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La prova scientifica e lo spazio del libero convincimento

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Academic year: 2021

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Indice 00i

Introduzione 0VI

CAPITOLO 1: EVOLUZIONE STORICA DELL’ISTITUTO DELLA PROVA ED

INTRODUZIONE ALL’ANALISI DEL PRINCIPIO

DEL LIBERO CONVINCIMENTO DEL GIUDICE 010

1.1. Diritto comune classico: l’ordo iudiciarius e

l’ordine isonomico della conoscenza 011 1.2. Evoluzione del principio del libero convincimento 012 1.2.A. Convincimento e conoscenza alla luce del

“iudicium secundum conscientiam” e del “iudicium iuxta alligata et probata” 012 1.2.B. Avvento dell’ordine asimmetrico della conoscenza nel modello processuale romano-canonico 016 1.2.C. Era della codificazione: declino della dialettica e

della retorica 018

1.2.D. Disgregazione del modello di matrice illuministica 025 1.3. Sistema processuale misto del codice napoleonico 027 1.4. Dalle codificazioni pre-unitarie al codice del 1988 029 1.5. Il Codice di procedura penale del 1930: l’impianto inquisitorio del sistema delle prove 030 1.6. Struttura del procedimento secondo il c.p.p. del

Trenta: un rito misto con prevalenze inquisitorie 034 1.6.A. Potenziamento del ruolo del P.M. nella

ricostruzione del fatto 036

1.6.B. Dibattimento 037

1.6.C. Sistema inquisitorio. Cenni 038

(2)

ii 1.7 giudice come libera interpretazione delle regole

probatorie 040

1.8. Dal Codice del 1930 al Codice del 1988 043

1.8.A. Sistema accusatorio. Cenni 043

1.9. La formazione della prova in contraddittorio funzionale alla razionalità della decisione come

corrispondenza al vero 045

1.10. La nuova configurazione della situazione soggettiva

dell’imputato 048

1.11. Il diritto alla prova ed il residuale potere di

iniziativa probatoria del giudice nel vigente Codice

di procedura penale 050

1.12. Declino e reviviscenza del contraddittorio nel

nuovo Codice: la svolta inquisitoria degli anni ‘90 051 1.13. Interpretazione dell’art. 507 c.p.p. da parte della

giurisprudenza di legittimità e costituzionale 053 1.14. Parziale ritorno alla concezione dialettica della

prova ed alle garanzie del contraddittorio 055

CAPITOLO 2: LIBERO CONVINCIMENTO E

ATTIVITÀ DI VALUTAZIONE DEL GIUDICE 060

2.1. Libero convincimento e discrezionalità

nell’applicazione delle norme giuridiche 060 2.2. Libero convincimento come ricostruzione del fatto

storico 062

2.3. Antitesi tra libero convincimento e prove legali 063 2.4. Valutazione della prova: un’attività legale e

razionale 064

2.5. I limiti al principio del libero convincimento

(3)

iii

2.6. L’obbligo di motivazione 074

2.7. Regole di esclusione probatoria e criteri legali di

valutazione 079

2.8. Le regole di giudizio 082

2.9. La valutazione degli indizi 087

2.10. La valutazione delle dichiarazioni rese da soggetti interessati: il contributo dell’imputato di reato

connesso o collegato 095

2.11. La selezione degli elementi di prova utilizzabili per

la decisione 100

2.12. Oggetto della valutazione 102

2.13. Aspetti caratteristici della valutazione 105 2.13.A. La valutazione quale strumento per

l’individuazione del “risultato di prova” 105 2.13.B. La valutazione circa l’attendibilità del “risultato di

prova” 108

2.13.C. La valutazione complessiva delle risultanze

probatorie 111

2.13.D. La valutazione avente come oggetto l’“attendibilità intrinseca” del risultato di prova 112 2.13.E. La valutazione avente ad oggetto l’“attendibilità estrinseca del risultato di prova” 114

