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CAPITOLO 2 Il management pubblico 49

2.2 L’organizzazione del personale 58

2.2.6 Gestire il cambiamento 74

Per iniziare il cambiamento, all’interno delle Pubbliche Amministrazioni, non sarà possibile ancorarsi all’idea che esista un modello che si possa progettare a priori e che possa sostituire quello che al momento funziona male o non funziona per niente. Il cambiamento deve corrispondere al processo che deve qualificare le caratteristiche stesse dell’organizzazione e dei meccanismi operativi, deve diventare una proprietà

dell’organizzazione e non (essere concepito) come un intervento una tantum (Butera, 1984).

All’interno degli Enti Locali, nel giro di pochi anni, si è “decretato” un cambiamento che doveva avvenire entro pochi mesi:

1. La legge 62/178 all’articolo 9 imponeva agli Enti Locali l’adozione nella gestione del personale di criteri di:

• Economicità, • Efficienza,

• Sviluppo della professionalità;

2. La legge 3/1979 all’articolo 4 affermava l’adozione di criteri di: • Massima efficienza e produttività di gestione,

• Riaccorpamento secondo criteri di organicità, • Mobilità del personale;

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3. Il DPR 191/1979 all’articolo 30 impegnava gli Enti Locali all’adozione di piani di ristrutturazione caratterizzati da:

• Strutture associative e consortili, • Rapidità e snellezza degli interventi,

• Semplificazione delle tecniche e procedure, • Metodo di programmazione,

• Accrescimento professionale, • Possibilità di verificare i risultati, • Partecipazione,

• Democrazia organizzativa, • Lavoro di gruppo,

• Conferenze di servizio, • Piani di formazione.

Sarebbe sbagliato queste “manifestazioni di volontà politica”, ma sarebbe anche sbagliato pensare che queste innovazioni potessero generare qualche effetto nel breve periodo.

Il cambiamento è difficile che possa avvenire per effetto di una decisione presa “a priori”: non bisogna decidere un nuovo criterio o una nuova struttura, ma di dover avviare un processo di cambiamento che porti a nuove azioni e reazioni.

Bisognerà rompere con la continuità necessariamente per avviare tale processo, ma ciò che lo differenzia dagli altri tipi di processo, sarà l’adozione di strumenti organizzativi capaci di modificarsi da soli in base all’apprendimento. Questo vale sia per una singola procedura sia per l’intera struttura di un Ente.

Analizzare correttamente la situazione esistente è un momento fondamentale per quanto riguarda il processo di cambiamento organizzativo. Uno dei principali problemi da affrontare, e che molte volte ha ricevuto risposte sbagliate, riguarda il “soggetto” incaricato dell’analisi.

Non sarà necessario creare un nucleo specialistico e chiuso con l’incarico dell’analisi, perché non solo rischia che la conoscenza avvenga in maniera sbagliata ma rischia anche con il generare possibile momento di conflitto, soprattutto quando sono inseriti elementi esterni (consulenti) che possono essere visti come un fatto punitivo e di critica verso chi opera già all’interno della struttura stessa. Già nella fase di analisi, che ha al suo interno anche momenti metodologici e specialistici anche di natura esterna, deve

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riguardare tutta la struttura esistente e invitare tutti a prendere coscienza della realtà organizzativa. In questo senso le funzioni dell’analisi sono le seguenti:

1. Funzione conoscitiva e di socializzazione della conoscenza: bisogna mettere in

comune una sistemazione della realtà organizzativa e di consentire a tutti, che riguardi un singolo individuo o un gruppo di persone, di avere le stesse informazioni;

2. Funzione partecipativa: sarà importante coinvolgere tutti gli interessati nel

definire la loro situazione lavorativa sia per quanto riguardano le informazioni più puntuali (dato oggettivo), sia per avere anche il loro “vissuto” individuale della situazione (dato soggettivo); tutto questo comporterà, all’interno della fase di analisi, sia un allungamento dei tempi e un’anticipazione degli elementi di conflitto, sia un aumento dell’affidabilità dei dati riducendo, così, il conflitto della fase propositiva; 3. Funzione formativa: poter descrivere e partecipare alla descrizione di una

situazione comporta una padronanza logica e operativa della situazione che può svilupparsi nell’analisi, sfruttando quest’occasione per incentrare nuovi concetti non solo organizzativi, ma anche relativi alle nuove procedure e finalità dell’unità analizzata; quando si usano consulenti esterni sarà utile integrarli e inserirli in gruppi interni creati con l’obiettivo di interiorizzare le nuove conoscenze: sarà utile per tentare di prevenire il rigetto del “nuovo” da parte dei dirigenti dell’Ente che devono essere, invece, messi in grado di controllare e impadronirsi delle nuove tecniche che ancora non conoscono;

