Indice
1. Introduzione ... 2
2. Breve storia della pubblicità... 6
3. La pubblicità tra vecchi e nuovi media ... 20
3.1 Struttura base dell’annuncio a stampa... 22
4. La pubblicità come fenomeno socio-culturale ... 29
5. Lingua o Linguaggio? ... 31
5.1 Il parere degli esperti sul linguaggio pubblicitario... 36
6. Osservazioni sul linguaggio pubblicitario del settore cosmetico... 38
7. Dalla teoria alla pratica ... 54
7.1 Baby doll di Yves Saint Laurent... 54
7.2 So Intense di Sisley... 63
7.3 Liftactiv Serum 10 Occhi & Ciglia di Vichy... 71
7.4 Advanced Night Repair di Estee Lauder ... 83
7.5 Personal Biopoint Control Liss di Biopoint... 100
7.6 Lisci Effetto Seta di Pantene... 114
7.7 A Different Nail Enamel di Clinique ... 127
7.8 Smalto Shatter Paints di O.P.I... 141
7.9 Miss Pupa di Pupa Milano ... 155
7.10 Gloss in Love di Lancome ... 170
8. Conclusioni ... 179
9. Appendice ... 195
10. Bibliografia ... 203
1. Introduzione
Partendo dai numerosi studi sul linguaggio pubblicitario in generale, il cui
pioniere è stato Bruno Migliorini che negli anni ’60 definì questa forma di
comunicazione come “una lingua in margine alla lingua
1”, ho deciso di indagare
in modo più approfondito quello rivolto alla pubblicizzazione dei cosmetici
femminili.
Data la mole dell’argomento ho scelto di approfondire questo specifico campo di
indagine rispetto a quello che, inizialmente, avevo preso in considerazione ossia il
linguaggio pubblicitario nella sua interezza, che, però, necessariamente doveva
essere sottoposto a cernita, viste le sue numerose ramificazioni.
Oggi gli annunci pubblicitari relativi al settore della cosmesi sono i più
inflazionati, com’è verificabile sfogliando un qualunque rotocalco di fascia media
nel quale annunci di questo tipo, uniti a quelli che promuovono profumi,
raggiungono quasi la metà delle pagine pubblicitarie contenute nella rivista
2.
La mia scelta è stata determinata anche dall’intento di verificare concretamente se
determinati fenomeni linguistici e lessicali, caratteristici del linguaggio
pubblicitario in generale, si riproponessero anche in un campo maggiormente
circoscritto.
Partendo dal contributo
3di Paola Buratta, unica studiosa interessatasi al
medesimo argomento, ho voluto verificare se quelle peculiarità riscontrate dalla
studiosa nel linguaggio pubblicitario del settore della cosmesi femminile alla fine
degli anni ’80 si riproponessero effettivamente anche in annunci di anni più
recenti. La Buratta, fornendo una trattazione di carattere generico piuttosto che
un’analisi accurata dei singoli annunci pubblicitari, ha fatto riferimento
unicamente al mezzo stampa per la sua indagine, non essendo Internet, negli anni
’80, ancora diffuso.
1 Bruno Migliorini, Lingua contemporanea, Sansoni, Firenze, 1963.
2 A riprova di questo sfogliando la rivista Marie Claire di Giugno 2013, costituita da 302 pagine in
totale, possiamo osservare come 100 di esse siano caratterizzate da annunci pubblicitari. 54 pagine, infatti, promuovono prodotti vari, dagli indumenti alle stazioni radio più belle da ascoltare. Le restanti 46 sono, invece, dedicate alla promozione di profumi e prodotti per la cosmesi femminile. Questo settore pubblicitario ingloba, quindi, circa il 50% degli annunci pubblicitari contenuti in una rivista di fascia medio-alta, rivolta al pubblico femminile.
3 Paola Buratta, Il linguaggio della pubblicità della cosmesi femminile in Una lingua in vendita:
Ho pertanto deciso di proporre due annunci del medesimo cosmetico, il primo
riscontrabile nelle pagine pubblicitarie di alcuni dei più noti rotocalchi italiani
nella primavera-estate del 2013 e il secondo reperibile online, nel sito web della
ditta cosmetica di appartenenza. In questi ultimi ho potuto osservare, come si
vedrà più avanti, una promozione maggiormente accurata e persuasiva dei prodotti
pubblicizzati.
In seguito si metteranno in evidenza le caratteristiche iconiche e linguistiche dei
singoli annunci pubblicitari. È evidente come l’immagine (visual), soprattutto
negli annunci a stampa, sia il perno della strategia di persuasione messa a punto
dai copyrighter, nonché quell’elemento che contribuisce in modo determinante al
significato finale dell’intero annuncio pubblicitario. Come dimostrerò
successivamente, ho anche potuto rilevare una variazione sostanziale del
linguaggio pubblicitario in relazione al mezzo di comunicazione adoperato.
La persuasione pubblicitaria, infatti, si svolge sia sul piano dell’immagine (oggi
soprattutto su questo) sia su quello linguistico, all’interno del quale il pubblicitario
non può fare a meno di attingere sia dalla lingua comune, sia dai livelli di lingua
più alti come quelli di origine specialistica.
Ho deciso di far riferimento ai due mass media che, al giorno d’oggi,
maggiormente divergono: il più antico, ossia la stampa, e il più moderno, cioè il
Web, che velocemente sembra guadagnare terreno a discapito degli altri.
La scelta di far riferimento al mezzo di Internet è determinata dal fatto che, a mio
avviso, l’avvento di quest’ultimo ha segnato una svolta epocale a livello
comunicativo. Infatti, oltre a modificare drasticamente il modo di fare pubblicità,
il Web ha trasformato anche lo stile di vita di coloro che lo adoperano.
Le persone, infatti, si servono di Internet per diversi scopi: comunicare,
conversare, esprimere le proprie opinioni, arricchire il proprio bagaglio culturale,
fare affari, promuovere un bene, un servizio o addirittura se stessi. Per i suoi
molteplici usi Internet è divenuto il mezzo di interazione per eccellenza, grazie
anche allo sviluppo delle comunicazioni, che ha portato a un abbassamento dei
costi di connessione e all’aumento della velocità di trasmissione delle
informazioni.
La fruizione di Internet è solitamente molto rapida poiché è raro che un utente
legga attentamente e in tutti i suoi contenuti la pagina web che sta visitando. Si
tende a visualizzarla velocemente “scorrendola” e a soffermarsi soltanto sulle
informazioni che ci interessano, magari colpiti da una frase a effetto o da
un’immagine particolarmente suggestiva. È per questo motivo che gli annunci
pubblicitari online devono essere indipendenti, informativi e leggibili. Il concetto
che hanno il compito di comunicare deve attecchire immediatamente nella
memoria degli utenti, altrimenti questi ultimi abbandoneranno velocemente la
pagina pubblicitaria per leggere altrove.
La possibilità di accedere a contenuti infiniti, semplicemente digitando alcune
parole chiave, dilata notevolmente il tempo che un utente trascorre sul web alla
ricerca di informazioni.
La pubblicità diffusa a mezzo Internet può raggiungere un gruppo molto ampio ed
eterogeneo di persone, nell’immediato e a bassi costi.
Nel web non esistono limiti di spazio e i messaggi pubblicitari non devono essere
necessariamente brevi, a differenza di quelli su carta che, come vedremo, fanno
della concisione una caratteristica fondamentale. Il sito Internet consente, inoltre,
all’utente di accedere a tutte le informazioni sul prodotto prima di qualunque
acquisto.
Pertanto si analizzeranno gli annunci pubblicitari contenuti nei siti online delle
case di cosmetica, considerando che questa forma pubblicitaria è sicuramente la
più diffusa in rete.
Il sito internet di un’azienda è accessibile digitando un indirizzo elettronico che,
solitamente, coincide col nome dell’azienda stessa o con una sequenza di parole
collegabile a quest’ultima in modo deduttivo, facilitando in questo modo l’accesso
anche al navigatore meno esperto. Il sito rappresenta la dimora online dell’azienda
e per questo da esso deve trasparire la personalità e il carattere della marca stessa.