CAPITOLO 3: METODO SCIENTIFICO E RILIEVI

COMPARATISTICI 116

3.1. Considerazioni preliminari 116

3.2. Definizione di scienza 119

3.3. L’evoluzione dei concetti di scienza e

(4)

iv

3.3.A. Positivismo scientifico 120

3.3.B. Post-positivismo scientifico 121

3.4. L’evoluzione del concetto di contraddittorio e conseguenze sulla struttura della prova 122 3.5. Utilizzo delle leggi scientifiche nel processo penale 124 3.6. Il ricorso alle massime d’esperienza 129 3.7. Il rapporto tra leggi scientifiche e prova scientifica 134

3.8. Metodo scientifico 135

3.9. Il falsificazionismo 137

3.10. Provvisorietà della scienza 139

3.11. Metodo della falsificazione applicato al processo

penale 142

3.12. Massime d’esperienza e tentativo di falsificazione 144 3.13. Rapporto tra processo e verità 147 3.13.A. Il giudice, lo storico, lo scienziato 149 3.13.B. Cenni sul rapporto tra scienza e diritto penale 150

3.14. Il modello nordamericano 151

3.15. Errori metodologici 159

3.16. La trilogia Daubert-Joiner-Kumho 161

CAPITOLO 4: LA PROVA SCIENTIFICA ED IL

RAGIONEVOLE DUBBIO 165

4.1. Considerazioni preliminari 165

4.2. Il modello italiano. L’ammissione e la formazione

della prova scientifica 167

4.3. Il momento valutativo ed il libero convincimento 176 4.4. Al di là del ragionevole dubbio 184 4.5. Il ragionevole dubbio nel sistema d’oltreoceano 185 4.6. I canoni delle sentenze di assoluzione e di

(5)

v precedente alla legge n. 46/2006 188 4.7. Rilevanza pratica della novità inserita con la regola

BARD 192

4.8. Analisi del principio 194

4.9. La certezza ed il dubbio in relazione al nesso

causale tra condotta ed evento 202 4.10. La rivoluzione copernicana della sentenza

Franzese 204

4.11. La probabilità logica 209

4.12. L’impatto innovativo della pronuncia 213 4.12.A. Il rimedio contro l’esclusione del contraddittorio

nella prova scientifica 213

4.12.B. Il rimedio contro la totale discrezionalità del libero

convincimento 217

4.12.C. Il rimedio contro la deriva tecnicistica del processo

penale 220

4.13. Prospettive di dibattito. L’indeterminatezza del

novero delle cause 225

4.14. Contrasti giurisprudenziali sulla responsabilità da

amianto 226

4.14.A. La sentenza Cozzini 227

4.14.B. La sentenza Fincantieri 229

4.14.C. La sentenza Ciriminna 233

(6)

VI

Introduzione

Il tema della formazione della prova nel processo penale e del convincimento del giudice è un problema complesso, i cui aspetti critici consistono in una molteplicità di fattori non tutti rientranti nell’ambito tipicamente processuale. Un approccio eclettico e multidisciplinare è l’unico che consente di comprenderne l’ambito e quindi gli spunti risolutori.

La storia delle prove penali rappresenta il riflesso del contesto politico, sociale e lato sensu culturale di ogni civiltà ed appare inevitabilmente segnata da vari snodi, cui corrisponde l’affermarsi di specifici e differenti materiali cognitivi che assurgono a simbolo di una determinata società.

L’analisi del libero convincimento del giudice non può, dunque, prescindere da un excursus storico che metta in luce gli spazi riservati, di volta in volta, all’operatività del principio, così da apprezzarne le alterne vicende susseguitesi al mutare del contesto sistematico di riferimento.

In tempi recenti, il principio del libero convincimento ha rischiato di essere de facto eclissato a causa della progressiva influenza nel processo penale della prova scientifica, nella convinzione che l’apporto delle “scienze esatte” possa fornire un contributo determinante all’accertamento dei fatti.

Sempre più spesso, infatti, la ricostruzione probatoria dei fatti rilevanti per l’accertamento del reato e per l’individuazione del colpevole è strettamente connessa ai risultati della prova scientifica, conseguiti mediante operazioni svolte da periti o consulenti tecnici, i quali si avvalgono talvolta di strumenti noti e tradizionalmente affidabili, ed altre di tecniche nuove e controverse.

Prova, metodo scientifico e libero convincimento sono temi che si intersecano e si condizionano tra loro, in un ambito nel quale gli

(7)

VII operatori della giustizia devono fare i conti con una norma scarna, se non addirittura carente.

