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CAPITOLO 1 Il personale nelle Pubbliche Amministrazioni 6

1.5 Inserimento, addestramento e formazione 35

1.5.2 Addestramento e formazione 38

L’organizzazione, in base alle sue specifiche esigenze all’interno del processo di adattamento delle qualità generali e specifiche dei neoassunti, sente il bisogno di gestire diverse politiche tra cui quella di attivazione e manutenzione della professionalità. L’Ente produce determinati servizi e questi processi tecnici e organizzativi devono essere appresi dai lavoratori e “socializzati”: l’addestramento cerca di trasferire abilità già acquisite, definite e controllabili mentre la formazione permette di incrementare potenzialità di dominio e creazione di nuove abilità quando avvengono situazioni nuove.

Il “prodotto” delle attività di addestramento e formazione è la professionalità, sia come dato collettivo sia come dato individuale (Baldini, 1980).

Alcune professionalità possono essere acquisite dall’Ente già formate attraverso il concorso oppure, essendo quest’ultimo generico, può essere costretto a produrle direttamente al suo interno.

L’acquisizione diretta, disponibile solo quando coincidano qualificazione disponibile e qualificazione richiesta, sottrae l’Ente dai rischi che scaturiscono nell’investimento della formazione e consente la disponibilità immediata.

La formazione, purtroppo negli ultimi anni, è stata nel pubblico impiego usata in senso formale come un supporto agli sviluppi di carriera senza contenuti che si riferissero alla professionalizzazione. La formazione non può e non deve essere vista come uno strumento eccezionale, che deve essere legato solo in determinate situazioni come le promozioni, ma deve diventare prassi normale di esercizio del compito lavorativo, senza escludere ovviamente i legami che scaturiscono con gli sviluppi di carriera.

Riprendendo la distinzione tra formazione e addestramento, possiamo definire l’addestramento come “quel processo mediante il quale, a persone adulte inserite in

un’attività lavorativa, sono fornite quelle conoscenze e quelle abilità, manuali e concettuali, esprimibili in metodi, nozioni, norme, procedure, regole ecc. che consentono al lavoratore di svolgere una mansione di tipo prevalentemente operativo”

e la formazione come “quel processo attraverso il quale si favorisce l’interpretazione di

fenomeni complessi, la formazione di opinioni individuali, lo sviluppo di capacità nei rapporti interpersonali, la coscienza del proprio ruolo ecc.” (Baldini, 1980).

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Come normale che sia obiettivi e strumenti possono essere differenti in base al tipo d’intervento adottato. Generalmente nelle attività di addestramento e formazione si può intervenire sulle seguenti caratteristiche del lavoratore:

1. Conoscenze, viste come un insieme di nozioni che possono essere teoriche o astratte, che si riferiscano a un determinato problema o a uno specifico campo disciplinare; 2. Abilità, intese come la capacità di saper affrontare determinate situazioni lavorative; 3. Atteggiamenti e opinioni, visti come valori cui far riferimento che ispirano l’azione;

siamo all’interno di una sfera molto problematica per quanto riguarda l’attività di formazione, che si può correggere e che può, nello stesso tempo, intaccare la libertà di pensiero del lavoratore, anche se grazie allo sviluppo dell’autonomia culturale questi tentativi di manipolare i lavoratori hanno poche possibilità di successo e spesso hanno effetti opposti a quelli voluti;

4. Emozioni e sentimenti, intesi come la capacità di dominare la propria sfera emotiva, sviluppando rapporti tra le persone all’interno dell’ambiente lavorativo, controllando l’ansia, sopportando gli stress ecc.

Nell’addestramento è più importante e prevalente l’intervento rispetto alle abilità. Nella formazione invece prevalgono le altre caratteristiche.

