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Il personale nelle Pubbliche Amministrazioni: un caso di studio, I Tribunali - Il Tribunale di Pisa

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA` DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento Di Scienze Politiche

Corso di Laurea Magistrale in Scienze delle Pubbliche Amministrazioni

TESI DI LAUREA

Il Personale nelle Pubbliche Amministrazioni: un caso di studio, i

Tribunali – Il Tribunale di Pisa

Relatore:

Candidato:

Fiorelli

Maria

Silvia

Scoglio

Alessandro

ANNO  ACCADEMICO  2018-­2019

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INDICE

Sommario

Premessa... 5  

CAPITOLO 1 Il personale nelle Pubbliche Amministrazioni... 6  

1.1 Il cambiamento del personale negli anni, evoluzione della normativa sul personale... 6  

1.1.1   Le Pubbliche Amministrazioni tra autonomia e vincoli di sistema... 8  

1.2 La direzione del personale: funzioni e posizione organizzativa ... 11  

1.2.1 Le politiche del personale all’interno dei processi di stabilizzazione e spinte al cambiamento... 14  

1.3 La programmazione del personale ... 17  

1.3.1 Il sistema informativo sul personale... 18  

1.3.2 Strumenti di programmazione del personale... 20  

1.3.3 Linee guida sulla programmazione del fabbisogno e dei concorsi pubblici 22   1.4 Il reclutamento e la selezione... 24  

1.4.1 Il reclutamento... 25  

1.4.2 La selezione... 27  

1.4.3 La selezione interna... 31  

1.4.4 Sistema d’inquadramento e qualifiche ... 33  

1.5 Inserimento, addestramento e formazione... 35  

1.5.1 L’inserimento ... 36  

1.5.2 Addestramento e formazione... 38  

1.5.3 Formazione e sviluppo organizzativo... 41  

1.5.4 Servizi qualitativi come nuova frontiera di rinnovamento... 46  

CAPITOLO 2 Il management pubblico ... 49  

2.1 Teorie sull’organizzazione burocratica ... 49  

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2.1.2 Alcuni modelli di studio: Il modello di Merton, Gouldner, Selznick, Crozier

... 53  

2.1.3 Burocrazia e cambiamento ... 57  

2.2 L’organizzazione del personale... 58  

2.2.1 Organizzazione e innovazione... 59  

2.2.2 Le strutture organizzative fondamentali... 61  

2.2.3 La struttura a matrice... 63  

2.2.4 Analisi e progettazione delle procedure e delle mansioni (micro - organizzazioni) ... 67  

2.2.5 La funzione direzionale ... 70  

2.2.6 Gestire il cambiamento... 74  

2.3 Valutare e controllare il personale... 78  

2.3.1 Metodi e obiettivi della valutazione ... 79  

2.3.2 Valutazione delle prestazioni e direzioni per obiettivi... 83  

2.4 Gestire il personale... 85  

2.4.1 L’elaborazione del modello integrato per la gestione del personale ... 91  

2.4.2 Il sistema direzionale del personale... 93  

2.5 Come selezionare le risorse umane e la dirigenza ... 95  

2.5.1 Le figure dirigenziali ... 96  

2.5.2 La selezione dei dirigenti ... 100  

2.5.3 La valutazione della dirigenza... 102  

2.6 Il cambiamento organizzativo nelle Pubbliche Amministrazioni ... 104  

2.6.1 Le “spinte” per il cambiamento... 106  

2.6.2 L’inerzia organizzativa... 109  

2.6.3 Gli agenti del cambiamento... 111  

2.6.4 I processi di cambiamento e le “leve” di attivazione ... 114  

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2.7 Come rapportarsi con l’ambiente esterno e attuare la strategia del

servizio... 121  

2.7.1 Una Pubblica Amministrazione al servizio dei cittadini e delle imprese... 123  

CAPITOLO 3 Un caso di studio: I Tribunali – Il Tribunale di Pisa... 127  

3.1 Struttura e Personale nei Tribunali... 127  

3.1.1 Le funzioni del personale nei Tribunali ... 130  

3.1.2 Alcuni dati indicativi: nei Tribunali mancanza di personale... 134  

3.2 Come sono cambiati gli uffici giudiziari: il progetto “Diffusione delle Best Practices (DBP)”... 139  

3.2.1 Il Processo Civile Telematico (PCT) ha cambiato i Tribunali: analisi... 144  

3.3 Il Tribunale di Pisa... 147   3.4 L’organigramma funzionale ... 165   Conclusioni... 168   Bibliografia... 169  

 

 

 

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Premessa  

Questo elaborato è finalizzato ad analizzare la struttura del personale all’interno delle Pubbliche Amministrazioni (PA), soffermandosi inizialmente su come sia cambiato nel corso degli anni il modo di operare del personale. Poi la trattazione riguarderà il personale da un punto di vista formativo e retributivo, mostrando quindi il reclutamento, la selezione e l’inserimento nelle Pubbliche Amministrazioni saranno trattate le funzioni e la posizione organizzativa, e quindi, la programmazione del personale. Saranno trattate, conseguentemente, le linee guida riguardanti i concorsi pubblici e il fabbisogno di personale. Inoltre sarà presente un’analisi riguardante i servizi qualitativi come nuova frontiera di rinnovamento.

L’elaborato, nella sua parte centrale, analizzerà concetti a livello manageriale e di gestione del personale. Verranno in un primo momento prese in considerazione le teorie sull’organizzazione burocratica con l’analisi di alcuni modelli di studio. Le politiche selettive delle risorse umane e della dirigenza con le relative norme di valutazione del loro lavoro. Di seguito gli argomenti trattati riguarderanno la gestione del personale nei vari Enti. Infine, saranno analizzati i processi di cambiamento organizzativo e i rapporti con l’ambiente esterno.

La parte finale della trattazione riguarderà, invece, una fase di raccolta dati e di analisi vera e propria. Sarà presa in considerazione la struttura di un Tribunale, nello specifico quello di Pisa e la realizzazione dell’organigramma analizzando struttura, dipendenti e suddivisione del lavoro. Saranno in seguito raccolti dati relativi al personale, analizzando, tramite rilevazioni statistiche, variabili dirette e indirette all’interno del Tribunale.

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CAPITOLO  1        Il  personale  nelle  

Pubbliche  Amministrazioni  

1.1   Il   cambiamento   del   personale   negli   anni,  

evoluzione  della  normativa  sul  personale  

Gli apparati burocratici sono influenzati dai rapporti fra Stato e società civile, ma sono legati anche alla formazione ed evoluzione del concetto di Stato. Nelle monarchie assolute i “funzionari” sono al servizio del re, nello Stato di diritto l’ufficio pubblico è lontano dall’attività economica dei privati, mentre nello Stato repubblicano sono gli strumenti di democrazia a essere un fattore cruciale per il benessere della collettività. Il settore pubblico, così, nel corso degli anni, con la crescente complessità del sociale e dei problemi, è stato indotto a una profonda evoluzione nelle funzioni e nei servizi erogati. Il fulcro dell’analisi si concentra sulla costruzione della Pubblica Amministrazione repubblicana. Le funzioni principali richieste alla Pubblica Amministrazione sono di regolazione-pianificazione delle attività economiche e di erogazione di servizi.

Per tracciare le fondamenta dell’evoluzione storica bisogna partire dal 1908, anno in cui sono gettate le basi di un corpo di funzionari dotato di regole interne, e quindi allo Stato liberale; questo riferimento storico ci permette di ravvisare le origini dell’assetto del pubblico impiego in Italia. All’interno di questo corpo i principi cardine erano i seguenti :

A) Forte affermazione del principio gerarchico; B) Garanzia del rapporto d’impiego;

C) Uniformità della disciplina e della retribuzione; D) Unitarietà del corpo burocratico.

Il modello così delineato non cambia fino allo Stato repubblicano, cioè, fino a quando, nel 1968, è istituita la presenza di rappresentanti del personale nel CDA di ogni Ministero.

