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Norme e regole per la commercializzazione dell'olio di oliva : luci e ombre nelle dinamiche di mercato

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Academic year: 2021

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collanaPUBBLICAZIONI CONGIUNTURALI E RICERCHE MACROECONOMICHE. Quaderni

Norme e regole per la commercializzazio

N

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’olio di oliv

a

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NORME E REGOLE PER LA

COMMERCIALIZZAZIONE

dELL’OLIO dI OLIvA

Luci e ombre nelle dinamiche di mercato

a cura di Sabrina Giuca

Nell’ambito omogeneo “pubblicazioni congiunturali e ricerche macroeconomiche” ri-entrano le attività di studio dell’INEA finalizzate alla stesura di rapporti sull’andamento del sistema agroalimentare italiano, nonché approfondimenti di taglio settoriale, orien-tati sia all’analisi della struttura e della performance dei mercati, sia all’analisi del fun-zionamento delle filiere.

Oltre alle tradizionali analisi congiunturali che si sviluppano attraverso una consolidata attività periodica e che costituiscono la principale componente istituzionale delle attivi-tà svolte, trovano spazio monografie dedicate allo studio delle relazioni di tipo verticale e/o orizzontale che intercorrono fra i soggetti operanti all’interno delle diverse filiere produttive. La trasmissione del valore, la formazione del prezzo, lo sviluppo delle re-lazioni contrattuali, la regolamentazione settoriale e l’analisi dei diversi strumenti di supporto al mercato rappresentano temi di fondamentale importanza per comprendere come i nuovi scenari si ripercuoteranno sul sistema agricolo nazionale.

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INEA 2013

Norme e regole per la

commercializzazioNe

dell’olio di oliva

Luci e ombre neLLe dinamiche di mercato

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Atti del seminario di studi organizzato dall’INEA a Roma, il 28 febbraio 2013. Il seminario e gli atti sono stati realizzati nell’ambito del progetto “Piano Olivico-lo Oleario. Azione 9.1 - Analisi normative” finanziato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (DM n. 6417 del 30/12/2010) e la cui responsabilità è affidata a Sabrina Giuca.

Il volume è stato curato da Sabrina Giuca Coordinamento editoriale: Benedetto Venuto Segreteria di redazione: Roberta Capretti

Impaginazione grafica: Ufficio Grafico INEA (Barone, Cesarini, Lapiana, Mannozzi) Si desidera ringraziare Maria Rosaria Pupo d’Andrea per i preziosi commenti al testo.

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Il sistema olivicolo-oleario italiano presenta aree vocate alla produ-zione di olio extravergine di alta qualità, con la possibilità di differenziare l’offerta grazie alla presenza sul territorio di numerose varietà autoctone e di prestigiosi oli DOP, IGP e biologici. Tuttavia, il settore è caratterizzato da realtà produttive diverse per grado di integrazione nella filiera, dimensione e approccio strategico al mercato e da oggettive difficoltà per gli olivicoltori che producono olio di qualità di raggiungere un adeguato livello di redditività. A fronte di ciò, oltre a interventi che agiscano sulle inefficienze strutturali, occorrono norme che assicurino trasparenza del mercato e correttezza nei confronti dei consumatori.

Qualità, innovazione del prodotto, promozione e comunicazione rappre-sentano importanti leve strategiche per lo sviluppo del settore: in tale con-testo, può cogliersi un binomio economia-diritto, oggetto di approfondimento e di analisi da portare all’attenzione di tutte le parti interessate, in quanto l’innovazione dei processi e dei prodotti del comparto olivicolo-oleario rinvia all’analisi economica mentre la regolazione di tutte le fasi ad essa connesse rinvia all’analisi giuridica.

In questo Quaderno, in cui si riportano gli atti del seminario organizza-to dall’INEA dal tiorganizza-tolo «Norme e regole per la commercializzazione dell’olio di oliva. Luci e ombre nelle dinamiche di mercato», viene svolta un’attenta analisi delle strategie di marketing per valorizzare la qualità del prodotto italiano e si approfondiscono specifiche questioni riguardanti l’interpretazio-ne e l’applicaziol’interpretazio-ne della normativa comunitaria e nazionale. Un’attenziol’interpretazio-ne particolare viene riservata alla legge n. 9/2013 recante «Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini». Prospettive e proposte per la competitività del prodotto italiano emergono tanto dalle relazioni degli economisti e dei giuristi intervenuti al seminario, quanto dagli interventi de-gli operatori e dede-gli esperti che hanno preso parte alla tavola rotonda.

Accanto agli aspetti normativi, proprio per la particolare importanza che il settore olivicolo-oleario ricopre nell’agroalimentare italiano e per la rilevanza che il consumatore attribuisce alla qualità del prodotto, l’INEA sta

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approfondendo ulteriori filoni di ricerca sul fronte della produzione e del-la trasformazione dell’olio e sta supportando le amministrazioni competenti nell’ambito delle tematiche dei controlli.

L’auspicio è che questi lavori, nel cogliere ed esaminare le peculiarità e i problemi che investono il sistema olivicolo-oleario italiano, possano con-tribuire all’individuazione dei meccanismi più idonei per riqualificare l’intero settore.

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Introduzione 7 Sabrina Giuca, Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA)

Le reLazIonI: “La paroLa agLI economIstI e gIurIstI”

Il mercato e le strategie di marketing per la valorizzazione della qualità 21 Gervasio Antonelli, Università di Urbino Carlo Bo

Le indicazioni in etichetta e i segni degli alimenti (dopo il reg. 1169/2011) 37 Alberto Germanò, CNR - Istituto di Diritto Agrario Internazionale e Comparato (IDAIC) La qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini:

la c.d. legge «salva olio» 49 Stefano Masini, Università di Roma “Tor Vergata”

L’art. 62 e il mercato: dai contratti allo status nella prospettiva dell’olivicoltura 61 Ferdinando Albisinni, Università della Tuscia (Viterbo)

La tavoLa rotonda:

“prospettIve e proposte per La competItIvItà deL prodotto ItaLIano” La qualità negli oli extravergini di oliva tra certezze e confusione 85 Maurizio Servili, Università di Perugia

Fattibilità della tutela dell’olio extravergine di oliva italiano 95 Agostino Macrì, Unione Nazionale Consumatori

Il sistema olio e le dop 101 Stefano Petrucci, Consorzio Sabina DOP

Il programma nazionale di rintracciabilità di filiera dell’unaproL: uno strumento per la tutela e la valorizzazione dell’olio extravergine

«made in Italy» 111 UNAPROL - Consorzio Olivicolo Italiano

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Il progetto aIFo dell’olio artigianale

Piero Gonnelli e Giampaolo Sodano, AIFO -

Associazione Italiana Frantoiani Oleari 115 Il punto di vista dell’industria olearia

Claudio Ranzani, ASSITOL - Associazione Italiana dell’Industria Olearia 121 comunicare l’olio

Luigi Caricato, Olio Officina Food Festival 125 I controlli dell’Ispettorato repressione frodi (IcQrF)

a tutela della qualità dell’olio extravergine di oliva italiano Luca Veglia, MIPAAF - Direzione Generale della Prevenzione

e del Contrasto alle Frodi Agroalimentari 135 Le iniziative della regione toscana a supporto del settore

Luciano Zoppi, Regione Toscana 143 allegato

LEGGE 14 gennaio 2013, n. 9: «Norme sulla qualità e la trasparenza

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Il settore olivicolo-oleario italiano sta attraversando un periodo difficile, con elevate incertezze per il futuro sia a livello di politica europea, sia di andamento dei mercati, tanto in termini di prezzi che di volumi dell’offerta. Pur essendo uno dei prodotti simbolo dell’agroalimentare italiano, l’olio di oliva risente delle criti-cità della filiera dalla produzione alla commercializzazione e, in particolare, della scarsa trasparenza sull’origine del prodotto e della difficoltà dei consumatori di percepirne la qualità. I casi di frodi dell’olio in commercio e l’italian sounding (ov-vero la vendita di prodotti che “suonano” come italiani, grazie a nomi e immagini che richiamano l’Italia, ma che in realtà di made in Italy hanno ben poco o nulla) che ne danneggia la concorrenza sui mercati esteri, impediscono una giusta valo-rizzazione della qualità dell’olio italiano e un’adeguata remunerazione degli olivi-coltori. Se, da un lato, si ravvisa la necessità di “comunicare” e promuovere gli oli italiani di eccellenza, dall’altro è necessario comprendere il valore anche dell’olio diverso da quello extravergine di oliva, fonte redditizia per alcune aree italiane ricche di ulivi secolari, e la potenzialità di sbocchi di mercato per i sottoprodotti, anche per uso energetico.

La regolamentazione del settore olivicolo-oleario, essendo oggetto di disci-pline di fonti eterogenee e stratificate nel tempo, ha subìto modifiche legislative e pronunce giurisprudenziali che hanno mutato il quadro normativo di riferimento. Questo è reso ancora più complesso dal sovrapporsi di più soggetti regolatori, con aree di competenza non sempre esattamente definite, pur in presenza di un prin-cipio, quello di “sussidiarietà”, affermato a livello comunitario oltre che nazionale, che attribuisce a questi soggetti competenze differenziate, tanto ai fini del mercato agricolo e agroalimentare quanto di governo della produzione agricola e dello svi-luppo rurale.

