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La giurisprudenza internazionale sui crimini contro le donne

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea Magistrale

La giurisprudenza internazionale sui crimini contro le donne

Candidata: Relatore:

Irene Cini Chiar. mo Prof. Antonio Marcello Calamia

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2

A tutte le donne della mia famiglia,

ai miei nipoti Matilde e Francesco, a Matteo.

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3 INDICE

INTRODUZIONE….p. 7

CAPITOLO I

Excursus storico dei crimini di guerra contro le donne avvenuti durante alcuni rilevanti conflitti

1.1 L’impero giapponese e il caso delle “comfort women”….p. 12 1.2 “Tokyo Tribunal”….p. 20

1.3 La seconda guerra mondiale e i crimini contro le donne….p. 23 1.4 Il Tribunale di Norimberga….p. 29

1.5 Le guerre dei Balcani e l’ICTY….p. 31 1.6 La guerra civile in Ruanda e l’ICTR ….p. 35 1.6.1 Il caso Akayesu….p. 39

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4 CAPITOLO II

Worlds Courts of Women

2.1 Il diritto umanitario internazionale , il diritto penale internazionale e il diritto internazionale dei diritti umani….p. 42 2.2 Crimini internazionali: “Ius Cogens” e “Obligations Erga

Omnes”….p. 49

2.3 Origine dei Tribunali di persone e di donne (“Bertrand Russell’s Tribunal” e “Brussels Tribunal”)….p. 54

2.4 Background storico della Jugoslavia….p. 61 2.5 Background storico del Ruanda….p. 64 2.6 Metodologia dell’ICTY e dell’ICTR….p. 69

2.7 Altri Tribunali Speciali (“Mixed National and International Tribunals”):

Le Camere Straordinarie delle Corti della Cambogia….p. 74 2.7.1 Il Tribunale Speciale per La Sierra Leone….p. 81 2.7.2 L’ICTY in Kosovo….p. 86

(5)

5 CAPITOLO III

L’evoluzione dei crimini internazionali

3.1 Crimine di genocidio nell’ICTY e nell’ICTR….p. 92 3.2 Crimini contro l’umanità nell’ICTY e nell’ICTR….p. 96

3.3 Evoluzione del crimine di genocidio (tentativo di

genicidio)….p. 102

3.4 “Sexual offences and rape” nell’ICTY e nell’ICTR….p. 108 3.5 “Rape” e genocidio nel Rome Statute….p. 119

3.6 Repressione e condanna dei crimini a sfondo sessuale (il primo caso della CPI)….p. 126

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6 CAPITOLO IV

Le regole procedurali e la prassi rilevante

4.1 Metodi usati nei processi internazionali (“feminist

approach”)….p. 137

4.2 Analisi delle testimonianze di donne provenienti da Balcani….p. 146

4.3 Procedure a confronto: tribunali nazionali e tribunali internazionali….p. 155

4.4 Ruolo delle vittime e degli imputati nei processi internazionali….p. 168

CONCLUSIONI….p. 174

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7 INTRODUZIONE

Durante il mio percorso di studi ho provato particolare interesse per il diritto internazionale, in quanto mi ha permesso di apprendere il funzionamento e la prassi giuridica della comunità internazionale, trattandosi appunto del diritto della Comunità di Stati. Il fatto che questo ordinamento sia rivolto a tutta la comunità internazionale è per me una caratteristica molto intrigante, in quanto permette di analizzare le varie tematiche del diritto attraverso una visione e una conoscenza ampia, globale. Ho scelto, perciò, di analizzare un tema, a me particolarmente caro, proprio in ambito internazionale, cercando di mostrare come, nelle varie realtà internazionali, è stato più o meno gestito e trattato a livello giuridico: i crimini contro le donne nella prospettiva internazionale. Il mio intento è quello di analizzare la commissioni di questi crimini, avvenuta in diversi periodi storici, da me, ritenuti particolarmente significativi per inquadrare l’orrore di queste violenze. Trattandosi di crimini contro le donne, risulta, abbastanza comprensibile, come sia facile ricadere nell’ambito delle fattispecie criminose a sfondo sessuale. Ho voluto analizzare alcune tra le più atroci fattispecie criminose commesse contro il genere femminile durante alcuni dei più rilevanti conflitti armati, come nel caso della seconda guerra mondiale, delle guerre dei Balcani, della guerra civile in Ruanda, delle guerre civili in

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8

Cambogia e di quelle avvenute in La Sierra Leone. Per ogni conflitto armato posto in essere, ho cercato di analizzare i vari crimini commessi contro le donne, concentrandomi sulle violenze sessuali, come lo stupro, gli abusi sessuali, la schiavitù sessuale, la gravidanza forzata e la sterilizzazione forzata. Nel fare questo, ho voluto anche esaminare altri crimini internazionali, non propriamente di genere, come il genocidio, la deportazione nei campi, le torture, la schiavitù ed altri gravi crimini contro l’umanità. Partendo dalle situazioni conflittuali scelte ho approfondito la prassi dei tribunali internazionali creati per fronteggiare le problematiche derivate dai conflitti armati, ovvero istituiti per condannare e reprimere i più gravi crimini penali internazionali, perpetuati da leaders politici, capi di Stato, capi militari e semplici membri degli eserciti nazionali. In particolar modo, ho analizzato, i due più significativi tribunali internazionali ad hoc, ovvero l’“International Criminal Tribunal for the former Yugoslvia” e l’“International Criminal Tribunal for Rwanda”, voluti entrambi dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per fronteggiare il caos causato dalle guerre, rispettivamente nei territori dell’ex Repubblica di Jugoslavia e in Ruanda. Inoltre, ho approfondito, anche l’operato di altri importanti tribunali penali internazionali, come il Tribunale di Tokyo, il Tribunale di Norimberga e i “Mixed National and International Tribunals”, tra cui le Camere Straordinarie delle Corti della Cambogia, il Tribunale Speciale per La Sierra Leone e l’ICTY in Kosovo.

Più nel dettaglio, nel primo capitolo del mio elaborato, ho illustrato: il caso delle “comfort women”, presente nell’Impero giapponese e

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9

protrattosi dai primi anni ’30 fino alla fine del secondo conflitto mondiale e il “Women’s International War Crime Tribunal”, cosiddetto “Tokyo Tribunale”, creato nel 2000, per rispondere al silenzio che avvolgeva i crimini di guerra commessi contro le donne dall’esercito e dal governo giapponese; ho proseguito parlando dei crimini contro le donne perpetuati durante la seconda guerra mondiale dall’esercito nazista, dall’esercito degli Alleati e dall’Italia colonizzatrice in Africa e del Tribunale di Norimberga, istituito per processare i più alti capi dello Stato tedesco; ho descritto, poi, i crimini posti in essere durante le guerre dei Balcani, dove endemiche sono state la violenza sessuale e quella riproduttiva e la creazione dell’ICTY; infine, ho descritto il genocidio del Ruanda e l’istituzione dell’ICTR, con l’approfondimento del caso Akayesu, “bourgmestre del Taba Commune”, dove le donne tutsi rifugiatesi venivano sottoposte a continue violenze sessuali.

Nel secondo capitolo ho iniziato parlando del diritto umanitario internazionale, del diritto penale internazionale e del diritto internazionale dei diritti umani, per capire le cause dell’inefficienza e dell’incapacità della responsabilità internazionale e il sopravvivere del meccanismo dell’impunità; ho continuato descrivendo le origini dei primi tribunali di persone e di donne (“Bertrand Russell’s Tribunal” e “Brussels Tribunal”); proseguendo con un background storico della Jugoslavia e del Ruanda per poi descrivere la metodologia dell’ICTY e dell’ICTR e, infine, nell’ultimo paragrafo, ho analizzato i Tribunali Misti, suddetti, in cui si è cercato di combattere le difficoltà legate al perseguimento dei casi violenza sessuale come crimini.

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Nel terzo capitolo ho parlato, invece, dell’evoluzione dei crimini internazionali, ho esposto come crimini, quali il genocidio, lo stupro e le violenze sessuale sono stati trattati e considerati, nei primi tribunali internazionali ad hoc (ICTY e ICTR) fino ad arrivare al “Rome Statute” della Corte Penale Internazionale (CPI) e, per concludere, ho inserito un accenno alla legislazione penale italiana odierna in materia di reati a sfondo sessuale.