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La prima vera svolta si ha con l’introduzione delle Regioni e della legge-quadro cercando di delegificare una serie di materie concernenti il rapporto di pubblico impiego per lasciarle alla contrattazione. Con questa norma sono definite le materie riservate alla legge e quelle che sono rimandate alla contrattazione collettiva. Le materie, inoltre, sono suddivise a seconda che la competenza a legiferare sia di livello nazionale o regionale. A livello nazionale si procede per criteri generali e tipologie, come per esempio le tipologie di orari di lavoro, mentre, a livello regionale sono specificate le diverse situazioni organizzative e territoriali di criteri e tipologie come i profili professionali e la gestione della mobilità.

Il nostro sistema, da sempre ispirato a quello francese, non ha sviluppato meccanismi di controllo sulla professionalità dell’alta burocrazia. L’assenza di scuole di formazione è il principale problema ed è per queste ragioni che l’alta burocrazia ha sviluppato scarse strategie di corpo facendo prevalere strategie ministeriali o di stato, secondo i momenti storici in cui queste sono avvenute.

Per quanto riguarda il rapporto di pubblico impiego la prima caratteristica riguarda il sistema delle carriere che sono articolate in “qualifiche” e per potervi accedere occorre il titolo di studio: la laurea, il diploma di scuola media superiore e il diploma di scuola media inferiore. Solo poi è stata introdotta la “qualifica funzionale”, ma prima di questa la struttura amministrativa si caratterizza per la sua settorializzazione, in altre parole tutte le unità organizzative all’interno di un Ministero hanno un elenco proprio di qualifiche (ruolo) all’interno del quale si svolge la carriera; in questo modo si ostacola ogni possibile mobilità del personale.

Per quanto concerne i modi di accesso, nella Pubblica Amministrazione è premiato l’accesso dal basso riducendo così la possibilità di accesso laterale. Reclutamento e selezione avvengono tramite concorsi che si basano su requisiti formali, come il titolo di studio, oppure “esperienze” maturate all’interno della Pubblica Amministrazione. Questa correttezza e rigorosità dei sistemi di selezione evita un modo di selezione definita “selvaggia”.

I meccanismi di valutazione del personale sono indicati dalla legge, mentre le retribuzioni sono fisse e allo stesso tempo rigide: tutto questo comporta una scarsa possibilità di progressione economica, sganciata da una progressione di carriera, provocando comprensibili pressioni per lo sfondamento di tali barriere.

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Il funzionario entra così privo di esperienze professionali e per quanto riguarda la sua formazione questa avviene all’interno dell’attività lavorativa come impiegato (Cappelletti, 1968).

La qualifica funzionale e la contrattazione collettiva sono stati i primi esperimenti con i quali si sono posti i problemi di razionalizzazione della gestione del personale. I fini per cui è stata introdotta la qualifica funzionale sono così riassumibili:

A) il raggruppamento delle prestazioni professionali di contenuto simile; B) la fissazione, per ogni gruppo di prestazioni, di criteri di trattamento simili.

Per accedere a ogni qualifica era necessario il concorso pubblico, mentre una disponibilità di posti era riservata agli interni, con requisiti di merito e di anzianità, creando così un sistema misto, cui era possibile accedere sia lateralmente sia dal basso, cercando, inoltre, di creare competitività tra i dipendenti.

Questi esperimenti non ebbero successo poiché non fu riconosciuto come un nuovo modello organizzativo, creando delle attese eccessive soprattutto dai sindacati, che pensavano a un cambiamento meccanico dei modi di organizzazione del lavoro.

In sostanza, la qualifica funzionale non ha fatto altro che aumentare il disordine tra gli inquadramenti del personale, sovrapponendo le nuove qualifiche e aumentando il ventaglio contributivo.

1.1.1   Le   Pubbliche   Amministrazioni   tra   autonomia   e   vincoli   di  

sistema  

Il sistema pubblico italiano ha subito nel corso del tempo numerose modificazioni incentrate da indirizzi di pensiero che hanno accertato, in modo alternativo o parallelo, logiche autonomistiche e centralistiche. Si sono sviluppate due tendenze differenti: una, incentrata a valorizzare la risorsa dell’autonomia degli enti per migliorare la risposta ai tanti bisogni dei cittadini, e un’altra, più centrale, che definisce regole con cui si vuole garantire il rispetto degli obblighi comunitari, ma anche equità e livelli minimi di efficacia nelle prestazioni.

Autonomia ed economicità si alimentano contestualmente all’interno di una Pubblica Amministrazione poiché la capacità di prendere decisioni porta a orientare l’azione verso l’economicità, mentre la creazione di valore, consente all’azienda di crescere consolidando, così, l’autonomia (Brunetti, 1994). Nelle Pubbliche Amministrazioni si

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manifesta, quindi, un potere autoritario che dovrà essere valutato in base alla pressione tributaria sopportabile dal sistema socio-economico. Grazie alla loro capacità di ripristinare in ogni momento l’equilibrio economico, finanziario e monetario conseguente all’uso dell’autonomia impositiva, le pubbliche amministrazioni sono dotate di una dimensione di apparente “immortalità”. Al principio di autonomia corrispondono anche quelli di responsabilità, rendicontazione e valutazione.

In Italia fin dall’Unità, si afferma un modello di centralizzazione dell’amministrazione pubblica nello Stato, dotata di piena autonomia istituzionale, maggiormente identificato con la Costituzione del 1948, dove è enunciato il principio del decentramento amministrativo. Nel secondo dopoguerra lo Stato diviene “imprenditore” e si ha una progressiva espansione dell’intervento pubblico nel sistema socio-economico. Nasce così la teoria del new public management (NMP), segnando un passaggio dalla visione burocratica e centralistica a un modello di Pubblica Amministrazione improntato sulle logiche di mercato (Hood, 1991). In Italia il principio di autonomia è formalmente riconosciuto all’interno della legge n.241 del 1990 (Rebora, 1990). Sul piano operativo, in questo periodo, le Pubbliche Amministrazioni sembrano entità che sviluppano le proprie attività istituzionali con crescenti margini di discrezionalità. Lentamente inizia, così, ad affermarsi il principio della public governance e della creazione di valore pubblico. Sono introdotte logiche cooperative e di condivisione secondo le quali il cittadino non è un “cliente” ma sono entrambi coprotagonisti di scelte condivise nel perseguire insieme l’interesse generale. Tutto questo genera asimmetria informativa, che porta poi alla creazione tra soggetti istituzionali, manager pubblici e cittadini dell’attività di accountability. Manager e politici, affinché possano dimostrare di aver conseguito i propri obiettivi, saranno sottoposti a misurazione delle loro performance e a una conseguente valutazione. Al NPM si contrappone il new public service ovvero sostenitore del ruolo di servizio delle Pubbliche Amministrazioni e dei loro dipendenti nei confronti dei cittadini (Denhardt, 2000). Con la Riforma costituzionale del 2001 si rinvigorisce il principio autonomistico. I cambiamenti avvenuti nei sistemi socio-economici nel nuovo secolo, determinano il maggior numero di soggetti pubblici e privati, chiamati a concorrere per dare risposta ai bisogni della collettività e a una maggiore spesa pubblica. Si afferma così uno Stato delle autonomie, policentrico e pluralista nel quale sono istituiti strumenti diretti a favorire il raggiungimento di obiettivi macroeconomici di sistema pubblico.

