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La lezione di Blumer: l’interazionismo simbolico e la metodologia per la scienza empirica

Dalle osservazioni sin qui sviluppate, è evidente come anche nel contesto italiano sia divenuto importante volgere lo sguardo verso l’esperienza vissuta dalle persone, ossia i modi in cui la condizione umana si manifesta giorno per giorno. Adottare questa prospettiva comporta il riferimento alla tradizione del pragmatismo americano il cui obiettivo è, appunto, quello di sviluppare una       

31 L’Unitalsi è l’Unione Nazionale Italiana Trasporto Ammalati a Lourdes e Santuari

Internazionali.

32 Da questa ricerca sono state prodotte le seguenti pubblicazioni: Cipolla, Costantino e Roberto

Cipriani (a cura di). 2002. Pellegrini del Giubileo. FrancoAngeli: Milano; Cipolla, Costantino e Patrizia Faccioli (a cura di). 2002. Religiosità a confronto. FrancoAngeli: Milano; Cipriani, Roberto. 2003. Giubilanti del 2000. FrancoAngeli: Milano; Corposanto, Cleto e Luifgi Berzano (a cura di). 2003. Giubileo 2000 – non tutte le strade portano a Roma. FrancoAngeli:Milano; Losacco, Giuseppe.2003. Godstock, FrancoAngeli: Milano; Martelli, Stefano, Gianna Cappello e Lorella Molteni. 2003. Il Giubileo “mediato”. FrancoAngeli: Milano; Nesti, Arnaldo. 2004. Jubilaei Spectaculum. FrancoAngeli:Milano.

conoscenza direttamente collegata al mondo dell’esperienza e, quindi, basata sul riconoscimento dell’impegno necessario alla vita di gruppo, il primato dell’intersoggettività per la condizione umana e la necessità delle persone di prendere parte al mondo nei termini in cui loro stessi lo vedono (Prus, 1997). Poiché le persone possono definire ciò che li circonda e, quindi, agire in tanti modi diversi, è data particolare importanza al processo di comprensione e di concettualizzazione tramite cui si realizza la vita del gruppo umano nella pratica, cercando di cogliere il punto di vista degli attori coinvolti (Prus, 1997). In ambito sociologico, gli assunti del pragmatismo sono stati introdotti da Mead il cui lavoro è stato ripreso e sistematizzato da Herbert Blumer, lo studioso che ha costituito la base su cui si è sviluppato l’interazionismo simbolico.

L'interazionismo simbolico si fonda sull’idea che la condotta umana si formi nell’interazione sociale che non è solo uno sfondo per la sua espressione ma un processo costituente (Blumer, 1969). Per approfondire questo concetto Blumer ha individuato tre premesse fondamentali, tali perché su di esse si basa tutta la sua costruzione teorica. La prima indica che le persone agiscono, individualmente e collettivamente, verso le cose in base al significato che hanno per loro stesse (Blumer, 1969). Ciò significa che gli individui non rispondono automaticamente agli stimoli circostanti ma collegano a essi un significato in base al quale poi regolano la propria condotta. Con la seconda premessa Blumer spiega che il significato delle cose deriva da un processo di interazione tra le persone. Da ciò consegue che i significati non sono una caratteristica intrinseca degli oggetti né risiedono nei singoli individui, ma sono prodotti sociali poiché creati e determinati dalle attività di definizione svolte dalle persone nel loro interagire con gli altri (Blumer, 1969). Di conseguenza, il significato che un attore attribuisce a un oggetto nasce dal modo in cui le altre persone agiscono nei confronti di questo stesso oggetto. In altre parole, gli individui sviluppano le loro azioni sulla base del significato che scaturisce dall’interazione simbolica (Benzies e Allen 2001). Nell’ultima premessa Blumer indica che i significati sono trattati e modificati lungo un processo interpretativo attuato dalle persone nel rapporto con le cose che incontrano (Blumer, 1969). Questo avviene tramite un processo di autointerazione che si articola in due fasi distinte: nella prima, l'attore indica a se stesso le cose verso cui sta agendo; nell’altra i significati sono organizzati in relazione alla situazione in cui egli è coinvolto (Blumer, 1969). La condivisione dei gesti e dei