Ogni sito Internet è diverso dall’altro ed è caratterizzato da notizie, colori,
atmosfere che combaciano con la personalità stessa dell’azienda e che molto
spesso sono riscontrabili anche nei negozi che fanno capo a essa.
È essenziale per il successo di una pubblicità online non soltanto la componente
grafica ma anche il linguaggio.
Soprattutto la pubblicità su Internet, per la sua interattività, ha lo scopo di creare
una comunicazione amichevole con il destinatario, imitando le comunicazioni
interpersonali che avvengono quotidianamente
Per fare questo essa utilizza espedienti tipici della conversazione parlata creando
un senso di maggiore interazione col destinatario.
Per tutti questi motivi ho reputato importante mettere a confronto il linguaggio
pubblicitario adoperato in questi due mezzi di comunicazione così differenti, col
fine di valutare quale sia il più efficace e quello maggiormente innovativo, se
paragonato alle caratteristiche di carattere linguistico che Paola Buratta aveva
tratteggiato nel suo studio. Oltre ad aver riscontrato numerose particolarità
linguistiche già individuate dalla studiosa sopra citata ho potuto, inoltre, osservare
alcuni elementi lessicali particolarmente innovativi. È presente, soprattutto online,
una maggiore incidenza di forestierismi a discapito dei tecnicismi che, invece, la
Buratta aveva identificato nel suo contributo come quegli elementi in grado di
persuadere in modo determinante nei messaggi pubblicitari del settore della
cosmesi femminile.
Innanzitutto ho deciso di proporre una breve trattazione della storia della
pubblicità, necessaria per comprendere la sua evoluzione a livello iconico e
soprattutto linguistico, in linea con la nascita dei nuovi mezzi di comunicazione
che hanno rivoluzionato drasticamente il modo di fare pubblicità.
Ho poi brevemente delineato che cosa si intenda effettivamente con linguaggio
pubblicitario, proponendo anche le definizioni fornite da alcuni dei più importanti
linguisti. Successivamente ho tracciato le caratteristiche del linguaggio
pubblicitario della cosmesi femminile attingendo, come punto di partenza per la
mia analisi, al testo di Paola Buratta.
Nel capitolo successivo, ho preso in esame concretamente dieci annunci
pubblicitari a stampa e dieci annunci pubblicitari reperibili online, all’interno dei
siti web delle ditte cosmetiche prese in considerazione, col fine di verificare le
analogie e le divergenze che intercorrono tra essi, osservando anche, nello stesso
tempo, l’evoluzione di tale linguaggio settoriale in relazione a questi due
differenti mezzi di comunicazione.
2. Breve storia della pubblicità
Lo storico pubblicitario Gian Luigi Falabrino, ha sostenuto in una delle sue
pubblicazioni più note che: “La pubblicità è vecchia come il mondo: cominciò il
serpente a decantare ad Eva le virtù della mela.
4”
L’affermazione di Falabrino è sicuramente ironica, tuttavia è possibile rintracciare
i primordi della comunicazione pubblicitaria già in epoca antica. Possiamo
individuarne alcune tracce nelle insegne dei negozi in epoca romana, nelle quali i
commercianti, per attirare i clienti, univano delle brevi frasi a immagini
rudimentali, che avevano lo scopo di mostrare a chi passava nelle vicinanze della
bottega cosa si vendesse all’interno. Queste illustrazioni molto semplici ben si
confacevano ad un pubblico prevalentemente analfabeta.
Anche l’oratoria antica può essere definita una forma primitiva di persuasione,
paragonabile alla pubblicità, basti pensare alla capacità di Cicerone di ottenere il
consenso altrui tramite la sua ars dicendi.
Successivamente, in epoca rinascimentale, le merci iniziarono ad essere
pubblicizzate nei mercati cittadini dai banditori e dai venditori ambulanti che,
unicamente in forma orale, elencavano le qualità dei prodotti che avevano messo
in commercio, per favorirne l’acquisto.
Falabrino, però, avverte: “ Se aprite una storia della pubblicità e, all’inizio,
leggete che i primi a scrivere messaggi commerciali sono stati i soliti Cinesi, gli
Egizi o i Romani di Pompei, chiudetela subito e passate a più proficue letture. […]
Questo è il punto: che la pubblicità nasce con la stampa e con l’industria. La
pubblicità nasce quando le industrie si sostituiscono all’artigianato.
5”
La pubblicità, come la intendiamo oggi, nasce nell’Ottocento con il consolidarsi
dell’industria. I prodotti, in questo periodo, iniziarono ad essere venduti
contemporaneamente in migliaia di negozi e il produttore e il compratore non
erano più a contatto diretto come in epoca passata.
La pubblicità nasce proprio con la scomparsa di un tipo di società basata sulla
mera sopravvivenza e con l’avvento del consumismo e della società di massa;
4 Cfr. G. Falabrino, Pubblicità serva e padrona, Il Sole 24 ore, Milano, 1989.
l’individuo diventa, infatti, libero e acquisisce la possibilità di accaparrarsi
determinati privilegi, assecondando i suoi bisogni personali, che, con l’avvento
dei moderni mezzi di comunicazione, divengono generalizzati in quanto diffusi in
tutta la società e da tutti condivisi.
Già precedentemente l’invenzione della stampa a caratteri mobili, nel 1450 ad
opera di Johann Gutemberg, aveva sancito un punto di svolta fondamentale nella
storia della pubblicità; sono proprio i libri ad accogliere i primi rudimentali
esempi di reclame, che a quest’altezza risultano essere soprattutto avvisi
propagandistici a fini religiosi.
La pubblicità nacque in Francia nel 1631 con Théophraste Renaudot
6. Questo aprì
un ufficio e fondò la Gazette Hebdomadaire per raccogliere e pubblicare annunci
pubblicitari a pagamento. Fu proprio nel Seicento che si diffuse un nuovo tipo di
giornale: le gazzette, antenate dei moderni periodici d’informazione. Qui
comparivano le prime réclame, prive di illustrazioni e basate su un testo simile
agli articoli giornalistici.
Un svolta epocale avvenne nel Settecento in Inghilterra, dove le reclame
iniziarono a diffondersi in modo capillare sui giornali, a seguito della Rivoluzione
Industriale, che riuscì a sconvolgere il mercato.
La diffusione delle pubblicità sui giornali portò il governo inglese, nel 1712, a
imporre una tassa sulle inserzioni pubblicitarie che comparivano sulla stampa.
Sempre in Inghilterra, a fine Settecento, nacque la figura dell’agente pubblicitario,
che aveva il compito di vendere spazi pubblicitari su riviste e gazzette per conto di
aziende e committenti privati.
A metà Ottocento la pubblicità arrivò sui manifesti, dove trovò la sua migliore
forma di espressione
7.
Le immagini che reclamizzavano il prodotto vennero affidate a illustratori e artisti
affermati che riuscirono, grazie all’uso del colore e a uno spazio pubblicitario più
ampio, a creare dei manifesti di alto valore artistico. Questi artisti rimasero
6 Théophraste Renaudot (Loudun, 1586 – Parigi, 25 ottobre 1653) è stato un giornalista, medico e
filantropo francese.
7 Il manifesto pubblicitario – o affiche - si afferma nel 1870 in Francia, dov’è più forte la tendenza alla
pubblicizzazione del privato cioè quella propensione degli individui a vivere lo spazio della metropoli. La diffusione del manifesto è determinata dalla nascita della nuova stampa cromolitografica.
affascinati dal nuovo mezzo pubblicitario, che consentì loro di acquisire ampi
introiti e una spiccata notorietà.
Il manifesto divenne un canale di diffusione ottimale a differenza dei quotidiani,
nei quali gli annunci venivano realizzati grezzamente e confinati in determinate
pagine. La resa grafica, inoltre, risultava di scarsa qualità per l’assenza di colore.