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È stato adottato uno strumento per garantire il concorso di tutte le amministrazioni pubbliche al rispetto dei parametri comunitari: il patto di stabilità interno per le autonomie locali, cioè, un documento di programmazione e controllo, teso a perseguire gli obiettivi di sistema. Mentre, tra i meccanismi per la governance del sistema pubblico, è da menzionare l’armonizzazione della contabilità e dei bilanci pubblici, affinché siano assicurate allo Stato che le decisioni finanziarie dei diversi livelli di governo, siano compatibili con gli obiettivi macroeconomici di derivazione comunitaria. La complessità e la velocità dei cambiamenti sociali ed economici nei tempi moderni fa sì che le amministrazioni pubbliche abbiano bisogno di margini adeguati di autonomia decisionale per autoregolarsi sull’ambiente e rispondere in maniera adeguata ai bisogni dei cittadini. All’interno di questo quadro delineato è possibile rilanciare la prospettiva economico-aziendale basata sul legame tra autonomia e responsabilità dei risultati conseguiti. Si rende così necessario, un modello di governance pubblica orientata all’equilibrio generale in una visione unitaria del sistema pubblico, in modo tale che sia valorizzata la risorsa preziosa dell’autonomia delle singole unità che lo compongono e i modi di potenziamento con cui migliorare le performance. Bisognerà definire dal centro un sistema di regole in cui le scelte della Pubblica Amministrazione siano armonizzate con i meccanismi di mercato. Uno schema che sappia collegare la dimensione singolare, fatta di bisogni individuali e interessi particolari, con quella plurale, riconducibile ai bisogni collettivi e agli interessi generali delle comunità. Sarà necessario un nuovo modello decisionale basato sui principi di autonomia, equità, economicità, responsabilizzazione, rendicontazione e valutazione, in cui ci sia cooperazione, condivisione e convergenza d’interessi di tutti i soggetti coinvolti. Uno scenario, all’interno del quale, sarà fondamentale individuare appropriati modi di partecipazione degli enti dei diversi livelli di governo e comparti del pubblico, alla definizione degli obiettivi che li riguardano. Nasce così, un nuovo ruolo per le singole amministrazioni, rafforzando la propria dimensione politico-istituzionale, definendo gli interessi principali, catalizzando le risorse, perfezionando le funzioni e gli strumenti d’indirizzo, controllo e coordinamento, sviluppando le proprie capacità di leadership e promuovendo logiche d’integrazione istituzionale e operativa per far sì che diventi un sistema allargato di servizi in modo tale da incrementare l’efficacia dell’azione pubblica (Borgonovi, 2000). Tutto questo ha bisogno di amministratori pubblici dotati di autorevolezza e affidabilità che siano capaci di attuare la governance all’interno di un sistema per indirizzarlo verso obiettivi comuni. Lo Stato a questo punto dovrà essere un

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soggetto che possa favorire le migliori performance del sistema socio-economico, la competitività sul piano internazionale e il rispetto degli impegni assunti in ambito europeo. Per fare tutto questo dovrà promuovere un assetto istituzionale stabile caratterizzato da meccanismi decisionali chiari e durevoli.

1.2     La   direzione   del   personale:   funzioni   e  

posizione  organizzativa  

 

L’uso di tecniche imprenditoriali nella Pubblica Amministrazione, l’introduzione di grandi riforme della Pubblica Amministrazione, i disegni politici rigeneratori, non serviranno a garantire il superamento dei problemi strutturali che emergono nelle diverse fasi storiche. La via più semplice sarà individuata nell’introduzione e nell’individuazione di linee di cambiamento, limitate ma costanti, e per valutare questo grado di apprendimento saranno necessarie delle verifiche tra obiettivi dichiarati e risultati raggiunti.

C’è un grande problema che deve oggi affrontare la burocrazia italiana, questo è dato dal deficit di cultura della gestione, e per far fronte a tutto questo, è stata necessaria una sorta di copertura.

Sono il personale e l’organizzazione del lavoro, i temi su cui si è approntato il dialogo. La conclusione di questo ha portato alla conclusione secondo la quale ‘il personale

costituisce la principale risorsa produttiva che condiziona la quantità dell’output e rappresenta una delle principali voci di spesa’ (Management Pubblico, G. Costa – S. De Martino).

E’ necessario introdurre una distinzione per quanto riguarda le professionalità gestionali in base al personale e l’organizzazione del lavoro: amministrazione del personale e gestione del personale.

• Amministrazione del personale: è l’insieme di adempimenti che un Ente deve rispettare per applicare la norma sul rapporto d’impiego pubblico che riguardano assunzioni, carriera, retribuzioni, ferie, permessi, assenze. Il personale è utilizzato secondo un criterio di legittimità definito, appunto, dalla legge. L’amministrazione del personale riguarda funzioni direzionali interne.

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• Gestione del personale: è la concreta azione di direzione, impulso, motivazione e controllo in cui un’organizzazione del lavoro utilizza le risorse umane di cui dispone nel modo migliore possibile. Il personale, in questo caso, è utilizzato per raggiungere obiettivi di efficacia ed efficienza. Per utilizzare al meglio questa funzione si deve diffondere a tutti i livelli direzionali.

Entrambe le attività s’integrano vicendevolmente nella maggior parte delle Pubbliche Amministrazioni. È strano come, in organizzazioni in cui la spesa per il personale è la somma più consistente all’interno dei bilanci, in cui i servizi erogati sono prodotti dal personale, si dedichi poca attenzione all’individuo che costituisce la maggiore risorsa produttiva. Vengono al primo posto le macchine e poi gli individui. E’ solo recentemente, grazie all’espansione degli organici e alla contrattazione collettiva, che il problema si è spostato direttamente sugli operatori. Oltre alla funzione di gestione del personale, introdotta in molti piani di ristrutturazione di Comuni e Province, anche la direzione del personale è stata integrata diventando uno dei fattori che determinano la strategia e la politica di un’amministrazione.

Gli enti locali sono incoraggiati a un’autonomia organizzativa che vincola tutte le decisioni rilevanti a proposito del personale (Cavaliere, 1984). Il personale assume,

così, una posizione centrale che rende impossibile una separazione tra le scelte strategiche e la politica del personale e rende, anche, improponibile una pura e semplice amministrazione del personale. Bisognerà sviluppare nuovi spazi per il ruolo decisionale nella gestione del personale, sempre rispettando la normativa, utilizzando le occasioni d’innovazione che possono migliorare l’impiego delle risorse umane.

La separazione delle funzioni non è possibile ed è solo grazie a particolari condizioni del mercato e di adattabilità dei lavoratori che si può consentire una separazione tra scelte strategiche dell’organizzazione e le condizioni con cui è utilizzato il personale. Sono necessari sia pratiche opportune sia molte scelte strategiche per realizzare i programmi dell’Ente. La politica del personale si ha a diversi livelli della struttura organizzativa e, secondo le condizioni operative adottate, si hanno momenti di unificazione e centralizzazione o di “diffusione”. Nascono in questo caso, all’interno della posizione organizzativa della funzione del personale, problemi di rapporti tra staff e la line1. Da una parte bisogna concentrare determinate funzioni, renderle omogenee e

1 In questo contesto per line intendiamo i luoghi organizzativi in cui si producono e si erogano i servizi

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coerenti e affidarle a un elevato supporto professionale, dall’altra parte non si deve deresponsabilizzare la line, dotandole libertà d’azione e capacità di risposta rapida. Per cercare di superare il problema di bilanciamento tra accentramento e decentramento, nelle politiche del personale, possono essere usati molti strumenti:

• Coinvolgere la line al momento dell’elaborazione di specifiche politiche e delega alla stessa degli aspetti che riguardano la gestione entro le linee generali e gli obiettivi predefiniti;

• Creare un’articolazione organizzativa della direzione del personale con dislocazione presso la line di supporti specialistici;

• Compiere interventi di formazione e di sensibilizzazione alla problematica del personale dei funzionari preposti alla line.