È sul terreno della prova scientifica che si manifestano con maggior forza incertezze e dubbi applicativi, quali fino a che punto il giudice possa deresponsabilizzarsi ed affidarsi a dati esterni, facendo dipendere la decisione di sua competenza da soggetti che non hanno apposita legittimazione; come debbano essere valutati i dati scientifici, mai univoci, introdotti nel giudizio; se sia compito del giudice essere arbitro non solo dei conflitti sul diritto, ma anche di quelli che vertono sulle metodologie scientifiche ed i suoi risultati.

Nella risoluzione di tali interrogativi, è opportuno guardare all’esperienza dei sistemi giuridici d’oltreoceano, nei quali la giurisprudenza ha offerto un ampio ventaglio di risposte ed un robusto supporto teorico.

Atteggiamento condivisibile, a patto però di non voler a tutti i costi recepire supinamente conclusioni e soluzioni maturate in contesti processuali ed ordinamentali profondamente diversi.

La celebre sentenza Daubert v. Merrell Dow Pharms pronunciata dalla Corte suprema statunitense stabilisce una serie di canoni che devono presiedere alla decisione del giudice, esplicitamente basati sull’incrocio tra la metascienza falsificazionista di Popper e una lettura della scienza come istituzione sociale, in cui si esalta il peso della comunità scientifica.

Ciò sembra fare del giudice il “guardiano” dell’ammissibilità delle prove scientifiche, un ruolo che lo slega dall’ipse dixit dell’esperto. Anche il giudice italiano è sollecitato ad abbandonare, da un lato, la “teoria autoritaria” del libero convincimento, ricercando nelle leggi scientifiche la “copertura” delle proprie decisioni, ma, dall’altro, a non assumere atteggiamenti giudiziali « remissivi e rinunciatari, indulgenti alla acritica recezione specialmente dei contributi ricostruttivi e valutativi delle “persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina”», bensì il ruolo del «reale dominus del processo

(8)

VIII acquisitivo e decisionale”, del “ricercatore solerte ed attento del “vero” attraverso la conoscenza ed il vaglio critico di ogni utile emergenza fattuale».

Dallo svolgimento del nostro elaborato emerge con forza significativa come la prova scientifica non sia una prova infallibile ma una prova verificabile e da accertare come tutte le altre, la cui valutazione richiede maggiori cautele, in quanto presuppone la mediazione dell’esperto. Il tema della valutazione della prova scientifica ha spesso caratteristiche di maggior difficoltà rispetto a quella di altre prove perché mentre gli strumenti culturali a disposizione del giudice per la valutazione delle altre prove sono patrimonio di tutti i giudici, nell’ambito della prova scientifica il giudice non è normalmente dotato delle necessarie conoscenze e conseguentemente non può valutarla senza la mediazione dell’esperto. Solamente attraverso il contraddittorio “per” e “sulla” prova scientifica è possibile ovviare ai due principali rischi caratterizzati dalla fallacia dello iudex peritus peritorum, consistente nell’impossibilità da parte del giudice di sostituirsi agli esperti scegliendo arbitrariamente la teoria da privilegiare, e dalla fallacia dell’ipse dixit, costituita dalla possibilità che il giudice si appiattisca sulla ricostruzione di un esperto senza valutarla criticamente. Al fine di ovviare al diffuso orientamento presente in letteratura e in giurisprudenza in base al quale esisterebbe una presunzione relativa di affidabilità del perito, occorre accogliere il principio secondo cui il giudice è chiamato a valutare la specifica qualificazione dell’esperto ed il metodo che egli ha adottato. Compito del giudice è, infatti, capire su quali basi l’esperto perviene ad un determinato asserto, e non analizzare nel merito ciò che l’esperto asserisce. Occorre, inoltre, valorizzare al massimo il contraddittorio con i consulenti tecnici. Ciò evita che al perito venga attribuito un credito privilegiato senza validi motivi, e permette inoltre che una ricostruzione di parte risulti perfettamente idonea a spiegare il caso concreto, anche in presenza di una perizia che ha fornito risultati contrari.