Nell’ultimo capitolo ho cercato, infine, di spiegare le regole procedurali delle “Women’s Courts”, parlando dei metodi usati nei processi internazionali, ovvero del “femist approach” e del “feminist code”. Ho analizzato le testimonianze di donne provenienti dai Balcani, che hanno testimoniato durante il processo organizzativo di queste corti di donne; ho fatto un confronto tra le procedure dei tribunali nazionali e dei tribunali internazionali e, poi, concludendo, ho inserito alcune testimonianze sul ruolo ricoperto dalle vittime e dagli imputati nei processi penali internazionali di cui abbiamo parlato.

Il tema della violenza sessuale esercitata contro le donne, è un tema antichissimo e tuttora, purtroppo, molto attuale. Tra le vicende più antiche della storia di Roma, vi è la leggenda del “Ratto delle Sabine”, ovvero il rapimento delle donne sabine. La leggenda narra che Romolo, fondatore di Roma, voleva stringere alleanza con i popoli vicini e trovare delle donne con cui procreare, in modo da ripopolare la sua città. Per fare questo chiese aiuto ai vicini sabini, i quali però rifiutarono, scatenando l’ira di Romolo, che decise di vendicarsi. Con l’inganno, Romolo, attirati i sabini nella sua città

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per la visione di uno spettacolo, riuscì a rapire le loro donne. Il re di Roma non aveva intenzione di liberare le donne rapite, anzi le costrinse ad accettare i legami di parentela con i Romani. Si scatenò, così, una guerra tra i due popoli, la quale terminò grazie all’intervento delle donne che con estremo coraggio, chiesero la pace, assumendosi la responsabilità di quella guerra e mostrando il loro amore per i padri (i sabini) e per i mariti (i Romani).

Questo episodio ci permette di comprendere come le donne, siano state, fin dall’antichità, vittime di soprusi, di abusi e di ingiustizie, a causa della loro condizione di vulnerabilità dovuta alla condizione di inferiorità che, le società di tutti i tempi, hanno sempre riservato loro.

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12 CAPITOLO I

Excursus storico dei crimini di guerra contro le donne avvenuti avvenuti durante alcuni rilevanti conflitti

1.1 L’Impero giapponese e il caso delle “comfort women”

In questo primo capitolo andremo ad analizzare quattro periodi storici differenti, dominati da importanti conflitti che hanno portato alla negazione di molti dei diritti umani ed, in particolar modo, analizzeremo la discriminazione del genere femminile. La scelta di queste situazioni di conflitto non segue, ovviamente, un percorso cronologico, ma è dettata dall’importanza degli eventi.

Durante questi conflitti armati, come in molti altri, sono stati compiuti crimini di guerra atroci quali: il genocidio, la schiavitù sessuale, la prostituzione forzata, la violenza sessuale, lo stupro, la gravidanza forzata e la sterilizzazione forzata.

Si tratta di crimini che sono stati riconosciuti, grazie alle denunce e all’istituzione di processi internazionali, crimini contro l’umanità e di conseguenza condannati, in alcuni casi, severamente.

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13

Il caso delle “comfort women” rappresenta uno dei “silenzi” della legge internazionale riguardo alla violenza sessuale commessa contro le donne. La locuzione “comfort women” è la traduzione del

termine giapponese “ianfu”, che significa “prostituta/e”1

.

Durante l’impero giapponese, fin dai lontani anni trenta, il fenomeno delle donne conforto si è sviluppato e radicato, in parallelo alle varie fasi del conflitto. Infatti, dal 1932, e, per tutta la durata della seconda guerra mondiale, il Giappone ha creato e

mantenuto un sistema di case di prostituzione militare2.

Le donne venivano condotte in questi “centri del confort” con la forza o con raggiri e poi costrette a prostituirsi a militari nipponici. Furono create stazioni di conforto in Cina, a Taiwan, nel Borneo e nelle Filippine. Queste stazioni spesso erano gestite da privati, ma i veri “fruitori del servizio” erano, di fatto, i militari. Le donne provenivano da diversi paesi quali la Cina, il Giappone, la Corea

del Nord e del Sud, la Malesia, l’ East Timor..3

Questa umiliante prassi, posta in essere dal governo giapponese, era stata pensata per soddisfare i desideri dei militari e per evitare che

questi andassero ad importunare la popolazione civile

inimicandosela4 (vedi il caso del massacro di Nancino5). Lo stupro

1

Il termine ianfu è un eufemismo del termine shofu, che significa prostituta/e

2

Le case di prostituzione militare sono dette anche stazioni di conforto (in inglese “comfort stations”). Cfr. MAFFEI M., Tratta, prostituzione forzata e diritto internazionale. Il caso delle

donne conforto, Giuffrè Editore, MILANO, 2002, pp. 11-12

3

Cfr. MAFFEI M., Tratta, prostituzione forzata e diritto internazionale. Il caso delle donne

conforto, Giuffrè Editore, MILANO, 2002, pp. 11-13

4

Cfr. DE VIDO S., Women’s Tribunals to Counter Impunity and Forgetfulness: Why are They

Relevant for International Law?, in Rivista telematica sugli studi sulla memoria femminile,

(14)

14

di Nancino rappresenta un insieme di crimini di guerra, tra cui stupri e saccheggi di una tale brutalità, che hanno dato all’esercito

giapponese la nomina di “macchina bestiale”6

.

Tornando al caso delle “comfort women”, risulta elevato il numero delle vittime coinvolte che si aggira tre le 50,000 e le 200,000

donne7. Le condizioni in cui erano costrette a vivere queste donne

emergono dalle testimonianze delle superstiti, che narrano di uno stato di schiavitù perenne; infatti, queste, subivano ripetute violenze sessuali, trattamenti inumani, sevizie, umiliazioni “gratuite” e trattamenti medici “imposti”.. (venivano addirittura vaccinate per non trasmettere la sifilide ai militari). La relatrice Coomaraswamy, nel suo Rapporto, respinge addirittura l’espressione “comfort women” per abbracciare la più appropriata “schiave sessuali militari”8.

Per quanto riguarda la responsabilità del Giappone, molti, tra cui anche diversi storici, ancora stentano ad ammettere il coinvolgimento del governo nella perpetuazione di queste violenze a sfondo sessuale. Il governo giapponese scaricava sui privati la responsabilità di questi crimini, ma molte nazioni erano comunque consapevoli della responsabilità del governo stesso e lo

5

Il massacro di Nancino è conosciuto anche come lo stupro di Nancino. È avvenuto durante la guerra sino-giapponese, quando, nel 1937, Nancino, al tempo capitale della Repubblica della Cina, cadde sotto l’Impero giapponese

6

Cfr. DE VIDO S., Women’s Tribunals to Counter Impunity and Forgetfulness: Why are They

Relevant for International Law?, in Rivista telematica sugli studi sulla memoria femminile,

DEP n. 33/2017, pag. 54

7

Cfr. DE VIDO S., Women’s Tribunals to Counter Impunity and Forgetfulness: Why are They

Relevant for International Law?, in Rivista telematica sugli studi sulla memoria femminile,

DEP n. 33/2017, pag. 154

8

Cfr. MAFFEI M., Tratta, prostituzione forzata e diritto internazionale. Il caso delle donne

(15)

15

condannavano. Le vittime e i movimenti a loro sostegno, a loro volta, ed anche il Rapporto Coomaraswamy, invocavano la violazione dei diritti umani e la violazione di norme consuetudinarie. Infatti, il Giappone, si ritenne responsabile di aver violato diverse norme tra cui:

_ la norma consuetudinaria che tutela la dignità e l’onore delle persone, incorporata nella Convenzione dell’Aja del 1899 e nella IV Convenzione dell’Aja del 1907 sulle norme e le consuetudini della guerra terrestre.

_la Convenzione che vieta il genocidio, riprodotta nella Convenzione del 1948 sulla prevenzione e repressione dei crimini del genocidio.

_la Convenzione del 1921.

_la Convenzione sulla schiavitù (Ginevra, 25 settembre 1926).

