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Tradurre il "Novaja Drama": esperimento di Traduzione Spettacolare e messinscena di "Plastilina" di V. Sigarev.

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LINGUISTICA E TRADUZIONE

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

Tradurre il “Novaja Drama”: esperimento di Traduzione Spettacolare e

messinscena di Plastilina di V. Sigarev

CANDIDATO

RELATORE

Valentina Colafati

Prof. Marco Sabbatini

CORRELATORE

Prof. Stefano Garzonio

(2)

I

Sommario

INTRODUZIONE ... I

CAPITOLO I: TEORIA DELLA TRADUZIONE TEATRALE ... 1

1. CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA TRADUZIONE TEATRALE ... 1

1.1. L’eterno dibattito tra testo e performance ... 1

1.2. Il traduttore mascherato ... 2

2. ELEMENTI TECNICI DEL TESTO TEATRALE ... 5

2.1. Tipologie di battute e indicazioni sceniche ... 5

2.2. Gli elementi stilistici ... 6

2.3. Il ritmo e i silenzi ... 7

3. PROBLEMATICHE DELLA TRADUZIONE TEATRALE ... 8

3.1. L’adattamento alla cultura ricevente ... 9

3.2. Speakability e Performabilty ... 12

3.2.1. Speakability. Tradurre la parola viva ... 12

3.2.2. Performability ... 14

BIBLIOGRAFIA DEL CAPITOLO I ... 19

CAPITOLO II: IL NOVAJA DRAMA E I SUOI PRECURSORI ... 22

1. ELEMENTI SCATENANTI LA NASCITA DEL NOVAJA DRAMA ... 22

1.1. Evoluzione del teatro russo dagli anni Venti all’epoca post-sovietica ... 22

1.1.1. Il Teatro Rivoluzionario ... 22

1.1.2. Anni del Teatro Staliniano ... 25

1.1.3. Il teatro della perestrojka e i precursori del Novaja Drama (1985-1991) ... 30

1.2. Il declino del teatro post-sovietico ... 32

2. IL NOVAJA DRAMA ... 34

2.1. La storia del Novaja Drama ... 34

2.2. Fondamenta ideologiche ... 36

3. TEMATICHE PRINCIPALI ... 38

3.1. L’ipernaturalismo documentario ... 38

(3)

II

3.3. Violenza e denuncia sociale ... 41

3.4. La sperimentazione linguistica ... 42

3.5. Il teatro documentario e politico del Teatr.Doc ... 43

4. MAGGIORI INNOVAZIONI ... 45

4.1. La centralità del testo e del drammaturgo ... 46

4.2. La lingua della contemporaneità ... 47

4.3. Multimedialità verso un nuovo linguaggio teatrale ... 48

4.4. Verso una desacralizzazione dei palchi e una nuova gestione teatrale ... 48

5. IL RUOLO E L’ESTETICA DELLA VIOLENZA NEL NOVAJA DRAMA ... 50

5.1. La violenza sovietica e l’Altro ... 53

5.2. La violenza come metodo comunicativo ... 53

BIBLIOGRAFIA DEL CAPITOLO II ... 55

CAPITOLO III: ANALISI TEMATICA E STRUTTURALE DI

PLASTILINA ... 64

1. TRAMA ... 64

2. UN’AUTOBIOGRAFIA TEATRALIZZATA ... 65

3. ANALISI STRUTTURALE E TEMATICA ... 68

3.1. Analisi dei personaggi ... 72

3.2. Un dramma sociale lirico ... 76

3.3. Il grottesco ... 78

3.3.1. Il ruolo degli spazi nella drammaturgia di Sigarev ... 79

3.4. Simbologia e funzioni della plastilina ... 81

3.4.1. Il teatro plastico ... 82

3.5. Un eroe contemporaneo ... 83

3.6. Un’opera oltre i generi ... 87

3.7. Il linguaggio ... 89

BIBLIOGRAFIA DEL CAPITOLO III ... 92

CAPITOLO IV: ANALISI TRADUTTOLOGICA DI PLASTILINA ... 96

(4)

III

2.TRADURRE IL NOVAJA DRAMA ... 98

3.ANALISI DELLE PROBLEMATICHE TRADUTTIVE ... 100

3.1. La traduzione dei culturemi ... 100

3.2. La traduzione dei socioletti ... 104

3.2.1. Il lessico degli anziani ... 105

3.2.2. Lo slang giovanile ... 107

3.2.3 Il gergo criminale ... 115

3.2.4. Il lessico degli adulti istruiti ... 120

3.3. La traduzione del mat e delle offese ... 123

3.3.1. Offese a referenti femminili ... 124

3.3.2. Offese a referenti maschili ... 126

3.4. La traduzione degli idiomatismi ... 133

3.5. La traduzione delle didascalie ... 134

3.6. La traduzione dei giochi di parole ... 137

4.LA COLLABORAZIONE TRA TRADUTTORE, ATTORI E REGISTA ... 140

4.1. Il traduttore e il regista ... 140

4.2.Tradurre per gli attori ... 142

BIBLIOGRAFIA DEL CAPITOLO IV ... 144

CONCLUSIONI ... 146

APPENDICE A: LA TRADUZIONE DRAMMATURGICA (con testo a fronte) 148

APPENDICE B: LA TRADUZIONE SPETTACOLARE ... 224

(5)

I

INTRODUZIONE

L’idea per questo progetto di tesi risale alla mia prima lettura del Gore ot Uma di A. Griboedov, un’opera essenziale per il teatro russo e divenuta, infatti, il tema della mia tesi triennale, che è stata anche il mio primo approccio al mondo della traduzione teatrale. Nel corso di quella trattazione ho analizzato le traduzioni italiane del Gore ot Uma notando che, per quanto fossero corrette, nessun traduttore aveva prestato attenzione all’effettiva rappresentabilità della pièce tradotta e le traduzioni mancavano di quella vivacità che un testo teatrale dovrebbe avere. Con questa consapevolezza ho continuato le mie ricerche nel campo della traduzione teatrale, anche su alcuni dei manuali presenti in questa trattazione, scoprendo la differenza tra la Traduzione Drammaturgica e quella Spettacolare. Nel corso dei miei studi ho quindi riscontrato quanto anche quelle traduzioni redatte appositamente per la messinscena fossero in qualche modo statiche, “obbligando” così i registi, privi di una conoscenza approfondita del TP, a modificarle, allontanandosi, talvolta, dai significati originari e creando degli adattamenti spesso contestabili. La motivazione è in realtà molto semplice: i traduttori, in vece di consulenti, potrebbero aiutare il regista a comprendere meglio il contesto di partenza di una pièce, in particolar modo se contemporanea, così da creare un adattamento coerente con il TP; tuttavia, raramente vengono coinvolti nella messinscena o nelle prove di lettura di un’opera, fattori che sarebbero molto utili per ottenere una traduzione che funzioni realmente sulla scena. Il traduttore, in questo contesto, assume quindi una moltitudine di funzioni: è allo stesso tempo consulente culturale, aiuto-regista, drammaturgo, scenografo, e così via, in quanto deve tenere conto anche di quegli aspetti meta-teatrali essenziali per una buona riuscita sia della traduzione sia del risultato finale della messinscena; lo si potrebbe dunque definire, citando Torop, un “traduttore totale”.1

Ai fini di questa tesi ho dunque avviato un progetto sperimentale per sviluppare un metodo di Traduzione Spettacolare basato sulla collaborazione sinergica tra un traduttore e una compagnia teatrale (regista e attori), unendo così le abilità filologiche e linguistiche del traduttore a quelle attoriali e direttive del regista, ottenendo così una traduzione pronta per essere messa in scena. Si è deciso di creare anche un adattamento italiano, a cura del regista Fabio Buonocore, più libero rispetto alla traduzione ma filologicamente accurato, e di portarlo in scena insieme a una compagnia di attori scelti appositamente per questo progetto.