Per quanto riguarda invece le funzioni concernenti la gestione del personale, queste possono raggrupparsi in tre macro categorie:

1. Acquisizione, comprendente tutti i compiti che riguardano i rapporti con il mercato del lavoro, che servono per acquisire all’interno dell’organizzazione le persone con le caratteristiche e con i tempi necessari ai programmi di attività presenti e future; in questa funzione sono presenti le attività di

reclutamento, selezione e inserimento del personale attinente l’attivazione di

un rapporto di lavoro;

2. Integrazione, sono compresi all’interno compiti che riguardano amministrazione e gestione del rapporto di lavoro in un quadro di reciproca soddisfazione e controllo; rientrano in quest’attività retribuzione,

valutazione e controllo, organizzazione del lavoro e direzione;

3. Sviluppo, riguardante il raggiungimento di un equilibrio tra le esigenze dell’organizzazione, quelle dei lavoratori e le pressioni dell’ambiente socio-culturale, politico ed economico; all’interno di questa funzione sono comprese le attività di formazione, programmazione delle carriere, di

relazioni sindacali, di collegamento tra programmi e politiche del personale e strategia dell’Ente (Coster e Dubois, 1973).

Queste funzioni sono svolte all’interno delle Pubbliche Amministrazioni in maniera innovativa. Il problema sarà di svilupparle attraverso le definizioni di politiche che

intendiamo invece quei luoghi organizzativi in cui si producono servizi per la line fornendo un supporto specialistico e manifestando funzioni di programmazione, coordinamento e controllo. (Management Pubblico, G. Costa – S. De Martino).

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devono, poi essere, coerenti con gli obiettivi strategici prefissati. Sarà importante sviluppare non tanto gli uffici del personale, ma la volontà/capacità di sviluppare una politica del personale. La struttura, in seguito, sarà stabilità dalla grandezza dell’Ente e dalla disponibilità delle risorse.

1.2.1   Le   politiche   del   personale   all’interno   dei   processi   di  

stabilizzazione  e  spinte  al  cambiamento  

La Pubblica Amministrazione italiana negli ultimi decenni ha iniziato un processo di cambiamento molto importante che, però, non ha prodotto i risultati attesi date le difficoltà e le resistenze che si sono incontrate nella gestione e attuazione delle norme di riforma. Ci sono state spinte di carattere politico, sindacale e corporativo che hanno impedito di dare centralità all’utente e ai servizi, favorendo una gestione autoreferenziale delle riforme.

Questo passaggio è molto complicato poiché bisogna realizzare attività e servizi efficienti, sempre in corrispondenza con la domanda sociale dei cittadini e delle imprese, anche tramite processi organizzativi sempre nuovi che hanno come principi su cui si fondano quelli di qualità, efficienza, efficacia, controllo di gestione, trasparenza, razionalizzazione dei costi.

Proprio per questo che si provano a cambiare le procedure e gli strumenti, si sviluppano le attività e le competenze interne all’Ente, con l’obiettivo principale di soddisfare i cittadini senza modificare il ruolo della politica, teso più a gestire il particolare che a programmare la cultura manageriale e l’organizzazione del lavoro.

La sfida più ardua in questi anni per la classe dirigente, politica e amministrativa è stata quella di riuscire a modificare la Pubblica Amministrazione cercando di renderla il più trasparente possibile, innovandola negli strumenti e nei processi di lavoro con l’obiettivo principale di soddisfare i cittadini attraverso modelli organizzativi sempre più vicini ai modelli appartenenti alla gestione aziendale.

Un’organizzazione che ha come mission il perseguimento dell’interesse pubblico ha la necessità di strutture che devono evitare inutili e costose duplicazioni (Francesco Verbaro, 2007). Ma nello stesso modo dovrà attrezzarsi per reclutare la dirigenza e il personale in modo che possa trovare il miglior capitale umano possibile. Mentre per quanto riguarda i processi di progettazione, realizzazione ed erogazione dei servizi

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devono essere improntati sempre al raggiungimento degli obiettivi prefissati e alla soddisfazione delle esigenze di una comunità. Dato il cercare l’imitazione verso modelli privatistici di gestione delle risorse, il personale sarà valutato, verificato, sanzionato e premiato in base all’efficienza ed efficacia dell’azione svolta. Gli elementi per una Pubblica Amministrazione che vuole essere uno strumento a sostegno della modernizzazione del Paese sono: efficienza, capacità di leggere la domanda sociale e flessibilità organizzativa per rispondere, valutazione dell’azione, valorizzazione del merito, gestione corretta delle risorse pubbliche.

La stabilizzazione del personale ha un duplice effetto, da un lato ha reso il lavoro per i dipendenti più stabile e duraturo con contratti a tempo determinato o attraverso collaborazioni di lavoro autonomo, dall’altro rischia di avere un impatto devastante per la modernizzazione delle strutture amministrative. In questa fase assumere personale, senza che vi sia il processo regolare del concorso essendo individuati anni prima, senza porsi il problema dell’utilità alla missione istituzionale o se, ancor di più, ha competenze sufficienti, mina dal basso il progetto stesso di costruire una Pubblica Amministrazione orientata al servizio della comunità. Agli occhi degli osservatori esterni l’attuale Pubblica Amministrazione assume i profili di un’organizzazione a servizio dei suoi stessi dipendenti. C’è in atto un processo pericoloso che dimostra la tendenza a progettare e a investire meno nella formazione strategica, in altre parole quella che sviluppa le competenze e diffonde una cultura basata sulla qualità e sull’efficienza dell’azione della Pubblica Amministrazione, rispetto alla crescita della consulenza e della formazione, perché funzionale alla stabilizzazione di personale scarsamente preparato al ruolo richiesto. La formazione avrà come fine principale quello della progressione verticale che non soggiace al meccanismo dell’incentivazione ma che sempre più diventa strumento di recupero salariale. Nei prossimi accordi quadro con le organizzazioni sindacali si dovrebbe invertire la tendenza alla de-professionalizzazione delle Pubbliche Amministrazioni, che sta aumentando grazie alla stabilizzazione e condoni vari, con l’idea che questo Paese, ha bisogno di avere una struttura pubblica che possa offrire servizi di qualità, valutare il lavoro dell’organizzazione e del singolo, premiare gli uffici efficienti o sanzionare quelli che non rispettano gli standard minimi richiesti.

Bisogna indirizzare il cambiamento attraverso interventi, sia a carattere normativo sia gestionale, anche complessi ma coerenti tra di loro, con l’obiettivo di completare la riforma della Pubblica Amministrazione.

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La mancata adozione di misure che riguardavano l’organizzazione e di politiche basate sul personale non aiutano la programmazione della formazione e lo stato di salute della stessa Pubblica Amministrazione. Sono poche fino ad ora le Amministrazioni che hanno riorganizzato gli uffici secondo criteri di funzionalità, di flessibilità, di collegamento delle attività, di garanzia dell’imparzialità e della trasparenza dell’azione amministrativa, di armonizzazione degli orari di servizio di apertura degli uffici. Analizzando la contrattazione degli ultimi periodi, si può notare che gli accordi collettivi non hanno creato quel quadro giuridico stabile e completo affinché si possa consentire una gestione corretta ed efficiente del personale, in modo tale da ridurre le incertezze giuridiche e il contenzioso che colpiscono in maniera crescente il lavoro con le Pubbliche Amministrazioni. Da un punto di vista finanziario, invece, l’obiettivo principale era quello di contenere la spesa per il personale. Da un punto di vista della gestione, invece, obiettivo primario era quello di realizzare la migliore utilizzazione del personale nelle Pubbliche Amministrazioni, tutto questo affinché si arrivi a un’Amministrazione che costi meno e che produca servizi migliori.

Ci sono vincoli gestionali e incapacità delle Amministrazioni di far fronte alle esigenze amministrative con il personale in servizio. In termini di “convenienza” le Amministrazioni sono portate a individuare le soluzioni e gli strumenti da adottare per far fronte al fabbisogno di personale. Con questa convenienza si ha la selezione del personale attraverso procedure più semplici che hanno consentito una certa discrezionalità nella scelta del personale. I contratti a termine e flessibili in generale non sono vincolati dalla dotazione organica dell’Ente, né da vincoli finanziari o di autorizzazione.

La seconda caratteristica del settore pubblico si riferisce nella tendenza delle Amministrazioni a non avere un comportamento etico nella gestione delle risorse. La Pubblica Amministrazione è utilizzata per distribuire risorse ma rispetto a esigenze particolari che poco hanno a che fare con l’interesse pubblico.