(9)

IX Come risulta dal nostro studio, il perito non è attendibile in quanto figura neutra di nomina giudiziale, ma lo è in quanto la sua ricostruzione ha resistito all’urto del contraddittorio. In questo quadro risulta evidente che il motto iudex peritus peritorum perde i tratti negativi e si carica di un inedito significato che conferisce al giudice il potere di scegliere la migliore ricostruzione del fatto, con il vincolo della motivazione legale e razionale. In sintesi estrema, la scienza nel processo penale è una sorta di Giano bifronte. Il volto “cattivo” è quello di una sorta di deus ex machina che, provando troppo, ha spesso una portata risolutiva. Il volto “buono” è rappresentato da un criterio rigoroso, segno tangibile di un approccio scientifico in senso ampio, che deve informare di sé ogni ricostruzione fattuale effettuata nel processo penale.

È importante soffermarsi, inoltre, sul fatto che la prova scientifica al fine di supportare una sentenza di condanna deve condurre al superamento di ogni “ragionevole dubbio” circa la colpevolezza dell’imputato. Infatti, è proprio a fattispecie per il cui accertamento si ricorre al sapere scientifico che la nostra giurisprudenza ha anticipato sul punto il legislatore, facendo ricorso al parametro di matrice nordamericana del beyond any reasonable doubt.

(10)

10

CAPITOLO 1: EVOLUZIONE STORICA DELL’ISTITUTO DELLA PROVA ED INTRODUZIONE ALL’ANALISI DEL PRINCIPIO DEL LIBERO CONVINCIMENTO DEL GIUDICE

SOMMARIO: 1.1. Diritto comune classico: l’ordo iudiciarius e l’ordine isonomico della conoscenza. 1.2. Evoluzione del principio del libero convincimento. 1.2.A. Convincimento e conoscenza alla luce del “iudicium secundum conscientiam” e del “iudicium iuxta alligata et probata”. 1.2.B. Avvento dell’ordine asimmetrico della conoscenza nel modello processuale romano-canonico. 1.2.C. Era della codificazione: declino della dialettica e della retorica. 1.2.D. Disgregazione del modello di matrice illuministica. 1.3. Sistema processuale misto del codice napoleonico. 1.4. Dalle codificazioni pre-unitarie al codice del 1988. 1.5. Il Codice di procedura penale del 1930: l’impianto inquisitorio del sistema delle prove. 1.6. Struttura del procedimento secondo il c.p.p. del Trenta: un rito misto con prevalenze inquisitorie. 1.6.A. Potenziamento del ruolo del P.M. nella ricostruzione del fatto. 1.6.B. Dibattimento. 1.6.C. Sistema inquisitorio. Cenni. 1.7. La declinazione del libero convincimento del giudice come libera interpretazione delle regole probatorie. 1.8. Dal Codice del 1930 al Codice del 1988. 1.8.A. Sistema accusatorio. Cenni. 1.9. La formazione della prova in contraddittorio funzionale alla razionalità della decisione come corrispondenza al vero. 1.10. La nuova configurazione della situazione soggettiva dell’imputato. 1.11. Il diritto alla prova ed il residuale potere di iniziativa probatoria del giudice nel vigente Codice di procedura penale. 1.12. Declino e reviviscenza del contraddittorio nel nuovo Codice: la svolta inquisitoria degli anni ‘90. 1.13. Interpretazione dell’art. 507 c.p.p. da parte della giurisprudenza di legittimità e costituzionale. 1.14. Parziale ritorno alla concezione dialettica della prova ed alle garanzie del contraddittorio.

(11)

11

1.1. Diritto comune classico: l’ordo iudiciarius e l’ordine isonomico della conoscenza

È consueto l’assunto che con il termine ‘prova’ possano intendersi oggetti tra loro diversi ed inizialmente converrà mantenerci ad un livello il più generale possibile, limitandoci a delineare l’evoluzione storica dell’istituto, identificabile in linea di prima approssimazione con quel “mécanisme destiné à établir une conviction sur un point incertain”1.

Data quindi l’indeterminatezza strutturale di tale ‘meccanismo’ è comprensibile come esso fosse destinato a risentire dei mutamenti culturali e della diversa funzione assegnata al giudice nel passaggio dall’epoca medioevale a quella moderna.