1 Cfr.: P. Torop, La traduzione totale. Tipi di processo traduttivo nella cultura, a cura di B. Osimo, Milano, Hoepli,

(6)

II

La pièce che ho deciso di tradurre si intitola Plastilina, scritta da V. Sigarev e diretta da K. Serebrennikov, considerata l’opera manifesto di uno dei movimenti teatrali più controversi e dibattuti degli ultimi tempi, il Novaja Drama, che ho avuto modo di scoprire nel corso dei miei viaggi a Mosca, casa dei principali teatri dell’underground in cui questo movimento ha preso forma. Tra questi non posso non citare il Teatr.Doc e il Teatr Praktika i cui spettacoli innovativi e talvolta controversi mi hanno spinta ad approfondire sempre di più le motivazioni alla base di questo movimento teatrale contemporaneo, nato appena agli inizi degli anni Novanta, sebbene le sue radici siano riconducibili già al periodo della Perestrojka.

Nel primo capitolo di questa trattazione si è discusso, sulla base di una serie di scritti critici sull’argomento, dei problemi riguardanti la traduzione teatrale, della differenza tra Traduzione Drammaturgica e Spettacolare e del ruolo del traduttore teatrale nel processo di messa in scena di un’opera.

Il secondo capitolo è invece dedicato all’analisi delle tematiche, delle fondamenta ideologiche e di tutte le caratteristiche associabili al Novaja Drama. Il capitolo è molto denso e corposo in quanto è stato necessario stilare un excursus sulla storia del teatro russo dagli anni Venti fino ai giorni nostri, così che il lettore potesse comprendere le motivazioni e i processi che hanno portato al declino del teatro russo e alla sua rinascita ad opera dei giovani drammaturghi del XXI secolo. In seguito, si procede ad esplicare i precursori di tale movimento, sia russi che esteri, e le innovazioni prodotte. In particolare, si è affrontato il problema del ruolo estetico della violenza nel Novaja Drama.

Il terzo capitolo è improntato sull’analisi degli elementi tematici e stilistici di Plastilina e di come quest’opera abbia rappresentato un momento di svolta per tutto il teatro russo contemporaneo, riconnettendolo ai giovani e al resto del mondo.

Il quarto capitolo si concentra più dettagliatamente sulla spiegazione delle fasi di lavoro e dei materiali prodotti nel corso di questo esperimento traduttologico-teatrale, per poi procedere all’analisi delle problematiche traduttive. L’analisi non riguarderà solo una traduzione ma prenderà in considerazione sia la Traduzione Drammaturgica che quella Spettacolare da me prodotte, analizzando inoltre le modifiche intercorse tra le due sulla base dei suggerimenti del regista e dei singoli attori. Si analizzerà brevemente anche l’adattamento italiano di Plastilina, realizzato in collaborazione da me e Fabio Buonocore, che si spera vedrà presto la sua realizzazione scenica. L’intento iniziale era quello di mettere in scena la Traduzione Spettacolare e l’adattamento prima della discussione di laurea ma il lockdown ce lo ha impedito, obbligandoci inoltre a fare tutto in via telematica. Siamo tuttavia riusciti a sviluppare dei materiali multimediali, come il video della messinscena della traduzione, che potessero testimoniare il lavoro fatto. Nel frattempo, speriamo di poter rientrare nuovamente a teatro e far vedere a tutti cosa abbiamo realizzato nel corso di mesi e mesi di lavoro. A causa della

(7)

III

quarantena molti dei materiali bibliografici sono stati reperiti online, ma ciò è dettato anche dalla natura giovane e multimediale del Novaja Drama, le cui pièce, recensioni e dibattiti avvengono molto spesso via social, sfruttando al massimo le nuove tecnologie.

(8)

1

CAPITOLO I: TEORIA DELLA TRADUZIONE TEATRALE

1.

CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA TRADUZIONE TEATRALE

1.1. L’eterno dibattito tra testo e performance

Nella seconda metà del XVII secolo il teatro aveva assunto un ruolo fondamentale nella vita culturale europea al punto che le compagnie teatrali si ritrovarono improvvisamente a dover soddisfare la crescente richiesta di spettacoli stranieri commissionando, o spesso realizzando autonomamente, le prime traduzioni teatrali europee su larga scala. Tuttavia, senza un metodo specifico a cui far riferimento e nella fretta di produrre sempre più spettacoli, queste traduzioni risultavano spesso poco accurate. La storia della traduzione teatrale è contrassegnata dalla costante lotta tra testo e performance, originatasi in un periodo, l’Umanesimo, in cui la produzione teatrale si basava quasi esclusivamente su testi classici, la cui traduzione favoriva la fedeltà filologica al TP rispetto alla sua effettiva rappresentabilità sulla scena.2

Un apporto fondamentale agli studi sulla traduzione teatrale è stato dato dalla Scuola di Praga, che intorno al 1930 fondò la semiotica del teatro, elaborando la distinzione tra Testo Drammatico, scritto direttamente dal drammaturgo, e Testo Spettacolare, ovvero quello che viene effettivamente riprodotto sulla scena. Da queste due tipologie testuali si generarono rispettivamente la Traduzione Drammaturgica (TD), che si svolge solo sul piano linguistico-filologico, traducendo quindi il solo livello verbale del testo scritto, oltre ad essere orientata a una lettura monomediale destinata alla sola pubblicazione, e la Traduzione Spettacolare (TS), di tipo semiotico-pluricodico, orientata alla performance, che traduce invece proprio il testo spettacolare. In particolare, la TS ha come destinatario iniziale la compagnia teatrale e secondario il pubblico d’arrivo.

Per molti anni la Traduzione Drammaturgica venne considerata come l’unico approccio possibile, forte della concezione linguistico-strutturalista del teatro che ebbe inizio con Aristotele e che proseguì fino alle fine del XIX secolo. Tale metodo era incentrato esclusivamente sul testo verbale autoriale e considerava la fedeltà al TP come la regola d’oro da seguire. È solo grazie a Bettetini e De Marinis3 che nella seconda metà degli anni Sessanta si inizia a dubitare dell’approccio logo-centrico e a

2 S. Boselli, Translation for the Stage [in Italian], in F. Buffoni, Traduttologia: la teoria della traduzione letteraria,

Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 2006, p. 626.

(9)

2

considerare il Testo Spettacolare come il vero oggetto dell’analisi semiotica. Infatti, il TS permette di cogliere il senso della rappresentazione sia a livello diacronico che sincronico.

Come Bettetini, De Marinis e la Scuola di Praga, anche Antonin Artaud, l’inventore del Teatro della Crudeltà, considerava quel teatro che si ostina a subordinare lo spettacolo al verbo “un teatro di idioti, di pazzi, di invertiti, di pedanti, di droghieri, di antipoeti, di positivisti, in una parola di Occidentali”.4 Il testo per anni è stato considerato come qualcosa di eterno e irrevocabile in quanto portatore del senso e delle strutture profonde (ipo-testo), mentre la messinscena era vista come superficiale e soggetta alle variabili spazio-temporali (iper-testo). Da ciò deriva la presunta superiorità del testo, e di conseguenza della traduzione filologica, rispetto alla performance e alla Traduzione Spettacolare.

Nonostante anni di studi sulla traduzione teatrale, il dibattito tra semiotica del testo e semiotica della rappresentazione è tuttavia ancora aperto e ad oggi i traduttori possono scegliere tra due approcci:

1. Creare un testo filologicamente accurato, ma statico, per l’editoria;

2. Creare una traduzione per la messinscena che abbia come due principi guida la recitabilità e la reinterpretabilità da parte della cultura d’arrivo (CA). Tuttavia, per essere efficace sul palcoscenico sarà necessario sacrificare l’esattezza filologica al TP. In questo caso, il lettore modello dovrà essere, in prima istanza, l’attore e, in seconda, il pubblico.5

1.2. Il traduttore mascherato6

Da queste prime considerazioni si può ben capire la complessità di questo genere traduttivo, sebbene, come affermato da Susan Bassnett, questo sia ancora “uno dei campi meno considerati delle scienze traduttologiche”.7 I traduttori teatrali sono rimasti a lungo nell’ombra poiché la traduzione in sé non ha mai avuto un ruolo decisivo nella produzione e messinscena di un’opera. Spesso il traduttore, una volta consegnata la traduzione al regista, viene allontanato e non ha la possibilità di apportare delle modifiche seguendo l’andamento delle prove e le necessità degli attori e della scena.8

4 A. Artaud, Il teatro e il suo doppio e altri scritti, Torino, Einaudi, 1968, p. 158.

5 R. W. Corrigan, Translating for Actors. The Craft and Context of Translation, a cura di W. Arrowsmith, R. Shattuck,

Austin, University of Texas Press, 1961, pp. 95-106.