Così, se riguardo alla commercializzazione dell’olio le norme a livello di Unione europea sono facilmente individuabili - reg. (CE) n. 1234/2007 del Con-siglio, del 22 ottobre 2007, recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento “OCM unica”) e reg. di esecuzione (UE) n. 29/2012 della Commissione, del 13 gennaio 2012,

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tivo alle norme di commercializzazione dell’olio d’oliva - l’incidenza di tali norme sul complesso piuttosto frammentato delle norme nazionali (statali e regionali) si presenta complicato sotto distinti profili, alla luce, anche, di recenti provvedimenti.

In particolare, la legge 14 gennaio 2013, n. 9, «Norme sulla qualità e la tra-sparenza della filiera degli oli di oliva vergini», la legge c.d. “salva olio” perché tutela il prodotto da pratiche commerciali ingannevoli (il cui testo è riportato in allegato al presente Quaderno), assume notevole rilevanza nel quadro più vasto della disciplina comunitaria dell’informazione alimentare, dettata dal reg. (UE) n. 1169/2011, e dell’art. 62 del decreto legge n. 1/2012 (convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27), che ha introdotto una specifica disciplina in tema di contratti tra imprese per la cessione di prodotti agricoli e ali-mentari che interessa, ovviamente, anche il settore dell’olio.

L’applicazione di queste norme e la prossima istituzione del Sistema di qua-lità nazionale (SQN-olio), che individua il prodotto olio extravergine di oliva «avente caratteristiche specifiche che determinano una qualità del prodotto finale signifi-cativamente superiore rispetto alle norme commerciali correnti»2, si inseriscono,

inoltre, nella più ampia attuazione delle politiche di programmazione in materia di commercializzazione e promozione dell’olio di oliva, con particolare riguardo ai momenti negoziali dell’acquisto delle olive per olio, della trasformazione delle olive in olio, dell’eventuale raffinazione dell’olio ottenuto, della predisposizione dei contenitori per la vendita del prodotto e della loro etichettatura, nonché della com-mercializzazione dell’olio nell’ambito di un mercato nazionale e mondiale compe-titivo. Tuttavia, restano sul piano italiano diverse necessità legislative da colmare: quella di modificare l’attuale classificazione degli oli, in modo che il consumatore possa distinguere gli oli ottenuti direttamente dalla spremitura di olive da quelli che derivano da processi di sansificazione e da raffinazione; quella di rendere ob-bligatorio l’inserimento in etichetta delle qualità organolettiche; quella di realiz-zare un sistema di tracciabilità delle olive a carico di tutti i trasformatori e di tutti i venditori di olio e, naturalmente, controlli adeguati.

Per affrontare il tema nella sua complessità, l’INEA ha organizzato un se-minario, nell’ambito del Progetto «Piano Olivicolo Oleario, Azione 9.1 - Analisi

2 È in corso di elaborazione uno schema di decreto ministeriale che prevede l’istituzione del SQN-olio, in conformità con l’art. 22, paragrafo 2, del reg. (CE) n. 1974/2006, e del relativo «marchio col-lettivo unico nazionale» di cui possono beneficiare aziende agricole di produzione, gestori di frantoi, imprese di commercializzazione, confezionatori e distributori che rispettino il «Disciplinare unico nazionale» e siano soggetti al controllo di organismi accreditati. Tutti gli operatori e gli organismi di controllo aderenti al SQN-olio saranno inseriti in un elenco, articolato su base regionale, istituito presso il MIPAAF e pubblicato sul sito internet del Ministero.

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zioni e delle associazioni di categoria per discutere dei recenti provvedimenti e delle prospettive per la competitività del nostro prodotto. Il Quaderno riporta le relazioni presentate durante il seminario e gli interventi dei partecipanti alla tavola rotonda, integrate ed arricchite dagli autori alla luce delle numerose esperienze che sono emerse nel corso della giornata.

La prima parte del lavoro, che raccoglie le relazioni di esperti di econo-mia e di diritto, si apre con il contributo di Gervasio Antonelli, del Dipartimento di Economia, Società, Politica (DESP) dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, che si focalizza sul mercato, come insieme di regole economiche, sulle dinamiche in atto nello scenario internazionale e sulle strategie di marketing per la valorizzazione della qualità dell’olio. Secondo l’economista, la comuni-cazione diventa un tema cruciale per valorizzare il nostro olio. L’«asimmetria informativa» tra venditori e distributori, da un lato, e i consumatori, dall’altro, sono all’origine del «fallimento del mercato» che avviene quando i molti segni della qualità dell’olio italiano non arrivano ai cittadini che hanno a disposi-zione informazioni incomplete e inadeguate per valutarne le caratteristiche e fare scelte di acquisto consapevoli. La presenza di marche forti sugli scaffali della grande distribuzione, con una chiara spiegazione al consumatore della differenza di prezzo (premium price) e la creazione di strutture organizzati-ve su base consortile per adottare opportune strategie di marketing, nonché l’affidamento della comunicazione a privati e un sistema di cooperazione che vada a beneficio di tutti, secondo Antonelli, possono fare la differenza. Se dal punto di vista normativo è fondamentale l’origine e la trasparenza della filie-ra, secondo l’economista è auspicabile l’introduzione di un sistema di qualità nazionale dell’olio d’oliva, supportato da opportune strategie di marketing sia per il consumatore italiano che per il mercato estero; la differenziazione del prodotto e la creazione di un brand che abbia qualità più alte di quelle standard fissate dalla normativa, secondo un disciplinare condiviso da tutti gli attori del

3 Il Progetto «Piano Olivicolo Oleario, Azione 9.1 - Analisi normative», finanziato dal MIPAAF nell’am-bito del Piano di settore nazionale, ha l’obiettivo di individuare, attraverso un’ampia concertazione con tutte le parti interessate, gli elementi di criticità e di eterogeneità degli strumenti normativi vigenti sui quali, de iure condendo, potrebbe essere necessario intervenire; al riguardo, oltre a identificare eventuali esigenze di semplificazione, modifica, integrazione della complessa normati-va di settore, viene operato un tentativo di chiarimento sull’applicazione di essa, riguardo a specifici aspetti della filiera olivicolo-olearia ritenuti meritevoli di indagine.

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sistema, sono fattori di successo per creare “massa critica” di prodotto sul mercato, con standard qualitativi e quantitativi stabili e garantiti.

Con la relazione successiva di Alberto Germanò, dal titolo «Le indicazioni in etichetta e i segni degli alimenti (dopo il reg. 1169/2011)», l’analisi si sposta sul piano giuridico. Germanò, responsabile scientifico del CNR-IDAIC (Istituto di Diritto Agrario Internazionale e Comparato), già professore ordinario di Diritto agrario comunitario nell’Università di Roma “La Sapienza”, ha illustrato i cambia-menti che sono stati apportati dal reg. (UE) n. 1169/2011 riguardo all’inserimento di informazioni in etichetta, proponendo un’analisi comparatistica con le norma-tive antecedenti e con le proposte che si sono succedute. Il regolamento, infatti, assume particolare rilevanza se si vuole tutelare la produzione oleicola italiana, dato che - come è stato messo in evidenza da Germanò - è stata data facoltà agli Stati membri di disporre indicazioni complementari obbligatorie in etichetta anche con riguardo all’origine dei prodotti alimentari (tra cui, ovviamente, c’è l’olio). La criticità messa in luce dal relatore è l’ambiguità del parametro di origine nella normativa comunitaria per poi affrontare il problema più generale dell’ammissi-bilità di un segno che si richiami all’Italia e il fallimento delle posizioni dell’Italia a difesa di un marchio made in Italy, anche in base a come sono formulate le nostre leggi. Il giurista ricorda come l’istituzione di un marchio pubblico per le produzioni nazionali sia in contrasto con il diritto comunitario che vieta i marchi collettivi geo-grafici di enti pubblici territoriali (6° considerando e lett. s) dell’art. 2 della direttiva 70/50/CEE del 22 dicembre 1969) - perché sarebbero causa di illecite restrizioni quantitative alle importazioni tra gli Stati membri vietate dall’art. 34 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea - e chiude con l’esempio della legge francese secondo la quale l’indicazione di ciò che può essere definito come made in France è obbligatoria ma soltanto per una lista ben determinata di prodotti.

Stefano Masini, del Dipartimento di diritto e procedura civile dell’Università di Roma “Tor Vergata”, ha presentato un contributo che analizza la legge italiana n. 9 del 14 gennaio 2013, la legge c.d. “salva olio” finalizzata a garantire l’alta qualità degli oli vergini italiani, proteggendone l’immagine ed evitando l’immissione sul mercato di oli venduti come made in Italy. Dopo i casi di frode in commercio che hanno portato a ingenti sequestri di olio a marchio italiano provenienti da Spagna e Turchia, i controlli si sono arricchiti dello strumento del panel test per gli standard qualitativi degli oli vergini e le sanzioni sono state irrigidite. Il legislatore, infatti, ha creato un forte apparato di disincentivi penali e reputazionali con una efficace capacità deterrente. In caso di contraffazione di indicazioni geografiche o deno-minazioni di origine di oli extravergini, l’art. 13 della legge esaminata prevede la

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citaria finalizzata alla promozione di oli di oliva vergini. La tutela e la veridicità del prodotto italiano è dunque di vitale importanza secondo Masini, non solo per l’af-fermarsi di circoli virtuosi all’interno del mercato, ma anche, e forse soprattutto, per la conservazione del rapporto di fiducia reciproco con il consumatore finale.