Il manifesto, invece, aveva la capacità di comunicare anche col pubblico non
istruito, grazie all’immediatezza delle immagini, sulla quale i quotidiani non
potevano contare, in quanto indirizzati a dei lettori alfabetizzati. L’immediatezza e
la concisione divennero le caratteristiche fondanti del nuovo mezzo espressivo,
necessarie per il tipo di fruizione della pubblicità affissa sul manifesto, nato per
essere scorto all’interno della confusione delle metropoli e, quindi, in modo
distratto.
Già a partire dall’Ottocento le immagini riuscirono a prendere il sopravvento sulla
parola, acquisendo quell’importanza che è ampiamente documentata ai giorni
nostri.
Uno degli artisti più noti, per menzionarne uno
8, che si occupò di manifesti
pubblicitari fu Edouard Manet, che realizzò il manifesto Les Chats per
pubblicizzare il libro dal titolo omonimo dello scrittore Champfleury.
8 Alcuni dei protagonisti assoluti del cartellonismo ottocentesco e primo-novecentesco furono: Jules
Chéret, Henri de Toulouse-Lautrec, Leonetto Cappiello, Fortunato Depero, Galileo Chini, Mario Sironi etc.
Nell’illustrazione, realizzata da Manet, compaiono due gatti, uno bianco e uno nero, che attirano l’attenzione del pubblico grazie al contrasto fra le tonalità cromatiche, espediente ancora oggi adoperato in pubblicità.
A detta di Vanni Codeluppi: “Questo manifesto può essere considerato, per l’elevata qualità grafica dell’immagine che contiene, una tappa importante nell’evoluzione della pubblicità.9”
Nel manifesto il prodotto veniva posto raramente in primo piano, non compariva
neppure lo slogan; ciò che veniva pubblicizzato era lo stile di vita borghese,
caratterizzato da attività mondane, quali la villeggiatura e gli spettacoli teatrali
10.
Solo nel 1836 il francese Émile De Girardin
11, editore di La Presse, comprese che
il costo del giornale poteva diminuire considerevolmente facendo gravare parte
9 Cfr. V. Codeluppi, Che cos’è la pubblicità, Carocci Editore, Roma, 2001, pp.17.
10 Uno dei più importanti cartellonisti italiani è Marcello Dudovich, che ritrae nelle sue opere la bella vita
del primo Novecento: le splendide donne, le corse dei cavalli, gli abiti eleganti etc. Lavorò molto per la casa di moda Mele di Napoli e per la Rinascente.
11 Èmile de Girardin fu un giornalista e un politico francese (Parigi 1806 - 1881), più volte deputato (tra il
delle spese sulle inserzioni della pubblicità. Unì, in questo modo, ciò che
precedentemente era stato mantenuto separato: le notizie politiche, infatti,
venivano distaccate da quelle letterarie e artistiche; inoltre le informazioni
economiche e gli annunci pubblicitari venivano pubblicati separatamente su altri
giornali.
Émile De Girardin iniziò a dedicare la quarta pagina del proprio giornale agli
annunci pubblicitari, suscitando numerose polemiche. Grazie a lui la quarta
pagina dei quotidiani diverrà sinonimo di pubblicità fino alla seconda guerra
mondiale.
La reazione a questa iniziativa da parte della stampa tradizionalista fu di grande
indignazione a causa dell'importanza concessa agli annunci pubblicitari a scapito
dell'informazione e dei contenuti giornalistici, snaturando quindi, a detta di coloro
che polemizzavano, il ruolo stesso del quotidiano. Con questo atto, che dette
avvio ad un rapporto sistematico e sempre più stretto tra editoria e pubblicità,
nacque il giornale di massa e la pubblicità stessa iniziò ad affermarsi
maggiormente, divenendo un elemento essenziale nella vita delle aziende
editoriali e poi successivamente radiofoniche, televisive e oggi telematiche e
informatiche.
Solo quattro anni dopo la decisione di De Girardin, negli Stati Uniti, a Filadelfia,
nacque ufficialmente la prima impresa che si occupava specificatamente di
pubblicità. In Italia la prima concessionaria di spazi pubblicitari, invece, venne
fondata nel 1863, a Milano, dai farmacisti Carlo Erba e Attilio Manzoni.
A fine Ottocento il messaggio pubblicitario iniziò a porre il prodotto in veste di
protagonista assoluto: lo scopo principale del testo divenne di tipo referenziale,
teso unicamente a sottolineare l’utilità del prodotto, esaltandone i vantaggi e le
qualità; per fare questo ci si affidò ad un registro linguistico elevato: il pubblico a
cui ci si rivolgeva era, infatti, d’élite, costituito dalla medio-alta borghesia, che
all’epoca rappresentava la protagonista della scena sociale ed economica, nonché
l’unica in possesso delle competenze alfabetiche e linguistiche necessarie alla
lettura del giornale e, dunque, degli annunci pubblicitari.
Negli Stati Uniti, verso la fine del XIX secolo ebbe inizio una nuova era nella
storia della pubblicità, grazie alla nascita del packaging. Se precedentemente i
prodotti venivano venduti a peso, prelevandoli da ampi recipienti, adesso i
produttori americani mettevano, per la prima volta, sul mercato prodotti
confezionati in pacchetti e con un proprio marchio. Questa innovazione permise a
ciascun produttore di vendere e pubblicizzare i propri prodotti con un marchio
creato ad hoc, facendo maggior ricorso, quindi, all’uso della pubblicità.
All’inizio del Novecento, in Italia grazie alle azioni di governo promosse da
Giolitti, si inaugurò un periodo di relativo benessere, favorito dal progresso
industriale. In questo periodo la pubblicità, inizialmente sfruttata da una stretta
cerchia di aziende, si allargò ad un gran numero di imprese.
Negli anni ’20 del Novecento la pubblicità catturò anche l’interesse di esponenti
del movimento artistico futurista, che ebbero il compito di creare messaggi
pubblicitari finalizzati a sedurre il destinatario trasgredendo o forzando la norma
linguistica
12.
Da un lato la pubblicità entrò, così, nell’universo poetico e pittorico come
citazione, dall’altro questi artisti sfruttarono a loro piacimento le innovazioni che
appartenevano, sino a quel momento, soltanto al settore pubblicitario.
I futuristi italiani, infatti, celebrarono la pubblicità come epos della nuova era
industriale, esaltando la felice unione che si era creata tra arte, industria,
progresso, velocità e pubblicità. Questi, nelle loro opere sia pittoriche che
letterarie, citavano slogan, marchi e insegne, basti pensare alla poesia di Aldo
Palazzeschi, La passeggiata, che è un vero e proprio elenco in versi di negozi e
insegne
13.
Quest’ultimo scriveva a proposito di Tommaso Marinetti, il fondatore del
manifesto futurista: “Aveva capito fin da allora il potere della pubblicità che
doveva raggiungere fatti e persone a tutte le profondità e a tutte le altezze, nessuno
escluso della compagine sociale
14.”
Nel corso degli anni ’30, in Italia, la pubblicità si unì in modo inscindibile alla
propaganda. È in questo periodo che il regime fascista raggiunse l’apice della
popolarità e del consenso. In questo clima la propaganda, attraverso l’uso dei
12 M. Rosa Capozzi, La comunicazione pubblicitaria. Aspetti linguistici, sociali e culturali, Materiali
linguistici Università di Pavia, 2011, pp. 31.
13 La passeggiata è una poesia futurista scritta da Aldo Palazzeschi e contenuta nella raccolta
L'incendiario. L’autore ha riportato tutte le scritte che ha letto durante una passeggiata, nonché i dialoghi
fatti all'inizio ed alla fine del percorso.
mezzi di comunicazione, era uno dei mezzi di maggiore diffusione delle idee del
regime.