6 L. Avirović, La traduzione teatrale come hortus conclusus e il rapporto con la scena, “Rivista internazionale di tecnica

della traduzione”, SSLM, Università di Trieste, 1992, p. 100, PDF e-book. Disponibile al link: https://www.openstarts.units.it/bitstream/10077/8911/1/RITT-00-LAvirovic.pdf (Data di ultima consultazione: 18-09-19).

7 S. Bassnett, Translating for the Theatre: The Case against Performability, “Traduction Terminologie Redaction”, vol.

4, n.1, 1991, p. 99.

8 Altre volte il regista decide di fare da solo la traduzione, copiando da traduzioni già esistenti, se vi sono, oppure da altri

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3

I traduttori sono raramente presenti alla prima prova di lettura e non vengono nemmeno consultati prima di cambiamenti sostanziali alla traduzione, sebbene fatti per necessità di regia o di dicibilità della battuta, e spesso ciò risulta in errori di interpretazione e inconsistenze nella rappresentazione finale.9

Il principale motivo che spinge i registi a diventare traduttori improvvisati o a modificare le traduzioni che vengono loro consegnate, è il fatto che la lingua delle traduzioni “accademiche” risulti spesso stagnante, stilizzata e poco realistica, non essendo pensata per la performance ma solo per la “carta”. Va da sé che se il traduttore non può assistere alle prove, l’unico testo che ha a disposizione è quello drammaturgico e la traduzione risulterà inevitabilmente statica; a quel punto verrà modificata dal regista dando così via a un circolo vizioso.

Lavorare sia sul testo drammatico che su quello spettacolare, possibilmente accedendo alle note di regia, permette di ottenere una visione d’insieme. Inoltre, assistere alla performance o al testo spettacolare da essa estratto, permetterebbe di accedere ai deittici e al lessico gestuale che sono di grande aiuto nella risoluzione delle ambiguità e per completare quello che nel solo Testo Drammatico non si vede. Per questo motivo, si ritiene che escludere il traduttore dall’itinere delle prove sia un errore in quanto è il solo che ha la conoscenza e la comprensione totale della cultura e del testo di partenza, della letteratura dell’autore ed è l’unico qualificato a suggerire cosa cambiare e adattare per la scena, ovviamente in collaborazione con il resto della compagnia.10 La traduzione dovrebbe essere revisionata durante le prove e adattata in corso d’opera, creando un programma in più fasi.

In base a queste considerazioni, si percepisce che la condizione ideale per un traduttore teatrale sia quella di lavorare a stretto contatto con un regista e la sua compagnia in modo da creare una traduzione per la messinscena che diventi così un’opera complessiva a quattro/cento mani in cui sono tutti coinvolti, dai direttori di scena ai fonici, dal regista agli attori. La collaborazione è infatti l’unico modo concreto per rendere la natura duale del testo teatrale. Anche la Bassnett sostiene che i migliori esempi di traduzione teatrale siano proprio quelli derivati da collaborazioni tra registi e traduttori.11 Infatti, rispetto ad altri generi narrativi in cui il traduttore deve rimanere invisibile, quello teatrale incarna anche i ruoli di sceneggiatore, autore, regista e dovrebbe performare con il palco, tuttavia ciò si verifica raramente. Secondo Zatlin, il traduttore teatrale dovrebbe lavorare almeno come consulente presso la compagnia fornendo dettagli importanti per una corretta rappresentazione; la traduzione dovrebbe infatti amplificare le potenzialità performative del testo originale e non limitarle.12

9 Bisognerebbe fare un ulteriore accenno alla situazione delle royalties: il traduttore o non ne percepisce affatto, in quanto

la sua traduzione è stata drasticamente modificata, oppure ne percepisce solo una parte irrisoria.

10 O. Zuber, The Languages of Theatre: Problems in the Translation and Transposition of Drama, London, Pergamon,

1980, p. 93.

11 S. Bassnett, Translating for the Theatre cit., p. 91.

(11)

4

L’intento di questo progetto sperimentale è stato proprio quello di sviluppare un nuovo modus operandi che unisca le competenze attoriali e sceniche del regista a quelle linguistiche e filologiche del traduttore, che è anche mediatore culturale. La traduzione presente in questo elaborato è volta appositamente alla messinscena e, ai fini di questo esperimento, ho curato ogni passaggio, dalla ricerca di una compagnia fino alla sua effettiva realizzazione scenica.

Per fare ciò, si sono seguiti i principi esposti da Dave Brandl, un drammaturgo e teorico teatrale americano, che ha teorizzato quattro nuovi elementi alla base del teatro contemporaneo: 13

1. Stage-ability (adattabilità del testo alla scena): il drammaturgo deve considerare le condizioni del mercato teatrale in cui si muove, la possibilità della messinscena di un nuovo autore, trovare uno spazio nei teatri e avere una disponibilità economica.

2. Markeatability (commercializzazione): la possibilità e le condizioni di mercato per pubblicare il testo e la sua riproduzione da parte di una compagnia.

3. Target audience (il pubblico d’arrivo): la finalità del testo, a chi è destinato, se a un pubblico generalista o tradizionalista, giovane o anziano, e quindi capire dove proporlo.

4. Script presentation (presentazione del testo): una buona ed efficace impaginazione è fondamentale per essere convincenti al momento della presentazione del progetto alle compagnie.

Anche Zatlin si è occupata del ruolo del marketing nell’industria teatrale: essendo il teatro ormai difficile da vendere, spesso c’è bisogno di un autore o un adattatore famoso che richiami il pubblico e i traduttori vengono “sfruttati” solo per una prima bozza che viene poi sviluppata, spesso in modo erroneo, dall’adattatore.14 Sharon Carnicke racconta a Zatlin, che ha raccolto tramite un questionario le testimonianze di vari traduttori teatrali, di quando le hanno tolto la traduzione di una pièce russa contemporanea per affidarla a un adattatore russo che avrebbe richiamato più pubblico, non percependo ovviamente alcun tipo di royalties.15 La Carnicke ha quindi voluto leggere l’adattamento

13 Gli elementi classici del teatro a cui questi punti si vanno ad aggiungere sono quelli delineati nella Poetica di Aristotele,

ossia i sei elementi compositivi che sono: 1. Azione/intreccio (insieme delle azioni che coinvolgono i personaggi nello sviluppo di una o più situazioni al fine di raggiungere determinati obiettivi) 2. Caratteri/personaggi (le dramatis personae) 3. Tema/Idea (l’astrazione intellettuale che sovrasta la pièce) 4. Linguaggio (il livello comunicativo fondamentale attraverso il quale i personaggi agiscono, creato in base alle due forme principali del dialogo e del monologo) 5. Musica (tappeto sonoro della rappresentazione) 6. Spettacolo (ciò che serve per la scenografia).

14 P. Zatlin, op. cit., p. 26.

15 Solitamente, quando al traduttore sono concessi dei diritti sullo spettacolo, la partizione è la seguente: 60% all’autore

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5

in cui ha poi riscontrato una forte mancanza di sensibilità nei confronti della CP e delle conseguenti inconsistenze culturali.