Ed è proprio al mercato - come insieme di regole giuridiche - che è rivol-ta l’analisi di Ferdinando Albisinni, del Dipartimento DISTU - Istituzioni Europee dell’Università della Tuscia (Viterbo), che chiude questa prima parte del Quaderno. Secondo il giurista, tramite l’art. 62 della legge 27/2012 si sta passando dal merca-to (e dai contratti) allo status, con discipline meno generalizzate e sempre più se-zionali e di area. L’Organizzazione comune di mercato (OCM) delle materie grasse vegetali, che dalla sua istituzione nel 1966 manteneva un proprio sistema interno di regole, è stata sostituita dalla nuova OCM unica nel 2007, strutturata in azioni specifiche di intervento che, affiancate a misure generali di gestione del mercato agricolo, potranno favorire la stabilizzazione dello stesso. Dopo aver argomentato il parallelismo tra l’art. 8 della legge c.d. “salva olio” e il comma 8 dell’art. 62 della legge 27/2012, entrambi operanti nel senso della valorizzazione dello statuto della concorrenza nel mercato olivicolo quale principale presidio attivo per la tutela dei produttori, il giurista conclude come l’emergere di nuovi modelli e paradigmi per regolamentare il mercato agroalimentare con un approccio «bottom-up» si muo-vano dal presupposto della inadeguatezza dell’approccio tradizionale basato sulla «privity of contract» e della inidoneità del mercato a regolarsi per sé solo, in pre-senza di irrisolte asimmetrie economiche, produttive, finanziarie ed informative.

La seconda parte del Quaderno riporta i contributi dei partecipanti alla ta-vola rotonda, che ha avuto come tema «Prospettive e proposte per la competitività del prodotto italiano», moderata da Luigi Caricato, scrittore e giornalista, diret-tore della manifestazione annuale «Olio Officina Food Festival». Caricato, che è un «oleologo» (termine da lui coniato che è stato inserito nella banca linguistica della Treccani) con una pluriennale esperienza riconosciuta nel settore, si è sof-fermato, innanzi tutto, sull’aspetto salutistico dell’olio. Paradossalmente, gli oli da seme puntano di più sul fronte salutistico rispetto all’olio extravergine di oliva: chi produce oli da olive, ha detto il giornalista, lavora in difetto di comunicazione, con metodologie troppo vetuste.

Proprio il tema della qualità negli oli extravergini di oliva tra certezze e con-fusione è stato illustrato da Maurizio Servili, del Dipartimento di Scienze

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Econo-mico-Estimative e degli Alimenti, Sezione di Tecnologie e Biotecnologie degli Ali-menti, dell’Università di Perugia. Servili si è soffermato sul rapporto tra categoria commerciale di un olio e qualità reale da esso posseduta e sul fatto che un olio extravergine di oliva fa bene alla salute non tanto perché è classificato come «ex-travergine» ma nella misura in cui, all’interno di tale categoria, è caratterizzato da un alto tenore in acido oleico e da un elevato contenuto in α-tocoferolo e biofenoli. Il problema che si pone, ha detto Servili, è quanto alto deve essere questo conte-nuto e come comunicarlo al consumatore. Ne consegue la necessità di differenzia-re, all’interno della stessa classe commerciale, gli oli extravergini di alta qualità, provenienti da filiere certificate e caratterizzati da parametri analitici in grado di tenere in considerazione anche aspetti della composizione dell’olio strettamente legati alle sue specificità sensoriali e salutistiche. Ne sono un esempio l’olio ex-travergine di oliva con il marchio «100% Qualità Italiana», le monocultivar e gli oli DOP/IGP, ovvero tutti quei prodotti di alta qualità soggetti al rispetto di un disci-plinare che ne definisce le regole di produzione “dal campo alla bottiglia”. Servili conclude dicendo che non si può produrre alta qualità senza un’adeguata gestione della pratiche agronomiche dell’oliveto, in grado di esaltare le qualità intrinseche della materia prima, e senza tener conto delle diverse cultivar, elemento peculiare della produzione olivicola nazionale, tali da consentire di ottenere oli diversi sul piano sensoriale, conformi alle indicazioni dall’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA) dal punto di vista salutistico.

Agostino Macrì, intervenuto quale esperto di sicurezza alimentare dell’U-nione Nazionale Consumatori, ha fatto presente che la prima cosa che vogliono sapere i cittadini è se l’olio extravergine di oliva venduto nei supermercati a prezzi ampiamente sotto i 5 euro non presenti pericoli per la salute e può essere del tutto indifferente per i consumatori, considerato il prezzo più che conveniente, sapere se quell’olio è italiano oppure di importazione. Poiché l’olio è un alimento essen-ziale della nostra dieta, consumato in tutte le fasce di età, è necessario, secondo Macrì, informare al meglio i cittadini e, oltre tutto, bisogna avere la certezza che gli accertamenti analitici previsti dalla legge c.d. “salva olio” siano sufficienti a ga-rantire l’origine del prodotto. Infatti, non sono rari i casi di bottiglie di olio di oliva prodotte all’estero ed etichettati con diciture che richiamano il nostro Paese, ma non sono italiani, o di bottiglie confezionate in Italia utilizzando olio d’importazio-ne. La prova sensoriale prevista ora dalla legge, anche se condotta conformemen-te a procedure standardizzaconformemen-te e con personale altamenconformemen-te specializzato, potrebbe non garantire l’accertamento delle differenze tra un ottimo olio spagnolo e uno italiano. Macrì ritiene che una certezza dovrebbe arrivare dagli oli DOP controllati

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sicurezza alimentare dei diversi tipi di olio e poi sui vantaggi che possono derivare dal consumo di prodotti interamente italiani, in modo che possano fare una scelta consapevole a tutela non solo della loro salute ma anche degli interessi delle pro-duzioni nazionali.

Restando su quest’ultimo aspetto, Caricato ha poi puntualizzando che la legge c.d. “salva olio”, pur prevedendo il rafforzamento degli istituti processuali e investigativi in casi di adulterazione o frode degli oli di oliva vergini e l’inaspri-mento delle sanzioni a contrasto delle frodi, rappresenta un chiaro sintomo di crisi di un comparto dove occorre, innanzi tutto, rafforzare l’associazionismo. Secondo il giornalista, infatti, esiste una frattura tra mondo della produzione, olivicoltori e frantoiani, e aziende di marca, che ha di fatto indebolito il sistema, mentre occorre meno individualismo e più partecipazione per agire e imporsi sui mercati, asse-gnando un’identità ben definita al prodotto italiano e lavorando sulla comunica-zione.

Gli esponenti delle organizzazioni di categoria (olivicoltori, frantoiani, indu-stria) e del consorzio di tutela della denominazione di origine protetta (DOP) in-tervenuti al dibattito, hanno esposto il loro punto di vista su questi aspetti cruciali. Stefano Petrucci, presidente del Consorzio Sabina DOP, ha spiegato che attualmente la quota di mercato dell’olio extravergine made in Italy è del 13% e risulta uguale a quella degli oli DOP, ma è realizzata con quantità vendute più che doppie. Analizzando le vendite degli oli DOP all’interno della GDO, inoltre, si nota che questa è l’unica quota di mercato che è controllata per il 43% direttamente dai produttori. Gli oli a denominazione di origine protetta, secondo Petrucci, hanno raggiunto questi risultati senza incentivi mentre l’olio made in Italy, nonostante gli sforzi “legislativi” e le ingenti risorse investite ha ottenuto la stessa quota di mercato degli oli DOP ma il prezzo medio di vendita non giustifica gli sforzi fatti rispetto all’olio senza origine e non si è raggiunta la valorizzazione del prodotto. Petrucci conclude affermando che il SQN-olio rappresenta una minaccia per gli oli DOP, molti dei quali non rientrerebbero nei parametri del «disciplinare Alta Quali-tà» previsto dal sistema, ma può trasformarsi in uno strumento efficace adottando una certificazione del prodotto che «prenda le mosse seriamente dall’origine e dalla qualità, riducendo la burocrazia per non replicare uno dei principali ostaco-li alla crescita già sperimentato dalle DOP; pianificando e svolgendo un’efficace comunicazione del prodotto, lavorando su un brand e su tutti i suoi attributi (logo,

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packaging, ecc.) che renda immediatamente riconoscibile il prodotto da parte dei consumatori».