_la Convenzione sul lavoro forzato del 28 giugno 1930.9

Ovviamente per riconoscere la responsabilità dell’impero giapponese, dobbiamo rispettare il principio d’irretroattività della legge penale. Il principio d’irretroattività della legge penale è posto a tutela dei soggetti che possono essere sottoposti a procedimenti penali. Quindi per sostenere la responsabilità del Giappone, per crimini contro l’umanità e per crimini di guerra, occorre provare,

9

Cfr. MAFFEI M., Tratta, prostituzione forzata e diritto internazionale. Il caso delle donne

(16)

16

che i fatti posti in essere all’epoca, costituivano crimini secondo il diritto internazionale10.

Vediamo di analizzare le posizioni di alcuni stati riguardo la responsabilità del Governo giapponese .

Lo Stato che più assume una posizione “dura” nei confronti del Giappone è la Corea del Nord, la quale lo condanna per aver violato il diritto umanitario internazionale. Inoltre, la Corea, accusa il Giappone di aver occupato il suo territorio (occupazione militare) e di aver violato la Convenzione (vedi sopra) del 1921. Perciò, chiede al Giappone delle scuse ufficiali, l’accettazione della totale responsabilità e il risarcimento per le vittime sopravvissute. Viene richiesto un risarcimento individuale per le donne sopravvissute, ma anche un risarcimento rivolto alla stessa Corea del Nord per tutte le donne uccise11.

Le richieste della Corea del Nord trovano sostegno nella seconda parte del Progetto di articoli sulla responsabilità internazionale adottato dalla Commissione del Diritto Internazionale in seconda lettura nel 2001 (artt. 36-37, rispettivamente sul risarcimento del danno e sulla soddisfazione). Risarcimento e soddisfazione sono due delle forme di riparazione del pregiudizio causato da un atto internazionale illecito, da impiegare nel caso non sia possibile la

10

Principio d’irretroattività della legge penale

11

Cfr. MAFFEI M., Tratta, prostituzione forzata e diritto internazionale. Il caso delle donne

(17)

17

restituzione (“restitutio in integrum”, ovvero il ripristino della

situazione esistente prima del compimento dell’illecito”)12.

La posizione, invece, della Corea del Sud, risulta più cauta. Vengono richieste scuse ufficiali per le vittime e la pubblicazione di documenti sulle “comfort women”. Qui vediamo la richiesta del solo risarcimento individuale per le vittime, a differenza della richiesta di risarcimento della Corea del Nord che riguardava la parte spettante anche allo Stato. Nel 1965 viene concluso un trattato tra Giappone e Corea del Sud, un accordo generale sulle relazioni tra i due paesi, volto a risolvere ogni questione riguardante gli illeciti e le responsabilità internazionali e, quindi, anche il risarcimento dovuto per le donne conforto. Con questo trattato i due stati sembrano essersi “riappacificati” per le varie questioni inter-status verificatesi13.

Per quanto riguarda le modalità concrete di pagamento del risarcimento da parte del Giappone, viene istituito un Fondo per le donne, ovvero “l’Asian Peace and Friendship Found for Women”, finanziato per lo più da fonti private. Questo fondo viene da molti criticato, in quanto ritenuto espressione del solo interesse morale da parte del Giappone, ma non una vera e propria ammissione di responsabilità giuridica. Il contributo governativo del Fondo, in effetti, non riguardava direttamente il risarcimento delle donne, ma

12

Seconda parte del Progetto di articoli sulla responsabilità internazionale adottato dalla Commissione del Diritto Internazionale in seconda lettura nel 2001, artt. 35-37

13

Cfr. MAFFEI M., Tratta, prostituzione forzata e diritto internazionale. Il caso delle donne

(18)

18

era destinato piuttosto ad una serie di iniziative di tipo medico o assistenziale14.

La posizione del Giappone, inizialmente appare di totale negazione dei fatti, si ha infatti l’intento di addossare la colpa ai privati, accusati, come detto sopra, di gestire i centri di distribuzione. Inoltre, il Giappone, nega la sua responsabilità internazionale, in quanto al tempo della seconda guerra mondiale non vi erano ancora strumenti internazionali come la Convenzione di Ginevra del 1949, capaci di rinvenire una violazione del diritto internazionale. In sintesi, il Giappone, sembra ammettere la sola responsabilità morale, piuttosto che quella giuridica. Il governo giapponese contesta, anche, il fatto che l’individuo possa essere considerato soggetto di diritti e obblighi per la legge internazionale15. Non bisogna, però, dimenticare che, il Giappone, ratificando le Convenzioni del 1910 e del 1921, si era impegnato a prevedere le fattispecie in questione come reati e quindi a punirne i responsabili16.

Anche l’autore Shogo Suzuki, nel suo articolo sul problema delle donne conforto a Taiwan, critica il governo giapponese, durante il

former “comfort women”, per le scuse tardive e poco sentite17

.

14

Cfr. MAFFEI M., Tratta, prostituzione forzata e diritto internazionale. Il caso delle donne

conforto, Giuffrè Editore, MILANO, 2002, pp. 32-33

15

Cfr. MAFFEI M., Tratta, prostituzione forzata e diritto internazionale. Il caso delle donne

conforto, Giuffrè Editore, MILANO, 2002, pp. 35-37

16

Si tratta della Convenzione per la tratta delle bianche del 1910 e della Convenzione per la repressione della tratta delle donne e dei minori del 1921

17

Cfr. SUZUKI S., The confort women issue in Taiwan, in Pacific Affairs, THE UNIVERSITY OF BRITISH COLUMBIA, 2011, vol. 84, pag. 226

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19

Secondo la posizione della relatrice Coomaraswamy, riportata nel suo Rapporto, spetterebbe al Giappone punire i responsabili, in quanto capaci di essere considerati soggetti per il diritto internazionale. Infatti, esempi di diritti individuali riconosciuti dal diritto internazionale sono: la Carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione dei diritti dell’ uomo e i Patti sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali. Diversa, invece, la posizione del relatore Van Boven, il quale, ritiene che all’epoca delle donne conforto, la possibilità per il singolo di richiedere un risarcimento per la violazione dei diritti umani, da parte di un altro stato, fosse limitata alla protezione diplomatica dello stato di appartenenza. Egli, perciò, presenta una visione un po’ tradizionale del diritto internazionale18.

Ora vorrei soffermare l’attenzione sul crimine della violenza riproduttiva contro donne e ragazze, che spesso emerge nelle situazioni di conflitto armato. Al crimine della prostituzione forzata, commessa nelle stazioni conforto, si collegano altri crimini, com’è ben comprensibile, quali lo stupro e la gravidanza forzata.

Grazie alle testimonianze di donne e ragazze, siamo venuti a conoscenza dei frequenti casi di violenza riproduttiva causata dall’esercito nipponico nelle comfort stations. Una volta incinte, queste donne, non potevano scegliere se portare o meno avanti la propria gravidanza e, spesso, veniva loro imposto l’aborto. Una testimone, ad esempio, racconta che all’ età di 14 anni fu costretta ad abortire, ma non avendo fatto effetto i farmaci che le erano stati

18

Cfr. MAFFEI M., Tratta, prostituzione forzata e diritto internazionale. Il caso delle donne

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20

somministrati, il manager della “stazione di conforto” finì per

premerle il ventre fino ad indurre l’aborto19

.

Vedremo che lo stupro e la violenza sessuale saranno riconosciuti come crimini contro l’umanità nel ICTY, nel ICTR ed anche nello Statuto di Roma e, questo, dimostra un’attenzione crescente nel considerare le violenze sessuale non più solo crimini di guerra, ma crimini contro l’umanità.

1.2 Il “Tokyo Tribunal”

Nel 2000 fu creato il “Women’s International War Crime Tribunal”, in Giappone, precisamente a Tokyo. Questo “Women’s Tribunal” rappresenta la risposta al silenzio che avvolgeva i crimini di guerra, posti in essere dall’esercito e dal governo del Giappone. Questo tribunale dimostra il fallimento dello stato, che viene chiamato in causa dalla popolazione civile. Non possono essere ignorate violazioni di tale portata, la giustizia deve dare una “risposta” ed individuare i responsabili dei suddetti crimini, in modo da evitare il

formarsi di una “cultura dell’impunità”20

.