2. ELEMENTI TECNICI DEL TESTO TEATRALE

Prima di addentrarci nelle problematiche e nelle strategie traduttive di questo genere testuale, è bene analizzare i suoi elementi cardine. Il testo drammaturgico va infatti considerato come intrinsecamente incompleto in quanto si realizza a pieno solo nel momento della performance in cui si attivano i deittici, quali la mimica e la gestualità, e gli altri elementi extralinguistici.16

Secondo Levy, il testo teatrale si basa su due premesse, ovvero l’integrità del testo scritto e della performance e la comprensione che la lingua teatrale sia l’incontro tra elementi linguistici ed extralinguistici e quindi non separabile dalla performance. È importante considerare le sottigliezze paralinguistiche (intonazione, ritmo, timbro) e cinetiche (gesti e movimenti creati dagli attori per perfezionare il personaggio) prima di procedere con la traduzione. 17

2.1. Tipologie di battute e indicazioni sceniche

Il testo teatrale, data la sua natura duale, non è composto solo da monologhi e dialoghi, ma si basa in particolar modo sugli elementi extra e para-linguistici come silenzi, didascalie, indicazioni sceniche, e così via. A seguire, una breve analisi degli elementi essenziali del testo drammaturgico:

• Didascalie: le indicazioni fornite dal drammaturgo o dal regista riguardanti gli elementi verbali (atti paralinguistici come ritmo, tono della voce e uso delle pause) e non verbali della pièce. Ad esempio, forniscono informazioni sull’ambientazione della vicenda (luogo, epoca), sulla scenografia (oggetti, arredi, luci, suoni), sull’organizzazione delle distanze fra i soggetti (aptica) e degli elementi spaziali e temporali (prossemica e cronemica), sulla posizione dell’attore (entrata e uscita di scena, per esempio), le modalità di recitazione sul palco (mimica e gestualità, atteggiamento, ossia la cinesica) e infine sullo svolgimento delle vicende (legame logico tra le scene ed eventuali salti temporali). Le didascalie fanno parte di tutti quei segni sovra-segmentali necessari agli attori e al regista per comprendere al meglio la scena e vanno quindi tradotte letteralmente; solo il regista può modificarle al momento dell’adattamento. Si scrivono in corsivo e tra parentesi, se inserite prima, dopo o nel corpo della battuta. Le

16 S. Bassnett, Translating for the Theatre cit., p. 99.

17 J. Levy, Umění překladu, 1963, cit. in I. Odrekhivska, Anti-illusionist Trend in Drama: Re- Framing Jiri Levy’s Concept, “Mutatis Mutandis”, vol. 9, n.2, 2016, p. 250. Disponibile al link:

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6

didascalie più lunghe e descrittive si trovano invece all’inizio o alla fine della scena, in grassetto.

Nel teatro contemporaneo le didascalie spesso assumono peso narrativo e sono uno strumento importante nel veicolare il pensiero e la weltanschauung dell’autore, rappresentando quindi un elemento da tenere in alta considerazione al momento della traduzione.

• Scambi di battute (o dialoghi): Rappresentano il carattere attivo della parola teatrale, veicolando la catena di azioni e dando informazioni. Sono atti linguistici di diverse categorie: diegetici, quando riportano ciò che avviene fuori dalla scena, o, ad esempio, mimetici o funzionali allo scambio verbale e all’evolversi del contesto comunicativo in cui si trovano i personaggi. Se si vuole enfatizzare un concetto ci sono degli espedienti grafici come la spaziatura, la sottolineatura, il corsivo o il maiuscolo (se per esempio bisogna segnalare un aumento del tono di voce). Inoltre, la composizione delle battute è una parte fondamentale del ritmo della pièce: se sono lunghe, l’attenzione si focalizzerà sul personaggio e l’azione è rallentata; viceversa, il ritmo sarà più veloce e pressante e si presterà meno attenzione al singolo personaggio per focalizzarsi sullo scambio dialogico in sé.

• A parte: è un tipo di battuta pronunciata da un personaggio in scena tra sé e sé quando gli altri personaggi non possono sentirlo. Spesso c’è un cambio di atteggiamento che rivela le vere intenzioni o idee del personaggio, solitamente segnalato da una didascalia inserita direttamente nel corpo della battuta.

• Monologo: il personaggio commenta un’azione o informa il pubblico o altri personaggi su determinati fatti e considerazioni, racconta i suoi pensieri, sentimenti o ricordi. È paragonabile a una pausa d’introspezione, una riflessione critica in cui si riescono a capire determinati tratti caratteriali del personaggio. È uno dei principali elementi drammatici insieme ai dialoghi. • Soliloquio: è simile al monologo ma il personaggio è solo in scena ed espone le sue idee e i

suoi pensieri direttamente al pubblico.

2.2. Gli elementi stilistici

Gli elementi che riguardano lo stile di scrittura sono invece registro, tono e lessico, ovvero chi parla, quale lingua usa, quale varietà linguistica, quando parla e a proposito di cosa e con chi, con quale stile e scopo, in quale contesto e situazione.

• Registro/i: si intende sia il registro dell’opera che quello specifico utilizzato da ogni singolo personaggio. Quello generale può essere aulico, colto, gergale, formale, medio, colloquiale, popolare, familiare o informale. Al suo interno devono essere considerate anche le variabili diatopiche (variazioni fonologiche, lessicali o sintattiche in base all’area geografica di

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7

provenienza del personaggio), diastratiche (pronunce, apparati morfologici, sintassi e vocabolario di base variano in base alla diversa situazione sociale e al livello d’istruzione del parlante), diafasiche (in base alla situazione comunicativa, come ad esempio una conversazione tra amici, una conferenza o una lettera ufficiale) e diamesiche (il mezzo tramite cui avviene l’interazione, ad esempio parlato, scritto, conversazioni a distanza o di persona). Per quanto riguarda quello specifico, ogni personaggio avrà un suo determinato modo di parlare in base all’estrazione sociale o alla sua professione. Il drammaturgo infatti caratterizza i personaggi anche dal loro modo di parlare, ad esempio se un personaggio matura nel corso della pièce anche il suo linguaggio cambierà. Se un personaggio presenta un idioletto composto da frasi sintetiche, frammentate, omissioni di particelle sintattiche, tale modo di esprimersi dovrebbe essere recuperato in traduzione, onde evitare una conseguente perdita del livello di elaborazione del TA.

• Tono: grave o leggero, serio o comico, ironico o di denuncia. Il tono dell’opera va interiorizzato e trasposto in traduzione.

2.3. Il ritmo e i silenzi

Un altro elemento essenziale è il ritmo, che è la prima fonte di energia in teatro. La rottura di uno schema ritmico è utile anche per la drammatizzazione di un evento o per lo spostamento dell’enfasi. All’interno di questo schema un ruolo fondamentale è svolto anche da punteggiatura, pause e silenzi. • Ritmo: ogni testo ha un proprio ritmo, dato dalla disposizione delle battute, delle pause, dei silenzi come se il testo fosse una “partitura musicale”, la cosiddetta “cesellatura delle parole” di Čechov.18 È auspicabile non rimanere troppo fedeli al TP e mantenere la fluidità della lingua orale anche nel TA. Gli elementi che bisogna tenere in considerazione per la traduzione della resa ritmica della battuta sono, ad esempio, se le battute superano o meno il rigo, se i personaggi vengono interrotti o si sovrappongono, se ci sono molte ripetizioni, una sintassi frammentata ed elementare con molte interiezioni, sospensioni o imprecisioni, se alcune parti del discorso, come gli avverbi, spengono il ritmo, e così via.

• La punteggiatura: come affermato in precedenza, la punteggiatura è parte integrante nella costruzione di uno schema ritmico e può indicare slanci emotivi o l’interruzione

18 Nel teatro di Čechov il senso è scandito proprio dal ritmo, dalla costruzione delle battute, dalla punteggiatura e dal non

detto. I dialoghi sono cesellati, franti e disposti come in una sinfonia. Ogni atto presenta una costruzione musicale fatta di pause e una punteggiatura che porta a un nuovo slancio recitativo contrassegnato da cambi repentini di pensiero o da una sospensione del senso.

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dello stesso. È bene analizzare singolarmente la funzione dei singoli segni d’interpunzione all’interno di un testo teatrale.