Nunzio Scaramozzino dell’UNAPROL, la principale organizzazione italiana di olivicoltori, ha spiegato che il Consorzio ha intrapreso diversi programmi na-zionali di tutela e valorizzazione degli oli di oliva made in Italy, con particolare riferimento ai segmenti dell’olio extravergine certificato ai sensi della norma UNI EN ISO 22005:08 (tracciabilità di filiera) e del disciplinare «Alta qualità italiana», che prevede requisiti sia di prodotto che di sistema più stringenti rispetto alla nor-mativa cogente. In quest’ultima direzione è stato avviato un programma triennale di tracciabilità di filiera che impegna 570 filiere e oltre 7.000 aziende agricole. Le fasi di coltivazione, raccolta, trasformazione delle olive in olio, conservazione e imbottigliamento sono certificate da un ente terzo che ne verifica la risponden-za alle prescrizioni contenute nel disciplinare di produzione adottato dalle filiere; la tracciabilità del prodotto è adeguatamente comunicata al consumatore tramite un’etichetta innovativa basata sul «QR-code» che consente di visualizzare su di-spositivi mobili appositi “contenuti multimediali” on line.

Piero Gonnelli e Giampaolo Sodano, rispettivamente presidente e direttore dell’Associazione italiana frantoiani oleari (AIFO), hanno puntualizzato l’impegno da sempre profuso da AIFO nel sostenere e difendere tutte le azioni tese a fa-vorire la nascita di un mercato dell’olio pulito e trasparente. In tal senso l’AIFO ha sostenuto la legge c.d. “salva olio”, ha sottoscritto il protocollo d’intesa con l’«Associazione CODICI centro per i diritti del cittadino» che ha istituito una com-missione comune con il compito di denunciare truffe e frodi, e ha richiesto che il registro telematico (sulla cui introduzione ha contribuito l’AIFO stessa) venga este-so a tutti i frantoi, compresi quelli aziendali e ai commercianti di olive. Sodano ha poi illustrato il progetto «Olio Artigianale» che prevede la costituzione di una Rete di imprese, le quali, al fine di ottenere la giusta remunerazione per il loro lavoro, lavoreranno insieme con trasparenza per dare al cliente finale la sicurezza (ga-rantita) di ottenere un olio certificato e controllato dalla Rete, che rispetti il disci-plinare di produzione dell’olio artigianale e mantenga la tracciabilità del processo produttivo nel rispetto, anche, di un codice etico.

Claudio Ranzani, direttore generale dell’ASSITOL, l’Associazione italiana dell’industria olearia, ha tenuto a precisare che gli associati sono aziende che oc-cupano tutti i settori di mercato, dall’olio di sansa all’extravergine e, all’interno di quest’ultimo segmento, aziende che esportano prodotti di nicchia (DOP/IGP e bio-logico), olio 100% italiano e blend, ottenuti mescolando opportunamente oli di di-versa provenienza. Secondo Ranzani il mondo della produzione da tempo denuncia

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importazioni, ma ASSITOL compra tutto l’olio dei suoi associati e i dati 2012 indi-cano un’ulteriore crescita delle esportazioni cui si contrappone invece una piccola riduzione dell’import, a dimostrazione della preferenza accordata alla produzione nazionale, evidentemente cresciuta quest’anno, fin quando - ovviamente - vi è olio disponibile. Secondo Ranzani, da parte agricola si continuano a chiedere provve-dimenti di legge e controlli, ma da oltre 15 anni il settore è sottoposto a molteplici provvedimenti normativi, con il risultato di creare appesantimenti burocratici e ag-gravio di costi. Ranzani ha sollevato il dubbio che si stia sbagliando strada, tanto che la recente legge c.d. “salva olio” dovrebbe essere definita legge “criminalizza olio”, visto che contiene solo nuove pene, nuovi divieti e maggiore burocrazia che sembrano addirittura spingere a portare le lavorazioni all’estero. Il direttore di AS-SITOL conclude affermando che l’Associazione è da sempre disponibile a valutare forme di collaborazione e ad operare a favore del prodotto nazionale.

Sulla necessità di costruire una filiera unita e coesa si innesta, secondo Ca-ricato, l’ulteriore difficoltà di riuscire a comunicare la qualità dell’olio: il consu-matore non sa percepirla e i produttori non sono in grado di comunicarla. Occorre andare oltre le consuetudini comunicative e inventare un nuovo percorso, come ha spiegato nella sua relazione il giornalista.

Purtroppo le truffe non mancano ma nel corso degli anni, in considerazione della necessità di salvaguardare e tutelare sempre di più la salute e gli interessi dei consumatori, l’attività delle istituzioni preposte ai controlli per contrastare gli illeciti e le frodi è stata rafforzata, con controlli più mirati, e le sanzioni sono state inasprite, come ha illustrato Luca Veglia, della Direzione Generale della Preven-zione e del Contrasto alle Frodi Agroalimentari del MIPAAF. Il dirigente ha riportato i risultati operativi dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agro-alimentari (ICQRF), che nel 2012 ha svolto 4.411 ispezioni nel settore oleario controllando oltre 8.000 prodotti, di cui il 7,3% sono risultati irregolari. L’Ispettorato ha analizzato 945 campioni, di cui 67 sono risultati non conformi alla legge. In totale ammontano a 69 le notizie di reato e a 482 le con-testazioni amministrative elevate, mentre oltre 19 milioni di euro è stato il valore dei prodotti sequestrati. Un’articolata indagine, coordinata dalla Procura di Siena, ha inoltre permesso di sventare una truffa estesa in diversi Paesi del bacino me-diterraneo; gli istituti preposti ai controlli, ha spiegato Veglia, hanno sequestrato olio extravergine di oliva ottenuto dalla illecita miscelazione con materie prime di

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categoria inferiore (4.200 tonnellate), falsamente dichiarato 100% italiano (3.500 tonnellate) e non conforme ai parametri di legge (450 tonnellate).

L’impegno delle istituzioni sia per contrastare gli illeciti sia a supporto del settore, infine, è stato oggetto dell’intervento di Luciano Zoppi, funzionario della Regione Toscana. L’elevata reputazione di cui gode la qualità dell’olio di oliva to-scano e i diffusi casi di imitazione hanno spinto la Regione a rafforzare le attività degli organi di controllo, tanto più che in Toscana, rispetto ad altre regioni, si è puntato sulle DOP, attualmente quattro, che rappresentano circa il 40% dei quan-titativi di olio extravergine di oliva certificato DOP/IGP a livello nazionale. Il tavolo della filiera olivicolo-olearia regionale, istituito nel 2011, ha spiegato Zoppi, ha in-dividuate due linee di intervento: la riduzione dei costi di produzione e la maggiore valorizzazione dei prodotti. Sul fronte della riduzione dei costi si è puntato a una maggiore meccanizzazione della potatura e della raccolta (tuttavia gli operatori hanno mostrato scarso interesse a nuovi investimenti al riguardo), e sulla gestio-ne dei sottoprodotti della lavoraziogestio-ne delle olive. Quest’ultima attività ha spinto la Regione a un chiarimento giuridico che consenta di inquadrare i reflui della lavora-zione delle olive (acque di vegetalavora-zione, sanse, foglie) tra i sottoprodotti (e non tra i rifiuti), anche qualora destinati a impieghi alternativi. Le iniziative di informazione, comunicazione e promozione sono svolte, localmente e all’estero, attraverso un accordo con Unioncamere Toscana e con la Camera di Commercio di Firenze. Il so-stegno finanziario alle imprese, ha concluso il funzionario regionale, avviene con il Piano di sviluppo rurale, nell’ambito del quale sono stati finanziati cinque Progetti integrati di filiera tra il 2011 e il 2012, con un contributo pubblico di quasi 7 milioni di euro a fronte di un investimento complessivo di circa 15 milioni di euro.

Numerosi, dunque, sono stati gli approfondimenti e altrettante le criticità emerse nel corso del seminario. Per “salvare” e valorizzare l’olio extravergine ita-liano non bastano le norme sanzionatorie e nemmeno le recenti misure a tutela del prodotto nazionale, come l’introduzione in etichetta di modalità più chiare per l’indicazione dell’origine e del termine minimo di conservazione entro il quale gli oli di oliva vergini conservano le loro proprietà specifiche in adeguate condizioni di trattamento (tale termine non può essere superiore a diciotto mesi dalla data di imbottigliamento e va indicato con la dicitura «da consumarsi preferibilmente entro» seguita dalla data), ma serve soprattutto coesione lungo gli attori della fi-liera e la capacità di comunicare con chiarezza ed efficacia al consumatore la vera qualità del prodotto italiano. Con l’applicazione della legge 9/2013 sarà possibile trovare sul mercato sia olio extravergine di origine italiana, garantito dai controlli chimici e sensoriali, sia olio straniero, sia olio italiano miscelato; tutti oli che da

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gli accertamenti analitici previsti dalla legge siano sufficienti a garantire l’origine. Inoltre, è sorto il dubbio che la legge c.d. “salva olio” finisca per salvaguardare gli interessi di pochi e in pratica appesantisca i costi, soprattutto per i piccoli produt-tori e le aziende artigianali, con il rischio che questi soggetti possano uscire dal mercato.

Ai diversi punti di vista espressi dagli esperti e dai soggetti della filiera, che si avrà modo di approfondire dalla lettura di questo Quaderno, si vogliono qui ripor-tare ulteriori aspetti e lacune legislative sui quali alcuni giuristi e, in particolare, Germanò, invitano a riflettere in materia di commercializzazione dell’olio di oliva.