Durante il periodo fascista, inoltre, la pubblicità si infarcì di retorica e mirò ad
esaltare i prodotti “nazionali” sugli altri, in favore di quell’ideologia autarchica
portata avanti dal duce. Il fascismo utilizzò molto, inoltre, il meccanismo dello
slogan al fine ottenere e mantenere il consenso.
In questo ventennio a causa del condizionamento del regime fascista ci fu un
rallentamento della cultura pubblicitaria.
Nel 1924 con l’avvento della radio, primo vero mezzo di comunicazione di massa,
vennero raggiunte anche le fasce di popolazione con un basso livello di
scolarizzazione e venne stimolata la creazione di nuove tecniche di vendita,
stavolta basate sull’uso della voce. Lo stile pubblicitario si fece più diretto e la
formulazione linguistica divenne più sintetica e incisiva.
Nel secondo dopoguerra assistiamo alla nascita dei rotocalchi
15, nei quali la
pubblicità trovò una collocazione ideale. Queste testate videro una massiccia
diffusione grazie al pubblico femminile, destinatario privilegiato cui erano
indirizzati la maggior parte degli annunci pubblicitari.
Grazie ai rotocalchi si sviluppò l’interesse per la fotografia, che iniziò a garantire
un maggiore realismo.
Nel 1954 un nuovo mass medium approdò in Italia: la televisione. Il nuovo mezzo
di comunicazione venne accolto calorosamente dalla popolazione italiana,
prostrata dai difficili anni del dopoguerra, volti alla ricostruzione.
Nei primissimi anni di attività la RAI svolse un lavoro di tipo pedagogico e
didattico, dedito quindi alla crescita culturale e sociale.
Di lì a poco cambiò il modo di concepire la vita quotidiana: grazie al nuovo
mezzo di comunicazione venivano costantemente proposti nuovi modelli di vita
“alla moda”, che avevano come esigenze primarie, tra le altre, la cura della
persona o il saper sfruttare appieno il tempo libero. È proprio in questi anni che
avvenne il boom economico, grazie al miglioramento del tenore di vita e al grande
sviluppo industriale.
In questo periodo, inoltre, vennero aperte nuove agenzie pubblicitarie, la maggior
parte delle quali erano di origine anglosassone. Sul piano strettamente linguistico
le nuove agenzie favorirono lo sviluppo di un lessico pubblicitario caratterizzato
per lo più da anglicismi.
La pubblicità della televisione italiana degli albori coincide con Carosello, una
trasmissione della durata di qualche minuto, che si collocava fra il telegiornale e il
programma di prima serata. Carosello fu creato nel 1957, quando la RAI decise di
iniziare a trasmettere messaggi pubblicitari. Qui i prodotti venivano riproposti
continuamente ad un pubblico disposto, per quel breve lasso di tempo nell’arco
della giornata, ad essere istruito sulle proprietà e qualità dei prodotti reclamizzati.
Mauro Trotta rispetto al fenomeno di Carosello afferma che: “Utilizzando la
formula del contenitore, [la pubblicità], oltre ad avere una durata limitata nel
tempo, viene presentata anche come qualcosa di estraneo rispetto al resto della
programmazione. Viene praticamente messa tra parentesi, come una specie di
corpo separato dal resto del discorso. Inoltre viene limitata nelle sue potenzialità
corruttrici anche al proprio interno, poiché le viene imposto di appoggiarsi ad una
storia che, oltre a renderla ulteriormente separata […] tende a depotenziarne la
forza persuasiva e a ridurne l’impatto sullo spettatore
16.”
Lo spettatore, grazie a Carosello, inizia a concepire la pubblicità come una forma
di intrattenimento, nella quale la vendita del prodotto viene posta in secondo
piano, rilegata alla fine di un contenitore più ampio. In questo modo, come
sottolinea lo stesso Mauro Trotta, lo spettatore viene influenzato all’acquisto in
modo indiretto e proprio per questo maggiormente efficace.
Negli anni ’70 nacquero le reti televisive private, la sopravvivenza delle quali era
basata sugli introiti pubblicitari e non su di un canone imposto ai cittadini come la
televisione di stato.
Carosello ormai risultava inadeguato alle richieste delle ditte, soprattutto quelle
minori, che erano motivate a ritagliarsi il loro piccolo spazio all’interno della
pubblicità televisiva.
Dopo gli anni del boom economico il mondo pubblicitario attraversò un periodo
di crisi, determinato dalle critiche degli intellettuali, che individuavano nella
pubblicità il fautore del consumismo, capace di manipolare le coscienze degli
individui.
Il portavoce di questa teoria fu Vance Packard, insegnante di giornalismo
all’università di New York, che, nel 1957, aveva pubblicato I persuasori occulti,
nel quale aveva esaminato la perversa alleanza tra psicologia e pubblicità. Packard
polemizzava nei confronti della pubblicità sostenendo: “Molti di noi – di questo si
tratta – vengono oggi influenzati assai più di quanto non sospettino, e la nostra
esistenza quotidiana è sottoposta a continue manipolazioni di cui non ci rendiamo
conto. Sono all’opera su vasta scala forze che si propongono, e spesso con
successi sbalorditivi, di convogliare le nostre abitudini inconsce, le nostre
preferenze di consumatori, i nostri meccanismi mentali.
17”
A causa di queste polemiche e della recessione economica dovuta alla crisi
petrolifera, negli anni ’70, la pubblicità si mostrò sottotono. Le campagne
pubblicitarie divennero serie, sobrie e molto brevi. L’immagine passò in secondo
piano, in favore della parola: lunghi testi di spiegazione sulle qualità del prodotto
reclamizzato che doveva apparire come il più funzionale possibile; talvolta, del
prodotto in questione non compariva neppure un’immagine esemplificativa.
L’immagine, nel caso in cui faceva la sua comparsa, appariva statica e presentava
il prodotto non al meglio delle sue caratteristiche, ma solo come oggetto fine a se
stesso, isolato, senza alcun tipo di rappresentazione che potesse avvicinarlo al
mondo del consumatore.
Per salvaguardare l’immagine della pubblicità, screditata dalle polemiche che la
additavano come la promotrice della corsa ai consumi, incentivata negli anni ’60
dal boom economico, nel 1971, i pubblicitari dettero vita alla Pubblicità
Progresso, che aveva il compito di affrontare le questioni sociali più allarmanti
18.
Questo tipo di campagne pubblicitarie vengono, ancora oggi, distribuite
gratuitamente dall’associazione no-profit Pubblicità progresso.
Gli anni ’80, invece, furono un periodo floridissimo per la pubblicità, grazie a un
notevole incremento dei consumi.
17Cfr. V. Packard, I persuasori occulti, Einaudi, Torino, 1989, pp. 5;
18 La prima compagna pubblicitaria, realizzata nel 1971, sensibilizzava la popolazione italiana circa la
La Rai e le tv private, avendo iniziato a trasmettere a colori, dettero spazio a una
forma particolare di pubblicità, già utilizzata in Europa: lo spot
19. Esso è tutt’oggi
molto in voga, ovviamente con nuove strategie comunicative ed è caratterizzato
dall’interazione tra i vari linguaggi (visivo, sonoro, gestuale e cinesico).
Con lo spot televisivo la pubblicità non venne più rilegata in spazi ben determinati
come al tempo di Carosello, adesso, infatti, aveva la prerogativa di interrompere i
programmi televisivi frequentemente.
E’ proprio in quest’epoca che nacquero le identità di molti marchi, destinati a
entrare nel cuore delle famiglie italiane. Gli slogan più celebri
20divennero frasi di
uso comune e ancora oggi vengono spesso utilizzate e citate nelle conversazioni
quotidiane.
In questo periodo, sui quotidiani, l’immagine passò in primo piano a danno della
parola. A differenza degli anni ’70 le réclame divennero dinamiche,
accompagnate da una storia, con la quale il prodotto reclamizzato rimandava
direttamente al mondo reale.
Entrarono in scena nel mondo pubblicitario nuovi protagonisti, tra i quali spiccava
il corpo umano attraverso la presenza costante di modelli e modelle.
