che questo ritorno della religiosità popolare si colloca in un contesto in cui le istituzioni ecclesiastiche non godono più del consenso unanime del passato, cambiamento che determina un diverso atteggiamento nei confronti di queste forme di religiosità come accade per la devozione mariana. La religiosità popolare, grazie alla sua continuità con il passato, rappresenta oggi non solo un segno del risveglio del sacro, ma anche uno degli ambiti religiosi, riconosciti anche dalla chiesa ufficiale, in cui sono create risposte al bisogno di sacro e un modo, per quanto informale e spontaneo, di attribuire significati all’esperienza vissuta dalle persone (Canta, 2004). Anche secondo Cipriani si è verificato un ritorno a forme di religiosità diverse da quella ufficiale che si caratterizzano spesso per caratteri giudicati irrazionali (Cipriani, 1979). Canta riporta come le ricerche sul fenomeno religioso negli anni ’90 abbiano evidenziato che la religiosità popolare è molto diffusa e in crescita in tutto il mondo e interessa tutte le religioni (Canta, 2004). Anzi, secondo questa studiosa, questo tipo di devozione cresce in forma proporzionale ai processi di modernizzazione, come dimostrano i numerosi casi di apparizione mariana12: proprio la crescente omologazione provocata dalla globalizzazione determina la rivalutazione degli elementi della religiosità popolare che contribuiscono a mantenere e rinsaldare i valori di identità nelle comunità (Canta, 2004). L’idea che la “religione popolare” continui a persistere è, inoltre, avvalorata dalle ricerche che continuano a essere compiute su pratiche tradizionalmente associate a questo concetto, come i pellegrinaggi e la devozione manifestata in alcuni luoghi sacri, anche se, tuttavia, in esse sono quasi sempre assenti riferimenti espliciti a questa categoria analitica che, quindi, di fatto è caduta in disuso.

      

11 Prandi parla di «meta - popolare» che esula dai riferimenti alla stratificazione sociale, per essere

piuttosto inquadrata funzionalmente come «modalità antropologica di copertura delle zone in cui il rapporto tra coscienza, individuale o collettiva, e mondo o non possiede un quadro di autofondazione, oppure, essendo questo entrato in crisi, appare inadeguato a garantire l’identità socioculturale del gruppo» (Prandi, 2002: 21).

12 Per approfondire i cambiamenti che caratterizzano le apparizioni mariane nella modernità si

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In tutt’altra maniera si è sviluppato l’uso del concetto di “religione popolare” nel contesto accademico statunitense. Badone, per esempio, intende la religione popolare come «the voices of ordinary people speak for themselves» (Badone, 1990: 4). In questa prospettiva le persone sono viste come attivamente creatrici della loro sfera religiosa, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga in collaborazione o in conflitto con le gerarchie ecclesiastiche. In alternativa all’idea che la religione popolare sia una contaminazione di quella ufficiale, l’impostazione americana, sviluppatasi sulla scia delle teorie di Hume, fonda l’idea di religione popolare sulle pratiche, le credenze e le modalità delle manifestazioni religiose informali e non ufficiali che vanno oltre ciò che stabilisce la chiesa ufficiale. Nonostante che anche questa definizione si basi implicitamente sull’opposizione tra un sistema informale e una struttura ufficiale, ciò che la distingue è il tentativo di non focalizzare l’attenzione su queste due entità intese come «monolithic entities, immutable and distinct» ma sul loro rapporto dialettico (Badone, 1990: 6). In questo modo questi studiosi hanno cercato di andare oltre la distinzione «great tradition – little tradition» (Badone, 1990: 6) basata sul pregiudizio che la religione popolare sia sempre espressione del mondo rurale, primitiva e non riflessiva opposta alla religione urbana, civilizzata, intellettuale e moderna delle élite (Christian, 1972). La religione popolare viene a indicare la religione come è praticata piuttosto che come è prescritta. Badone, quindi, si pone in netta ed esplicita contrapposizione rispetto a quanti hanno inquadrato la religione nell’opposizione élite/popolare, dove nel primo caso si ha una religione “vera” orientata verso l’etica e la spiritualità mentre la seconda è considerata il risultato funzionale della necessità di creare un’alternativa a un ambiente incerto, ostile e imprevedibile, orientata verso finalità pratiche e materiali. Per contro viene rivendicata l’importanza di interpretare tutte le manifestazioni religiose come parte di un sistema usato dalle persone e dalle comunità per dare senso alla loro realtà (Badone, 1990).