Il caso fu presentato, ai giudici, dall’accusa (“prosecution”) composta da un team di differenti paesi. Il processo durò quattro giorni, durante i quali testimoniarono 35 donne sopravvissute. Si presentarono come testimoni anche alcuni esperti e due soldati

19

Cfr. GREY R., The ICC’s First “forced pregnancy” Case in Historical Perspective, in Journal of International Criminal Justice, 2017, vol. 15, pp. 905-930

20

Cfr. DE VIDO S., Women’s Tribunals to Counter Impunity and Forgetfulness: Why are They

Relevant for International Law?, in Rivista telematica sugli studi sulla memoria femminile,

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21

giapponesi, mentre il governo decise di non presentarsi affatto. Le “comfort women” provenivano dal nord e dal sud della Corea, dalle Filippine, dalla Cina, dall’Indonesia, dalla Malesia, dal Timor e dal Giappone. I crimini commessi includevano stupri sistematici, violenza sessuale, schiavitù sessuale, aborto forzato, sterilizzazione forzata e stupri di bambini. Il tribunale applicò diverse convenzioni, tra cui la “Hague Convention” del 1907, la “Slavery Convention” del 1926 e l’ “International Labour Organisation Convention on Forced Labour” del 1930 e i più importanti principi del diritto internazionale21.

La decisione fu un formale giudizio di un tribunale internazionale, con una lista delle accuse, la narrazione dei fatti, i meriti e, infine, le raccomandazioni e le riparazioni. Il Giappone fu ritenuto responsabile della violazione della legge internazionale (ovvero dello “Jus in bello” e delle Convenzioni contro il lavoro forzato e la schiavitù). L’Impero Hirohito fu ritenuto responsabile di crimini

contro l’umanità come lo stupro e la schiavitù sessuale22.

La giuria dovette affrontare il problema dell’immunità dei capi dello stato e dei cosiddetti “pezzi grossi”; questa venne rifiutata sulla scia anche della decisione dell’antecedente Tribunale di Norimberga e, in controtendenza, rispetto alla decisione del

21

Cfr. DE VIDO S., Women’s Tribunals to Counter Impunity and Forgetfulness: Why are They

Relevant for International Law?, in Rivista telematica sugli studi sulla memoria femminile,

DEP n. 33/2017, pag. 155

22

Cfr. DE VIDO S., Women’s Tribunals to Counter Impunity and Forgetfulness: Why are They

Relevant for International Law?, in Rivista telematica sugli studi sulla memoria femminile,

(22)

22

“Military Tribunal for the Far East” (1946-1947), che aveva deciso

di salvare la responsabilità dell’Impero23

.

Il “Tokyo Tribunal” del 2000 mette in evidenza gli sforzi posti in essere dal governo giapponese. Il Giappone porge le sue sincere scuse, dispone una compensazione per il male arrecato alle vittime superstiti e prevede un meccanismo di indagine sul sistema militare di schiavitù sessuale, al fine di ottenere la pubblicazione di importante materiale storico24.

Questo tribunale mostra la possibilità di un cambiamento, segna la fine di un silenzio che si era protratto per un lungo tempo; è un segno di pace e un riconoscimento del male arrecato alla vittime. È uno dei più importanti “Women’s Tribunals”, insieme al “Brussels Tribunal”, all’“International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia”, all’“International Tribunal for the Former Rwanda”, alla “Court of Conscience” in Guatemala, al Tribunale Speciale per La Sierra Leone e molti altri ancora.

Questi tribunali, in molti casi, devono la loro esistenza a organizzazioni non governative, le loro decisioni spesso non vengono stampate e tantomeno prese in considerazione dagli Stati. Le “Women’s Courts” rappresentano una giustizia alternativa a quella ufficiale e le loro sentenze non vengono considerate definitive.

23

Cfr. DE VIDO S., Women’s Tribunals to Counter Impunity and Forgetfulness: Why are They

Relevant for International Law?, in Rivista telematica sugli studi sulla memoria femminile,

DEP n. 33/2017, pp. 155-156

24

Cfr. DE VIDO S., Women’s Tribunals to Counter Impunity and Forgetfulness: Why are They

Relevant for International Law?, in Rivista telematica sugli studi sulla memoria femminile,

(23)

23

Purtroppo questo rappresenta un forte limite per i tribunali stessi, che cercano di dar voce a tante donne, vittime da troppo tempo di soprusi e di ingiustizie.

1.3 La seconda guerra mondiale e i crimini contro le donne

Durante la seconda guerra mondiale sono stati commessi i più efferati e disumani crimini contro l’umanità. L’esercito nazista si è macchiato di crimini quali il genocidio, la deportazione nei campi di concentramento e di sterminio, lo stupro, la schiavitù, le violenze sessuali e molto altro.

Per quanto riguarda i crimini contro le donne, possiamo parlare della violenza sessuale, dello stupro, della schiavitù sessuale, della violenza riproduttiva e della sterilizzazione forzata. Questi crimini sono stati commessi sia dall’esercito nazista che dalle potenze alleate durante tutto il conflitto mondiale25.

L’esercito nazista ha commesso vari tipi di violenza riproduttiva, tra cui la sterilizzazione di ebrei e persone Rom ed esperimenti su donne ebree incinte. Di conseguenza, i membri dell’esercito, sono stati responsabili di effetti che possiamo definire “collaterali” alla violenza riproduttiva, come ad esempio costringendo le donne ad abortire in seguito alle torture subite o costringendole a rimanere incinte a causa degli stupri subiti. Nessuna di queste violenze è stata

25 Varie, manuali di storia

(24)

24

menzionata nella Carta del Tribunale Militare Internazionale (IMT)

o nel “Tribunale di Norimberga” com’è comunemente noto26

.

Secondo un testimone di Auschwitz, nei campi di concentramento, spesso le donne erano “sottoposte all’aborto”, torturate, violentate e sterilizzate. La sterilizzazione forzata veniva effettuata con un’iniezione oppure tramite un’operazione; era in atto un vero e proprio studio sulla sterilizzazione stessa per cercare un metodo veloce per applicarla in massa e col minor sforzo possibile. Questi esperimenti avevano lo scopo di trovare delle misure per preservare la razza ariana, ritenuta l’unica possibile e meritevole di esistere. Si voleva “ostacolare la riproduzione di cittadini nemici, distruggere nazioni e gruppi etnici stranieri” 27

.

Un altro testimone, arrestato dalla Gestapo, ha raccontato che le donne prigioniere incinte venivano sottoposte ad aborti brutali, venivano lasciate senza cura e in balia delle possibili complicazioni

mediche dovute a questi aborti criminali28.

La Rusha29 ha svolto un ruolo chiave nell’imporre aborti forzati alle

lavoratrici di “nazioni orientali”, tra cui la Polonia, la Cecoslovacchia e la Russia. Venivano condotti “esami razziali” sulle donne in gravidanza e sui partner e negato l’aborto nel caso in cui il bambino fosse ritenuto “razzialmente prezioso”. Secondo un

26

Cfr. GREY R., The ICC’s First “forced pregnancy” Case in Historical Perspective, in Journal of International Criminal Justice, 2017, vol. 15, pp. 905-930

27

Cfr. GREY R., The ICC’s First “forced pregnancy” Case in Historical Perspective, Journal of International Criminal Justice, 2017, vol. 15, pp. 905-930

28

Cfr. GREY R., The ICC’s First “forced pregnancy” Case in Historical Perspective, in Journal of International Criminal Justice, 2017, vol. 15, pp. 905-930

29Rusha, in italiano “Ufficio Centrale per la razza e le colonie”, fu costituita nel 1931 per

(25)

25

programma, autorizzato del decreto Himmler del 1943, quando una donna non tedesca nei territori orientali rimaneva incinta di un membro delle SS o della polizia “si doveva interrompere la

gravidanza a meno che quella donna non fosse di buona qualità”30

. Durante il Tribunale Militare Internazionale, riguardo l’operato della Rusha, fu rinvenuta quale preoccupazione principale l’uso dell’aborto per eliminare particolari gruppi razziali, piuttosto che l’interferenza dell’autonomia riproduttiva delle donne in quanto tali31.

Molti Stati, entrando nella Conferenza di Roma, erano favorevoli a riconoscere la gravidanza forzata non solo crimine di guerra, ma anche crimine contro l’umanità, come abbiamo già precisato riguardo allo stupro32. Alcuni Stati hanno, però, respinto questa proposta, ritenendo la gravidanza forzata un’aggravante dello stupro; altri stati, invece, temevano che questo riconoscimento potesse esser usato per contestare le restrizioni all’aborto ai sensi del diritto nazionale33.