L’espressione ‘iurisdictio’ indicava nel diritto comune classico il potere del giudice di accertare il diritto e di stabilire l’equità al di fuori dei vincoli burocratici, ciò in quanto il giudice era estraneo al potere politico non essendo ancora funzionario di carriera ed era inoltre in possesso di una educazione giuridica basata sulla retorica e sulla dialettica.

La sentenza era perciò ispirata ad una giustificazione della decisone pratica e non costituiva il risultato di un ragionamento tecnico.

Il mondo dell’antichità era dominato dalla retorica e dalla dialettica. La retorica consiste in un metalinguaggio, un insieme di regole la cui applicazione consente di persuadere l’interlocutore attraverso un’operazione logica. Essa tende a conseguire un’intesa tra gli interlocutori motivata razionalmente in quanto basata su argomentazioni supportate da ragioni. Queste traggono la forza persuasiva da un sapere collettivo condiviso che in quanto tale impone regole cui devono sottostare i partecipanti dell’argomentazione2. Si escogitano tecniche argomentative basate fondamentalmente sul rispetto delle regole e quindi su tecniche dialettiche atte a procurare l’adesione alle tesi che

1 LÉVI-BRUHL, La preuve judiciaire. Étude de sociologie juridique, Riviere,

Paris, 1964, 15.

(12)

12 vengono prospettate al fine di evitare che sfoci in arbitrii il meccanismo logico e psicologico della decisione del giudice, che per sua natura si inscrive in uno spazio ineliminabile di indeterminazione3.

1.2. Evoluzione del principio del libero convincimento

L’analisi del principio del libero convincimento non può prescindere da un breve excursus storico che metta in luce gli spazi riservati all’operatività dello stesso, così da apprezzarne le alterne vicende susseguitesi con il mutare del contesto sistematico di riferimento. La prima elaborazione del principio si fa convenzionalmente risalire al periodo illuministico, in concomitanza con il diffondersi di una intensa critica al sistema delle prove legali, considerato all’epoca vero e proprio caposaldo della disciplina del processo penale.

Sarebbe tuttavia il frutto di una esperienza storica riduttiva far coincidere la nascita del principio del libero convincimento con l’introduzione della giuria popolare in Francia nel periodo della Rivoluzione francese.

L’introduzione del principio risente infatti di pregresse esperienze normative che hanno sicuramente influenzato il successivo sviluppo del pensiero di matrice illuministica.

1.2.A. Convincimento e conoscenza alla luce del “iudicium secundum

conscientiam” e del “iudicium iuxta alligata et probata”

L’esplorazione dell’interna problematica del libero convincimento del giudice oscilla tra i due poli estremi del “convincimento” e della “conoscenza” che, pur essendo intimamente connessi, tendono a polarizzarsi rispettivamente nel “iudicium ex informata conscientia” e

3 DE LUCA, Profilo storico del libero convincimento del giudice, in Aa. Vv., Il principio del libero convincimento del giudice nel nuovo processo penale, QCSM,

(13)

13 nella “conoscenza legale dei fatti”. Il primo si basa su un criterio morale e rappresenta la pura convinzione formatasi interamente nel foro interiore, a prescindere dalla conoscenza dei fatti. Il secondo, invece, si identifica con la conoscenza legale e prescinde interamente dalla convinzione.

Tra questi due estremi si colloca un’area intermedia rappresentata dal “iudicium secundum conscientiam” e dal “iudicium iuxta alligata et probata”.

Mancando negli statuti medioevali una chiara delineazione degli elementi delle fattispecie penali, veniva ad assumere un’importanza particolare il procedimento di indagine riguardo al fatto dedotto in giudizio. Ne derivava una regolamentazione dell’attività giudiziale imperniata su “centri di argomentazione” (le ‘quaestiones’ e gli ‘status’), da cui dipendevano sia la disciplina della rilevanza probatoria sia l’esistenza di un articolato ‘sistema di regole di esclusione’ di determinate vie di ricerca, reputate nocive per un corretto accertamento della verità.

Era così evidenziata la fisionomia ‘argomentativa’ dell’istituto probatorio, ovvero la concezione della prova come ‘argomentum’ affidata al momento della persuasione, al principio della rilevanza della prova in termini di regole di esclusione ed al principio dell’onere della prova4.