Tra coloro che hanno scelto questo filone interpretativo, Williams, ha cercato di elaborare una definizione operativa del concetto “religione popolare” tenendo in considerazione la struttura sociale, gli aspetti della conoscenza e la dimensione delle espressioni e delle credenze proprio in virtù del fatto che questo tipo di religione nella società post–moderna è diffuso, frammentato, e privatizzato (Williams, 1980). In questo modo è giunto a definire “popolari” tutte quelle

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manifestazioni religiose che hanno almeno due dei seguenti aspetti: essere “extra-ecclesiastical”, cioè fuori dalla religione delle istituzioni ecclesiastiche nelle sue forme organizzate e formali; essere trasmessa al di fuori dei canali della chiesa, come per esempio le scuole di catechismo; e, infine, essere incentrata su manifestazioni concrete del soprannaturale nel mondo secolare (Williams, 1980).

Hall, invece, sostituisce l’aggettivo “popolare” con “lived”, rivolgendo la sua attenzione alla religione così come è praticata e alle azione e ai pensieri delle persone nella loro vita quotidiana (Hall, 1997). Il vantaggio di usare una diversa terminologia consiste nella possibilità di uscire dalla dualità alto/basso che sembra imprescindibilmente connesso al concetto di “religione popolare”. Adottare questo punto di vista permette di mettere in luce anche che, nonostante spesso il clero sia stato o sia in contrapposizione a queste manifestazioni, in alcuni casi ne è esso stesso coinvolto. L’accento posto sulla pratica permette, inoltre, di evidenziare che ogni sintesi che ne viene fatta sia sempre provvisoria: «lived religion is fluid, mobile, and incompletely structured» (Hall, 1997: XII).

Un altro studioso che si è occupato di questo tema è O’Tootle, il quale ha curato un libro dove sono analizzati in prospettiva storica alcuni atti fondamentali della devozione cattolica come la confessione, la devozione mariana, l’adorazione eucaristica e le preghiere (O’Tootle, 2004). Obiettivo di questo studioso è dare lo stesso peso all’esperienza reale delle persone laiche e agli ideali espressi dai componenti dell’élite. In questo modo viene posto in primo piano il tentativo di comprendere cosa sia stata la religione per coloro per cui la pratica è diventata routine, con tutto lo zelo e l’indifferenza, la calma e il calore che ciò implica:

It all seemed so ordinary. They lived out their faith through countless unremarkable routines. This book is an attempt to understand the history of that ordinary religious practice (O’Tootle, 2004: 1).

O’Tootle pone una crescente enfasi sulla libertà di scelta, sulla gestione dei rituali della comunità non più regolati da norme ereditate e da un ordine gerarchico a cui si sostituisce la partecipazione popolare (O’Tootle, 2004).

Anche Ammerman ha coniato un termine alternativo a “popolare” usando l’espressione “everyday religion”, con la quale essa intende privilegiare l’esperienza dei non esperti, le attività che accadono fuori dagli eventi e dalle istituzioni religiose. Questo può accadere sia nella vita privata che in quella

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pubblica. L’oggetto privilegiato dell’analisi diviene allora il modo in cui la religione è integrata con la vita delle persone (Ammerman, 2007).

Primano rileva che, seppur inconsapevolmente, gli intellettuali che, anche in un recente passato, hanno studiato il fenomeno religioso hanno reso residuale l’esperienza dei credenti, proprio per il modo in cui ne hanno delimitato i confini definitori che hanno limitato agli aspetti istituzionali il modo di studiare e osservare il loro oggetto di analisi e influenzato negativamente la loro opinione su queste persone (Primano, 1995). Questo è avvenuto in particolar modo nel caso della religione folklorica, che è stata definita in contrapposizione a una religione autentica e ufficiale gestita dalle istituzioni gerarchiche. Per questo motivo Primano propone l’accostamento del termine religione con l’aggettivo “vernacolare”, non per sostituire in maniera semplicistica il termine folk o popolare, ma per limitare gli effetti della erronea rappresentazione operata in passato (Primano, 1995). Con questo termine si vuole dar maggiore peso alla dimensione privata e personale dell’esperienza religiosa e valorizzare l’interpretazione personale basata sulla negoziazione delle credenze e delle pratiche da cui possono svilupparsi innovazioni o riadattamenti (Primano, 1995). Ad ogni modo la religione “vernacolare” è la religione «così come è vissuta» nell’interpretazione e nella pratica delle persone (Primano, 1995: 44). Questa concezione implica un approccio interdisciplinare, nel quale è posta particolare attenzione alla processualità delle credenze religiose e alle loro espressioni linguistiche e materiali. Il tentativo di cogliere il dinamismo delle pratiche religiose si rende necessario in virtù del riconoscimento del complesso legame tra l’acquisizione e la formazione delle credenze, legame che è sempre accompagnato dalla negoziazione, cosciente o meno, dei e tra i credenti e che presuppone l’influenza reciproca dell’ambiente sugli individui e viceversa (Primano, 1995). In questo modo è messo al centro dell’attenzione l’individuo come creatore e detentore di una particolare visione del mondo che interpreta e negozia continuamente. Per questo, viene dato valore alle espressioni verbali, materiali e comportamentali delle credenze religiose. Primano arriva a porre l’accento persino sugli aspetti vernacolari della religione delle élite, poiché nessuno vive la religione ufficiale nella sua idilliaca purezza: così, anche i membri ufficiali della religione sono posti allo stesso livello dei comuni credenti (Primano, 1995).