La virgola indica le micro pause che un attore dovrebbe fare e che il drammaturgo esplicita per vederle trasferite in scena; i puntini di sospensione rappresentano un tono sospeso, un discorso lasciato a metà, reticenza, imbarazzo, sottinteso allusivo, emozione o semplicemente un’omissione o una piccola esitazione. Spesso in questi casi l’attore ha un cambio di direzione del pensiero. Il punto può definire un cambio di pensiero o la fine del discorso, creando a volte anche una sospensione del senso.

• I silenzi: anch’essi parte dello schema ritmico, enfatizzano una battuta o un momento preciso. Per alcuni attori e/o pièce il silenzio è portatore di significato e ve ne sono di tre tipi: ellissi, pause (un ponte tra una battuta e quella successiva che a volte risulta essere un vuoto allarmante) e il silenzio vero e proprio (si raggiunge un punto morto, il confronto è ormai giunto al termine, non c’è più nulla da dire finché gli animi si saranno placati o succede qualcosa di nuovo). Ad esempio, Čechov usa molte pause a fine o a metà battuta in quei casi in cui il personaggio non vuole rivelare qualcosa o non è in grado di esprimere i suoi pensieri ad alta voce.

3. PROBLEMATICHE DELLA TRADUZIONE TEATRALE

La Traduzione Spettacolare, come si è potuto notare, è ben più complessa di quella Drammaturgica e per tale motivo ha delle problematiche specifiche. In particolare, la TS si sviluppa su tre livelli: una lettura silenziosa volta a un’analisi filologica (quella a cui si limita la traduzione teatrale per l’editoria), una lettura drammaturgica senza pubblico utile per analizzare gli elementi propri dello spazio scenico, e infine, la lettura spettacolare in presenza del pubblico. Serpieri analizza i comparti problematici da affrontare in traduzione:19

1. Filologico: scelta del testo, decisioni sulla punteggiatura, emendamenti e normalizzazioni; 2. Lessicale: prestare attenzione alle parole con doppia o tripla valenza semantica da riprodurre nel TA (pluri-isotopie testuali sia per quanto riguarda la singola frase che i periodi), a temi lessicali ricorrenti, metafore particolarmente innovative, unità culturali alla base di presupposizioni, illusioni, riferimenti, intersechi testuali e malapropismi.

19 A. Serpieri, Libertà e vincolo nella traduzione di Shakespeare: per una teoria della traduzione drammaturgica, cit. in

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3. Sintassi (riferita alla continuità delle scene): mantenere la complessità nella costruzione delle frasi del TP, la retorica non deve essere né più erudita né normalizzata rispetto al TP, prestando attenzione anche al ritmo e al metro scelto per il TA.

Oltre a questi problemi di carattere generale, vi sono dei punti che vanno trattati più nello specifico, ovvero la questione dell’adattamento del TP alla CA e i criteri di performability e speakability.

3.1. L’adattamento alla cultura ricevente

Uno dei primi problemi che il traduttore si trova ad affrontare è quello di comprendere quanto il testo da tradurre sia adatto per la cultura d’arrivo. Un testo teatrale viene solitamente scritto in funzione di un pubblico specifico e rielabora le situazioni di quel contesto letterario, sociale, morale, culturale, geografico e storico. Il linguaggio teatrale e la sua traduzione dovrà quindi adeguarsi ai valori e ai rapporti comunicativi della società in cui vive e opera. La comprensione dell’ambiente dell’autore, il suo pensiero e interpretazioni, la conoscenza linguistica del traduttore: tutto influisce sulla profondità di comprensione del testo e quindi sulla sua traduzione.

Il dubbio di adattare o meno il TP al TA è sempre presente in traduzione, tuttavia, i testi teatrali rappresentano una situazione più drammaturgica che testuale, che porta necessariamente a adattare il Testo Spettacolare di partenza allo spazio socioculturale in cui verrà rappresentato. Il transfer non riguarderà solo i codici testuali ma anche quelli gestuali. Il traduttore si ritrova a fare da mediatore interculturale tra la situazione originale del TP e la messinscena del TA e può adottare solo due possibili soluzioni: assimilare il testo alla cultura d’arrivo facendo una traduzione comunicativo naturalizzante oppure optare per una traduzione semantico estraniante, di tipo conservativo, conforme alla cultura di partenza. In realtà, si dovrebbero trovare delle soluzioni ibride tra TP e TA in modo da non snaturare il contesto di partenza e rendere fruibile l’opera anche a un pubblico straniero. Si tratta quindi più di una negoziazione che di scelte unilaterali.

La maggior parte dei traduttori e teorici del teatro concordano che la scelta di un approccio target oriented sia obbligata anche dalle dinamiche di mercato che si inseriscono nel processo traduttivo. La traduzione dovrà infatti attrarre il pubblico d’arrivo, rivolgendosi a esso come il TP faceva con il suo pubblico. Ciò vale anche per il regista e gli attori, i quali per poterla rappresentare devono avere chiara l’interpretazione del personaggio e delle scene.

Un altro aspetto da tenere in considerazione è dato dal fatto che il teatro è legato all’ hic et nunc e la traduzione deve perciò garantire una comprensione immediata tra scena e spettatore. Il lettore non può fermarsi a riflettere sui riferimenti culturali ignoti durante la rappresentazione poiché, a differenza dei testi letterari, non si possono inserire delle note esplicative. Zuber, infatti, afferma che

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il successo di “una pièce dipende dall’immediatezza dell’impatto sul pubblico”20 e gli spettatori dovrebbero cogliere subito il senso del dialogo. Adattare il TP alla CA risulta quindi necessario.

Nel caso si decida di adottare un approccio target oriented, Zatlin si domanda dove si dovrebbe ambientare l’azione teatrale, se nel paese di partenza o di arrivo, dato che luogo, tempo e stile saranno soggetti a cambiamenti a catena. Se si opta per un’attualizzazione del TP, bisognerà prestare particolare attenzione ai culturemi e a eliminare le stranezze del setting originale. In generale, se possibile, è meglio evitare riferimenti specifici all’epoca o all’ambientazione originale (luoghi, costumi tipici, eventi storici), inserendo l’opera in un contesto astratto e avulso dalle dinamiche di spazio-tempo.

I più frequenti adattamenti delle macrostrutture sono proprio quelli che riguardano le circostanze spazio-temporali dell’ambientazione e avvengono quando il TP è così legato al contesto culturale di partenza che una volta trasposto nella CA potrebbe perdere di efficacia e limitare la comprensione da parte del pubblico d’arrivo.21 Tuttavia, cambiamenti importanti al contesto socioculturale o allo spazio-tempo vanno esplicitati poiché:

Se la traduzione si allontana troppo dalla cultura di partenza, ciò potrebbe ridurre l’impatto della voce autoriale del drammaturgo e di conseguenza attenuare l’effetto drammatico nella sua totalità.22

Aaltonen suggerisce delle strategie di omologazione alla cultura ricevente a seconda della fama dell’autore del TP e l’interesse della CA per il TP/CP. Si preferirà un atteggiamento di riverenza nei casi in cui il panorama culturale d’origine possa essere d’ispirazione o vi è un interesse per la CA; oppure un atteggiamento di sovversione, adattando l’ambientazione in uno spazio-tempo il più vicino possibile al pubblico ricevente, facendo tuttavia attenzione a non travisare le intenzioni autoriali.23

A ciò si collega anche la teoria anti-illusionista di Levy, che si oppone a quella illusionista, paragonabile alla Traduzione Drammaturgica, caratterizzata da un forte adattamento verso i costumi della CP come a dare un’apparenza di realtà (illusionista=realistica) e quindi vicina e nascosta dietro al TP. Secondo questo approccio bisogna essere estremamente fedeli al testo di partenza e il traduttore sarà invisibile quanto gli attori dietro il personaggio che incarnano.24 La teoria anti-illusionista è

20 O. Zuber, op. cit., p. 92.

21 P. Ciccolella, Micro e macro adattamenti del testo drammatico. Riflessioni sulla traduzione del dialogo, “Rivista

Tradurre”, n. 5, primavera 2014. Disponibile al link: https://rivistatradurre.it/2014/04/macro-e-microadattamenti-del-testo-drammatico/ (Data di ultima consultazione 23.10.19).