Il cambiamento che si aspetta nel settore pubblico, che coinvolge tutti i livelli di Governo, si deve basare sulla consapevolezza, da parte di tutti gli attori che siano essi politici o sociali, che le Pubbliche Amministrazioni devono assumere al massimo il ruolo di produttore di servizi e non quello di ammortizzatore sociale. Sarà necessario un programma d’azione che dovrà prevedere interventi normativi che siano in grado di incidere sull’ordinamento delle strutture pubbliche affinché siano assicurate qualità delle prestazioni e irrobustendo in maniera maggiore il ruolo e le responsabilità della

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dirigenza. Vi è un’altra flessibilità poco utilizzata nel settore pubblico, in altre parole quella che deriva dalla formazione, aggiornamento e riqualificazione del personale che consente quell’interazione maggiore tra singolo lavoratore ed esigenze organizzative. Bisognerà mettere al centro la professionalità e le competenze a proposito delle finalità istituzionali e ai servizi. Un settore pubblico “utile” non può che passare attraverso un lavoro pubblico qualificato e “utile”. Devono essere rafforzati gli strumenti di valutazione. In particolare la valutazione dell’azione degli uffici pubblici partendo dalle caratteristiche delle singole strutture. Devono essere stabiliti gli standard minimi di qualità dei servizi da garantire ai cittadini. Sarà necessario agire in maniera strategica su tutte le leve della gestione del personale: dalla mobilità alle progressioni, dalla valutazione delle prestazioni alla capacità di premiare il merito, dalla selezione del personale alla sua formazione continua. La formazione non dovrà essere un fattore esterno ma dovrà essere compreso all’interno della sua evoluzione. Sarà necessaria una formazione “utile” che possa agevolare i processi in corso e che possa rispondere alle esigenze organizzative nell’ambito della riqualificazione del personale, della mobilità, della flessibilità, dell’innovazione e della modernizzazione.

1.3  La  programmazione  del  personale    

Con la programmazione del personale si definisce la sintesi e il coordinamento di tutte le politiche specifiche di gestione del personale all’interno della programmazione dell’Ente. La funzione principale è quella di assicurazione quantitativa e qualitativa dei lavoratori necessari alla realizzazione delle funzioni istituzionali e dei piani per assicurare la gestione dei lavoratori già impiegati. La programmazione del personale dovrebbe essere assicurata da tutti gli Enti, anche se a volte, quest’ultima, è praticata soltanto da Enti di grandi dimensioni e forme organizzative complesse.

Quanto più sarà elevata la flessibilità del lavoro, che sia interna o esterna, quanto più la programmazione del personale coinciderà con i programmi operativi a breve termine. Quando, invece, i vincoli legislativi e la rigidità del personale non sono ammessi nel breve periodo, la programmazione del personale emerge con gradi più elevati di formalizzazione e d’integrazione all’interno della programmazione generale (Cox, 1971).

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L’attività di programmazione è vista come un processo sistematico in cui s’inquadrano le decisioni che devono essere coerenti e che consentono di valutare:

• Le compatibilità con i vincoli e gli obiettivi di carattere generale; • Le conseguenze nel medio - lungo periodo;

• Gli strumenti e le politiche che è necessario attivare per superare le difficoltà e i problemi che si presentano di volta in volta.

La programmazione è una ricerca della flessibilità, è uno strumento che serve per decidere di fronte a casi concreti, in cui una decisione è presa in un particolare momento e in un particolare luogo dell’organizzazione.

La programmazione non è vista come uno strumento rigido di decisione per le seguenti ragioni:

1. Non si hanno informazioni sui futuri eventi: l’organizzazione, grazie a processi di apprendimento, può subire modifiche nel periodo di programmazione e rendere meno adeguate le decisioni che sono prese in fase di formulazione del programma; è proprio grazie all’esistenza della programmazione che si rende più agevole adottare misure di aggiustamento, basta che queste siano formulate in maniera flessibile.

2. Concentrazione di un potenziale di conflitto che non è risolvibile, se non formalmente, da un’alleanza di potere; ciò spiega:

a) genericità dei documenti programmatori;

b) la loro ininfluenza sulle concrete scelte della gestione.

Il processo di programmazione del personale deve essere concepito e usato in termini flessibili, in altre parole deve esserci congruenza tra tempo di programmazione e affidabilità delle informazioni; questo comporta accorciamento degli orizzonti di programmazione, frequenti aggiustamenti, adeguato monitoraggio.

 

 

1.3.1  Il  sistema  informativo  sul  personale  

   

Con il sistema informativo sul personale s’individua la base indispensabile della programmazione del personale e quindi di tutte le politiche relative ma anche delle strategie dell’Ente stesso. Gli Enti di ogni dimensione, grandi o piccoli che siano, hanno bisogno di un adeguato sistema informativo con informazioni analitiche e sintetiche che si traducono nella sensazione di conoscere tutto e tutti in un’effettiva base conoscitiva,

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che supporti le decisioni che altrimenti potrebbero essere affidate a presunte informazioni o a pregiudizi individuali. Quando si costruisce un sistema informativo non bisogna dimenticare il desiderio di avere informazioni estese e complete e tutto questo deve essere rapportato al costo di ottenimento delle informazioni e ai rendimenti stessi che si possono ottenere. Bisogna, quindi, valutare la possibilità di ottenere le informazioni e di utilizzarle per prendere decisioni razionali.

Grazie al progresso tecnologico si sono abbassati i costi dell’hardware, che possono essere acquistati anche da Enti di piccole dimensioni, ma questo non è coinciso con lo sviluppo dei software e quindi delle procedure che consentono un’utilizzazione adeguata della “macchina”. Coloro che costruiscono questi software hanno semplificato il problema, introducendo sul mercato pacchetti collaudati per il sistema informativo del personale. La selezione dell’informazione avviene grazie ad un processo effettuato

dall’uomo, in cui la macchina aggiunge solo una maggiore velocità di elaborazione e una riduzione dei costi (Lynch, 1975).

In conclusione, non si ha un sistema informativo “solo con un insieme di dati, bensì come una struttura logica di dati, finalità degli stessi, metodi di riferimento e di utilizzazione, decisioni” (Briccarello, 1974).

Molti Enti che hanno intrapreso questa strada, grazie al sistema informativo del personale, sono legati alla meccanizzazione prima, e all’automazione poi, dell’amministrazione delle retribuzioni e quindi di rendere sempre aggiornati i dati complessi, in input e output, che servono alla liquidazione degli stipendi e agli adempimenti previdenziali.

Le informazioni minime necessarie per regolare retribuzioni mensili, indennità accessorie, contributi mutualistici e previdenziali sono:

-­‐ Dati anagrafici (nome, cognome, età, sesso, stato civile, ecc.); -­‐ Anzianità d’impiego e di qualifica;

-­‐ Posizione di lavoro, livello d’inquadramento, posizione retributiva; -­‐ Ore o giornate lavorate.

Tutto questo consente di elaborare, con poche integrazioni, informazioni sintetiche, in altre parole:

1. Composizione dell’organico e cioè: età media del personale (distribuzione per sesso, per categoria, per settore di attività, ecc.); anzianità media (per sesso, per categoria, ecc.); distribuzione per classi di età; distribuzione per classi di anzianità d’impiego; distribuzione per qualifica, categoria, settori di attività.