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Sebbene implicitamente, alla base di queste teorie vi è una concezione costruzionista della realtà tipica del pragmatismo il cui fine è quello di sviluppare una conoscenza direttamente collegata al mondo dell’esperienza così come è vissuta dagli individui in essa coinvolti. In ambito sociologico, gli assunti del pragmatismo sono stati introdotti da Mead il cui lavoro è stato ripreso e sistematizzato da Herbert Blumer, lo studioso che ha costituito la base su cui si è sviluppato l’interazionismo simbolico, la prospettiva attraverso cui è stato scelto di studiare la devozione in questa ricerca.

2. Santuari e pellegrinaggi

Per quanto riguarda la religione cattolica vi sono dei luoghi e delle pratiche in cui la devozione popolare ha trovato, e trova, un ambito privilegiato di espressione, ossia i santuari e le pratiche devozionali a essi relative come i pellegrinaggi13, il lascito di ex voto e messaggi personali, l’offerta di ceri votivi e una serie di altri atti che sono svolti in questo spazio sacro. Più che altrove, infatti, i credenti trovano la possibilità di elaborare ed esprimere in maniera personale la propria religione nel santuario che, tra i diversi luoghi della religiosità cattolica, quali basiliche, monasteri, abbazie, è quello che raccoglie ancora segnali di persistente devozione (Abbruzzese, 2010b). Lo studio della religione popolare, quindi, si interseca quasi inevitabilmente anche con un altro concetto: quello di “spazio sacro”, che si caratterizza per essere «punto di incontro tra umano e divino» (Filoramo, 2004: 216).

Lo spazio, infatti, non è omogeneo prima di tutto da un punto di vista morfologico, ma non solo, dato che spesso questa dimensione si interseca con quella simbolica nella determinazione dello “spazio sacro” (Rech, 2010). La “territorializzazione del sacro”, che per alcuni risponde a un’esigenza di sicurezza intrinseca nell’uomo, avviene attraverso una complessa dinamica che intreccia elementi tradizionali e simbolici con le opportunità fisico geografiche di un territorio (Rech, 2011). Filoramo ritiene questa capacità di definire la massa amorfa dello spazio sociale una funzione fondamentale della religione, costitutiva dello stare insieme e dell’appartenenza alla comunità (Filoramo, 2004). Lo spazio       

13 In molti evidenziano il carattere “universale” del pellegrinaggio, per le sue origini antiche e il

suo perdurare nel tempo ma anche per essere una pratica tipica non solo della religione cattolica ma anche di molte altre (Dupront, 1993; Canta, 2004; Rech, 2010; Cipriani, 2012; Cavagnero, 2012).

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è stato così sviluppato nel tempo14 secondo un’organizzazione “anisotropa”, ossia «strutturata, in modo che vi compaiano zone e punti di diversa composizione e densità simbolica in ordine ai comportamenti umani che ad essi si relazionano» (Prandi, 1995: 39). Filoramo individua due filoni interpretativi distinti rispetto al tema del “luogo sacro”: da una parte quello fenomenologico, i cui esponenti sono Van der Leeuw e Eliade, per i quali sacro è quel luogo in cui il sacro si rivela; dall’altra la prospettiva funzionalistica basata sulla dimensione non tanto oggettiva quanto soggettiva del processo, per cui non vi è un luogo sacro di per se ma diviene tale quel luogo che è così interpretato da una cultura specifica (Filoramo, 2004). Uno degli studiosi che ha più a lungo trattato questo tema è Dupront. Egli individua quattro tipologie di luoghi sacri: quelli che assumono un significato simbolico in virtù della loro natura fisica; quelli che sono consacrati da una storia; i luoghi di compimento escatologico; e, infine, quelli di regno e delle sorgenti (Dupront, 1987). Per quanto riguarda la seconda tipologia, l’autore descrive come, attraverso la commistione tra storia e leggenda, questi diventino per la collettività luoghi della memoria basata su alcuni fondamentali elementi: il reperimento di tracce storiche della figura divina da venerare; la ricerca de «l’immemorabile» che «carica un luogo di sacralità fisica» (Dupront, 1987: 208); e, infine, la visita di luoghi, sia sacri sia laici, dal significato rilevante. Particolarmente diffusa nella religione cattolica è la seconda categoria, inerente quei luoghi la cui esistenza si deve a una leggenda di fondazione basata su un fatto eccezionale, una “ierofania” o “cratofania”, che successivamente sono definiti santuari e proprio in virtù di questa specifica origine si distinguono da altri luoghi consacrati come i monasteri, le cattedrali o le parrocchie. In altre parole in questi casi vi è stata un’irruzione del sacro, in un mondo che sovente non lo riconosce più come tale15. Ciò ha determinato una rottura rispetto al mondo ordinario e quotidiano, motivo per cui l’evento straordinario viene ricordato in modo permanente (Abbruzzese, 2010b). Come evidenzia Eliade, inoltre, la “ierofania” non ha solo l’effetto di santificare una data frazione dello spazio profano omogeneo, ma assicura per l’avvenire il perdurare di questa sacralità       