La questione risulta ancora aperta, in quanto la violenza riproduttiva è stata considerata separatamente rispetto alla violenza sessuale, seguendo perciò sorti diverse da questa. La violenza riproduttiva veniva, infatti, associata all’intento di genocidio,

30

Cfr. GREY R., The ICC’s First “forced pregnancy” Case in Historical Perspective, in Journal of International Criminal Justice, 2017, vol. 15, pp. 905-930

31

Cfr. GREY R., The ICC’s First “forced pregnancy” Case in Historical Perspective, in Journal of International Criminal Justice, 2017, vol. 15, pp. 905-930

32

Il Rome Statute è lo Statuto della Corte Internazionale di Giustizia (CPI)

33

Cfr. GREY R., The ICC’s First “forced pregnancy” Case in Historical Perspective, in Journal of International Criminal Justice, 2017, vol. 15, pag. 905-930

(26)

26

mentre lo stupro e la violenza sessuale venivano considerate per il

loro impatto sull’individuo34

.

La Convenzione sul genocidio del 1948, all’art. 2, specifica che “imporre misure volte a prevenire le nascite può costituire un atto di genocidio, se commesso con l’intento di distruggere un gruppo

nazionale, un gruppo etnico, un gruppo razziale o religioso”35

. A dimostrazione, che questi crimini contro le donne non vedono artefici solo i nazisti, abbiamo il caso delle “marocchinate”. Si tratta di una serie di violenze sessuali e violenze fisiche commesse dall’esercito francese sulla popolazione civile (donne e uomini italiani), durante la “campagna d’Italia”, negli anni 1943-1945. Questa campagna era stata intrapresa “dagli alleati” per sconfiggere l’Italia fascista; essi sbarcarono in Italia e cominciarono il massacro dalla Sicilia fino ad arrivare a Firenze. Le vittime arrivarono fino ad alcune migliaia, addirittura si parla di 60,000 donne vittime. Le truppe marocchine non risparmiarono nessuno; donne, bambini e anziani furono stuprati, uccisi e torturati (anche preti e suore rientrarono tra le vittime di questo orrore). Si parla di una stupro di massa, alcune testimoni raccontano di esser state violentate da 100/ 300 persone36.

Sul tema abbiamo il film “La Ciociara”, diretto da Vittorio de Sica, tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia e con la magistrale interpretazione di Sophia Loren. Alberto Moravia cerca

34

Cfr. GREY R., The ICC’s First “forced pregnancy” Case in Historical Perspective, in Journal of International Criminal Justice, 2017, vol. 15, pag. 905-930

35

Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 1948

36

(27)

27

di descrivere i sentimenti degli italiani nei giorni precedenti alla Liberazione, sottolineando la speranza che il popolo italiano riponeva negli Alleati, dopo lo sbarco in Sicilia. La stessa speranza morì ben presto nei paesi della Ciociaria e del Frosinate, dove le donne furono picchiate, violentate e abusate dalle truppe marocchine.

Il film riceve molte critiche, per aver proposto scene atroci di guerra in chiave porno, causando un’offesa enorme per le vittime, piuttosto che aver messo in risalto e denunciato un crimine disumano.

Sul caso delle “marocchinate” per molto tempo si è taciuto, ma negli ultimi anni, precisamente lo scorso 6 marzo, è stato chiesto,

dall’associazione delle vittime37

, un risarcimento allo stato francese. Un altro esempio di crimine vergognoso è quello della violenza contro le donne nelle colonie italiane. L’Italia colonizzatrice si è macchiata di gravi crimini che solo negli ultimi tempi, grazie al lavoro degli storici, sono stati documentati.

Molto difficile è reperire le informazioni riguardo la violenza subita dalla donne africane, anche se negli ultimi anni sono state fatte importanti ricerche sulla condizione femminile nell’Africa occupata dagli italiani colonizzatori. Da questi lavori emerge l’idea, propria dei colonizzatori, della Venere nera, ovvero l’immagine della donna

37

L’Associazione Vittime delle marocchinate, presieduta da Emiliano Ciotti, ha depositato tramite lo studio legale dell’Avv. Luciano Randazzo, una formale denuncia contro la Francia per le atrocità commesse dalle truppe coloniali francesi ai danni dei civili italiani durante l’ultima guerra. La richiesta è stata presentata presso le Procure di Frosinone e Latina, presso la Procura militare di Roma, il Comando Generale dei Carabinieri e l’Ambasciata di Francia

(28)

28

africana legata al solo aspetto sessuale. La donna africana era rappresentata con connotati d’inferiorità, in modo da esaltare la razza “dei bianchi”. Sempre per garantire la “razza italiana” venivano vietate le relazioni coniugali o extra-coniugali tra razze diverse, proibita l’adozione di figli nati da cittadini e “sudditi”; in questo contesto i meticci furono ricacciati fra la popolazione indigena. Le donne africane non furono sottoposte solo a violenze come la delegittimazione della loro immagine e la prostituzione, ma perirono insieme ad anziani e bambini nei villaggi incendiati e nei campi di sterminio38.

Il silenzio sulle violenze subite dalla donne africane è dovuto innanzitutto alla volontà di nascondere il passato e di salvare l’idea di una colonizzazione positiva. Solo negli ultimi decenni si è attivata un’indagine storica volta a smascherare i crimini commessi dagli italiani in questi territori. La voce delle donne africane, nei documenti ufficiali, non compare quasi mai. Non si ha conoscenza del loro vissuto, della loro esperienza e, quindi, poche ricerche

storiche sul prima, dopo e durante la colonizzazione39.

Abbiamo analizzato lo scenario di alcuni dei maggiori crimini che sono stati commessi durante la seconda guerra mondiale; uno scenario che non vede protagoniste solo le forze naziste ma anche le potenze alleate, come nel caso delle “marocchinate” e dei crimini sessuali contro le donne africane durante la colonizzazione italiana.

38

Cfr. VOLPATO C., La violenza contro le donne nelle colonie italiane. Prospettive

psicosociali di analisi, in DEP n. 10/2009, pp. 111-113

39Cfr. VOLPATO C., La violenza contro le donne nelle colonie italiane. Prospettive

(29)

29 1.4 Il Tribunale di Norimberga

Il Tribunale militare internazionale di Norimberga (“Nuremberg trials”) fu uno dei maggiori tribunali di guerra. I processi ai più alti capi dello Stato tedesco si aprirono ufficialmente nell’Ottobre del 1945, a Norimberga. Per la prima volta i leaders furono chiamati in giudizio dalla comunità internazionale per cospirazione e perpetrazione di crimini contro la pace e contro l’umanità. I generali e gli ammiragli potevano essere condannati come criminali di guerra nel caso avessero ordinato o comunque incentivato i vari crimini contro l’umanità; ma riguardo la responsabilità dei civili il discorso è differente, in quanto non vi erano stati precedenti giudizi contro di essi ma soltanto giudizi contro i comandanti militari40. Il processo di Norimberga era più un atto politico che un esercizio della legge, infatti il team dell’accusa americana nel 1945 non aveva chiaro quali fossero i principali crimini di guerra e nemmeno un precisa idea delle accuse. La lista dei difensori e dell’accusa si ebbe solo mesi dopo l’inizio del processo. L’operazione per l’assegnazione della colpa fu resa più difficile dalla scomparsa di alcune figure chiave; qualcuno fu ucciso e altri si suicidarono (Hitler morì nel suo bunker, il capo delle SS Himmler si suicidò e Benito Mussolini fu ucciso dai partigiani prima della fine della guerra). L’accusa americana presentava circa 100 imputati mentre

40

La campagna “Hang the Kaiser” del 1919 era diretta a giudicare i comandanti militari e non i capi dello Stato

(30)

30

quella inglese un numero molto più ristretto, circa una dozzina di

nazisti tra cui il “secondo uomo del reich” Hermann Goring41

.

Furono condannati 24 imputati che rappresentavano la classe dirigente nazista nei suoi settori principali politico, economico, diplomatico e militare42.