All’interno delle reclame pubblicitarie si iniziò ad adoperare massicciamente
l’immagine femminile, considerata un’arma efficace per incrementare le vendite e
adoperata per promuovere un variegato numero di prodotti
21. Talvolta e
soprattutto oggi queste campagne pubblicitarie vengono considerate
esplicitamente sessiste. Sebbene si cerchi di offrire l’immagine di una donna
indipendente e sicura di sé viene invece presentato il modello della donna-oggetto
e al contempo suggerita, in modo velato, l’inferiorità del genere femminile su
quello maschile. Le figure femminili, ancora oggi, sono sempre più spesso
raffigurate senza volto, e quindi senza un’identità definita, un’individualità, uno
19 Spot, forma abbreviata per spot pubblicitario, dall’inglese spotlight “riflettore”, con cui si indica un
filmato solitamente di 30 secondi. L’uso di filmati a scopo pubblicitario inizia a diffondersi negli USA tra il 1940 e 1950.
20 Per citare alcuni esempi di slogan celebri: “Silenzio parla Agnesi”, “Dove c’è Barilla c’è casa”, “Cosa
vuoi di più dalla vita? Un Lucano.”
21 Nasce in questi anni la memorabile pubblicità della birra Peroni che aveva come protagonista una
ragazza bionda avvinghiata ad un’enorme bottiglia di birra, che proclamava: “Chiamami Peroni, sarò la tua birra”.
sguardo che spinga l’osservatore a riconoscerle come umane, ma a pezzi,
evidenziando solo determinati attributi fisici.
Anche la natura, vissuta in modo nostalgico, divenne protagonista degli spot
televisivi, in quanto l’uomo, attorniato da un mondo prevalentemente
industrializzato, auspicava il ritorno ad una natura incontaminata.
Ad esempio l’acquisto di una merendina, come viene proposto costantemente
dalla pubblicità del Mulino Bianco, può avere la capacità di inserire l’ascoltatore
in un mondo idilliaco e agreste, caratterizzato da valori genuini e tradizioni ormai
perdute.
Negli anni ’90 si assiste ad una nuova crisi del mondo pubblicitario, dovuta ai
mutamenti nel settore della distribuzione e al minor reddito dei consumatori. Il
marchio passa in secondo piano e si inizia a mettere in luce, più che la qualità del
prodotto, la sua convenienza; questa recessione viene favorita dalla diffusione in
tutta Italia degli hard-discount
22, nei quali è il prezzo a guidare i consumatori.
Una particolarità di questo decennio e ancora oggi molto in voga è la presenza
nelle campagne pubblicitarie di testimonial: un personaggio noto che presta il suo
volto per pubblicizzare un particolare prodotto. Il testimonial viene scelto per la
sua notorietà o per il rapporto tangibile che ha con la marca. In quest’ultimo caso
si agevola il processo di identificazione del consumatore, poiché il testimonial si
rivolge ad esso come ad un amico a cui dà un prezioso consiglio.
L’uso del personaggio famoso favorisce l’attenzione dello spettatore anche meno
vigile, può far ricordare la marca più facilmente e sottolinea la credibilità del
prodotto: se un determinata merce viene consigliata da una persona nota, il
consumatore sarà portato a fidarsi e, quindi, a compiere l’acquisto.
Oggi nella comunicazione pubblicitaria sono fondamentali non solo il codice
verbale, ma anche quello iconico, soprattutto nei mezzi audiovisivi. Le immagini
devono essere ambigue e allusive, capaci di destare le emozioni del pubblico: “Un
sistema a cui si ricorre ampiamente consiste nel pubblicizzare un prodotto
associandolo a un’immagine o a un filmato aventi poco o nessun rapporto con il
22 Sono dei punti vendita di dimensioni ridotte, nei quali è possibile trovare merci non di marca e a prezzi
prodotto stesso. È ciò che i produttori di pubblicità chiamano esca ( e s’intende
che si getta l’esca perché il pesce – il consumatore, ovviamente – abbocchi.
23”
Il primato della lingua, quindi, viene meno, a favore dei linguaggi non verbali in
generale, e dell’immagine in particolare che, in virtù della sua più immediata
forza, guadagna un ruolo di primo piano. La funzione del codice linguistico viene
spesso ridotta al compito di sintesi e di esplicitazione delle suggestioni provocate
dall’immagine.
Questo cambiamento è dettato dall’avvento dei mezzi di comunicazione di massa:
la televisione, in particolare, ha stravolto la trasmissione del significato. Le scritte
sono divenute accessorie agli altri tipi di segno e gli spot televisivi assomigliano
sempre più a dei piccoli capolavori cinematografici.
La pubblicità televisiva, infatti, è sempre più invadente, tanto che i quotidiani
tendono a stabilire con essa un legame di citazione reciproca; difatti numerose
pubblicità a mezzo stampa non sono altro che fotogrammi estrapolati dagli spot
televisivi del momento.
La pubblicità, lo si voglia o no, è oggi parte integrante della vita di tutti i giorni.
Ci segue dappertutto e invade una sempre maggior quantità di territorio mediatico.
Tutti i mezzi di comunicazione ci tempestano continuamente di messaggi
pubblicitari e con l’avvento di Internet e dei Social Network, con un semplice
click, si può accedere ad un’infinità di informazioni su un prodotto, inaccessibili
attraverso il semplice annuncio che può comparire su un quotidiano. Attraverso il
web, inoltre, si può raggiungere un pubblico molto più vasto ed eterogeneo e a
costi molto inferiori, facendo perno anche sull’interattività, una delle peculiarità
dei nuovi mezzi di comunicazione. Con la crisi economica in agguato, infatti, le
aziende diminuiscono sensibilmente gli investimenti optando per forme nuove di
comunicazione.
In relazione al web come nuovo strumento di comunicazione Annamaria Testa
sostiene che: “Il web rappresenta il massimo della flessibilità, della
personalizzazione e dell’ubiquità e si configura come luogo di comunicazione, di
interazione, di manifestazione di sé, e come luogo d’acquisto. Impiega meno di
cinque anni (1995-99) per conquistarsi 50 milioni di utenti, quando la radio ne ha
impiegati trentotto e la televisione tredici. Non solo erode il tempo
23 Cfr. Bruni Francesco, L’italiano. Elementi di storia della lingua e della cultura. UTET Università,
tradizionalmente dedicato ai quotidiani, ai periodici e soprattutto alla tv, ma
riconfigura i concetti stessi di tempo e di spazio: è una mappa trasformata in
mondo in cui è possibile lavorare, divertirsi, informarsi, viaggiare, comprare,
esprimere opinioni, incontrare altre persone, assumere nuove identità. Offre sia
accesso che visibilità, a basso costo, a chiunque.
24”
La pubblicità, per questo, sta cercando di sfruttare appieno le potenzialità offerte
dalla rete.
Alcune delle forme pubblicitarie proprie della rete sono i banner (striscioni
pubblicitari, spesso animati, che conducono con un click al sito proposto,
paragonabili, nel caso in cui siano di tipo statico, ai tradizionali spazi pubblicitari
su carta) e le finestre pop-up (nuove finestre di dimensioni varie che si spalancano
aprendo le pagine di un sito internet).
Questo tipo di pubblicità, sebbene sia in grado di catalizzare l’attenzione
dell’utente per la sua vistosità, viene per lo più ignorata. A tal proposito Mirko
Tavosanis afferma che: “Questo stato di cose impedisce alla pubblicità del web di
raggiungere il volume economico della pubblicità fornita attraverso i canali
tradizionali, in particolare televisione e carta stampata.
25”. Al fine di incrementare
i ricavi economici, oggi, la pubblicità del web si è evoluta notevolmente, facendo
proprie le strategie degli spot televisivi, attraverso l’uso di animazioni ed effetti
sonori molto ricercati.