4. Funzione modificativa: una realtà conosciuta e socializzata è già una realtà che

va incontro al cambiamento e tutto questo sarà vero all’interno di Enti la cui settorializzazione e parcellizzazione del lavoro sono cause d’inefficienza e d’insoddisfazione dei lavoratori.

Attraverso interviste (individuali o di gruppo), questionari e sistemazioni di conoscenze già acquisite che dovrebbe svolgersi l’analisi della struttura generale e delle unità organizzative. Tutto questo potrebbe produrre un quadro di riferimento che possa essere la base di tutto il processo, e che possa essere aggiornato a scadenze periodiche. Per ogni unità organizzativa rilevante e per tutto il complesso saranno definiti:

1. Le funzioni istituzionali da svolgere secondo le fonti normative; 2. Le funzioni svolte di fatto;

3. Le risorse economiche e tecniche disponibili;

4. La “produzione” svolta, quantificando l’output e, dove possibile, definendo anche il costo unitario di ogni “prodotto”;

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5. Il sistema decisionale e il sistema di coordinamento tra decisioni; 6. Il sistema “produttivo” (procedure, operazioni, “tecnologia”); 7. Il sistema informativo;

8. L’organigramma;

9. Le singole posizioni di lavoro e i ruoli “sociali” e “produttivi”; 10. Difficoltà organizzative e operative e il “clima” organizzativo; 11. Dati generali sul personale.

Il cambiamento è visto come un processo conflittuale, nel senso che porta a delle modificazioni nei rapporti tra poteri, professionalità, posizioni “sociali” entro l’organizzazione. Tutte queste modificazioni portano alla realizzazione di strategie di difesa e comportamenti, dovuti e non dovuti, di resistenza al cambiamento.

Questo stato di conflitto va analizzato nei suoi significati politici ma anche nei significati organizzativi e va gestito, con i poteri e gli strumenti ritenuti più adeguati. Gli aspetti organizzativi trovano, così, tre livelli di espressione:

1. A livello individuale, dove nascono bisogni di sicurezza, protezione delle

abitudini, paura del rischio o del non conosciuto e, soprattutto, paura di perdita d’identità, di professionalità e di potere;

2. A livello di gruppo, dove prevalgono norme e valori di gruppo minacciati dal

“nuovo”, solidarietà ed equilibri relazionali che riproducono e amplificano le paure individuali di perdita di status e di potere;

3. A livello di organizzazione: tutte le organizzazioni coinvolte, anche quando

sollecitano e promuovono il cambiamento, subiscono la complessità delle leggi organizzative; esigenze di stabilità e controllo, norme e valori già definiti, equilibri istituzionali diventano una regola di sopravvivenza e riproduzione delle organizzazioni. Per rompere l’effetto conservativo di questi tre livelli, senza che questi comporti traumi che avrebbero per l’organizzazione solo l’effetto destrutturante, è necessaria una strategia negoziale che riesca a far emergere le valenze positive del processo e aggreghi una dose giusta di consenso sugli obiettivi finali e intermedi.

Dopo l’analisi deve succedersi una fase propositiva che si può suddividere in proposte immediate di breve periodo e in modelli di medio periodo verso cui tendere tramite fasi di sperimentazione e progressivi aggiustamenti. Probabilmente si arriverà a strutture totalmente differenti da quelle ipotizzate inizialmente ma questo non dovrà far desistere l’organizzazione dall’offrire proposte organiche e articolate su cui lavorare.

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Giacché il cambiamento è un processo continuo sarà necessario che quest’ultimo sia inserito nei ruoli della funzione dirigenziale e che la direzione del personale possa essere dotata di strumenti professionali che possano supportarlo, stimolarlo e controllarlo.