Innanzi tutto, i dati sulla attuale “quantificazione” della produzione regiona-le e nazionaregiona-le di olio (numero delregiona-le piante in produzione) potrebbero consentire di verificare se l’olio commercializzato come italiano sul mercato sia effettivamente tale e, di conseguenza, sarebbe un elemento numerico fondamentale da prende-re in considerazione per contrastaprende-re le frodi legate alla provenienza del prodotto. Un altro aspetto di rilievo è la necessità di rafforzare il ruolo giuridico dei panel di assaggiatori che, se reso obbligatorio, potrebbe diventare uno strumento utile per contrastare il fenomeno delle frodi. Altro elemento di riflessione è l’opportu-nità di individuare dei marcatori territoriali (per grandi aree geografiche) che, al momento dell’analisi dell’olio presso i frantoi, potrebbero essere resi obbligatori e consentirebbero di verificare l’origine territoriale del prodotto. Ancora, sareb-be quanto meno necessaria una maggiore efficacia dei controlli sulle partite in ingresso in Italia delle olive e dell’olio, con l’individuazione di un sistema univoco di campionamento; l’olio sfuso, infatti, finisce spesso per essere miscelato a oli nazionali di varia qualità e commercializzato - se non esplicitamente, certamen-te come “immagine” - come olio italiano, perché l’imbottigliatore (ovvero il com-merciante) veridicamente risulta essere italiano. L’attuale disciplina in materia di etichettatura, infine, appare sotto molti punti inadeguata. Innanzi tutto, i commer-cianti di olio tendono ad apporre sulle bottiglie la retro-etichetta che confonde il consumatore e, pertanto, andrebbe eliminata o lasciata solo per le indicazioni nutrizionali. Sulla retro-etichetta, ma talvolta anche sull’etichetta, vengono ripor-tate informazioni che non sono obbligatorie in senso stretto ma che si limitano a confermare le modalità di produzione dell’olio perché lo stesso possa essere commercializzato come «olio extravergine» o «olio vergine» (si vedano le formule sulla spremitura meccanica, sulla estrazione a freddo o spremitura a freddo).

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Que-ste indicazioni, essendo di carattere tecnico e, comunque, incomprensibili per il consumatore, potrebbero essere eliminate; al contrario, potrebbe essere utile, per il consumatore, l’indicazione obbligatoria della data di produzione dell’olio (fran-gitura), perché, con il passare degli anni, la qualità dell’olio tende a degradare. La data di scadenza (che oggi è obbligatoria) rischia, per il modo con cui è riportata in etichetta, di essere ingannevole, essendo calcolata generalmente con riferimento alla data di imbottigliamento, per cui il consumatore non può sapere da quale data sia iniziato lo stoccaggio. Sarebbe, infine, opportuno che sull’etichetta siano ben distinte le indicazioni del “produttore” (inteso come olivicoltore) e dell’imbottiglia-tore; ma queste ultime considerazioni non possono essere risolte in sede naziona-le, perché la competenza sulle indicazioni obbligatorie in etichetta è comunitaria.

Dalle riflessioni conclusive di questa introduzione e, soprattutto, dal con-tributo del dibattito riportato in questo Quaderno si auspica che vengano colte le tante sfide lanciate ai futuri policy makers in ambito sia nazionale che comunitario, ma anche alle stesse associazioni di categoria nella prospettiva di comunicare ef-ficacemente i valori dell’olio italiano ai consumatori, di rafforzare l’immagine del made in Italy e di aumentarne la competitività sui mercati.

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IL MERCATO E LE STRATEGIE DI MARKETING PER LA

VALORIZZAZIONE DELLA QUALITÀ

Gervasio Antonelli1

1. Introduzione

Nell’arco degli ultimi due decenni, la produzione mondiale di olio di oliva, sostenuta da una domanda in continua crescita, ha registrato un tasso di incre-mento medio annuo di circa il 3%. Parallelamente, l’ingresso sul mercato, sia dal lato dell’offerta, sia da quello della domanda, di nuovi Paesi ha modificato il quadro geografico della produzione e del consumo, che tradizionalmente era circoscritto all’Italia, alla Spagna, alla Grecia e a pochi altri Paesi dell’area mediterranea. Tutto ciò ha determinato una progressiva globalizzazione del mercato, con lo sviluppo di dinamiche nuove e con una maggiore competitività tra i paesi produttori (Antonelli, 2009).

In questo quadro, la presente relazione si propone di condurre una rifles-sione sulle principali sfide determinate da questo nuovo scenario per le strategie produttive e commerciali del settore dell’olio di oliva italiano, in particolare per quelle volte alla valorizzazione della qualità. L’analisi fa riferimento soprattutto al ruolo che, in questa prospettiva, può svolgere il marketing, inteso come qua-dro concettuale che comprende tutte quelle attività che consentono ai produttori di posizionarsi sul mercato creando valore per se stessi, in termini di maggiore redditività, e per il consumatore, in termini di benefici percepiti. Il riferimento te-orico dell’analisi è costituito dalla letteratura economica che affronta il problema dell’informazione a disposizione dei consumatori. In particolare, questi modelli av-valorano l’ipotesi che molti dei requisiti che distinguono l’olio di oliva di alta qualità dal prodotto standard non raggiungono il consumatore e, quindi, non possono con-correre a determinarne le preferenze e le scelte. Ne segue che la valorizzazione della qualità implica sostanzialmente un problema di correzione delle distorsioni del mercato derivanti da informazioni incomplete e asimmetriche, amplificate dal-le strategie competitive della Grande Distribuzione Organizzata (GDO).

1 Professore ordinario presso il Dipartimento di Economia, Società, Politica (DESP) dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo.

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2.

Le dinamiche in atto nello scenario internazionale

In base ai dati del Consiglio Oleicolo Internazionale (COI), la produzione mondiale di olio di oliva è passata da 1.823,5 mila tonnellate, in media, nel trien-nio 1990/91-1992/93, a 2.628,8 mila tonnellate, nel trientrien-nio 2000/01-2002/03, e a 3.066,2 mila tonnellate nel triennio 2010/11-2012/13 (va osservato che i dati re-lativi alle campagne olearie 2011/12 e 2012/13 sono ancora provvisori). A questo aumento ha contribuito, in particolare, la Spagna, la cui produzione è passata dal 34% della produzione mondiale, in media, nel triennio 1990/91-1992/93, al 41,2% nel triennio 2000/01-2002/03 e al 56,3% nel triennio 2010/11-2012/13, ma anche molti altri Paesi del bacino del Mediterraneo (Portogallo, Algeria, Marocco, Siria, Turchia, Tunisia) e un numero crescente di Paesi nuovi produttori esterni all’area mediterranea (Argentina, Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Cile e Sud Africa).

Nell’arco dello stesso periodo, i consumi mondiali sono passati da 1.809,2 mila tonnellate, in media, nel triennio 1990/91-1992/93, a 2.624,8 mila tonnella-te nel triennio 2000/01-2002/03 e a 3.136 mila tonnellatonnella-te nel triennio 2010/2011-2012/13. In questo quadro, tassi di crescita molto più elevati rispetto alla media mondiale si sono registrati nei Paesi nuovi consumatori quali, Stati Uniti, Germa-nia, Regno Unito, Olanda, Belgio, Canada, Australia, Giappone, Brasile, Russia e, di recente, Cina. Negli Stati Uniti, ad esempio, il consumo di olio di oliva è passato dalle 88 mila tonnellate nel 1990/91, alle 194,5 mila tonnellate nel 2000/01 e alle 275 mila tonnellate nel 2010/11 (294 mila tonnellate secondo i dati provvisori del COI relativi al 2012/13). Un dato, questo, che colloca gli Stati Uniti al terzo posto della graduatoria mondiale dei Paesi consumatori di olio di oliva, dopo l’Italia e la Spagna.

Nonostante ciò, se si fa eccezione per i paesi tradizionalmente consumatori, i volumi consumati continuano a essere molto ridotti. Infatti, secondo alcune stime (ISMEA, 2004), il consumo di olio di oliva rappresenta, a livello mondiale, appena il 4% di quello totale di oli vegetali. Il dato, anche se riferito alla situazione di un decennio addietro, è comunque significativo dello scarso peso che il consumo di olio di oliva ha fuori dell’area mediterranea. Si consideri, ad esempio, che negli Stati Uniti l’olio di oliva rappresenta appena il 2,6% degli oli vegetali consumati. Tuttavia, il fatto che il suo consumo stia crescendo in tutto il mondo segnala una tendenza che trova spiegazione nel maggior peso che stanno assumendo le pro-blematiche salutistiche nelle scelte del consumatore. Tra l’altro, l’olio di oliva è associato alla dieta mediterranea, i cui pregi nutrizionali e salutistici trovano oggi ampio riconoscimento da parte della comunità scientifica internazionale; dieta

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che, dal novembre 2010, è entrata a far parte della prestigiosa lista dell’UNESCO relativa agli elementi immateriali considerati unici al mondo.