Le aziende private, inoltre, possono utilizzare la pubblicità online proficuamente,
aprendo un proprio sito web, dove il cliente troverà la riproduzione delle ultime
campagne pubblicitarie e potrà conoscere la storia dell'azienda, visionando
persino tutti i prodotti in commercio.
Facebook, il Social Network più popolare in Italia, offre un tipo di pubblicità
fortemente innovativa, poiché fondata sui gusti e gli interessi di ogni potenziale
consumatore. Nella parte destra di ogni profilo Facebook compaiono annunci
pubblicitari mirati e studiati ad hoc, piccoli testi che invitano a provare prodotti
che potenzialmente dovrebbero rispecchiare i gusti e gli interessi di quel
determinato utente.
24 Cfr. A. Testa, La pubblicità, Società editrice il Mulino, Bologna, 2007, pp. 63-64. 25 Cfr. M. Tavosanis, L’italiano del web, Carocci Editore, Roma, 2011, pp.125.
Con l’avvento della pubblicità e, oggi soprattutto, abbiamo perso la capacità di
comprendere quali siano le nostre reali esigenze, in quanto siamo riusciti a
soddisfare tutti i nostri bisogni primari e ciò che adesso cerchiamo non sono
semplici prodotti, ma il “mondo” che quel prodotto rappresenta.
La pubblicità perciò è uno specchio che deforma la realtà, che non potrà mai
essere come gli spot pubblicitari la dipingono; subdolamente si cerca di creare
bramosie e necessità spesso inutili sul possibile acquirente, mostrando una visione
parziale e volutamente incompleta, in quanto gli aspetti negativi di ciò che viene
reclamizzato non vengono menzionati.
Essa non è soltanto una forza economica, indispensabile per il commercio, ma
riesce ad influenzare i valori, la cultura e la qualità della vita del singolo, che
tende a identificare come “corretto” quel modo di essere o quell’ideale di vita che
ci viene riproposto continuamente e attraverso ogni mezzo di comunicazione.
A tal proposito Annamaria Testa ha sostenuto: “Oggi vivere in un paese
sviluppato significa da una parte essere bersaglio di un mucchio di vistosi
messaggi pubblicitari essenzialmente orientati a stimolare i consumi, dall’altra
essere immersi in un continuum seduttivo-persuasivo che si configura come
visione del mondo, e di noi stessi.
26”
3. La pubblicità tra vecchi e nuovi media
I messaggi pubblicitari si differenziano in base al mezzo attraverso il quale
vengono diffusi. Occorre distinguere i messaggi di tipo statico, propri degli
annunci pubblicitari a stampa, da quelli di tipo dinamico, realizzati attraverso la
tecnologia audiovisiva.
Entrambi sono caratterizzati dalla compresenza di testi e immagini, ma
solitamente sono quest’ultime a balzare in primo piano agli occhi dell’osservatore.
Reputo opportuno trattare brevemente i vari tipi di media che veicolano
informazioni pubblicitarie sottolineandone l’efficacia e la durata nel tempo. Vi
sono i cosiddetti media tradizionali come la televisione e la radio che comunicano
in maniera univoca col consumatore e i new media come internet, fondati
sull’interattività, che consentono un dialogo e uno scambio di informazione.
Il manifesto Il manifesto è uno dei mezzi pubblicitari più antichi e ancora oggi
non ha perso la sua efficacia. Possiede la peculiarità di essere facilmente visibile
anche da lontano e leggibile rapidamente. Per queste caratteristiche e per la sua
ripetitività il passante tende a ignorarlo e a confonderlo con il paesaggio urbano.
Per sopperire a questo le dimensioni del manifesto tendono progressivamente ad
ampliarsi, anche se non riesce ad avere lo stesso condizionamento sul
consumatore che hanno i messaggi pubblicitari a mezzo televisivo. È per questo
che oggi molti spazi dei manifesti sono liberi, mentre in passato dovevano essere
prenotati con largo anticipo. Uno dei pochi vantaggi di questo mezzo di
comunicazione è la capacità di cogliere l’osservatore in momenti particolarmente
favorevoli, ad esempio quando è costretto ad oziare forzatamente in automobile
etc.
La radio Ciò che rende la radio un mezzo comunicativo efficace è il perfetto
connubio fra parlato e musica che favorisce un rapporto diretto fra emittente e
destinatario e la capacità di trasmettere messaggi sia a livello nazionale che locale.
La televisione
E’ il mezzo di comunicazione più potente e credibile, entra
direttamente nelle case delle persone e vanta un pubblico molto ampio e variegato.
La televisione favorisce il coinvolgimento emotivo dello spettatore, consente di
creare delle vere e proprie storie. Inoltre riesce a diffondere pubblicità mirate, in
quanto vi è la possibilità di segmentare la pubblicità per fasce di pubblico.
Un aspetto negativo è determinato dall’elevato tasso di affollamento pubblicitario,
che non consente di farsi notare facilmente all’interno della pubblicità televisiva,
se non si dispone di ingenti risorse economiche.
Il cinema
La pubblicità trasmessa al cinema gode di numerosi vantaggi: la
nitidezza del grande schermo, la maggiore partecipazione da parte del pubblico in
stato di relax e la capacità propria del cinema di coinvolgere gli spettatori.
Quest’ultimi oggigiorno sono prevalentemente giovani e per questo vengono
creati messaggi pubblicitari ad hoc, anche a livello linguistico.
Internet La pubblicità su Internet è destinata a divenire sempre più importante per
la facoltà di comunicare col mondo e a pubblici specializzati propria di questo
media. Il messaggio pubblicitario non viene disperso, raggiunge soltanto chi lo
vuole ricevere. Inoltre la pubblicità telematica viene confezione singolarmente in
quanto indirizzata ad un individuo specifico, con caratteristiche uniche e ben
definite. I messaggi pubblicitari dovranno anche essere costantemente modificati e
aggiornati per rispondere alle reazioni manifestate da parte dei consumatori.
La pubblicità a stampa La pubblicità a stampa è una tipologia molto semplice di
testo pubblicitario e viene definita dagli addetti al settore pubblicità tabellare. I
pubblicitari sembrano favorire questo tipo di comunicazione perché presenta, tra i
numerosi vantaggi, un alto tasso di personalizzazione e la capacità di segmentare
il target cui viene rivolta. I messaggi pubblicitari contenuti nei periodici
presentano una qualità grafica eccellente, a differenza di quelli che compaiono sui
quotidiani, che trasmettono principalmente immagini in bianco e nero.
Un’altra caratteristica rilevante del mezzo stampa è la sua persistenza, in quanto le
riviste tendono a rimanere più a lungo nelle mani dell’utente, che è portato a
sfogliarle e rileggerle anche dopo la loro effettiva “scadenza”. Viceversa il
quotidiano ha un usura piuttosto rapida, in quanto il giorno successivo all’acquisto
viene considerato dall’utente già superato.
La notevole capacità di personalizzazione di cui gode il mezzo stampa consente ai
pubblicitari di evidenziare maggiormente quei dettagli che renderanno
riconoscibile quella specifica marca anche all’interno di un conglomerato di
prodotti che si assomigliano. L’importanza della creazione di una personalità di
marca viene sottolineata anche dal noto pubblicitario David Ogilvy
27, come ci
comunica Vanni Codeluppi: “Ogilvy ha sempre creduto nella possibilità
dell’acquisizione da parte di una marca di un’identità precisa e coerente nel
tempo. Ha puntato cioè la propria attenzione sui suoi aspetti immateriali ed
emotivi. La ricerca di una personalità di marca è motivata dalla necessità di
distinguersi in un universo fortemente competitivo e affollato di messaggi.