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2. L’assenteismo. Grazie a questi dati si hanno informazioni preziose per diagnosticare lo stato del personale e dell’organizzazione. Questo è indice di un rapporto difficile tra individuo e lavoro. Ci sono condizioni di lavoro o condizioni sociali che producono forme patologiche che possono essere accertate; altre volte producono una condizione soggettiva di rifiuto del lavoro che può rientrare nella patologia ma che non riscontra sempre obiettivi. Diversi studi dimostrano che l’assenteismo, dove le condizioni ambientali sono buone, il lavoro è vario, interessante e offre margini di autonomia e partecipazione, è minore. Quando la leadership, all’interno dell’Ente, non è accettata, si sviluppano condizioni che favoriscono l’assenteismo. Bisogna, quindi, indagare sulle cause interne ed esterne del fenomeno e raccogliere questi dati. Altra funzione dei dati sull’assenteismo è di permettere previsioni sui lavoratori che sono disponibili e quindi di poter programmare il lavoro e gli organici in un certo modo.

3. Costo del personale. Sono richiamati anche in questi casi indicatori sintetici, necessari per i processi di programmazione e di verifica della validità delle politiche del personale. Il costo complessivo del personale è dato dalla retribuzione diretta (retribuzione, lavoro straordinario, indennità varie), dalla retribuzione indiretta (ferie, festività, mensilità aggiuntiva) e dai contributi previdenziali. Grazie al costo complessivo del personale possiamo ricavare indici, come il costo medio del personale (rapporto tra costo complessivo annuo e organico medio), incremento costo del personale (rapporto costo complessivo anno n e costo complessivo anno n-1), costo orario del personale (rapporto costo complessivo annuo e ore lavorate).

4. Organizzazione del lavoro. Questi dati sono difficili da codificare e rilevare, ma una programmazione del personale, deve dare conto a questa funzione. Questa funzione è importante per la previsione e programmazione da una parte, e per il raggiungimento dei propri obiettivi dall’altro.

 

 

 

1.3.2  Strumenti  di  programmazione  del  personale  

Nel pubblico impiego sarà sempre presente prima una programmazione generale e poi una programmazione del personale, ma questo, pur costituendo un momento di tipo applicativo, non è sempre realizzabile, per via dei limiti dei processi di

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programmazione. Sono molti i fattori che pongono questi limiti: vincoli di natura istituzionale e politica, le garanzie collegate al rapporto di pubblico impiego in termini di stabilità, automatismi di carriera, difficoltà di trasferimento, controllo sindacale, ecc.; tutti questi fattori spingono, accanto al personale di un Ente, una dinamica autonoma, che non si piega a una programmazione generale, soprattutto quando quest’ultima non è coordinata con i mutamenti di strategia e di obiettivi. Sarà più semplice sperimentare un meccanismo di programmazione del personale che consenta un controllo della dinamica endogena dell’organico e solo in un secondo momento sarà possibile analizzare il problema di confronto con i programmi dell’Ente e con l’individuazione di politiche congruenti.

Grazie ad uno schema sarà possibile sintetizzare la programmazione del personale e questo schema sarà applicabile sia a situazioni parziali (dipartimenti, settori, divisioni, uffici, ecc.) che alla situazione generale dell’Ente. Bisognerà prima di tutto scegliere un orizzonte temporale di programmazione, che non dovrà essere eccessivamente ampio, in seguito si conteranno i dipendenti esistenti al tempo t0, e si modificherà in base alle entrate (concorsi già decisi o in fase di espletamento) e alle uscite (pensionamenti, dimissioni, ecc.) che sono previste nel periodo programmato, così ottenendo il numero di persone in forza al tempo tx. Per avere la probabilità di distribuzione del personale al tempo tx dovremo articolare questo numero nelle diverse qualifiche, livelli d’inquadramento, settori di attività, prendendo in considerazione, anche, le prevedibili modificazioni che si avranno sul piano normativo e che potranno verificarsi in termini di mobilità orizzontale e verticale. Se la qualità del sistema informativo sul personale sarà di cattivo spessore, con i relativi problemi di applicazione, si renderà difficoltoso e arduo per gli Enti l’ottenimento di questo semplice dato.

Nella fase successiva bisognerà individuare gli obiettivi e i programmi dell’Ente insieme ai vincoli che i livelli decisionali superiori impongono, sia per quanto riguarda le attività da svolgere, sia per quanto riguarda l’utilizzo del personale, per ottenere il tutto in termini di fabbisogno quantitativo e qualitativo del personale. La programmazione del personale, riceve così, input dalla programmazione generale, ma a sua volta fornisce un aggiustamento iterativo, in conformità a una prima verifica che evidenzia sia le mancanze sia le eccedenze di personale.

Mettendo a confronto il personale disponibile con il personale necessario si otterranno le politiche di revisione dei posti in organico e di loro copertura (reclutamento e selezione), di mobilità, di riorganizzazione, di formazione e sviluppo.

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Per esigenza bisognerà programmare il personale anche nel breve periodo, per assicurare, senza modificare l’organico, il personale necessario a fronte d’improvvise esigenze. Inoltre, bisognerà continuamente prestare attenzione, perché esisterà sempre una variabilità che dovrà essere affrontata con strumenti di emergenza, nonostante la programmazione sia accurata, e bisognerà affrontarla il più vicino possibile al luogo in cui questa emergenza avverrà. È proprio su questo problema che si misura la flessibilità dello strumento di programmazione, in base al rapporto tra accentramento e decentramento, nel coinvolgimento della line nella gestione del personale.

Strumento utile nella programmazione di breve periodo è il piano dei rimpiazzi (Cocco,

1980), che oltre ad affrontare sostituzioni improvvise, prefigura ipotesi di carriera,

attraverso l’analisi sistematica delle potenzialità del personale che esso presuppone. Ci sono, però, dei vincoli normativi che non permettono a tale strumento di potersi trasformare in valutazione del potenziale e programmazione delle carriere; questo sistema potrebbe, tuttavia, diventare un modo per razionalizzare i processi di crescita professionale.

1.3.3   Linee   guida   sulla   programmazione   del   fabbisogno   e   dei  

concorsi  pubblici  

Sono state stabilite le Linee guida della Funzione Pubblica riguardanti la programmazione del fabbisogno e per i concorsi pubblici. Per i primi era stabilito il termine entro i novanta giorni successivi all’entrata in vigore del provvedimento mentre per le seconde non era fissata alcun tipo di scadenza.

Le Linee guida sono state emanate dopo aver raggiunto un’intesa specifica all’interno di una Conferenza Unificata tra Stato, regioni e autonomie locali. Questi documenti, in particolare quelli riferiti alle Linee guida sui concorsi pubblici non hanno carattere direttamente vincolante per le amministrazioni regionali e locali, ma sono comunque un punto di riferimento molto utile poiché contengono numerose indicazioni.

Per quanto riguarda, invece, le Linee guida riferibili al fabbisogno si deve menzionare che il mancato adeguamento della programmazione del fabbisogno alle previsioni dettate in tale documento entro sessanta giorni successivi alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale comporta per tutti i tipi di amministrazioni pubbliche il divieto di eseguire sanzioni di personale. Tutto questo porta come conseguenza principale che le

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amministrazioni dovranno dare in maniera rapida corso alla rideterminazione della propria programmazione del fabbisogno del personale. Va anche detto che entrambi questi documenti sono connessi fra loro perché spingono le amministrazioni a rivedere i propri organici e le proprie necessità di personale superando quelle logiche che sono ispirate alla semplice sostituzione del personale che ha terminato il proprio ciclo lavorativo. I documenti hanno anche il fine di introdurre nelle amministrazioni forme di selezione innovative e adeguate in base alle professionalità che si vorranno assumere. Nella previsione legislativa, ripresa anche all’interno delle Linee guida, il programma triennale per il fabbisogno del personale ha la necessità di garantire il non superamento del tetto di spesa teorica della dotazione organica in vigore nell’ente; questo vincolo va aggiunto ai tetti di spesa delle assunzioni e del personale.

Per i concorsi pubblici, invece, le maggiori novità, introdotte all’interno del documento “Linee Guida sulle procedure concorsuali” riguardano: introduzione di un obbligo per le amministrazioni statali a dare avvio a concorsi unici, in modo particolare per la dirigenza e per i profili comuni; stimolo per tutte le amministrazioni di realizzare forme di gestione associata dei concorsi anche per le singole parti; invito per tutte le Pubbliche Amministrazioni di aderire al portale nazionale del reclutamento; invito per tutte le Pubbliche Amministrazioni di istituire albi dei membri delle commissioni in cui scegliere di volta in volta tramite sorteggio (Arturo Bianco, 2017).