22G. Anderman, Europe on Stage, Translation and Theatre, London, Oberon Books Ltd, 2005.

23 S. Aaltonen, Time-sharing on Stage. Drama Translation in Theatre and Society, Clevedon, Multilingual Matters, 2000, passim.

24 J. Levy, Umění překladu, 1963, trad. ing. di P. Corness, The Art of Translation, a cura di Z. Jettmarova, Amsterdam,

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invece consigliabile nei casi in cui il paese ricevente sia poco predisposto alle traduzioni teatrali e con limitate risorse di espressioni linguistiche nel passaggio tra TP a TA; quando c’è un’esposizione stilistico emotiva del traduttore o quando c’è una traduzione sperimentale in polemica col setting socioculturale di partenza o d’arrivo.25 Inoltre, l’approccio anti-illusionista porta ad alterazioni visibili del TP, come localizzazioni o attualizzazioni, e le modifiche avvengono su tre livelli: lavoro artistico (leitmotiv e tematiche da adattare al TA), linguaggio teatrale ed elementi legati alla CP.26 Per fare ciò è importante avere consapevolezza storico-culturale del sistema teatrale di partenza e arrivo, familiarità con le specifiche caratteristiche e stilistiche del linguaggio teatrale e sviluppare una resa coerente dei dialoghi. Tuttavia, ciò è possibile solo quando l’originale è già circolato nella CA e il pubblico è pronto ad accogliere una variante, come nel caso della versione sperimentale dell’Amleto di Brecht, che non sarebbe mai stata apprezzata senza la conoscenza pregressa dell’originale di Shakespeare.

Aaltonen non è pienamente in accordo con questa teoria che reputa essere:

una attività motivata dall’ego del traduttore, al limite tra traduzione e scrittura creativa in quanto distanzia il testo dal suo senso referenziale e introduce deliberatamente delle ambiguità e porta lo spettatore a pensare criticamente”.27

In conclusione, un piccolo accorgimento dovrebbe essere quello di vedere com’è considerato il teatro nella cultura d’arrivo, la visione estetica di quella determinata epoca, che ruolo occupa la traduzione teatrale e come viene accettata nei paesi riceventi, sia da parte del pubblico che dei produttori.28 Nel caso di culture con poca conoscenza teatrale, è altamente raccomandabile una localizzazione. In ogni caso, considerando il fatto che praticamente tutte le traduzioni devono essere adattate alla cultura d’arrivo, se il traduttore prendesse parte alla produzione ci sarebbe più tempo per le prove e meno per la revisione e le correzioni dell’ultimo minuto.

25 Questo è la tipologia di traduzione più utilizzata per le farse e le parodie. 26 I. Odrekhivska, op. cit., p. 259.

27 S. Aaltonen, op. cit., p. 48.

28 Zatlin ha creato un questionario in cui ha raccolto le risposte rilasciate da 36 traduttori teatrali, sceneggiatori e professori

teatrali provenienti da USA, Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna e Italia , i quali operano nelle seguenti lingue: spagnolo, francese, inglese, portoghese, catalano, tedesco, italiano, russo, ebreo, polacco, rumeno e svedese. Dalle risposte si evince che la Spagna è il paese più accogliente; in Gran Bretagna c’è una maggiore resistenza e tendono a concentrarsi su produzioni proprie; In USA tendono a rigettare il teatro spagnolo ma sono più favorevoli a testi di autori latinoamericani, se sono famosi, se invece l’autore è sconosciuto rischia di non avere pubblico; in Francia c’è una totale indifferenza nei confronti del teatro contemporaneo; in Germania sono aperti verso la produzione teatrale inglese ma chiusi nei confronti di quella francese, spagnola e dei latinos, ad eccezione di Cuba per motivi politici; l’Italia si sta lentamente aprendo verso il teatro contemporaneo grazie a festival come Tramedautore ma la stragrande maggioranza della produzione teatrale è incentrata sui classici nostrani e inglesi. P. Zatlin, op. cit., p. 24.

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3.2. Speakability e Performabilty

Segue in questo paragrafo la spiegazione dei due criteri principali da seguire per comprendere a cosa dovrebbe tendere il lavoro di un traduttore teatrale orientato alla messinscena.

3.2.1. Speakability. Tradurre la parola viva

Una delle principali difficoltà nella traduzione di un testo teatrale riguarda la speakability, ovvero la dicibilità delle battute. Tradurre il teatro è infatti molto diverso dal tradurre per il teatro in quanto la comunicazione teatrale ha una natura prettamente orale. A differenza della traduzione per l’editoria, il dialogo prevale sulla narrazione e il TA deve quindi restituire la spontaneità della LP in traduzione. Potrebbe dunque essere necessaria una storicizzazione e contestualizzazione dei codici e delle convenzioni dell’oralità.29

Le battute in teatro sono intrinsecamente collegate alla mimica degli attori e ai deittici e ogni messaggio deve essere considerato in stretta relazione con lo spazio scenico circostante. Inoltre, i singoli personaggi sono dotati e caratterizzati da un idioletto, definito da Levy come la “personalità verbale dell’attore”, che in traduzione deve sentirsi anche a livello fonico.30 Per esempio, un personaggio può parlare seguendo il linguaggio standard mentre un altro, magari appartenente a una classe sociale inferiore, potrebbe adottare un idioletto di natura gergale.

Le prove di lettura fatte dagli attori aiutano a rendere viva la traduzione e ad accorgersi se sono necessarie delle modifiche come, ad esempio, se l’uso della punteggiatura è corretto, se gli enunciati sono troppo brevi o troppo lunghi, se ci sono pause forzate, ovvero si analizza la dicibilità e la recitabilità della traduzione.

Un grande sostenitore di questo metodo è Corrigan, secondo cui il destinatario finale della traduzione deve essere proprio l’attore, con cui auspica una vivace collaborazione, in quanto possono essere di grande aiuto al traduttore per rendere il testo più recitabile. In Translating for Actors Corrigan fa delle riflessioni a mio avviso fondamentali sulla questione appena trattata, cito:

It is only when the sense of speakability is achieved that we have theater. I am sure that this is one of the things Hamlet meant when he advised the players: ‘Speak the speech, I pray you. . . . trippingly on the tongue.’ To achieve this I think translators fail to use an important source – namely, the actors themselves. I have directed all of my translations of Chekhov and time and time again the actors have made or suggested changes that have

improved the translation a great deal. First, two examples of minor changes made by actors which didn’t do

much more than improve the flow of the words. Originally, I had ‘It is too stifling.’ The actor changed it to ‘The day is too hot.’ Or changing ‘will they remember us in a kindly spirit?’ to ‘will they remember us with grateful hearts?’ But actors can also make changes that alter the whole dynamic of a scene. […].

29 C. Segre, Teatro e Romanzo, Torino, Einaudi,1984, pp. 103-118. 30 J. Levy, op.cit., passim.

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Poco dopo rimarca la sua posizione con questo esempio:

Then on night she took the speech her way and the whole scene came to life; we achieved what we wanted. It was only afterwards that I realized she had changed one of the lines and it was this change that made the speech and hence the rest of the scene dramatic. Originally, the line read, ‘Oh, I’m so miserable! I can’t work, I won’t work! I’ve had enough of it, enough!’ The actress changed it to: ‘I’m miserable (pause). I’ve had enough, enough, enough. I can’t, I won’t, I will not work,’ and in this way she got a structure that could be vocally built. Obviously, I am not suggesting that irresponsible changes be made or changes that alter the meaning of a speech. But an

actor – in having to say the line – may be of great service to the translator in making the text more actable.31

Dalle sue considerazioni si comprende che a volte il testo verbale può dover essere reso coerente tramite elementi non verbali, che si attivano durante la performance, o in questo caso durante la messa in voce, e di fronte a delle modifiche riguardanti, ad esempio, il tempo necessario per la pronuncia di una battuta, l’attore sceglierà sempre la forma più dicibile.