Tra i vari strumenti che intercorrono tra i processi di formazione e addestramento troviamo prima di tutto il training on the job, vale a dire la formazione sul lavoro. L’efficacia di questo procedimento, per quanto esso sia indispensabile e fondamentale, è data da molti fattori:

a. Dal back-ground culturale e professionale di cui il lavoratore già dispone;

b. Dal grado di formalizzazione e sistematicità che ha il processo, dal modo in cui sono seguiti gli sviluppi della professionalità attraverso rotazioni, inserimenti graduali e programmati, verifiche, azioni di supporto ecc.;

c. Dall’organizzazione del lavoro data dall’interazione tra i vari compiti, dalla disponibilità delle informazioni, dal ruolo della dirigenza e dalla finalizzazione dell’organizzazione allo sviluppo della professionalità.

Bisognerà necessariamente razionalizzare quest’aspetto del processo di professionalizzazione prima di mobilitare altri strumenti, dai quali si potrà ricavare con maggiore precisione i bisogni d’intervento di altro tipo.

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Negli Enti pubblici non è sempre possibile rendere sistematico questo processo, che è affidato a meccanismi informali e alla “buona volontà” dei soggetti coinvolti8.

Un’altra categoria di strumenti che può essere utilizzata è la formazione in aula, dove si crea una situazione specifica di apprendimento che va al di fuori dell’ambiente di lavoro.

La terza categoria di strumenti è data dallo sviluppo organizzativo o organization

development (French-Bell, 1976) e la ricerca-intervento (Butera, 1977). La formazione

è collocata all’interno del cambiamento organizzativo cercando di trasformare i soggetti “da formare” in attori dei processi di analisi, di progettazione e apprendimento.

Questo si svolge quasi esclusivamente sul campo, cioè nella concreta situazione organizzativa e decisionale (Savi, 1975).

Nelle decisioni riguardanti la valutazione del fabbisogno formativo, alla progettazione dei programmi, alla loro somministrazione e alla verifica dei risultati, la scelta dei livelli decisionali coinvolti e l’utilizzazione di risorse esterne assume particolare importanza ai fini dell’efficacia della formazione (Canonici, 1980).

La formazione non è vista come un processo di acquisizione, sistemazione e trasferimento di teorie e tecniche, invece è un momento di un processo complesso d’interiorizzazione di valori da parte dell’organizzazione e dei suoi membri.

In questo senso, la formazione ridefinisce valori di riferimento, prassi lavorativa, rapporti di potere, produttività ed è quindi strettamente connessa con il processo decisionale (Boldizzoni et al., 1984) e con il cambiamento organizzativo. Grazie alla

valenza strategica non possono non essere coinvolti i vertici decisionali.

Dopo queste considerazioni è possibile porre la questione: formazione all’interno o all’esterno? Formazione in proprio o con l’aiuto di “esterni”? Se l’analisi è condotta in maniera accurata e se il processo di formazione è inserito in un piano di sviluppo del personale non sarà difficile scegliere il mix di attività e risorse interne ed esterne da utilizzare nella formazione.

Se la formazione è predisposta direttamente dall’Ente questa diventa subordinata alla “cultura” e agli equilibri relazionali che già esistono, trova difficoltà nello sviluppare una diagnosi realistica dei fabbisogni e nel raccogliere gli stimoli che derivano da altre realtà disciplinari e organizzative.

8 Un’occasione perduta d’inserimento-formazione sul lavoro si è rivelato il tentativo, purtroppo fallito,

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Anche l’appalto all’esterno della formazione è inefficace e pericoloso, soprattutto quando questo significa acquisizione di pacchetti formativi preconfezionati senza che ci sia uno specifico riferimento alle specifiche condizioni dell’organizzazione e al livello di consapevolezza degli obiettivi interni e obiettivi del prodotto formativo9.

Bisogna trovare il giusto equilibrio tra le due soluzioni estreme e questo processo deve essere governato da un adeguato livello decisionale, dove vi sia una giusta interazione tra line (coinvolta in sede di diagnosi, progettazione, docenza e verifica dei risultati) e gli staff di formazione (interni ed esterni) e tra le strategie e le politiche di gestione del personale.