Prima di Norimberga, i processi per i crimini di guerra erano fatti a livello nazionale secondo la legge militare nazionale. La legge internazionale infatti non poteva essere applicata all’individuo ma solo agli stati, ma il tribunale in questione rifiutò questa impostazione e ritenne gli individui punibili per violazioni della legge internazionale. Questo era un momento radicale nella storia dei diritti umani e della legge umanitaria; era l’ inizio di una visione differente del diritto internazionale, rispetto al passato. Abbiamo allo stesso tempo la violazione degli obblighi internazionali, derivati da trattati e leggi consuetudinarie, da parte degli stati e la

responsabilità di individui per la violazione della medesima legge43.

Il processo sostenne che, se anche i trattati internazionali che venivano applicati non menzionavano la legge criminale, la legge internazionale di guerra poteva creare i crimini internazionali. La difesa riteneva che la legge penale non potesse essere applicata al singolo individuo; vedremo però che, punendo i veri autori dei crimini suddetti, le norme della legge internazionale risulteranno rinforzate. Durante questo tribunale internazionale non verranno

41

Cfr. Collections, From Nuremberg to the Hague. The Future of International Criminal

Justice, Philips Sands Editore, CAMBRIDGE UNIVERSITY, 2002, pp.1-10

42

Varie, manuali di storia

43Cfr. Collections, From Nuremberg to the Hague. The Future of International Criminal

(31)

31

condannati solo individui ma anche organizzazioni, in quanto organizzazioni criminali. Infatti, il trial, dichiarò criminali i corpi di comando del Nazi Party, della Gestapo, delle SD e delle SS. Nelle liste degli imputati, l’accusa selezionava gli individui in base al loro collegamento con le varie organizzazioni, già oggetto del processo44.

Secondo l’orientamento del tribunali di Norimberga, come anche di quello del “Tokyo Tribunal”, i crimini contro l’umanità commessi erano in stretto legame con la presenza nei territori di situazioni conflittuali. Secondo un giudice del tribunale di Tokyo (IMTFE), Judge Roling, gli americani avevano paura di rendere questi nuovi crimini indipendenti dai conflitti, in quanto avrebbero potuto esser applicati anche al caso dei maltrattamenti contro i Neri negli Stati Uniti45.

Soltanto cinquant’ anni più tardi, con i tribunali ah hoc della Jugoslavia e del Ruanda, vedremo affermare la totale indipendenza di questi crimini contro l’umanità, la loro forza e autonomia dai conflitti armati.

1.5 Le guerre dei Balcani e l’ICTY

La “Women’s Court” organizzata per la regione del former Yugoslavia, è la prima in Europa ad avere un approccio femminile

44

Cfr. Collections, From Nuremberg to the Hague. The Future of International Criminal

Justice, Philips Sands Editore, CAMBRIDGE UNIVERSITY, 2000, pp. 30-34 e 40-42

45 Cfr. Collections, From Nuremberg to the Hague. The Future of International Criminal

(32)

32

alla giustizia. Questa Corte raccoglie le donne di tutti i paesi eredi del former Yugoslavia (SFRY): Bosnia e Erzegovina, Montenegro, Croazia, Kossovo, Macedonia, Slovenia e Serbia. Agli albori dell’iniziativa, nel 2010, non vi erano situazioni tutte eguali per le donne testimoni; alcune avevano sofferto il più duro disagio della guerra (Bosnia e Erzegovina, Kosovo, Croazia), altre invece provenivano da stati in cui si erano organizzati i “motori” della

guerra (Serbia e Montenegro, ma anche Croazia)46.

La comune esperienza, però, per tutte queste donne era l’aver pagato l’alto prezzo della guerra, del nazionalismo, della privazione criminale e del militarismo. L’iniziativa era stata presa da donne attiviste e organizzazioni femministe che crearono un “feminist code”, ovvero un approccio femminile per questo “trial”, che sottolineava l’ingiustizia subita dalle vittime , che hanno

partecipato in modo non violento alla guerra47.

L’accusa era rivolta agli autori di una serie violazioni del diritto umanitario internazionale e del genocidio. Nello Statuto

dell’“International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia”48

lo stupro viene classificato quale crimine contro l’umanità e non come crimine di guerra. L’ICTY ha esaminato molti casi di “rape” e violenze sessuali, come nel giudizio di Furundžija, dove un giudice

46Cfr. ZAYOVIĆ S., The Women’s Court- a Feminist Approach to Justice. Review of the

Process of Organizing the Women’s Court, Staša Zayović Editore, BELGRADO, 2015, pp.

10-11

47Cfr. ZAYOVIĆ S., The Women’s Court- a Feminist Approach to Justice. Review of the

Process of Organizing the Women’s Court, Staša Zayović Editore, BELGRADO, 2015 pag. 11

(33)

33

ha accettato la testimonianza di una donna abusata sessualmente

che presentava dei “post disorders”, dovuti al trauma passato49

. I giudici della “World Court”, hanno ascoltato testimonianze di violenze subite in base all’appartenenza etnica, che include la violenza istituzionale (come nel caso dell’espulsione dal lavoro dovuta all’appartenenza ad una minoranza non gradita e cambiamenti d’identità forzati per motivi etnici sempre), il rifiuto e la repressione della società (come nel caso delle molestie di famiglie etniche miste o di matrimoni misti); di violenza militare, che include la guerra contro i civili e la repressione della resistenza; di violenza di genere, che include crimini di guerra come lo stupro e la violenza sessuale; di violenza economica contro le donne,

costrette a vivere in una costante crisi economica50.

La guerra dei Balcani, 1991-2001, si è ispirata a un principio di pulizia etnica e di stupro. È stata una delle guerre più sanguinose e disumane: sono state uccise milioni di persone, portate a migliaia nei campi di concentramento, stuprate e violentate milioni di donne51.

La violenza sessuale e quella riproduttiva sono state endemiche in questo conflitto. In una relazione del Relatore delle Nazioni Unite, si riporta che nel solo anno 1992 almeno 119 donne a Zagabria, Sarajevo, Zenica e Belgrado furono messe incinta in seguito agli

49

Cfr. DE VIDO S., Women’s Tribunals to Counter Impunity and Forgetfulness: Why are They

Relevant for International Law?, in Rivista telematica sugli studi sulla memoria femminile,

DEP n. 33/2017, pag. 159

50

Cfr. DE VIDO S., Women’s Tribunals to Counter Impunity and Forgetfulness: Why are They

Relevant for International Law?, in Rivista telematica sugli studi sulla memoria femminile,

DEP n. 33/2017, pag. 160

51

(34)

34

stupri subiti. Le forze serbe, ad esempio, violentavano le donne musulmane bosniache perché “portassero in grembo bambini serbi” e, quindi, per fare loro una “beffa”52

.

Nel caso Karadzic e Mladíc (ICTY), la Camera di prova ha riconosciuto la prova che “gli accampamenti sono stati appositamente dedicati allo stupro, con l’obbiettivo di forzare la nascita della prole serba, le donne venivano recluse fino a quando non fosse stato troppo tardi per sottoporsi all’aborto”. Non mancano anche le tante segnalazioni di casi di aborto forzato e di sterilizzazione forzata53.

Come sostenuto Rhonda Copelon54, “il portare in grembo bambini

serbi” non era soltanto un danno etnico; se analizziamo la questione dal punto di vista femminile, infatti, queste violenze

riproduttive erano percepite come assalti alla propria

autodeterminazione riproduttiva ed esprimevano il desiderio di contrassegnare il corpo della donna e tutta la sua vita da parte dello stupratore55.

Da non sottovalutare i danni psicologici, conseguenza di aborti forzati o di gravidanze forzate. Le conseguenze possono essere: la negazione dell’autonomia riproduttiva, il peso di allevare un

52

Cfr. GREY R., The ICC’s First “forced pregnancy” Case in Historical Perspective, in Journal of International Criminal Justice, 2017, vol. 15, pp. 905-930

53

Cfr. GREY R., The ICC’s First “forced pregnancy” Case in Historical Perspective, in Journal of International Criminal Justice, 2017, vol. 15, pp. 905-930

54

Rhonda Copelon è un’avvocatessa per i diritti umani, è nata nel 1944 a New Haven, USA

55

Cfr. GREY R., The ICC’s First “forced pregnancy” Case in Historical Perspective, in Journal of International Criminal Justice, 2017, vol. 15, pp. 905-930

(35)

35

bambino nato a causa della violenza stessa, spesso in povertà e, in ultimo, il peso del rimprovero sociale56.