Il giudice incarnava il ruolo di controllore e tutore dell’ordo iudiciarius, inteso come proiezione di valori etici e dei principi di giustizia naturale destinati a delimitare le questioni rilevanti ed a selezionare le prove ammissibili.

Solo seguendo la metodologia del ragionamento argomentativo le parti potevano, in contraddittorio tra loro, collaborare nel raggiungimento della verità ricostruendo il fatto e sottoponendolo all’attenzione del

4 BARGI, Cultura del processo e concezione della prova, in Aa.Vv., La prova

penale, volume primo Il sistema della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica, Torino, 2008, 26.

(14)

14 giudice in un sistema caratterizzato dal diritto di non autoincriminarsi, di essere messo a confronto con i testi dell’accusa e di essere giudicati da una autorità sui cui incombeva il divieto di supplire nella ricostruzione del fatto ed il dovere di impedire abusi ed eliminare le ineguaglianze nell’attività del procedimento di ricerca che porta al giudizio.

La convinzione del giudice, in cui sfocia il iudicium secundum conscientiam, si fonda su un consenso che è raggiunto discorsivamente, e ciò garantisce la ragionevolezza del discorso.

Una decisione si considera ragionevole solo se fondata su regole, il cui accordo garantisce il carattere dialettico e sociale della stessa e perciò la sua ragionevolezza, in quanto rispondente ad un codice etico e logico. Imponendo il rispetto delle regole al discorso, la retorica e la dialettica hanno realizzato un fondamentale rimedio al soggettivismo irrazionale ed incontrollabile del giudice, costituendo un efficace baricentro contro le perversioni della logica e del ragionamento giudiziale5.

Al principio del iudicium secondum conscientiam si oppone il iudicium iuxta alligata et probata.

Tale ultimo tipo di giudizio è improntato ad un principio di razionalità procedurale che appartiene tipicamente al mondo della retorica, cioé ad una razionalità pratica in cui le convinzioni si fondano sulla ricerca cooperativa della verità.

La conoscenza del fatto non è infatti più appannaggio esclusivo e prerogativa del giudice ma avviene tramite la cooperazione ed il contributo dialettico delle parti in posizione di perfetta parità, in quanto spetta a queste il potere di iniziativa probatoria. Infatti il principio “iudex non potest in facto supplere” si coniuga con l’altro principio “in eat iudex ultra petita partium”.

5 DE LUCA, Profilo storico del libero convincimento del giudice, in Aa. Vv., Il principio del libero convincimento del giudice nel nuovo processo penale, QCSM,

(15)

15 Il iudicium secundum conscientiam, in cui la ragionevolezza della decisione era assunta dal giudice sotto la sua responsabilità, tende sempre più ad essere soppiantato dal iudicium iuxta alligata et probata, in cui l’accertamento della verità perde la sua componente soggettiva e trova la sua garanzia costitutiva nel carattere neutro della conoscenza legale che garantisce l’oggettività del giudizio, depurato da ogni eventuale interferenza o contaminazione irrazionale.

Il diritto disciplina in tal contesto non soltanto il processo di conoscenza del fatto controverso restringendo il campo dei fatti da conoscere attraverso le regole di esclusione della prova, ma disciplina inoltre il processo della conoscenza del giudice imponendo a questi regole che lo vincolino non solo nella percezione ma anche nella deduzione ed utilizzazione dei fatti da conoscere.

Ciò ha contribuito alla formazione di una “verità formale” intesa come prodotto di una ricerca assoggettata a vincolanti regole e forme giuridiche.

Il modello della verità formale in virtù del quale si deforma e si altera il processo logico di ricerca del fatto controverso non è quindi che una conseguenza dei presupposti culturali su cui si fonda il processo, caratterizzato a quel tempo dalla ricerca cooperativa della verità6.

Tale ricerca ha fatto sì che i mezzi dell’euristica fossero subordinati all’obiettivo di formare dei convincimenti interni oggettivi sulla base degli argomenti migliori: la retorica e la dialettica contribuirono quindi a razionalizzare il convincimento del giudice depurandolo dalle sue componenti arbitrarie ed irrazionalistiche e garantendo in tal modo la ragionevolezza della decisione.