Le dinamiche ora analizzate, relative alla produzione e ai consumi, hanno determinato un’intensificazione degli scambi internazionali e una maggiore globa-lizzazione del mercato. Infatti, gli scambi internazionali sono passati da 647 mila tonnellate nel 1990/91, a 1.223 mila tonnellate nel 2001/01, a 1400 mila tonnel-late nel 2010/11 e, secondo i dati provvisori del COI, a 1587,6 mila tonneltonnel-late nel 2012/13. In questo quadro, un ruolo di primaria importanza viene svolto dall’Italia, dalla Spagna e dalla Tunisia per quanto riguarda le esportazioni, e dagli Stati Uniti e dall’Italia per le importazioni. Le esportazioni totali (comprese quelle interne ai Paesi dell’Unione europea) vedono al primo posto la Spagna, seguita dall’Italia. Differenze tra l’Italia e la Spagna riguardano anche il posizionamento del rispet-tivo prodotto sul mercato mondiale: la Spagna esporta prevalentemente olio sfu-so, mentre l’Italia esporta in maggioranza oli vergini ed extravergini confezionati (ISMEA, 2010). Nel commercio con i Paesi extra UE, l’Italia rappresenta il primo Paese esportatore, con 198,9 mila tonnellate in media nel periodo compreso tra il 2006/07 e il 2011/12 (31,5% del totale mondiale), seguita dalla Spagna (168,5 mila tonnellate, pari al 26,7%), dalla Tunisia (132 mila tonnellate, pari al 20,9% del tota-le) e, a grande distanza, dal Portogallo, dalla Turchia e dalla Siria.

Si tratta, come si vede, di uno scenario che presenta una pluralità di fattori che, in generale, portano ad accentuare la concorrenza sul mercato interno e su quello internazionale. A questo si aggiunga che la diffusione di sistemi di olivicol-tura intensiva e di trasformazione altamente automatizzata rischia di portare la qualità dell’olio di oliva a una forte standardizzazione e di favorire, così, uno spo-stamento della competizione integralmente sul piano del prezzo. Tuttavia, a fronte di queste tendenze, che rappresentano senza dubbio serie minacce per il settore dell’olio di oliva italiano, il nuovo scenario competitivo presenta anche importanti opportunità. Queste sono legate, in particolare, alla crescita del consumo di olio di oliva in tutto il mondo che, come abbiano sottolineato, si associa a una crescente attenzione dei consumatori nei confronti della qualità.

In questo nuovo scenario, il settore dell’olio di oliva italiano dovrà comun-que rivedere le sue strategie produttive e commerciali per cogliere fino in fondo le potenzialità della segmentazione della domanda (ISMEA, 2010). Da un lato, infat-ti, «la produzione italiana può puntare sulle eccellenze», prodotti di alta gamma con qualità organolettiche e di servizio molto elevate, o sui prodotti tipici (ISMEA, 2010, p. 25). Dall’altro lato c’è il prodotto nei «segmenti qualitativamente meno caratterizzati», quelli, cioè, che sono in concorrenza più diretta con la produzione

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spagnola, per i quali l’Italia può realizzare un vantaggio competitivo attraverso una diminuzione dei costi di produzione e una maggiore concentrazione dell’offerta.

Limitatamente al segmento delle produzioni di più alta qualità, le sfide che il sistema “olio di oliva italiano” è chiamato ad affrontare possono essere ricondotte in modo molto sintetico a tre grandi problematiche. La prima è la possibilità di creare e gestire un marchio collettivo che trasmetta ai consumatori i valori della qualità dell’olio made in Italy, con una comunicazione “complessiva” che richiami tutte le componenti materiali e immateriali della qualità che concorrono alla cre-azione del valore per il consumatore. La seconda è la capacità di mettere in atto strategie adeguate di marketing miranti a intercettare il potenziale di domanda di olio di oliva di alta qualità presente sul mercato interno e, soprattutto, sui mercati dei nuovi Paesi consumatori, dove si registra una maggiore crescita del reddito pro capite. La terza è la capacità di consolidare ed, eventualmente, di accrescere la posizione di vantaggio competitivo acquisita sui mercati di Paesi nuovi consumato-ri particolarmente esigenti in termini di requisiti della qualità quali, in particolare, Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Giappone.

3.

Le fonti della differenziazione qualitativa del prodotto

Una strategia che punti sulle eccellenze implica la ricerca di un vantaggio competitivo basato sulla differenziazione del prodotto. Come fa osservare Porter (1985, p. 120), un’impresa si differenzia dai propri concorrenti «quando offre qual-cosa di unico e apprezzato dagli acquirenti, che va ben oltre la semplice offerta a basso prezzo». La differenziazione, inoltre, se comunicata e percepita dai con-sumatori, offre ai produttori la possibilità di ottenere un premium price, ossia un prezzo remunerativo per i maggiori costi sostenuti per realizzarla.

Nel caso dell’olio di oliva, la differenziazione qualitativa può essere determi-nata sulla base di variabili chimico-fisiche e organolettiche del prodotto e/o dalle capacità del prodotto di soddisfare i bisogni espliciti e impliciti dei consumatori. In sostanza, le possibilità di differenziazione sono estese a tutti gli elementi dei sistemi territorio, produttore, contesto produttivo, prodotto che influenzano le ca-ratteristiche qualitative del prodotto e, quindi, creano valore per il consumatore (Antonelli, 2005).

Pertanto, nel caso dell’olio di oliva la strategia di differenziazione va al di là della conformità merceologica, per includere tutti quegli aspetti riguardanti le specificità dovute alle condizioni pedoclimatiche, alle tecniche colturali, alla

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varie-tà degli olivi, ai sistemi di raccolta, alle tecniche di produzione, alle competenze dei produttori, nonché alle diverse condizioni che rispondono ai nuovi “valori” e “bi-sogni” dei consumatori, quali il rispetto dell’ambiente e delle condizioni di lavoro da parte delle imprese che realizzano la produzione. A tale riguardo, va osservato che l’olivicoltura italiana rappresenta un esempio molto significativo di agricoltura multifunzionale, in quanto coniuga efficacemente i valori materiali del prodotto con i valori immateriali dell’ambiente, del paesaggio, della storia e della cultura del territorio.

In altre parole, la creazione del valore della qualità dell’olio di oliva intro-duce elementi che non riguardano soltanto la qualità del prodotto, ma anche la qualità del sistema di produzione nel suo insieme. In questa prospettiva, il settore dell’olio di oliva italiano possiede indubbiamente importanti punti di forza sui quali è possibile far leva per la realizzazione di una strategia volta a creare un vantaggio competitivo, differenziando l’offerta in termini qualitativi. Infatti, come evidenziato nel documento “Piano olivicolo-oleario” del Ministero delle Politiche Agricole Ali-mentari e Forestali (2010, pp.19-20), il settore olivicolo-oleario italiano presenta numerosi punti di forza sia nella fase agricola, sia nelle fasi successive della filie-ra. A livello di fase agricola, i punti di forza vengono individuati, in particolare: nella presenza di importanti aree vocate alla coltivazione dell’olivo, per quantità e per qualità del prodotto; nell’elevata potenzialità di differenziazione delle produzioni dovuta al numero di varietà di olivo (oltre 300), alle modalità produttive, all’origine, ecc.; nel valore ambientale, paesaggistico, storico, culturale e antropologico de-gli oliveti; nell’attenzione crescente alle produzioni di qualità (43 marchi DOP e 1 marchio IGP, olio biologico, nuove classi merceologiche come, ad esempio, «Alta qualità», ecc.); nel know how; nell’elevato numero di filiere di prodotto olivicolo tracciate (circa 500). A livello di prima trasformazione, il documento identifica i punti di forza nella capillare localizzazione dei frantoi nelle aree vocate, con possi-bilità di una più alta qualità legata alla tempestiva lavorazione delle olive, nell’ele-vata professionalità degli operatori dei frantoi, nella presenza di distretti produttivi con un’elevata concentrazione di prodotto e nella continua modernizzazione degli impianti.

In altri termini, la creazione del valore della qualità dell’olio di oliva è il frut-to di interazioni legate a vari fatfrut-tori, quali gli elementi propri del sistema terrifrut-torio, le risorse umane, la tecnologia e le diverse componenti che concorrono a definire il “sistema di prodotto” (Fig. 1). Quest’ultimo concetto richiama il fatto che il pro-dotto è un “paniere” composito di benefici o di attributi (materiali e immateriali), ognuno dei quali può influenzare (positivamente o negativamente) il valore

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per-cepito dal consumatore e può costituire anche una base per differenziare la pro-pria offerta rispetto a quella dei concorrenti. La creazione del valore della qualità dell’olio di oliva è, quindi, il risultato di un processo produttivo nel quale entrano in gioco anche molti fattori esogeni al processo produttivo inteso nel senso stretto del termine, legati ai caratteri del territorio e alla sua tradizione produttiva. Figura 1 - processo di creazione del valore della qualità dell’olio di oliva

4.

segnali di valore della qualità ed efficienza del mercato

dell’olio di oliva

Come abbiamo osservato, la differenziazione basata sulla diversità quali-tativa del prodotto è efficace nel determinare le preferenze e le scelte del consu-matore soltanto se percepita, altrimenti il consuconsu-matore troverà conveniente affi-darsi a segnali di valore quali il prezzo, l’etichetta, la notorietà della marca, ecc., in quanto segnali che egli può direttamente verificare anche prima dell’acquisto,

Produttore e sistema

produttivo Sistema territorio

Sistema di prodotto “olio di oliva”

Consumatore Strategie competitive delle

im-prese della GDO: alto potere con-trattuale; politiche promozionali; strategie di category

manage-ment.