simboli, tra cui il linguaggio, determina, da una parte la possibilità di rapportarsi in termini comprensibili con gli altri, e quindi le azioni collettive o joint action; dall’altra che, da questa stessa interazione con gli altri, le persone sviluppano una nozione degli oggetti circostanti, inclusa quella di se stessi. In questa prospettiva il concetto di “simbolo” non è usato meramente in senso metaforico ma indica che i gruppi umani esistono grazie alle rappresentazioni, cioè al linguaggio, all’arte, il denaro, ai significati culturali e sociali (Maines, 1997). Blumer sostiene, infatti, che è attraverso il punto di vista degli altri, espresso con il linguaggio e i gesti, che le persone sviluppano la capacità di essere l’oggetto di se stessi, ossia il processo di autointerazione, in virtù del quale possono anche sviluppare linee di azione rispetto al mondo circostante, cosicché «this achievement of symbolic mutuality represents the foundational essence of the self» (Prus, 1997:7). Proprio perché il mondo è costruito dall’intersecarsi di diversi punti di vista Plummer lo definisce «a plural world», in continuo cambiamento, mai definito e in cui i significati sono sempre negoziati (Plummer, 2001:xi). Grazie alla capacità di essere oggetti di se stessi, inoltre, le persone sono in grado di pensare al loro coinvolgimento nelle diverse situazioni prima, durante, e dopo aver agito nei confronti di un particolare gruppo di oggetti e, quindi, di adeguare le proprie linee di azione verso altri oggetti e individui (Prus, 1997). Da ciò deriva che per comprendere le azioni compiute dalle persone è necessario individuare il processo di definizione dato dall’attore sociale (Blumer, 1969).

Gli individui, quindi, interagiscono sulla base dei significati assegnati agli oggetti33 e alle azioni in cui sono coinvolti attraverso un processo di attribuzione di significato che è situato, perché relativo al contesto in cui l’attore si trova, e

cooperativo, perché vi è una mediazione delle interpretazioni di chi partecipa a

una determinata azione, processo che può dare origine a dei codici di significato condivisi e attraverso cui gli oggetti sono trasformati in oggetti sociali (Romania, 2008). Becker e McCall, sintetizza i punti fondamentali dell’interazionismo simbolico nel seguente modo:

Any human event can be understood as the result of the people involved (keeping in mind that that might be a very large number) continually adjusting what they do in the light of what others do, so that each individual’s line of action “fits” into what the other do. That

      

33 Gli oggetti sono definiti da Blumer come ciò che «può essere indicato, definito o cui ci si può

can only happen if human beings typically act in a nonautomatic fashion, and instead construct a line of action by taking account of the meaning of what others do in response to their earlier actions. Human beings can only act in this way if they can incorporate the responses of others into their own act and thus anticipate what will probably happen, in the process creating a “self” in the Meadian sense. (This emphasis on the way people construct the meaning of others’ acts is where the “symbolic” in “symbolic interaction” come from). If everyone can and does do that, complex joint action acts can occur. (Becker e McCall 1990: 3-4)

Secondo questa prospettiva gli individui creano il mondo di esperienze in cui vivono, proprio perché agiscono in base al significato che le cose hanno per loro stesse (Denzin, 1992). L’attore sociale è quindi strettamente connesso al contesto in cui si trova ad agire tant’è che Blumer sostiene che egli non possa esistere senza la comunità in cui si colloca o, usando le parole di Prus, «there can be no self without the other» (Prus, 1997). Tuttavia ciò non comporta una visione determinista dell’individuo, poiché la creatività è ancorata all’intersoggettività, poiché è inserita in una situazione sociale e culturale di norme (Benzies e Allen, 2001). Secondo Blumer, infatti, attraverso la selezione e l'interpretazione degli stimoli, le persone formano nuovi significati e nuovi modi di rispondere e, quindi, sono attivi nella definizione del proprio futuro attraverso il processo di interpretazione di significato (Benzies e Allen, 2001). In questo modo ogni assunto è incerto e provvisorio poiché il suo significato cambia in relazione al contesto dell’individuo (Benzies e Allen, 2001). Piuttosto, quindi, di considerare il comportamento umano come il prodotto di vari istinti, forze, fattori o variabili che agiscono sopra o dall’interno degli individui, l’interazionismo simbolico lo considera un fenomeno costruito e autoriflessivo.