6 DE LUCA, Profilo storico del libero convincimento del giudice, in Aa. Vv., Il principio del libero convincimento del giudice nel nuovo processo penale, QCSM,

(16)

16

1.2.B. Avvento dell’ordine asimmetrico della conoscenza nel modello processuale romano-canonico

Con il tempo si assiste dunque ad un progressivo abbandono dell’ordo iudiciarius e del modello culturale fondato sull’ordine isonomico della conoscenza in favore del cd ‘ordine asimmetrico’, cambiamento che è espressione del mutato atteggiamento politico, sociologico e culturale dell’epoca, che vede attuarsi un “processo di razionalizzazione e di tecnicizzazione degli apparati pubblici ed amministrativi ed in particolare delle funzioni giudiziarie7”.

Ciò comporta il determinarsi di una modifica radicale del processo, inteso come scienza e fenomeno burocratico legato alla statualità del diritto.

Tale fenomeno ha assunto forme concrete nel XIII secolo ed è stato agevolato dalle innovazioni introdotte dalla diffusione del modello processuale romano-canonico, che costituiva il diritto comune per eccellenza, e che vedeva nel processo uno strumento per garantire e tutelare l’ordine sociale minacciato, in accordo con l’avvento della concezione assolutistica dello Stato.

Il giudizio iuxta alligata et probata ha rappresentato il ponte di passaggio verso un sistema di conoscenza legale basato sul sistema delle prove legali, predeterminate dal legislatore.

L’evoluzione si realizza nel senso di una progressiva e costante restrizione della sfera del libero convincimento del giudice che passa dal iudicium secundum conscientiam al iudicium iuxta alligata et probata, fino a sfociare nel giudizio basato sulla conoscenza legale, in cui ogni margine di libertà del giudice è annullato o soppresso.

Con l’avvento dell’ordine asimmetrico della conoscenza ed il sopraggiungere della concezione assolutistica dello Stato con

7 DEZZA, Accusa e inquisizione. Dal diritto comune ai codici moderni,

(17)

17 conseguente accentuazione della pubblicizzazione degli apparati giudiziari si assiste quindi ad una progressiva evoluzione che consiste nel passaggio da un modello processuale imperniato su una logica dialettica, retorica, sulla concezione ‘argomentativa’ della prova e sul principio di uguaglianza e di riconoscimento della pari dignità dell’altro ad un modello processuale in cui l’obbligo di dire la verità si fonda su una logica asimmetrica e quindi su una concezione inquisitoria del processo stesso che assume il carattere dell’ordinarietà8.

Al mutamento nella delineazione del fine del processo giudiziario ha fatto eco una evoluzione della concezione probatoria dovuta all’estensione al campo giuridico dell’impostazione scientifico-sperimentale fondata sul principio della verificabilità empirica, insieme al contestuale sviluppo della metodologia induttiva.

Nel nuovo impianto culturale del processo la concezione ‘argomentativa’ della prova inizia a far spazio ad una concezione ‘dimostrativa’ della stessa ed assumono rilevanza il ragionamento di tipo matematico e la logica di tipo induttivo, in grado di cogliere non più la verità probabile ma quella riconducibile ad un fatto empirico (‘verità materiale’) oppure ad un fatto relazionale (‘verità formale’) secondo criteri logico-scientifici9.

La fiducia in una verità oggettiva, assoluta e precostituita caratteristica della nuova ottica scientifica e matematica e la rigorosa organizzazione e precostituzione della forma probandi con la tendenziale svalutazione della prova testimoniale in favore di quella documentale, precostituita o legale esprimono il nuovo sistema probatorio razionale congeniale al modello del processo inquisitorio. In tale contesto si fa spazio una nuova fisionomia del giudice come autorità che governa l’ordine processuale e

8 BARGI, Cultura del processo e concezione della prova, in Aa.Vv., La prova penale, volume primo Il sistema della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica, Torino,

2008, 26 ss.

9 Come posto in rilievo da GIULIANI, Prova (Filosofia), ED, XXXVII,

(18)

18 può supplire nella prova del fatto e ripartirne l’onere attraverso la sua razionalità soggettiva, formale e calcolante10.