28”
Le riviste, avendo una natura specialistica, si rivolgono ad un pubblico specifico e
allo stesso modo la pubblicità in esse contenuta promuoverà prodotti attesi nella
mente di quella tipologia di lettore. I pubblicitari inoltre, comprendendo il target
della rivista, si identificheranno con quei consumatore, chiedendosi che cosa
vorrebbero vedere, senza mai però venire meno alla linea e allo stile della rivista
stessa. Ad esempio la rivista specializzata in auto e motori “Quattroruote” si
rivolge ad un pubblico prevalentemente di sesso maschile, affascinato da questo
mondo e interessato ad approfondire le caratteristiche dell’auto dei suoi sogni o
che è in procinto di comprare. Le pubblicità contenute in questa rivista
promuovono auto, moto e pneumatici e quindi riusciranno ad attirare l’attenzione
del target che legge la rivista, in quanto predisposto e interessato alla scoperta
dell’ultima auto sul mercato e delle sue caratteristiche.
3.1 Struttura base dell’annuncio a stampa
Col termine annuncio pubblicitario si fa riferimento alla singola pagina
pubblicitaria che esce sulla stampa periodica e quotidiana, mentre con il termine
campagna si allude alla somma di più annunci che hanno il medesimo contenuto
comunicativo.
La pubblicità a stampa vanta una storia molto lunga dal punto di vista
pubblicitario e, dopo il canale televisivo risulta essere il mezzo di comunicazione
più utilizzato. Per queste caratteristiche alcune componenti strutturali
27 David Ogilvy (1911-1999) è stato un noto pubblicitario britannico. A metà degli anni Sessanta scrisse
le Confessioni di un pubblicitario, che è senz’altro uno dei più importanti volumi usciti sulla pubblicità.
dell’annuncio a stampa sono rintracciabili anche negli spot pubblicitari televisivi.
Vengono analizzate di seguito le caratteristiche maggiormente ricorrenti degli
annunci pubblicitari a mezzo stampa:
Headline: (propriamente “striscia collocata nella parte superiore della bandiera”,
da head “testa” e line “linea, riga”) è il titolo, la frase principale che solitamente
dichiara i benefici del prodotto attraverso affermazioni provocatorie o semplici
comandi. Deve essere chiara ed efficace, in quanto ha una funzione di carattere
fatico
29. Solitamente è scritta con un carattere di dimensioni più grandi rispetto al
resto del testo oppure in grassetto o corsivo per essere ancora più evidente.
Le caratteristiche necessarie affinché l’headline sia efficace sono: semplicità,
orecchiabilità e originalità rispetto agli altri slogan. Secondo Ogilvy
30le headline
più leggibili sono quelle scritte in minuscolo e senza punto alla fine della frase.
Le maiuscole e i punti fermi infatti rallentano la lettura e non combaciano con le
abitudini del nostro occhio, abituato a leggere i titoli delle riviste e dei quotidiani,
dove questi elementi di interpunzione compaiono raramente.
Possiamo affermare semplicisticamente che l’headline corrisponde al più celebre
slogan
31.
Annamaria Testa sottolinea l’importanza dello slogan affermando che: “Non è un
frammento, ma una intera storia che comincia e si sviluppa e si conclude, anche se
tra l’inizio e la fine ci sono tre parole.
32” Lo slogan deve essere il più sintetico
possibile, affinché venga incentivata la sua memorizzazione, quindi privo di
elementi grammaticali che lo renderebbero troppo ridondante e che
appesantirebbero la lettura. Spetta al destinatario evincere il non detto e gli
elementi grammaticali omessi. Secondo il celebre filosofo del linguaggio Oliver
29 Le funzioni del linguaggio sono i diversi usi che vengono fatti della lingua in situazioni comunicative
diverse. Secondo il modello elaborato da Roman Jakobson (1966: 186-191) le funzioni della comunicazione linguistica sono sei: referenziale, conativa, emotiva, metalinguistica, fatica ed estetica. La funzione fatica o di contatto si concentra sul canale fisico attraverso cui passa il messaggio nonché sul contatto psicologico tra emittente e destinatario.
30 Cfr. David Ogilvy, La pubblicità, Mondadori, Milano 1990, p. 96.
31 La parola inglese slogan deriva dal gaelico sluagh-ghairm ossia grido di guerra. Nel XVIII secolo ha
assunto il valore di parola d’ordine d’un partito o di una causa e quindi iniziò ad indicare i motti concisi e penetranti della propaganda politica e della pubblicità.
Reboul
33negli anni Settanta il potere dello slogan stava proprio nella sua
concisione ed essenzialità.
Oliver Reboul distingue quattro diverse tipologie di slogan: slogan-contestazione
(enunciazione di un fatto), slogan-contratto (accordo tra produttore e
consumatore), slogan-ricatto (propone un dilemma la cui conclusione è peraltro
inevitabile), slogan-manifesto ( fa esistere ciò che afferma soltanto dicendolo).
Affinché lo slogan possa essere assimilato e ricordato si fa leva o sul senso
ritmico e sulla piacevolezza all’udito, infatti, molti slogan sono paragonabili a
delle vere e proprie filastrocche. Si può far ricorso, rendendo lo slogan ancora più
vincente, sulle emozioni suscitate nel destinatario, che potrebbe riuscire a
collegare quella breve frase alle sue esperienze personali. Lo slogan inoltre non
dovrebbe contenere l’indicazione del marchio o dell’azienda produttrice, ma
presentare un mittente nascosto ed esporre affermazioni basata sul sentito dire. Gli
slogan più efficaci sono quelli che dissimulano la loro natura, e in particolar modo
quelli che non mostrano palesemente che il loro obiettivo è la persuasione,
facendo prevalere la funzione connotativa, talvolta esplicitando l’efficacia e i
risultati che si possono ottenere acquistando il prodotto reclamizzato. Si può
giocare anche sul nome del marchio, realizzando slogan fantasiosi ed originali.
Visual: è l’immagine principale che deve rimandare al titolo e al prodotto
pubblicizzato. Secondo Vanni Codeluppi: “L’headline e il visual possono svolgere
molteplici funzioni, ma hanno soprattutto il compito di: richiamare l’attenzione
del destinatario (offrendogli qualcosa di inatteso, interessante e gradito),
sintetizzare il contenuto dell’intero annuncio, stimolare e facilitare il processo di
memorizzazione.
34”
Bodycopy: è il testo vero e proprio che ha lo scopo di spiegare quello che viene
enunciato sinteticamente nel titolo e nel visual e quindi, fornire tutte le
informazioni necessarie per l’acquirente, se possibile cercando di suggerire
argomentazioni di supporto credibili e convincenti rispetto alla premessa che è
stata fatta al consumatore. La bodycopy, inoltre, evidenzierà le caratteristiche
vincenti del prodotto rispetto ai suoi concorrenti. Questo testo, essendo
solitamente la parte meno letta dell’annuncio pubblicitario, deve essere veritiero,
33 Cfr. Oliver Reboul, Lo slogan, Armando, Roma 1977.
34 Cfr. Vanni Codeluppi, La pubblicità: guida alla lettura dei messaggi, Franco Angeli, Milano 2007,
risultare credibile, non essere vago ed essere il più semplice possibile, in modo da
invogliare alla sua lettura. Negli annunci pubblicitari moderni compare raramente.
Secondo Annamaria Testa: “La quantità di informazioni contenute nella
bodycopy, e quindi la sua capacità di interessare il lettore volenteroso o realmente
motivato a saperne di più, cambia moltissimo e cresce in relazione alla novità, alla
complessità, al costo del prodotto, e alla conseguente difficoltà della decisione di
acquisto. La bodycopy costituisce una valida integrazione all’headline. Si tratta
generalmente di brevi spiegazioni che illustrano un dettaglio dell’immagine e
consentono di circoscrivere l’attenzione del lettore al particolare evidenziato.
35”
Packshot: è l’immagine, in genere fotografica, del prodotto che lo renderà
riconoscibile all’atto dell’acquisto. Generalmente è presente negli annunci in cui il
prodotto non è il soggetto principale del visual.
Trademark: è il marchio dell’azienda. Di solito è un logo o un disegno stilizzato
che condensa il simbolo ed il nome del marchio.