Dopo l’entrata in vigore del documento le amministrazioni dovranno valutare la necessità di dare seguito a un controllo del proprio regolamento sui concorsi. Il documento fa sì che gli enti abbiano la necessità di prestare molta attenzione alla scelta delle procedure che saranno utilizzate nelle singole procedure concorsuali. Sono presenti diversi tipi di concorsi: concorsi per esami, per titoli ed esami, per titoli, i corsi-concorso, le selezioni. Questa scelta “deve tenere conto del livello e dell’ambito di competenza richiesto per la professionalità da reclutare, nonché della necessità di definire procedure efficaci e celeri che possano svolgersi anche con l’ausilio di sistemi automatizzati, diretti anche a realizzare forme di preselezione”.

Le Amministrazioni dello stato sono obbligate nell’utilizzo dei concorsi indetti dalla Funzione Pubblica, obbligo che non può essere indetto per le regioni, per gli enti locali, enti per servizio sanitario nazionale per cui è loro suggerito di aderire a questi concorsi. Le amministrazioni sono invitate, inoltre, a realizzare esperienze di gestione associata delle procedure concorsuali, almeno per le parti comuni, dalle preselezioni.

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In via generale sono sollecitati all’attivazione di “uffici dedicati alla gestione di concorsi comuni o strutture preposte alla relativa funzione o delegando le relative incombenze a una di esse, in modo da realizzare economie di scala e ottenere maggiore specializzazione del personale addetto a maggiore imparzialità nella gestione dei concorsi”.

Infine, terminando, le Linee guida hanno un’altra previsione che sarà istituita all’interno del portale del reclutamento: “Una banca dati di monitoraggio delle procedure concorsuali attuate dalle Pubbliche Amministrazioni”. Anche qui ci sarà un obbligo per le amministrazioni statali e un invito per quelle non statali.

1.4  Il  reclutamento  e  la  selezione  

Il processo di reclutamento e selezione nel pubblico impiego è sottoposto a dei vincoli formali che lo rendono molto lungo, costoso e inefficace. Questa funzione ha la finalità di assicurare:

1. Giudizio oggettivo a tutti quelli che aspirano a un impiego pubblico attraverso una procedura concorsuale aperta e imparziale;

2. Accesso ai più idonei in possesso di determinati requisiti formali.

Per quanto riguarda i concorsi pubblici, i contenziosi sono affidati alla giurisdizione del giudice penale e non a quella del giudice amministrativo. Molte ricerche statistiche affermano che nella popolazione queste regole di selezione hanno un bassissimo livello di attendibilità. Nonostante vi siano, oggi, diverse norme di controllo amministrativo, politico e professionale nelle commissioni di selezione, queste sono espressione di consenso politico, usato come potere di selezione.

Bisogna chiedersi se non sia possibile migliorare, grazie alla gestione del personale, l’efficacia del processo di selezione, assumendo così personale qualificato idoneo a ricoprire il proprio ruolo con un elevato grado di professionalità, d’identificazione e di motivazione.

Sarà il decisore politico a usare il proprio potere per favorire, soprattutto quando ci troviamo di fronte situazioni di crisi occupazionali, l’accesso di persone politicamente e culturalmente vicine a lui. Per esempio un costruttore di auto A, per la sua scuderia,

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cercherà di selezionare un meccanico tifoso della scuderia A piuttosto che di quella B, cercando di creare una scuderia con un elevato grado di appartenenza, senza che questo sia ritenuto scandaloso da nessuno. Cercherà di selezionare il suo uomo cercando un tifoso tra i meccanici e non un meccanico tra i tifosi. In campo pubblico, il problema più grande sarà cercare “tifosi” piuttosto che escludere “meccanici”. La tendenza a favorire i “tifosi” sembra ineliminabili2, mentre per quanto riguarda la tendenza a escludere i “meccanici”, questa deve essere controllata introducendo strumenti professionali nei processi di selezione.

1.4.1  Il  reclutamento    

Per potersi dire efficace un processo di selezione dipende prima di tutto dalla quantità e qualità dei candidati. E quest’attività di ricerca dei candidati è chiamata, appunto, reclutamento, che comprende tutte le regole con cui l’Ente porta a conoscenza di chi potrà diventare possibili candidati la propria domanda.

Il reclutamento non è altro che uno strumento con cui l’Ente esegue la propria domanda di lavoro; la scelta e il contenuto dei messaggi, riguardanti le decisioni sui modi di reclutamento, hanno delle rilevanti conseguenze sui risultati e dipendono dalla mobilità territoriale, dai differenziali retributivi e normativi tra settore pubblico e settore privato, dai tassi di disoccupazione oltre che dai vincoli legislativi, regolamenti contrattuali e sindacali che formano la differenza fra reclutamento tra determinate categorie e reclutamento interno.

Non esiste mobilità dal settore pubblico al settore privato e viceversa, ma questo non esiste neanche tra le diverse branche della Pubblica Amministrazione. Se andiamo ad analizzare il mercato del lavoro, i segmenti non comunicanti e i mercati interni e chiusi nascono quando le professionalità si realizzano in un determinato ambiente e non si possono trasferire ad altri.

La segmentazione e l’internalizzazione sono tanto più forti quanto più specifica è la professionalità, cioè quanto più le procedure e le regole di lavoro, la tecnologia e la cultura dell’organizzazione si differenziano rispetto alle altre organizzazioni (Vanecloo,

2 L’uso del posto nel pubblico impiego come ricompensa per una carriera di partito e l’aumento della

presenza di funzionari pubblici nelle assemblee elettive e nelle cariche amministrative (Barberis, 1983) è un fenomeno che si sta generalizzando e non solo in Italia.

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1982). Quando si ha un’elevata specificità professionale questa porta ha diverse

conseguenze sul funzionamento dei mercati del lavoro:

1. La professionalizzazione avviene prevalentemente all’interno dell’organizzazione; 2. Il turnover è molto basso perché:

a) L’organizzazione ha interesse a offrire dispositivi di carriera che, di fatto, lo contrastano per non dover ripetere il processo di selezione e formazione;

b) I lavoratori hanno un convergente interesse a richiedere tali protezioni poiché la loro professionalità non ha domanda se non all’interno di quella specifica organizzazione3. Con queste due circostanze è ridimensionato il ruolo del meccanismo di mercato nel processo di allocazione e riallocazione dei lavoratori e di valorizzazione del capitale umano. Avviene raramente una selezione accurata che comporta in seguito politiche di formazione e sviluppo incisivo, tanto è vero che oltre ad una paralisi del mercato esterno si ha una paralisi di quello interno e dei meccanismi organizzativi. Molti studi affermano che sarebbe più opportuno eseguire processi che favoriscono la mobilità tra le organizzazioni grazie al reclutamento e alla selezione sul mercato esterno anche per le posizioni più elevate. Affinché questo cambiamento è reso conveniente sarebbe necessario attenuare le differenze gestionali delle organizzazioni pubbliche, dando maggiore valore alle modalità di lavoro manageriale formatosi nelle organizzazioni private e smantellando forme di garantismo che non hanno alcuna giustificazione. L’efficacia del reclutamento si ha grazie all’attivazione del mercato del lavoro che, attivando una concorrenza fra i lavoratori, dovrebbe essere esauriente per quanto riguarda gli standard di selezione prefissati. Bisognerà quindi trovare quale potrebbe essere il valore migliore dato dal rapporto tra candidati da esaminare e posti da ricoprire. Quando tale rapporto ha come risultato 1 non ci sarebbero possibilità di selezione nonostante tempi e costi di selezione sarebbero molto bassi. Se, altrimenti, il valore del rapporto risulti essere molto elevato sarebbero molto buone le potenzialità di selezione ma con costi elevati. Sarà impossibile trovare un valore ottimale e dei costi di selezione adeguati in questo rapporto, dipende tutto da chi si cerca. Si può solo tentare di raggiungere il valore prefissato dato dal rapporto tra candidati su cui compiere il vero e proprio processo di selezione e i posti da ricoprire e questo tentativo può avvenire solo

3 Nella Pubblica Amministrazione italiana riscontriamo in vero solo la seconda circostanza, perché la

protezione dell’investimento in reclutamento, selezione, formazione e sviluppo è efficacissima per le professionalità che non hanno mercato, mentre è debolissima per quelle che ne hanno.