14 Per l’evoluzione storica dei luoghi sacri, da quelli naturali, tipici delle religioni indigene dei

popoli privi di scrittura sino alla spiritualizzazione dei luoghi sacri nelle religioni profetiche, in cui lo spazio sacro diviene anche luogo della mente, si rimanda a Filoramo (2004: 221-224).

15 Il santuario si propone come il sacro manifestato in tutta la sua provocatoria alterità con il suo

corredo di ex voto affissi a titolo di altrettante prove dell’efficacia del divino che in esso risiede e che comunque vi si è manifestato in modo radicale e inoppugnabile (Abruzzese, 1995). 

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(Eliade, 1948). Per i fedeli, infatti, la divinità non solo si è mostrata in questo luogo ma vi rimane presente e operante, rendendolo vitale e una fonte inesauribile di forza e di sacralità a cui l’uomo può essere reso partecipe (Eliade, 1948). Turner riassume questa idea con le seguenti parole: «all sites of pilgrimage have this in common they are believed to be places where miracles once happened, still happen, and may happen again» (Turner e Turner, 1978: 6). La determinazione di un luogo dove la divinità che vi si manifestò all’origine possa continuare a fare sentire la propria presenza è, infatti, una delle funzioni individuate da Turner in relazione ai luoghi sacri (Turner e Turner, 1978). Oltre a questa egli ne indica altre tre: la definizione di un centro; l’essere luogo d’incontro tra gli uomini e gli dei e tra gli stessi uomini; il fornire un microcosmo terreno del regno divino (Turner e Turner, 1978). In molti, infatti, hanno cercato di definire la funzione assolta dai luoghi sacri. Per quanto riguarda il santuario, Dupront, ne evidenzia la capacità di risponde alla ricerca da parte dei credenti di una relazione immediata con il Santo o con la Vergine Maria, e lo definisce come un luogo in cui si esprime la speranza di riscatto dalla condizione presente di sofferenza o di malattia e il bisogno di rinnovamento nella fede (Dupront, 1948: 379-381). Prandi lo descrive come un luogo di aggregazione religiosa e devozionale, di richiesta e di rendimento di grazie, di sospensione/sacralizzazione del tempo e di riqualificazione del tempo ordinario e individua una serie di motivazioni, talvolta concomitanti, che stanno alla base della visita a questi luoghi, tra cui: devozione, penitenza, richiesta di grazia e rendimento di grazie (Prandi, 1995). Non solo, secondo questo autore, la visita ai santuari determina una maggiore serenità nei credenti grazie al raggiungimento di una maggiore tranquillità rispetto al futuro, al rafforzamento delle credenze religiose e di una visione del mondo più ottimista che si ripercuote anche su una migliore gestione del quotidiano (Prandi, 1995). Altri, invece, lo interpretano come luogo della memoria e di comunicazione interiore e privata, in virtù di una presenza ormai definitivamente stabilita. Proprio per questo esso assolve una doppia funzione identitaria: a livello macro risponde alle esigenze identitarie della collettività locale, essendo un luogo culturale e della memoria; allo stesso tempo definisce anche le identità delle singole persone riconoscendone la domanda interiore (Abbruzzese, 2010b; Capraro, 1995). Il santuario si configura, inoltre, anche come luogo di aggregazione sociale con valenze extra religiose (Rech, 2011; Dubisch, 1990). In questo modo è accentuato

Figura

Figura 1: L’Immagine della Madonna di Montenero.
Figura 2: Mappa di Livorno
Figura 3: Cartina stradale di Montenero
Figura 4: Planimetria del Santuario
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