Logotipo: il nome stilizzato del marchio. Insieme al trademark ha il compito di
comunicare al destinatario chi è il soggetto che gli si rivolge. Ne sono esempi i
simboli dei marchi Barilla e Coca-Cola, in quanto il simbolo aziendale viene
creato, in questo caso, dall’elaborazione grafica del solo nome del marchio.
Talvolta il logotipo può anche non comparire, in quanto ormai assimilato dal
consumatore. A tal proposito Francesca Romana Puggelli sostiene che: “ Spesso il
logo della società diventa esso stesso un mezzo comunicativo: è emblematico il
caso della Nike, che nel corso del tempo ha sostituito il nome stesso dell’azienda
con il suo semplicissimo logo, permettendosi […] di lasciare a esso tutta la
comunicazione verbale, convinta che lo spettatore avesse ormai sufficientemente
interiorizzato il marchio, tanto da riconoscerlo anche senza il suggerimento della
scritta.
36”
Base-line: è la frase che riassume l’argomento dell’annuncio pubblicitario, che in
genere viene scritta utilizzando un carattere di dimensioni maggiori rispetto alla
bodycopy, ma minori rispetto al titolo.
Ha il compito di concludere e razionalizzare il concetto espresso dall’headline,
come una sorta di punto fermo alla fine della narrazione; per questo non deve
35 Cfr. Annamaria Testa, La parola immaginata., il Saggiatore, Milano 2009, p. 146.
36 Cfr. Francesca Romana Puggelli, L’occulto del linguaggio: psicologia della pubblicità, Franco Angeli,
essere in contraddizione nascosta o palese con il titolo. Anche la base-line come la
bodycopy non deve contenere un gran numero di proposizioni, data la scarsa
attenzione che i lettori sono disposti a concedere per la lettura di un annuncio
pubblicitario. A tal proposito Annamaria Testa sostiene: “E’ raro che una pagina
pubblicitaria riesca a guadagnarsi più di qualche secondo d’attenzione: quanto
basta per dare un’occhiata all’immagine, leggere il titolo e passare oltre. Ciò
significa che soltanto una piccola percentuale di coloro che vedono un annuncio si
ferma a leggere il bodycopy.
37”
Il payoff invece ha lo scopo di comunicare l’identità e la personalità dell’azienda
che si rivolge al consumatore. Infatti messaggi pubblicitari di prodotti diversi, ma
di una medesima marca avranno un’headline diversa ma lo stesso payoff.
Gli ultimi elementi menzionati, tra cui la bodycopy e la base-line, possono
comparire all’interno dell’annuncio nella loro totalità o solo in parte. Il visual e
l’headline, avendo un ruolo determinante per la comprensione dell’annuncio nella
sua totalità, occorre che siano armonici a livello comunicativo. A tal proposito
Vanni Codeluppi afferma che la natura della relazione che si può istaurare tra il
visual e l’headline: “Può essere, ad esempio, di ripetizione (ciascuno dei due
elementi cerca di spiegare fedelmente l’altro, ma si tratta di una relazione banale e
solitamente da evitare in pubblicità), di completamento (un elemento sviluppa ed
integra ciò che è detto dall’altro) o di opposizione (la headline e il visual
stabiliscono chiaramente un rapporto di contraddizione.)
38”
Gli elementi sopraccitati devono operare sinergicamente per ottenere la massima
efficacia comunicativa. Per ottenere questo è necessario che la parte verbale e
quella iconica si influenzino notevolmente a vicenda. Rispetto a questo
Annamaria Testa scrive: “Prendere un annuncio pubblicitario e toglierne una
parte, se il senso finale non cambia, quella parte è inutile e conviene eliminarla o
sostituirla; una buona scrittura pubblicitaria deve sapersi integrare con immagine e
grafica (e viceversa) anche quando l’immagine è ridotta al trattamento grafico
come negli annunci di solo testo.
39”
37 Cfr. Annamaria Testa, La parola immaginata., il Saggiatore, Milano 2009, p. 146. 38 Cfr. Vanni Codeluppi, Che cos’è la pubblicità, Carocci editore, Roma 2001.
39 Cfr. Annamaria Testa, La pubblicità. Suscitare emozioni per accendere desideri, il Mulino, Bologna
Oggi all’interno degli annunci pubblicitari possiamo trovare anche l’indirizzo del
sito internet aziendale che permette, a chi è interessato, di ottenere maggiori
informazioni sui prodotti e sull’azienda stessa.
Struttura base dell’annuncio pubblicitario a mezzo stampa
Possiamo osservare che il visual è l’elemento che maggiormente interessa
l’annuncio a stampa. Secondo Vanni Codeluppi
40attraverso l’immagine, non solo
si rende conoscibile e facilmente memorizzabile il prodotto, ma viene creato per la
marca un contesto, un’atmosfera che riesce a regalare un particolare ricordo
visivo al prodotto, lasciando un’impronta nella memoria del pubblico. Le parole
talvolta sono risolutive, in quanto fanno da “ancora” all’immagine, specificandone
i contenuti. Questa influisce sul codice verbale stabilendone l’ambito di
interpretazione: confermandolo (senso letterale), negandolo (senso ironico),
accrescendolo, diminuendolo o addirittura caricandolo di valenze emotive.
Esistono casi in cui un annuncio non presenta alcuna parte scritta, ma si limita a
mostrare un accostamento di figure che riescono a comunicare da sole. Oggi
parole e immagini si fondono sempre più e la parola stessa diviene per
contaminazione, come afferma Codeluppi, parola-immagine.
4. La pubblicità come fenomeno socio-culturale
La pubblicità dovrebbe avere una funzione principalmente informativa. Non
sempre però l’informazione che essa veicola è obiettiva, ma risulta essere
strumentalizzata al raggiungimento di uno scopo. Quindi il modo con cui la
pubblicità fornisce informazioni è intriso dai modi propri del discorso persuasivo
o entimematico: tutto viene subordinato dalla necessità di persuadere all’acquisto
di una merce. I tratti che denotano un discorso persuasivo sono recuperati
direttamente dalla tradizione aristotelica. Aristotele ha messo in evidenza come le
premesse che costituiscono questo tipo di argomentazione devono essere note e
simpatiche al pubblico. La pubblicità quindi deve comunicare cose gradite e attese
dal destinatario; essendo già note e attese risulteranno però prevedibili e
forniranno un’ informazione che effettivamente non lo è.
Fin dagli albori la pubblicità ha sempre avuto un’influenza sociale e culturale
molto significativa, cosa che ha incuriosito gli studiosi di scienze sociali. Oggi
questa influenza si è estesa a seguito della crescente diffusione dei mezzi di
comunicazione, divenuti parte integrante della quotidianità del singolo.
La pubblicità, inoltre, tende a rinsaldare determinati stereotipi culturali
41,
pregiudizi di sesso e di razza, determinati dalle rappresentazioni dei ruoli sessuali
o delle identità nazionali. Alcune classi sociali vengono discriminate velatamente
poiché considerate poco attraenti come destinatarie di un messaggio volto al
consumo. Circa l’abuso di stereotipi, di cui le agenzie pubblicitarie sembra non
possano fare a meno, Annamaria Testa afferma: “Qualsiasi stereotipo, proprio
perché le sue caratteristiche sono consolidate e riconoscibili, si racconta da solo e
in brevissimo tempo. Mostrare stereotipi è comodissimo. Riuscire a non farlo in
una doppia pagina di pubblicità su stampa o in trenta secondi di spot televisivo
non è invece così semplice, a meno di non ricorrere all’ironia e al paradosso.
42”
La pubblicità non agisce dettando le azioni da compiere agli individui, ma
stimolando il crearsi di un ambiente mentale e di un contesto culturale che
potranno successivamente tramutarsi effettivamente nell’acquisto. Per ottenere
41 Alcuni degli stereotipi più ricorrenti sono: il Marito che torna a casa stanco dal lavoro, il Manager di
successo, la Casalinga inesperta e giovane, il Nonno sorridente, il Bambino birichino etc.