Informazioni incomplete e inade-guate a disposizione del consu-matore per valutare le caratteri-stiche qualitative dell’olio di oliva (asimmetria informativa).

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e, quindi, valutare in rapporto alle sue preferenze. Il problema si presenta soprat-tutto quando sul mercato sono disponibili beni caratterizzati da forte somiglianza e da legami di forte sostituibilità, anche se con requisiti qualitativi diversi che il consumatore non è in grado di valutare in modo adeguato.

Nel caso specifico dell’olio di oliva questo problema è ancora più evidente. Da una parte, vi è una normativa che disciplina la classificazione e la denomi-nazione degli oli di oliva che non aiuta il consumatore ad orientarsi nella scelta del prodotto di più alta qualità. Infatti, la dicitura «olio extravergine di oliva» si applica a prodotti molto diversi tra loro sia per caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche del prodotto, sia per zona geografica di provenienza e relative con-dizioni pedoclimatiche, colturali e tecnologiche. Dall’altra, vi è il fatto che molti dei requisiti della qualità di un sistema territorio-produzione-prodotto che distin-guono l’olio di oliva di alta qualità da quello di qualità standard, anche all’interno della stessa classe degli oli extravergine di oliva, appartengono al gruppo che Peri (2008) chiama “requisiti impliciti”, ossia a quelli che «non sono constatabili dal consumatore né sono verificabili con una analisi del prodotto, ma possono essere soltanto oggetto di registrazione effettuata al momento opportuno durante il pro-cesso produttivo». Alcuni di questi requisiti, in realtà, sono verificabili a posteriori in ogni momento della vita del prodotto; tra questi vi sono, ad esempio, la con-formità merceologica, le caratteristiche nutrizionali, le proprietà salutistiche, la sicurezza igienico-sanitaria, ecc. Altri possono essere soltanto oggetto di registra-zione e/o documentaregistra-zione; si tratta, in questo caso, dell’origine geografica, della tracciabilità, dell’applicazione di specifiche tecnologie, dell’impatto sull’ambiente da parte dei processi produttivi utilizzati, del rispetto delle condizioni di lavoro, della varietà e del grado di maturazione delle olive, delle tecniche colturali, dei sistemi di raccolta, ecc.

Le implicazioni in termini di mercato derivanti da situazioni di «asimmetria informativa» sono state ampiamente analizzate dagli economisti. A questo riguar-do, Akerlof (1970) propone un modello che ha come riferimento il mercato delle auto usate (dove sono presenti anche auto in cattive condizioni, dei veri e propri “bidoni” o, nel gergo americano, lemons), ma che può essere facilmente esteso al nostro caso, in cui dimostra che quando il consumatore non ha a disposizione le informazioni necessarie per valutare il differenziale qualitativo esistente tra i diversi prodotti, sarà portato a scegliere sulla sola base del prezzo il prodotto più economico. La conseguenza, inoltre, è che il prodotto di più alta qualità, e an-che più caro per via del più alto costo di produzione necessario per realizzarlo, o resterà invenduto oppure dovrà essere venduto a un prezzo non remunerativo. Il

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risultato finale sarà una progressiva svalutazione della qualità, sino alla scom-parsa, sul mercato, dei prodotti di più elevata qualità, a vantaggio dei prodotti di qualità standard. In sostanza, per i produttori di olio di oliva di più alta qualità, l’acquisizione di un prezzo più alto rispetto a quello relativo ai prodotti di qualità standard, come “premio” che il consumatore è disposto a riconoscere loro, appare una condizione indispensabile per conseguire un livello di redditività soddisfacente e, quindi, restare sul mercato.

Un secondo fattore che riduce la capacità del mercato di trasmettere appro-priati segnali di valore che consentano al consumatore di dedurre il valore della qualità è costituito dalle strategie competitive della GDO, che, peraltro, rappre-senta il canale in più forte espansione per le vendite di olio di oliva. In Italia, infatti, si stima che attraverso la GDO passi oltre il 60% del totale delle vendite di olio di oliva (ISMEA, 2010, pp. 24 e 25); percentuale che aumenta se si considera solo la categoria dell’extravergine di oliva2.

In questa direzione agisce, in primo luogo, l’accresciuto potere di mercato detenuto dalla GDO in seno alla filiera dell’olio di oliva, come peraltro è avvenu-to per molte altre filiere agroalimentari. Un potere, quesavvenu-to, che consentendo alla GDO di operare in condizioni di mercato monopsonistico nei confronti delle impre-se di produzione di olio, porta a ridurre i prezzi pagati ai produttori. Le strategie messe in atto dalla imprese della GDO in questa direzione sono diverse a seconda che si tratti di imprese olearie di grandi dimensioni con un marchio forte e rico-nosciuto sul mercato, ovvero di piccoli fornitori (Furesi, Madau e Pulina, 2013, p. 139). Nel caso di grandi produttori, che in virtù di ingenti investimenti pubblicitari inducono comportamenti d’acquisto improntati alla fedeltà al brand, la relazione che si stabilisce con le imprese della GDO è riconducibile all’interno di un quadro che possiamo definire “di mutua interdipendenza”, con un equilibrio che comun-que “pende a favore della GDO”. A tal fine, un ruolo importante viene svolto dal-le private label, che in questi ultimi anni hanno visto aumentare notevolmente la loro quota di mercato, arrivato, nel 2009, al 18% delle vendite totali di olio di oliva (ISMEA, 2010, p. 26).

Come sottolineano gli autori (Furesi, Madau e Pulina, 2013), le private label svolgono essenzialmente un ruolo competitivo nei rapporti con i grandi produttori, che vedono ridursi il loro potere nei confronti della GDO parallelamente all’aumen-tare della quota di mercato delle marche commerciali. In questa situazione, infatti,

2 La ripartizione dei volumi di olio venduti nel 2010 in Italia presso la GDO, vede al primo posto l’olio extravergine di oliva, con il 72% del totale, seguito dall’olio di oliva (14%), l’olio 100% Italiano (12%) e l’olio biologico e a marchio DOP o IGP (2%) (UNAPROL, 2010).

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le imprese di produzione sono costrette, da un lato, ad aumentare gli investimenti finalizzati a tutelare la fedeltà al loro marchio e, dall’altro, a ridurre i prezzi di ven-dita alla GDO per evitare di perdere quote di mercato.

Molto diversa è la condizione delle piccole imprese di produzione di olio di oliva. Nei rapporti contrattuali con la GDO, queste imprese si collocano in uno stato di sostanziale “dipendenza dal distributore”. La loro presenza negli scaffali, ben-ché considerata importante in quanto consente un ampliamento degli assortimenti, è subordinata, infatti, alla possibilità di stipulare contratti vantaggiosi in termini di prezzo e di modalità di pagamento. «In queste condizioni, le basi del potere possono assumere anche connotati coercitivi ed i ruoli delle parti sono ben definiti in un clima di scarsa o nulla collaborazione. Le interferenze sono anzi circoscritte alle forniture di prodotti da destinare al marchio dell’insegna commerciale. La conflittualità è bas-sa, dal momento che l’insorgenza di divergenze può facilmente portare all’estinzione del rapporto» (Furesi, Madau e Pulina, 2013, p. 139).

A distorcere il mercato dell’olio di oliva contribuiscono anche le politiche promozionali e le strategie di category management realizzate dalle imprese della GDO. Nel primo gruppo rientrano quelle iniziative, specifiche del marketing azien-dale e di quello dei beni di largo consumo, che le imprese della GDO mettono in atto nel quadro delle loro politiche di concorrenza, facendo leva sulla riduzione temporanea del prezzo come incentivo all’acquisto per aumentare il volume delle vendite. In questo ambito, nel caso dell’olio di oliva prevalgono soprattutto le pro-mozioni di convenienza (riduzione temporanea del prezzo, offerta di un insieme di prodotti della stessa impresa ad un prezzo complessivo scontato o di un formato maggiorato al prezzo del formato normale, offerta di tre confezioni al prezzo di due, ecc.), ossia iniziative che portano alla vendita a prezzi fortemente scontati o, addirittura, sottocosto anche prodotti di ottima qualità.