Il processo sul caso Dominc Ongwen57, iniziato nel dicembre 2006

presso la Corte Penale Internazionale (ICC), sarà per questi reati un punto di svolta. Si tratta del primo caso di tutti i tribunali penali internazionali ad includere le accuse di “gravidanza forzata” e a riconoscere l’autonomia riproduttiva delle singole donne e ragazze58.

1.6 La guerra civile in Ruanda e l’ICTR

La guerra civile in Ruanda (1990-1994), vede contrapposte le forze governative del Presidente Habyarimana (di etnia Hutu) e del Fronte Patriottico, composto da ribelli Hutu. Dal punto di vista etnico la popolazione del Ruanda è divisa in Hutu e Tutsi. Nel 1994, l’aereo su cui viaggiava il Presidente Habyarimana, fu colpito da un missile e cadde a terra, causando la morte del Presidente stesso. La colpa dell’omicidio fu addossata ai leaders dell’opposizione Hutu. Subito divenne essenziale uccidere tutti gli Hutu rivali, cogliendo anche l’occasione per fare una “pulizia etnica” ed eliminare, così, la popolazione di etnia Tutsi. Si voleva creare una nuova Ruanda, una comunità di assassini. Gli estremisti

esortarono l’Interahamwe59

e ordinarono agli Hutu di uccidere i

56

Cfr. GREY R., The ICC’s First “forced pregnancy” Case in Historical Perspective, in Journal of International Criminal Justice, 2017, vol. 15, pp. 905-930

57

The Prosecutor v. Dominic Ongwen, ICC-02/ 04-01/15

58

Cfr. GREY R., The ICC’s First “forced pregnancy” Case in Historical Perspective, in Journal of International Criminal Justice, 2017, vol. 15, pp. 905-930

59

(36)

36

Tutsi e di “mangiare le loro mucche”. Questa ultima frase ha un significato simbolico e uno pratico. Simbolico perché “ mangiare le loro mucche” significava “divorare” le basi della dominazione Tutsi passata. Pratico perché significava saccheggiare le loro fattorie, le loro case, i loro uffici e le loro chiese. Alcune autorità Hutu ordinarono ai loro seguaci di “mandare i Tutsi indietro nei loro paesi di origine, verso l’Etiopia, per la via più veloce, ossia la via del fiume Akanyaru”. Di conseguenza alcuni dei flussi dei fiumi vicini furono ben presto pieni di corpi. Le persone in Uganda trovarono circa 40,000 corpi provenienti dal Lago Vittoria e decisero di seppellirli. Non furono delle semplici uccisioni, quelle che videro vittime i rivali Hutu e i Tutsi, ma fu un vero e proprio massacro accompagnato da torture, violenze e mutilazioni. Agli assassini piaceva vedere la sofferenza e l’agonia, erano soliti amputare le lunghe dita della vittime, i piccoli nasi e i formosi seni (tratti fisici propri della popolazione Tutsi). Sovente mozzavano anche gli organi genitali maschili per indebolire il loro “ruolo” e seppellivano persone ancora vive. Gli estremisti Hutu uccisero le donne Hutu incinte di uomini Tutsi, in quanto, i loro feti, non dovevano sopravvivere. In un periodo di soli tre mesi furono uccisi 800,000 Tutsi e tra i 10,000 e i 30,000 Hutu, ovvero in totale l’11 per cento della popolazione60.

La tragedia del Ruanda , nella storia presenta il numero più alto di persone uccise in un lasso di tempo così breve. Alla base di questa rivalità c’è senz’altro anche un motivo economico: gli Hutu e i

60

Cfr. MAGNARELLA P., Justice in Africa. Ruanda’s Genocide, its Courts and the UN

(37)

37

Tutsi, erano diventati naturalmente nemici, dato che i Tutsi volevano avere pascoli per le loro mandrie, mentre gli Hutu volevano costruire aziende agricole e fattorie. Con la scomparsa dei Tutsi i contadini Hutu avrebbero avuto terra a sufficienza per il loro progetto agricolo61.

Com’è ben comprensibile diventò presto necessario per il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite stabilire un Tribunale Internazionale ad hoc per processare i responsabili del conflitto civile armato presente in Ruanda. Il Tribunale Internazionale per il Ruanda, del 1994, riflette il desiderio della comunità internazionale di condanna degli artefici del genocidio e di altri seri crimini commessi in questo territorio. Questo Tribunale e il suo predecessore, l’ICTY, sono risultati di vitale importanza per lo sviluppo del diritto umanitario internazionale. Nell’articolo 1 dello Statuto del Tribunale veniva stabilito il potere di condannare i responsabili di serie violazioni del diritto umanitario internazionale commesse nel territorio del Ruanda e i cittadini ruandesi responsabili delle stesse violazioni commesse nei territori degli stati vicini62.

Il ICTR è unico per aver riconosciuto crimini contro l’umanità in un conflitto non- internazionale, per aver rinforzato la Convenzione di Ginevra e la Convenzione sul Genocidio. Jean Kambanda , primo ministro ad hinterim dopo la morte del presidente Habyarimana, fu accusato di genocidio, di complicità e incitamento al genocidio e di

61

Cfr. MAGNARELLA P., Justice in Africa. Ruanda’s Genocide, its Courts and the UN

Criminal Tribunal, UNIVERSITY OF FLORIDA, Ashagate Editore, 2000, pag. 23

62

Cfr. MAGNARELLA P., Justice in Africa. Ruanda’s Genocide, its Courts and the UN

(38)

38

altri crimini contro l’umanità. Nel settembre del 1998, la decisione per il “former Taba bourgemestre Jean- Paul Akayesu”, fu significativa in quanto, per la prima volta la violenza sessuale venne riconosciuta come un atto di genocidio. Agli inizi del 1999 furono presi in custodia trenta persone e molti di questi indiziati sono rimasti per molti anni in stato di detenzione. Nel 1999 fu creata un’altra camera per promuovere le operazioni e le varie procedure, quindi per rendere più efficiente il processo63.

Importante, “nel trial” per il former Ruanda, è stata la presenza dell’unica giudice donna, Judge Navanethem Pillay, che ascoltò e seguì le indagini di due delle donne chiamate a testimoniare dall’accusa. La testimone J raccontò che tre membri dell’Interahamwe stuprarono sua figlia di sei anni, quando si presentarono per uccidere il padre, e che era a conoscenza di molte

altre giovani ragazze abusate nel bureau communale64. L’altra

testimone H dichiarò di esser stata stuprata nei campi di saggina e di aver assistito a diversi stupri di donne Tutsi. Raccontò, inoltre, di molte altre donne stuprate nei campi vicini, o nei pressi dell’ ufficio comunale, alla presenza degli imputati e degli ufficiali comunali,

che avrebbero dovuto scoraggiare tutto ciò65.

Il ICTR e il ICTY hanno influenzato il punto di vista di molti stati riguardo i crimini internazionali e le possibili strategie per ottenere la pace e la riconciliazione nazionale.

63

Cfr. MAGNARELLA P., Justice in Africa. Ruanda’s Genocide, its Courts and the UN

Criminal Tribunal, UNIVERSITY OF FLORIDA, Ashagate Editore, 2000, pp. 54-57

64

Bureau communale , ovvero l’ufficio del comune. Si tratta del comune di Taba, dove aveva autorità Jean- Paul Akayesu

65

COPELON R., Gender Crimes as War Crimes: Integrating Crimes against Women into

(39)

39 1.6.1 Il caso Akayesu

Cerchiamo ora di approfondire il caso Akayesu, di competenza dell’ICTR. Jean-Paul Akayesu nacque nel 1953, entrò in politica nel 1991 e divenne bourgmestre di Taba nell’aprile 1993. Fu arrestato nell’ottobre del 1995 nello Zambia e fu tenuto in detenzione per un periodo di 90 giorni, in attesa del completamento delle indagini sulle terribili accuse promosse contro di lui. Nel 1996 il Prosecutor Richard Goldstone presentò l’accusa contro Akayesu per una serie di crimini: genocidio, complicità in genocidio, diretto e pubblico incitamento a commettere genocidio, sterminio, omicidio, tortura, trattamenti crudeli, stupro, altri atti inumani, crimini contro l’umanità e violazione della Convenzione di Ginevra del 1948. Durante il conflitto civile, nel periodo tra l’aprile del 1994 e la fine di giugno, centinaia di civili trovarono rifugio nel comune di Taba (“Taba Commune”). La maggior parte di queste persone erano tutsi. In questo periodo le donne rifugiate venivano sottoposte a violenze sessuali dalla polizia e dall’esercito, spesso venivano abusate contemporaneamente da più uomini. Jean- Paul Akayesu era a conoscenza di queste violenze, era presente durante la loro perpetuazione e anche durante i vari omicidi. Akayesu incoraggiava questo orrore66.