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tramite attività di reclutamento che devono permettere un’autoselezione da parte dei candidati e una preselezione da parte dell’Ente.

Altre volte il problema è differente, siccome mancano i candidati, questo avviene quando per certe professioni è insufficiente la formazione di operatori oppure perché l’immagine sociale è del tutto negativa, oppure ancora, la possibilità d’impiego privato è più vantaggiosa rispetto a quello pubblico. Grazie alla pubblicità del concorso, regolata dalle forme previste dalla Costituzione e dalle specifiche leggi e regolamenti, si ha la garanzia assoluta che tutto quest’arrivi alla collettività e quindi ai potenziali candidati da immettere nel processo di reclutamento. Questa “pubblicità” offre informazioni utili per attirare l’attenzione e consentire un’autoselezione dei candidati potenziali. L’obiettivo principale è inserire i giovani, attirare nella carriera pubblica elementi con buone potenzialità. Ed è proprio per questo motivo che il “messaggio” dovrebbe contenere e valorizzare quelle informazioni che non vengono chiaramente e comprensibilmente espresse nei bandi di concorso.

Negli ultimi tempi, molti Enti pubblici anche in Italia hanno compreso l’importanza del reclutamento e si sono posti il problema di usare nuove forme di reclutamento utilizzando i mass media con l’ottica del cosiddetto marketing sociale (Fiorentini, 1984).

1.4.2  La  selezione  

La gestione del personale avviene grazie all’introduzione di politiche di selezione dirette ad affermare una politica di medio - lungo periodo, anche se tutto questo reca diverse problematiche:

a. La composizione delle commissioni, con l’intento di conciliare due obiettivi tra di loro opposti, la presenza di competenze tecniche e la tutela d’interessi particolari;

b. La variabilità nel tempo delle commissioni, in base ad interessi contingenti, che non consente una continuità d’indirizzo;

c. La situazione di scelta collettiva che si trova nelle commissioni e che induce a una deresponsabilizzazione dei membri oltre che a scelte contraddittorie.

Questi sono i problemi di ordine istituzionale, vi sono ancora poi, ritardi nell’utilizzare gli strumenti tecnici nello studio delle posizioni da coprire, nel verificare quanto siano validi i criteri di selezione usati nel tempo, infine, nell’esame dei candidati. C’è da dire

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che alcune volte esistono dei vincoli legislativi per quanto riguarda la valutazione dei selezionati sia sul tipo di prove da utilizzare che sugli elementi analitici da considerare; altre volte sono semplici ritardi tecnici e culturali oppure di contrasto alla sperimentazione di nuovi strumenti.

È necessario introdurre nel processo di selezione elementi di continuità, di professionalità e d’innovazione, tutto questo sarà compito della direzione del personale e avverrà entro il vincolo della procedura concorsuale all’interno di commissioni eterogenee.

Entrerà in gioco la figura del “rappresentante” della direzione del personale, che svolgerà un ruolo di tecnico della selezione all’interno della commissione di un concorso e farà, inoltre, da collante tra le politiche generali condotte dall’Ente sul tema della selezione e le scelte specifiche prese in autonomia dalla commissione stessa. Grazie a questo tipo di raccordo la commissione è costretta a enunciare i propri criteri di scelta e a doverli confrontare, da un lato con le caratteristiche della posizione da coprire, dall’altro con gli strumenti di valutazione dei candidati.

Ma le pratiche selettive oggi prevalenti possono avere diversi limiti:

1. Le prove hanno caratteristiche che riprendono quelle degli esami scolastici: lo scritto equivale a un compito, l’orale equivale a un colloquio e alcune volte una prova pratica. Il più delle volte il riferimento è sempre a discipline scolastiche, più che a situazioni lavorative, in questo caso il risultato sarà favorire la valutazione delle “conoscenze” e trascurare le abilità, le caratteristiche comportamentali, le motivazioni verso la specifica carriera o posizione, le esperienze acquisite;

2. Uso di prove che non si prestano a valutazioni univoche e richiedono tempi lunghi e costi elevati;

3. Mancanza di un’analisi sistematica delle posizioni da coprire con individuazione dei fattori critici di successo nello svolgere le mansioni.

Sarà solo grazie a un supporto professionale da parte delle commissioni che la direzione del personale potrà superare tali limiti e potrà usare quella discrezionalità che esiste sulla scelta delle prove.

Se leggi e regolamenti parlano di prova scritta questa non è da intendersi sempre come un compito di cultura generale o diritto amministrativo; la prova pratica, invece, non si riferisce sempre a un saggio di dattilografia. In determinate circostanze possono essere introdotti anche i test. Possono essere usati, ma con cautela, e con tutti i loro limiti,

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possono essere sempre più efficaci di prove attuali scelte a casaccio4. Per questo l’uso dei test si basa sui seguenti argomenti:

1. Esistono differenze importanti per quanto riguarda i requisiti posseduti da oggetti diversi in termini d’intelligenza, di abilità manuale, di motivazioni, di dominio dell’emotività ecc.;

2. Esiste una forte indipendenza tra il possesso di determinati requisiti con certi valori e le abilità che ha un soggetto nello svolgere certi incarichi; in conformità a questa indipendenza è possibile prevedere i comportamenti lavorativi che avranno i candidati; 3. Il selezionatore può misurare in modo dettagliato i requisiti e fornire valutazioni circa i

risultati dei test e l’esito lavorativo.

In tutti i casi, i test dovrebbero avere i seguenti requisiti (Gay et al., 1980): • La validità: il test deve misurare effettivamente ciò che si propone di misurare;

• L’attendibilità e la fedeltà: i risultati che sono forniti da uno stesso individuo devono essere costanti;

• La sensibilità: deve sussistere la capacità di far emergere determinate differenze (un test dove tutti i candidati hanno risultati o tutti bassi o tutti elevati non è molto sensibile); • La predittività: la capacità di prevedere comportamenti futuri;

• L’economicità: l’utilizzo di questo strumento deve portare a risultati in termini di soddisfacimento di standard di selezione.

I tipi di test più usati sono (De Zorzi, 1982): i test d’intelligenza che, vista la difficoltà nel misurare e definire scientificamente l’intelligenza, tentano di valutare le capacità di ragionamento, la memoria, l’apprendimento, l’attenzione, la capacità di analisi e sintesi, il buon senso, la prontezza mentale, ecc.; il risultato di questi test porta a delle conclusioni, le quali affermano che con elevati punteggi ottenuti si avranno rapidità di apprendimento e capacità di affrontare situazioni complesse. I test attitudinali che vanno a misurare l’attitudine di un individuo nel ricoprire un particolare posto, che richiede abilità psicomotorie, acutezza visiva. I test di personalità che “sono stati

studiati per valutare, accanto alle capacità mentali di un individuo, tutte quelle caratteristiche che appartengono alla sfera affettiva e che influiscono in modo decisivo sulla possibilità o meno che il soggetto ha di usare il proprio potenziale intellettivo”

4 In Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti il test è uno strumento molto usato anche come antidoto a

pratiche selettive e discriminatorie (Mayntz, 1978). Negli Stati Uniti è controllata addirittura la probabilità discriminatrice dei test nei casi in cui i risultati portino a esiti sistematicamente negativi per certi gruppi sociali (Klinger, 1980).

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