Le strategie di category management trovano fondamento nella tendenza del consumatore a concentrare gli acquisti in un numero limitato di occasioni e di punti vendita non specializzati e di grandi dimensioni (one-stop-shops), e si basano sul fatto che, nella determinazione dei prezzi dei beni, l’impresa persegue l’obiettivo della massimizzazione del profitto sull’intera spesa, anziché su quello del singolo prodotto. In un recente studio che analizza le implicazioni delle tecniche di category management sulle dinamiche dei prezzi agricoli e alimentari (Russo, 2013), si dimo-stra che tali tecniche determinano un aumento della rigidità dei prezzi al consumo e una attenuazione della relazione fra i prezzi alla produzione e i prezzi al dettaglio. Inoltre, si evidenzia che, in presenza di strategie di category management, aumen-tano la volatilità dei prezzi alla produzione e il margine sui beni caratterizzati da una

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maggiore rigidità delle domanda. In sostanza, i beni alimentari, che presentano ge-neralmente un basso coefficiente dell’elasticità della domanda, offrono un maggior contributo alla definizione dei profitti totali dell’impresa.

5.

ambiti di intervento per la correzione delle distorsioni del

mercato e la valorizzazione della qualità

Le distorsioni del mercato sin qui esaminate portano inevitabilmente a una pro-gressiva svalutazione dei requisiti della qualità e a selezionare per il mercato le sole imprese in grado di competere sulla base del prezzo o della notorietà della marca. In una realtà produttiva, come quella italiana, dove i costi di produzione sono mediamente più alti rispetto ad altre aree, prima fra tutte la Spagna (ISMEA, 2010), questa prospet-tiva rischia di emarginare gran parte del settore olivicolo, a partire dal comparto delle produzioni artigianali e di nicchia. Una prospettiva, questa, che oltre agli effetti nega-tivi sull’economia, soprattutto in quelle aree dell’Italia meridionale dove l’olivicoltura svolge una ruolo di primaria importanza sul piano economico e sociale, rischia anche di compromettere il patrimonio paesaggistico, ambientale, storico e culturale che in Italia è legato all’olivicoltura. In sostanza, la correzione delle distorsioni del mercato precedentemente analizzate trova ragione non solo sul piano strettamente economi-co, ma anche su quello più generale dell’interesse della società nel suo complesso.

Questa prospettiva richiede l’attuazione di interventi molto complessi da svilup-parsi sia sul piano della comunicazione e del marketing, sia su quello delle normative. Quest’ultimo coinvolge livelli istituzionali sovranazionali (Unione europea), nazionali e regionali. A questo proposito, i problemi da affrontare sono molteplici e si configurano indubbiamente di difficile soluzione anche sul piano politico, in quanto affrontano di-verse problematiche (relative, ad esempio, alle norme sulla commercializzazione, alle indicazioni che devono figurare sull’etichetta, alle norme sulle caratteristiche degli oli di oliva, sulla trasparenza e la tutela del consumatore, sul funzionamento del mercato e della concorrenza), coinvolgendo diversi interessi a livello internazionale e naziona-le, spesso contrastanti.

5.1. La normativa per la valorizzazione della qualità

In questi ultimi anni, si sono registrati importanti interventi che hanno ag-giornato la normativa dell’Unione europea sulla commercializzazione dell’olio di

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oliva, al fine di mettere a disposizione del consumatore informazioni più complete e chiare. In particolare, il regolamento (CE) n. 182/2009, che modifica il regola-mento (CE) n. 1019/2002 relativo alle norme di commercializzazione dell’olio di oliva, rende obbligatoria l’indicazione dell’origine sull’etichetta per l’olio extraver-gine di oliva e per l’olio di oliva verextraver-gine. La designazione dell’oriextraver-gine, intesa come «l’indicazione di un nome geografico sull’imballaggio o sull’etichetta» [art. 4, pa-ragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1019/02], infatti, era stata già introdotta dal regolamento (CE) n. 1019/02, sebbene, come regime facoltativo. Si tratta chiara-mente di una disposizione che mira a veicolare attraverso l’etichetta informazioni che possano essere utilizzate dal consumatore per dedurre il livello qualitativo del prodotto acquistato. Infatti, come viene richiamato nei considerando (paragrafo 4), «a motivo degli usi agricoli o delle pratiche locali di estrazione o di taglio, gli oli di oliva vergini direttamente commercializzabili possono presentare qualità e sapore notevolmente diversi tra loro a seconda dell’origine geografica». Infine, si sottoli-nea che, per evitare rischi di distorsione del mercato degli oli di oliva commestibili, è necessario stabilire «norme comunitarie relative alla designazione dell’origine esclusivamente per l’olio “extravergine” di oliva e l’olio di oliva “vergine” rispon-denti a precisi requisiti».

A livello nazionale, la normativa registra l’approvazione della legge che ha per titolo «Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergi-ni» (legge 14 gennaio 2013, n. 9) che stabilisce criteri per aumentare la chiarezza e la visibilità dell’indicazione dell’origine degli oli di oliva vergini, che deve essere ob-bligatoriamente riportata in etichetta, nonché norme sulla trasparenza e la tutela del consumatore, sul funzionamento del mercato e della concorrenza e sul con-trasto delle frodi e delle contraffazioni di oli DOP o IGP, con un forte inasprimento delle sanzioni. In particolare, l’art. 1 prende in esame le etichette e stabilisce che l’indicazione dell’origine degli oli di oliva prevista dalla normativa vigente «deve figurare in modo facilmente visibile e distinguibile nel campo visivo del recipiente, in modo da essere distinguibile dalle altre indicazioni e dagli altri segni grafici». La norma stabilisce che la designazione dell’origine è «stampata sul recipiente o sull’etichetta ad esso apposta, in caratteri la cui parte mediana è pari o superiore a 1,2 millimetri, ed in modo da assicurare un contrasto significativo tra i caratteri stampati e lo sfondo». Aggiungendo, al comma 4, che «nel caso di miscele di oli di oliva estratti in un altro Stato membro o Paese terzo, l’indicazione dell’origine di cui al comma 1 è immediatamente preceduta dall’indicazione del termine “mi-scela”, stampato ai sensi dei commi 2 e 3 e con diversa e più evidente rilevanza cromatica allo sfondo, alle altre indicazioni ed alla denominazione di vendita».

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In particolare, per quanto riguarda il problema di assicurare un più corretto fun-zionamento del mercato e una maggiore concorrenza, la legge prevede, tra l’altro, che «l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in conformità ai poteri ad essa conferiti dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287, vigila sull’andamento dei prezzi e adotta atti idonei a impedire le intese o le pratiche concordate tra imprese che hanno per oggetto o per effetto di ostacolare, restringere o falsare in maniera consistente la con-correnza all’interno del mercato nazionale degli oli di oliva vergini attraverso la deter-minazione del prezzo di acquisto o di vendita del prodotto» (art. 8). Inoltre, all’art.11, vengono introdotti limiti alla vendita sottocosto, stabilendo che «nel settore degli oli di oliva extravergini la vendita sottocosto è soggetta alla comunicazione al Comune dove è ubicato l’esercizio commerciale, almeno venti giorni prima dell’inizio, e può essere effettuata solo una volta nel corso dell’anno. È comunque vietata la vendita sottocosto effettuata da un esercizio commerciale che, da solo o congiuntamente a quelli dello stesso gruppo di cui fa parte, detiene una quota superiore al 10% della superficie di vendita complessiva esistente nel territorio della provincia dove ha sede l’esercizio».

Un ulteriore contributo sul piano della normativa che può costituire un’efficace base per lo sviluppo di una strategia per la valorizzazione della qualità dell’olio di oliva italiano è quello previsto dallo schema di decreto ministeriale (ancora in fase di ela-borazione) relativo all’istituzione del «Sistema di Qualità Nazionale Olio Extra Vergine di Oliva (SQN-olio)»3 riconosciuto a livello nazionale, in conformità con quanto

previ-sto dall’art. 22, paragrafo 2 del regolamento (CE) n. 1974/2006. Secondo lo schema di decreto, il SQN-Olio «individua il prodotto Olio Extra Vergine di Oliva avente caratteri-stiche specifiche che determinano una qualità del prodotto finale significativamente superiore rispetto alle norme commerciali correnti» (articolo 1, punto 2). A tal fine, si prevede un disciplinare unico nazionale, un piano di controllo e (all’articolo 11) l’isti-tuzione di un «marchio collettivo unico nazionale» di cui possono beneficiare i diversi operatori (aziende agricole di produzione, singole e associate; imprese, singole e as-sociate, di gestori di frantoi; imprese che svolgono funzioni di commercializzazione per le precedenti categorie; operatori appartenenti in modo esclusivo alla fase della distribuzione, quali i confezionatori e i distributori) che rispettino il «Disciplinare unico nazionale» e che siano inseriti nell’elenco istituito presso il MIPAAF degli Operatori e degli Organismi di controllo accreditati aderenti al SQN-Olio, articolato su base regio-nale, e pubblicato sul sito internet del Ministero4.

3 Si veda, al riguardo, la relazione di Petrucci in questo stesso volume.

4 Sugli approfondimenti delle norme citate si vedano le relazioni di Germanò, Masini e Albisinni in questo stesso volume.

Figura

tabella 1 - composizione chimica dell’olio extravergine di oliva
Figura 1 - Formule di struttura dei derivati dei secoiridoidi e degli alcoli fenolici  presenti nell’olio di oliva
Figura 2 - valori medi (mg/kg) dei polifenoli totali in oli extravergini di oliva*
Figura 3 - valori medi (mg/kg) di α-tocoferolo in oli extravergini di oliva*
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