Per quanto riguarda le testimonianze, una donna Tutsi di 35 anni, conosciuta come testimone JJ, per proteggere la sua identità, raccontò le violenze subite al comune di Taba. Dichiarò di aver subito stupri per giorni e giorni e anche fino a 12 volte nello stesso

66

Cfr. MAGNARELLA P., Justice in Africa. Ruanda’s Genocide, its Courts and the UN

(40)

40

giorno, ricorda che i soldati ubriachi avevano l’ abitudine di violentare giovani ragazze, che disperate urlavano in modo straziante, e di sottoporle alle più disparate umiliazioni duranti gli stupri, che avvenivano pubblicamente. Sempre questa testimone definisce Akayesu come un’autorità che “dava loro protezione, ospitandole ma che non le proteggeva”, anzi incoraggiava le

violenze e ordinava gli omicidi, pur non eseguendoli

personalmente67.

Sempre durante il caso Prosecutor v. Akayesu, un testimone, un medico che aveva lavorato in Ruanda durante i genocidio, ha testimoniato l’omicidio di diversi membri dell’ospedale, tra cui un’infermiera hutu incinta di un bambino Tutsi. Come ha spiegato il testimone in questione la donna “era una hutu ma doveva morire perché suo marito era Tutsi e il bambino, quindi, avrebbe seguito la linea paterna”68

.

Ancora nella sentenza Akayesu, la Camera di prima istanza, ha riconosciuto che molte donne hutu hanno abortito dopo esser state violentate e percosse dalla milizia hutu ed ha, anche osservato, che “le donne incinte, comprese quelle di origine hutu, sono state uccise per il fatto che i feti erano generati nel loro grembo da uomini tutsi, in quanto, in una società patrilineare come il Ruanda, il bambino appartiene al gruppo di origine del padre”. Inoltre interpretando il reato di genocidio mediante “misure imponenti volte a prevenire le nascite”, la Camera ha dichiarato:

67

Cfr. MAGNARELLA P., Justice in Africa. Ruanda’s Genocide, its Courts and the UN

Criminal Tribunal, UNIVERSITY OF FLORIDA, Ashagate Editore, 2000, pp. 103-104

68

Cfr. GREY R., The ICC’s First “forced pregnancy” Case in Historical Perspective, in Journal of International Criminal Justice, 2017, vol. 15, pp. 905-930

(41)

41

“Le misure intese a prevenire nascite all'interno del gruppo, dovrebbero essere interpretate come le mutilazioni sessuali, la pratica della sterilizzazione, il controllo delle nascite forzate, la separazione dei sessi e il divieto dei matrimoni. Nelle società patriarcali, dove l'appartenenza a un gruppo è determinata dall'identità del padre, un esempio di una misura intesa a prevenire nascite all'interno di un gruppo è il caso in cui, durante lo stupro, una donna del suddetto gruppo viene deliberatamente impregnata da un uomo di un altro gruppo, con l'intento di far nascere un bambino

che, di conseguenza, non appartenga al gruppo di sua madre”69

. Questa interpretazione del crimine di genocidio ha dato un grande

contributo alla giurisprudenza sulla violenza riproduttiva70.

69

Cfr. GREY R., The ICC’s First “forced pregnancy” Case in Historical Perspective, in Journal of International Criminal Justice, 2017, vol. 15, pp. 905-930

70

Cfr. GREY R., The ICC’s First “forced pregnancy” Case in Historical Perspective, in

(42)

42 CAPITOLO II

Worlds Courts of Women

2.1 Il diritto umanitario interazionale, il diritto penale internazionale e il diritto internazionale dei diritti umani

La società civile internazionale ha espresso un crescente malcontento per la pratica che garantisce l’immunità, in particolare, ai leaders che hanno ordinato la commissione di atrocità e ai comandanti militari che hanno eseguito ordini illegali. Questo scontento generale ha portato i governi a cambiare il loro approccio riguardo questa “pratica” dell’ impunità e ad essere più interessati a dare risposta alla giustizia e, in particolare, ad essere più attenti allo jus cogens dei crimini internazionali. Il fatto che la giustizia criminale internazionale non possa più essere ignorata, non significa che venga, però, uniformemente applicata. L’impunità, comunque, non è più una carta negoziale che i vari “negoziatori

(43)

43

politici” richiedono al termine di un dato conflitto e che possono

“regalare” in completa libertà71

.

La domanda della civiltà internazionale per il rispetto dei diritti umani e per la responsabilità della violazioni di questi ha influenzato la creazione di molti tribunali internazionali ad hoc, come l’“International Military Tribunal” (IMT), l’“International Tribunal for the Far East” (IMTFE), l’“International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia”, l’“International Criminal Tribunal for Rwanda” e l’“International Criminal Court” (ICC). La richiesta di giustizia ha, anche, sollecitato vari procedimenti penali nazionali, nati dopo diversi conflitti armati, come nel caso del Canada e del Belgio che hanno permesso la prosecuzione di crimini internazionali72.

Queste istituzioni internazionali e le accuse nazionali hanno beneficiato del supporto dei governi, spinti dalla forza dei valori umanitari internazionali e dal riconoscimento dell’importanza del “meccanismo” della responsabilità criminale internazionale, per mantenere l’ordine nel mondo e ripristinare la pace. Ovviamente, le norme internazionali e gli standards per attribuire responsabilità, dovranno essere stabiliti in modo chiaro ed essere applicati costantemente per ottenere la prevedibilità e, in seguito, la deterrenza. Un primo passo importante è stato la creazione di linee

71

Cfr. CHERIF BASSIOUNI M., Post-Conflict Justice, M. Cherif Bassiouni Editore, NEW YORK, 2002, pp. 3-4

72

Cfr. CHERIF BASSIOUNI M., Post-Conflict Justice, M. Cherif Bassiouni Editore, NEW YORK, 2002, pag. 4

(44)

44

guida internazionali contro l’impunità e la creazione di una corte

criminale internazionale permanente73.

Sin dalla seconda guerra mondiale, il numero dei conflitti a carattere non- internazionale e gli abusi di regimi oppressivi sono aumentati drasticamente per numero e intensità. In contrasto, invece, il declino dei conflitti a carattere internazionale, durante lo stesso periodo. Questi conflitti interni hanno visto la perpetuazione di crimini quali il genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra, torture, arresti ed esecuzioni arbitrarie, esecuzioni extragiudiziali, che dimostrano la violazione della legge umanitaria e dei più importanti diritti umani. Durante il XX secolo è stato stimato che i conflitti a carattere non internazionale e i vari abusi dei regimi oppressivi hanno causato circa 170 milioni di morti, per la maggior parte civili. Questo è stato comparato con una stima di 33 milioni di vittime militari, nello stesso periodo di tempo. Solo dalla seconda guerra mondiale in poi sono stati stimati più di 250 conflitti a carattere puramente interno. Questa situazione del dopo

guerra ha portato alla morte di 86 milioni di persone74.

La situazione del dopo guerra appare così, drammatica. Ciononostante questo alto livello di vittimizzazione, poche sono le accuse che sono state completate sia a livello nazionale che

internazionale. Infatti, dall’istituzione dei primi tribunali

internazionali (“Nuremberg Tribunal” e “Tokyo Tribunal”), che hanno seguito la seconda guerra mondiale, soltanto due

73

Cfr. CHERIF BASSIOUNI M., Post-Conflict Justice, M. Cherif Bassiouni Editore, NEW YORK, 2002, pp. 4-5

74

Cfr. CHERIF BASSIOUNI M., Post-Conflict Justice, M. Cherif Bassiouni Editore, NEW YORK, 2002, pp. 5-6

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