La società è, quindi, costituita da persone che interagiscono tra di loro per mezzo di simboli condivisi grazie ai quali è possibile sviluppare joint action, ossia azioni collettive (Blumer, 1969). Le tre premesse individuate da Blumer hanno delle importanti conseguenze a livello ontologico: tutto ciò che esiste, infatti, compresa la struttura sociale, le emozioni e la cultura, esiste come attività umana34 (Maines, 1997). Per questo la scienza sociale ha come oggetto della sua analisi lo studio dell’azione comune e, quindi, l’interazionismo simbolico è inteso come una scienza sociale empirica, cioè orientata a fornire una conoscenza verificabile della vita del gruppo e della sua condotta (Blumer, 1969: 49, 54).       

34 Ciò significa che le persone tramite le loro azioni creano la struttura in cui le loro attività hanno

Fondamentale per Blumer è l’esistenza di un mondo empirico, che deve essere il punto da cui partono le riflessioni della “scienza sociale empirica” e che ha un carattere di resistenza, ossia la capacità di rispondere alle rappresentazioni che l’attore sociale sviluppa su di lui35 (Blumer, 1969). Su questa posizione si sono sviluppate alcune delle critiche mosse all’interazionismo simbolico, considerato una prospettiva solo vagamente costruzionista che si pone epistemologicamente in una posizione intermedia tra il realismo e una visione postmoderna (Muzzetto, 2012).

L’aspirazione a sviluppare una scienza che sia il più possibile aderente alla realtà empirica deriva dalle esperienze maturate dagli studiosi appartenenti alla Scuola di Chicago, i quali ritengono che, dal momento in cui non è possibile cogliere i processi sociali deducendo la natura dall’azione che ne è prodotta, lo studioso deve cercare di entrare nel ruolo di chi sta studiando (Prus, 1977). Poiché, infatti, il processo interpretativo è compiuto dalle persone nei termini degli oggetti considerati, dei significati acquisiti e delle decisioni compiute, questo deve essere osservato dal loro punto di vista. L’assunzione di questo principio è ciò che ha reso importanti i lavori della scuola di Chicago in Sociologia. Di particolare rilevanza per lo sviluppo dell’interazionismo simbolico sono state le riflessioni epistemologiche e metodologiche elaborate da Thomas e Znaniecki nel loro studio sull’immigrazione polacca in America. I due studiosi hanno enfatizzato i processi interpretativi e l’agency delle persone (Thomas e Znaniecki, 1958). Nella loro visione i processi sono formati da tre fattori: gli atteggiamenti, con cui sono indicati la tendenza dell’attore ad agire, le prospettive personali e la definizione della situazione; i valori, ossia gli obiettivi o gli oggetti verso cui gli atteggiamenti sono orientati; e, infine, la situazione, cioè l’insieme di elementi che condizionano il comportamento (Maines, 1997). Nella loro ricerca, Thomas e Znaniecki, hanno cercato di raccogliere quante più informazioni di       

35 Blumer assume questa posizione riferendosi in parte all’idealismo e in parte al realismo. Se del

primo è accettata l’idea che la realtà non possa essere che nell’esperienza vissuta e, quindi, nel modo in cui viene “vista” dalle persone, si rifiuta la possibilità di farla coincidere con il «mondo dell’immaginazione», cioè delle concezioni autonome. La motivazione per cui ciò è impossibile è che il mondo empirico può non corrispondere alle rappresentazioni che ne sono fatte e, quindi, resistere e opporsi a esse. Se questa caratteristica porta a condividere in parte una posizione vagamente realista, Blumer ne critica due aspetti: cioè, che lo scopo della scienza empirica sia quello di scoprire i caratteri del mondo empirico che sono fissi e immutabili e che questa debba essere inquadrata in schemi interpretativi che derivano dai risultati della scienza della natura. Infatti, nonostante il carattere resistente, il mondo empirico si manifesta in maniera contingente, nel qui e ora.