Gabriele Lauria, attore e traduttore teatrale, in un’intervista racconta infatti che:

[…] la traduzione non si esaurisce nelle parole ma ha a che fare con la comunicazione: un sentimento, uno stato d’animo che deve essere trasferito […]: in teatro [la parola] è sempre fisica, corporea e carnale.32

Anche Pirandello sosteneva che il drammaturgo, o in questo caso il traduttore, dovesse trovare:

[…] la parola che sia l’azione stessa parlata, la parola viva che muova l’espressione immediata, connaturata con l’atto, l’espressione unica, che non può che essere quella, propria cioè a quel dato personaggio in quella data situazione, parole, espressioni che non si inventano, ma che nascono quando l’autore si sia veramente immedesimato con la sua creatura fino a sentirla com’essa si sente, a volerla com’essa si vuole.33

31 R. W. Corrigan, op. cit, p. 104. Questi passaggi sono stati volutamente lasciati in inglese poiché è importante

comprendere le modifiche effettuate dagli attori direttamente sul testo originale. Riporto di seguito una traduzione di servizio dei due estratti: [Si può parlare di teatro solo nel momento in cui il senso di dicibilità sia rispettato. Sono assolutamente sicuro che Amleto intendesse qualcosa del genere quando suggerì agli attori: “Vi prego, recita il monologo, … agilmente, con la lingua sciolta”. Per ottenere ciò credo che i traduttori non tengano abbastanza conto di una fonte importantissima, gli attori stessi. Ho diretto tutte le mie traduzioni di Čechov e di volta in volta gli attori hanno apportato o suggerito dei cambiamenti che hanno migliorato di molto la traduzione. Per prima cosa, riporto due esempi di cambiamenti minori fatti dagli attori che hanno semplicemente aiutato a migliorare il flusso delle parole. All’inizio avevo tradotto con “si soffoca” e l’attore lo ha modificato in “Fa troppo caldo”. O per esempio cambiando “ci ricorderanno di buon cuore?” in “ci ricorderanno coi cuori colmi di gioia?”. Ma gli attori possono anche fare dei cambiamenti che alterano l’intera dinamica della scena] e [Un giorno pronunciò il discorso a modo suo e la scena prese vita, avevamo ottenuto quello che volevamo. Realizzai solo in seguito che aveva cambiato uno dei versi e che era stato proprio questo cambiamento che aveva reso questo monologo e quindi il resto della scena drammatica. Prima il verso suonava: “oh, sono così triste! Non riesco a lavorare, non lavorerò! Ne ho avuto abbastanza, basta!”. L’attrice lo aveva modificato in questo modo: “Sono così triste (pausa). Basta così, basta, basta! Non posso, non voglio e non lavorerò”, ottenendo in tal modo una struttura su cui si poteva costruire una voce. Ovviamente, non sto suggerendo di fare delle modifiche irresponsabili o che possano alterare il senso del discorso, ma un attore, quando deve recitare un verso, può essere di grande aiuto per il traduttore nel rendere il testo più recitabile].

32 G. Greco, In teatro il verbo si fa carne, “Rivista tradurre”, n. 5, autunno 2013. L’intervista al traduttore teatrale

Gabriele Lauria condotta da Giovanni Greco è disponibile al seguente link: https://rivistatradurre.it/2013/11/in-teatro-il-verbo-si-fa-carne/ (Data di ultima consultazione: 04/03/2020).

33 L. Pirandello, cit. in G. Baselica, Metodo Stanislavskij con dizionari, “Rivista tradurre”, n.5, autunno 2013. Disponibile

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Ad esempio, Shakespeare scriveva per degli attori specifici in modo che la vitalità fosse assicurata. Inoltre, bisognerebbe semplificare al massimo i dialoghi, evitando elementi arcaici, strutture sintattiche e gruppi consonantici complessi, parole rare, così da non limitarne l’efficacia sul palco. La lingua deve essere viva ed espressiva poiché se i dialoghi non rendono o sono letterari “gli attori si impacciano, la lingua si torce e stride”.34 Alcuni degli errori più diffusi che rendono la lingua statica sono, ad esempio, l’estrema fedeltà al TP o la mancanza di espressioni idiomatiche vive.

Riassumendo, per tradurre la parola teatrale, bisogna diventare più sensibili all’idiosincrasia dei due linguaggi, al loro ritmo intrinseco, ai pattern e agli accenti, essendo esso un testo parlato.35 Ogni cosa deve essere dicibile e mentre si traduce si dovrebbe sentire la voce dell’attore che recita le battute tradotte, essere consapevoli dei gesti che accompagnano la battuta, il ritmo, la cadenza e l’intervallo tra le battute. Quindi per tradurre il teatro è necessario avere sia una competenza linguistica che delle abilità di scrittura scenica e una minima esperienza teatrale, almeno come spettatori. Le traduzioni dovrebbero brillare da sole, tanto quanto il testo originale.

3.2.2. Performability

Un’ulteriore problematica riguarda l’effettiva recitabilità sulla scena dei testi tradotti. Per poter essere preformabili le traduzioni teatrali dovrebbero infatti rispondere, oltre che al criterio di Speakability, anche a quello di Performability. Il termine Performability venne utilizzato per la prima volta nel XX secolo dal teatro naturalista, che sviluppò il concetto di copione e delle indicazioni teatrali, ed è anch’esso collegato al dibattito tra Testo e Performance.36 Negli anni Novanta nacquero due teorie contrastanti: la Performability di Pavis, che vede la Performance superiore al testo, e la Readability della Bassnett, secondo cui il Testo scritto è superiore alla messinscena. Tuttavia, come analizzato sia da Pavis sia dal suo precursore Levy, in teatro Testo e Performance sono inscindibili. La spiegazione ci viene fornita da Tadeusz Kowzan37, un esponente della Scuola di Praga, che ha enucleato i cinque sistemi segnici alla base del teatro, analizzabili in base alle variabili spazio-temporali e alla loro interiorità o esteriorità rispetto all’attore. I sistemi sono così partizionati:

34 L. Scarlini, La parola dinamica, “Rivista tradurre”, n. 5, autunno 2013. Disponibile al link:

https://rivistatradurre.it/2013/11/la-parola-dinamica/ (Data di ultima consultazione: 04/03/2020).

35 R. Hite cit. in. P. Zatlin, op. cit., p. 2.

36 S. Bassnett, Translating for the Theatre cit., pp. 102-103.

37 T. Kowzan cit. in E. Nikolarea, Performability versus Readability: A Historical Overview of a Theatrical Polarization in Theatre Translation, “Translation Journal”, vol. 6, n. 4, Ottobre 2002. Disponibile al link: https://translationjournal.net/journal/22theater.htm (Data di ultima consultazione: 10/03/2020).

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1. AUDITIVI: i segni del testo parlato recitato dall’attore e presenti solo nel tempo (parole e tono della voce);

2. VISIVI: l’espressività interna al corpo dell’attore, sia nello spazio che nel tempo (mimica, gestualità e movimento);

3. VISIVI: la gestualità e le caratteristiche fisiche dell’attore, sono segni interni all’attore ma solo spaziali.

4. VISIVI: l’aspetto della scena, sono segni esterni all’attore, al tempo e allo spazio (oggetti di scena, scenografia e luci);