carattere soggettivo possibile, proprio perché quello che volevano studiare era un problema che riguardava persone umane (Madge, 1962). Questa è la ragione per cui gran parte di questo studio si basa sull’analisi di materiale documentario, ritenuto fondamentale per cogliere gli aspetti soggettivi del mondo umano, tra cui lettere, archivi del giornale polacco Gazeta Zwiazkowy, lettere indirizzate all’associazione per la protezione degli emigrati, documenti parrocchiali, informazioni sulla storia delle organizzazioni in cui alcuni polacchi si erano riuniti, documenti provenienti da alcuni istituti di Chicago e il resoconto autobiografico del giovane polacco Wladek Wisznienski36 (Thomas e Znaniecki, 1958). Thomas e Znaniecki, dunque, hanno posto al centro della loro attenzione i mutamenti dell’organizzazione sociale valorizzando la presenza delle interazioni umane e di ciò che ne deriva. Analizzando questa ricerca Blumer apprezza come lo scopo fosse quello di elaborare uno schema concettuale adeguato alla complessità delle società, in continua trasformazione (Madge, 1962), tuttavia, egli sviluppa una dettagliata critica di questo lavoro, focalizzata sul problema, a parere di alcuni rimasto insoluto anche da Blumer (Hammersley, 2010), della compatibilità tra un approccio scientifico e la peculiare natura della vita sociale umana. In particolare Blumer sostiene che, date due interpretazioni di un unico oggetto, sia impossibile scegliere quale sia quella corretta e quella sbagliata e che la validità di una interpretazione dipenda esclusivamente dalla esperienza, intelligenza e abilità del ricercatore. Per questo motivo anche lo studio di Thomas e Znaniecki, come del resto ogni tentativo di trattare scientificamente fenomeni soggettivi che, quindi, hanno significati che possono essere interpretati solo soggettivamente, si espone alle difficoltà metodologiche precedentemente esposte. Blumer, inoltre, critica anche l’uso del materiale documentario come strumento di convalida della teoria anche se, tuttavia, riconosce che possa servire come fonte di idee e per lo sviluppo di nuove interpretazioni (Madge, 1962). Egli ritiene, infatti, che una delle difficoltà che presenta lo studio di questo materiale sia dovuta al fatto che, data la sua complessità, sia richiesta una sottile interpretazione più che un’analisi rigorosa. Per Blumer, quindi, i documenti sono adatti all’indagine e alla formulazione di ipotesi ma non al loro collaudo (Madge, 1962).

      

36 I vari documenti non sono impiegati unitariamente, ma compongono le varie sezioni dell’opera

separatamente. Sono una serie di studi pressoché indipendenti ai viene data unità grazie alla logica che viene seguita per la loro presentazione.

Partendo dalle critiche sviluppate allo studio di Thomas e Znaniecki, Blumer si chiede se le difficoltà nell’individuare un protocollo di ricerca scientifico in sociologia siano date da un normale ritardo o, piuttosto, siano la prova dell’impossibilità di studiare questo ambito con le stesse strategie usate per le scienze naturali a causa della natura del mondo sociale, che si differenzia dagli altri ambiti di indagine delle scienze. L’interrogativo verte, quindi, sulla necessità che gli scienziati sociali volgano i loro sforzi verso un diverso modo di concettualizzare i fenomeni studiati, come hanno cercato di fare Thomas e Znaniecki (Hammersley, 2010). Fondamentale per Blumer è che i fatti sociali non possano né essere ridotti a ciò che è osservabile dall’esterno, né essere specificati da indicatori prefissati (Blumer, 1969). In particolare è necessario che l’applicazione dei concetti non dipenda dal giudizio o dalla competenza specifica dell’osservatore: in altre parole quello che viene osservato dovrebbe essere accessibile a tutti (Hammersley, 2010). La riflessione di Blumer sulla metodologia parte, infatti, da una critica al positivismo, e, quindi, alla predominanza delle metodologie quantitative nella sociologia americana degli anni ’30 – ’60, con particolare riferimento all’operazionalizzazione dei concetti e all’uso delle variabili (Hammersley, 2010). Provare a cogliere il processo interpretativo rimanendo esterno, come osservatore oggettivo, e rifiutare di assumere il ruolo dell’attore comporta il rischio di seguire il peggior tipo di soggettivismo poiché l’osservatore oggettivo coprirà il processo interpretativo con le sue supposizioni anziché coglierlo così come si svolge nell’esperienza (Blumer, 1969). Come sottolinea Becker, Blumer critica i sociologi per aver basato le loro riflessioni su un immaginario evidentemente contraddittorio rispetto a quello che la loro stessa esperienza quotidiana mostrava loro (Becker, 1998). Blumer insiste particolarmente sul fatto che gli scienziati sociali hanno l’obbligo di adattare le loro conoscenze pregresse alle esigenze dei fenomeni che incontrano nel corso delle loro ricerche. Proprio per questo egli critica la tendenza delle scienze sociali di cercare di spiegare il comportamento umano tramite il ricorso a fattori o variabili (tipicamente nella forma di qualità individuali o condizioni strutturali) per quantificare diversi stati del comportamento umano (Prus, 1997). Blumer spiega che la vita umana non è il risultato di una specifica serie di fattori (interni o esterni) o di variabili che agiscono sulle persone, ma è, piuttosto, una continua costruzione sociale. In particolare questo studioso pone l’accento su come sia

stata data poca attenzione al modo in cui le persone riescono a comunicare; alla definizione della situazione data dalle persone; alla capacità di pensare riflessivamente; al modo in cui le persone formulano le loro linee di azione, interagiscono tra di loro, formano e gestiscono le reazioni reciproche; a come questi aspetti della vita di gruppo sono attuati dalle persone in maniera processuale (Prus, 1997).

Alla luce di queste osservazioni, Blumer ritiene che non sia possibile per le scienze sociali individuare dei concetti definitivi, come quelli usati nelle scienze naturali. Piuttosto, in questo ambito, i concetti hanno una funzione sensibilizzante: pur non avendo attributi specifici e, di conseguenza, non permettendo di focalizzarsi direttamente su un caso specifico e sul suo contenuto, offrono una guida generica per approssimarsi alle problematiche empiriche (Hammersley, 2010). Il punto focale dell’approccio metodologico di Blumer è il bisogno di studiare direttamente il mondo empirico. Per questo, è importante un meticoloso esame dell’ambito studiato e delle immagini che il ricercatore ha su di esso, delle domande e dei problemi formulati in relazione ad esso, dei concetti attraverso cui viene visto e analizzato, fase che, invece, è solitamente trascurata nella ricerca sociale. Solo in questo modo verrà rispettata la natura del mondo empirico e non saranno assunti postulati non conformi ad esso. Sebbene Blumer non dia delle indicazioni dettagliate37 su come svolgere una ricerca, egli individua due momenti distinti: l’esplorazione e l’ispezione. Poiché la vita sociale è molto variegata e per comprendere cosa stia accadendo in una particolare situazione è importare avere una conoscenza specifica, il punto di partenza deve essere l’investigazione esplorativa il cui scopo è di consentire di «arrivare a una comprensione più chiara di come porre i problemi individuali, imparare quali sono i dati appropriati, sviluppare le idee relative alle direttrici significative di rapporto e aumentare gli strumenti concettuali» (Blumer, 1969: 74). Questa è una procedura per definizione flessibile: il ricercatore in questa fase “esplora” diverse aree di ricerca, più punti di osservazione, si muove verso direzioni prima non considerate e cambia il suo giudizio sulla rilevanza dei dati acquisendo una conoscenza più approfondita della realtà che sta studiando (Blumer, 1969). Ciò non significa che non ci sia una direzione nella ricerca ma che, piuttosto, questa si approfondisce       

37 Blumer non dà indicazioni precise perché secondo il suo punto di vista è fondamentale che il

progressivamente durante il corso dell’indagine. Proprio per la necessità di essere flessibile Blumer non àncora la ricerca esplorativa a nessuna tecnica di indagine specifica. In questa fase è, inoltre, importante che il ricercatore verifichi costantemente le sue concezioni sulla realtà studiata. L’obiettivo di indagine è «sviluppare e implementare, in modo esauriente e accurato, una rappresentazione dell’area di studio e dei suoi caratteri. La rappresentazione dovrebbe aiutare il ricercatore a sentirsi come a casa in quell’area e a parlare in base ai fatti e non a ipotesi» (Blumer, 1969: 75). Tuttavia, seppur le descrizioni così ottenute possano rispondere ai problemi che il ricercatore si è posto, l’esplorazione non è sufficiente ma è necessaria anche l’ispezione, cioè un’attenta analisi del contenuto empirico di ogni elemento utile per lo studio e delle loro relazioni. Tramite l’ispezione si aspira a dare «al proprio problema una dimensione teorica, a trovare rapporti generici, ad affinare i riferimenti descrittivi dei suoi concetti e a enunciare proposizioni teoretiche» (Blumer, 1969: 76). In altre parole, è importante sviluppare un insieme di concetti che permettano di accedere, comprendere e comparare il mondo vissuto delle persone e non produrre studi isolati e disconnessi sui diversi aspetti della vita umana (Prus, 1997). Anche in questa fase è importante la flessibilità e la creatività per poter cogliere eventuali nuove direzioni da perseguire. Secondo Blumer, l'analisi scientifica richiede quindi due cose: chiari elementi di analisi e l'isolamento delle relazioni tra questi