5. AUDITIVI: i suoni inarticolati, esterni all’attore ma interni al tempo (musica ed effetti sonori). Da ciò si evince che il teatro è un insieme di sistemi eterogenei interdipendenti in cui nessuno è superiore agli altri. Il testo teatrale non è chiuso ma fa parte di un sistema dinamico che interagisce con gli altri elementi della performance ed è proprio da questa sovrapposizione di piani che deriva la complessità e la multimedialità del teatro, la cui traduzione implica più di una tipologia traduttiva (interlinguistica, intratestuale, meta-testuale e intersemiotica). La traduzione teatrale è come una partitura musicale in cui il suo potenziale totale viene dato dall’insieme di tutti gli strumenti e non da quello delle singole note. Tutti i sistemi semiotici devono essere considerati come sovrapposti. La Traduzione Spettacolare avviene quindi in due fasi: il processo di traduzione dalla LP alla LA e, a seguire, il processo di trasposizione del testo tradotto sul palco. Anche Susan Bassnett negli anni Ottanta sostenne che il potenziale del testo teatrale si realizzi solo al momento della performance in quanto al suo interno vi sono delle caratteristiche, definite come coded gestural patterning (modello gestuale codificato), che lo rendono performabile.38 Il compito del traduttore teatrale è proprio quello di “considerare le funzioni del testo come un elemento per e della performance”39. Bisogna analizzare come la deissi opera nella LP e LA per capire quali unità debbano essere preservate nel TA e cosa provoca la loro presenza/assenza alla dinamica della scena. Infatti, non è solo la loro presenza ad essere importante ma la loro funzione nel testo. Tuttavia, in seguito la Bassnett accusò i traduttori di utilizzare la Performability come giustificazione per i cambiamenti linguistici da loro effettuati sul TP. 40 La Bassnett decise quindi di optare per un approccio logo-centrico, considerando il criterio di Readability come superiore.41

38 S. Bassnett, Translating for the Theatre cit., p. 132. 39 Ibidem.

40 S. Bassnett, Ways through the Labyrinth: Strategies and Methods for Translating Theatre Texts. In the Manipulation of Literature, a cura di T. Hermans, London, Crom Helm e New York, St Martin’s, 1985, pp. 90- 102.

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Contrariamente, Pavis ha sempre sostenuto l’importanza della Performability e nella sua teoria afferma che la traduzione teatrale debba svilupparsi attraverso una serie di concretizzazioni, ovvero di trasformazioni del testo teatrale volte a perfezionare la traduzione per la performance.42 La teoria di Pavis può essere riassunta nel seguente modo:

1. Il primo passo è il T0 43, ovvero il testo di partenza che rappresenta “l’interpretazione della realtà dell’autore”.44

2. Il T1 invece dipenderà dalla situazione iniziale e virtuale dell’enunciazione del T0, ossia dal contesto di partenza e dal pubblico futuro a cui arriveranno le successive versioni del T3 o T4. In questo passaggio il traduttore è contemporaneamente lettore e drammaturgo e fa delle scelte tra le molteplici possibilità di traduzione e interpretazione delle indicazioni testuali.

3. Il T2 consiste nell’analisi drammaturgica con conseguente lettura coerente della trama, degli elementi linguistici ed extralinguistici e infine delle indicazioni spazio-temporali presenti nel testo e nelle direttive di scena. Questo è il processo di concretizzazione che il drammaturgo svolge direttamente sul testo.

4. Il T3 è la prova del testo tradotto sul palco e permette di concretizzare il T1 e il T2 in base all’enunciazione della messinscena.

5. Il T4 rappresenta la concretizzazione in scena del T3 che entra finalmente in relazione con tutti i segni testuali e teatrali. Questo è il testo che verrà mostrato direttamente allo spettatore della CA.

Ad ogni modo, il concetto di Performability è in costante evoluzione in quanto cambia in base allo sviluppo di tecniche attoriali, spazio scenico, ruolo pubblico, concetto teatrale di riferimento e contesto nazionale. Ogni lemma scelto in traduzione viene infatti sottoposto alla tournée e alla reazione del pubblico. Il verbo diventa opera collettiva, aperta, stratificata e non esiste una traduzione finita per testi teatrali. Il traduttore teatrale dovrebbe rassegnarsi e farsi ispirare dalle parole di Beckett:

42 P. Pavis, Problems of Translation for the Stage: Interculturalism and Post-modern Theatre, in H. Scolnicov and P.

Holland, The Play out of Context. Transferring Plays from Culture to Culture, Cambridge, Cambridge University Press, 1989, pp. 28-29.

43 Dove per T si intende il testo scritto della traduzione. 44 J. Levy, cit. in P. Pavis, op. cit., pp. 23-43.

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Ever tried. Ever failed. No matter. Try again. Fail again. Fail better.45

4. STRATEGIE E CONSIGLI TRADUTTIVI

In tutti i manuali da me consultati ai fini di una buona traduzione spettacolare si consiglia sempre al traduttore di diventare pratico di teatro e regia così da comprendere a pieno le problematiche della scena. Inoltre, la collaborazione tra regista, autore e traduttore, come si dimostrerà in questa trattazione, è fondamentale per una buona riuscita della traduzione drammaturgica.

In questa sezione vi sono una serie di consigli traduttivi raccolti nel corso dei miei studi sulla traduzione teatrale:

• Cerca le traduzioni precedenti, se vi sono, e scegli la versione più appropriata per le aspettative del pubblico ricevente;

• Cerca le regole sul diritto d’autore;

• L’approccio traduttivo dipende anche dal genere di teatro che si sta traducendo, ad esempio per il teatro minimalista è meglio evitare ridondanze;

• Utilizzare la terminologia specifica del teatro;

• Attenzione alla traduzione dei nomi nelle dramatis personae in base all’ambientazione stabilita. È preferibile evitare nomi che presentano problemi di pronuncia. Nel caso di possibili nomi parlanti, considera se tradurne o meno i significati.

Per quanto riguarda le strategie da utilizzare nell’analisi del testo da tradurre si consiglia di:

• Effettuare un’analisi del contesto per capire il tono, il registro, il ritmo generale dell’opera, le parole chiave del testo e dei singoli personaggi; ovvero gli elementi base del testo teatrale analizzati in precedenza;

• Effettuare un’analisi delle battute di ogni singolo personaggio per capirne meglio la natura. Ad esempio, se le battute di un personaggio iniziano sempre con degli avversativi, allora molto probabilmente tenderà ad avere una natura oppositiva. Parallelamente, bisogna notare se i suoi dialoghi iniziano spesso con congiunzioni, vocativi, in che punto della battuta e con che frequenza, se il personaggio fa più domande o esclamazioni. Ognuna di queste caratteristiche ci darà delle informazioni specifiche sul carattere e atteggiamento del

45 Cit. da S. Beckett, Worstward ho!, New York, Grove Pr, 1984. Esiste anche una traduzione italiana a cura di R. Mussapi, Compagnia e Worstward ho!, Jaca Book, Milano, 1986. Essendo un’opera minore non è facilmente reperibile, lascio qui

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personaggio. Sulla base di queste informazioni si può creare una scheda che sarà utile al momento della traduzione;

• Decostruire il testo analizzando le battute di ogni personaggio in successione cronologica. Valutare quindi la presenza di una macroevoluzione, come il personaggio si muove nel testo rispetto al suo macro-tema e, infine, il tono e il registro utilizzato in rapporto agli altri personaggi. Come ci viene suggerito da Cicolella, questo passaggio è importante poiché

talvolta il traduttore viene influenzato dalle battute successive e anticipa così il senso che nel dialogo originale viene svelato solo in un secondo momento. A differenza di quella narrativa, la conversazione drammatica lascia molti spazi all’interpretazione del lettore […], alcuni enunciati contenuti nelle battute non sono completamente espliciti ma contengono dei sottintesi, delle allusioni che suggeriscono qualcosa senza dirlo, creando per così dire una temporanea sospensione del senso. […] I testi che si espongono maggiormente a questo genere di problemi sono le opere contemporanee costruite più sui non detti e sulle pause che su ciò che è veramente contenuto nelle battute. 46

Si comprende dunque che le incertezze e le ambiguità del testo originale vanno reiterate nel TA: l’anticipazione del senso o l’esplicitazione delle ambiguità sono alcuni tra gli errori più diffusi in traduzione teatrale, è meglio fare un passo indietro e lasciare la piena libertà di interpretazione allo spettatore.

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BIBLIOGRAFIA DEL CAPITOLO I

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• ANDERMAN G., Europe on stage, Translation and Theatre, London, Oberon Books Ltd, 2005;

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• AVIROVIĆ L., La traduzione teatrale come hortus conclusus e il rapporto con la scena, “Rivista internazionale di tecnica della traduzione”, SSLM, Università di Trieste, 1992, pp.

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• BASELICA G., Metodo Stanislavskij con dizionari, “Rivista tradurre”, n.5, autunno 2013.

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