Secondo le nuove epistemologie, ispirate al razionalismo ed all’empirismo, l’esperienza diretta e l’osservazione sensibile del giudice garantiscono una conoscenza sicura e l’evidenza della prova assicura perciò la verità del fatto.

In tale orizzonte culturale si colloca la dottrina secondo cui la verità è manifesta.

La conoscenza ed il possesso della verità non hanno dunque bisogno di essere spiegati.

La conseguenza di tale nuova impostazione è costituita dalla inevitabile svalutazione della retorica, dal momento che alla verità della ragione e dell’evidenza sensibile non occorrono le tecniche della persuasione. Al mondo del probabile, del verosimile e del congetturabile si oppone quello dell’evidenza, il quale opera infatti nel campo delle verità dimostrate e non richiede altra operazione del pensiero oltre quella per la quale è immediatamente data.

Il carattere dell’immediatezza sovverte perciò i termini della gnoseologia classica.

In tal contesto la forza persuasiva del discorso non poggia sugli strumenti richiesti dal potere dialettico ma sulla sola esposizione della verità11.

1.2.C. Era della codificazione: declino della dialettica e della retorica

Nel periodo intercorrente dal XVI al XVIII secolo assistiamo al passaggio dal particolarismo degli ordinamenti giuridici alla figura

10 BARGI, Cultura del processo e concezione della prova, in Aa.Vv., La prova penale, volume primo Il sistema della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica,

Torino, 2008, 29.

11 DE LUCA, Profilo storico del libero convincimento del giudice, in Aa. Vv., Il principio del libero convincimento del giudice nel nuovo processo penale, QCSM,

(19)

19 istituzionale dello Stato in cui si fa spazio il concetto di ‘certezza del diritto’ garantito dal testo legislativo, presunto completo e non eterointegrabile da altre fonti, in precedenza affidato al consenso dei consociati sulla giustizia e sulla validità tecnica ed interpretativa della giurisprudenza e della dottrina.

Tale fenomeno è accompagnato dal superamento da parte della dottrina del giusnaturalismo della concezione del diritto romano quale normativa comune e superiore ratio iuris del diritto positivo. Secondo tale dottrina le leggi positive dovevano informarsi al modello razionale suggerito dal diritto di natura ricostruibile secondo criteri matematici e rigorosamente scientifici, nell’ambito di un sistema rispettoso dei diritti soggettivi naturali dell’uomo.

Il diritto naturale trova il suo corrispettivo nei principi del positivismo giuridico, atteso che i principi naturali vengono tradotti nelle diverse codificazioni o richiamati dal rinvio a detti principi, cui deve rifarsi il giudice nella applicazione della analogia.

In tale contesto si sviluppa la ‘teoria scientifica della prova’ i cui corollari sono costituiti dall’isolamento del giudicante dal dialogo tra le parti, dall’assimilazione del sapere giuridico a quello dello scienziato della natura e dal conseguente rifiuto della concezione dialettica delle prove e del processo, con riguardo sia alla teoria argomentativa della prova che alla struttura del processo secondo i canoni dell’oralità, del contraddittorio e dell’immediatezza12.

Contro quel sistema, per anni radicato in larga parte del continente europeo, si è espressa la reazione degli illuministi, i quali intendevano restituire alla giurisdizione il ruolo di garanzia dei diritti individuali. Essendo convinzione diffusa che il principio del libero convincimento sia approdato nel continente a seguito della ricezione della giuria di tradizione anglosassone durante gli anni della Rivoluzione francese, è

12 Tesi sviluppata da NOBILI, Il principio del libero convincimento, Giuffrè,

(20)

20 necessario capire se l’oggetto del principio sia stato correttamente interpretato dagli studiosi di civil law impegnati nella ricezione degli istituti giuridici del sistema anglosassone13.

All’epoca della Rivoluzione francese, il sistema anglosassone sembrava offrire un’alternativa al diverso modello continentale di un giudizio ad opera dei professionisti in quanto prospettava un giudizio penale ad opera di giudici non professionisti, i quali avrebbero dovuto decidere secondo il proprio convincimento.

All’epoca, la giuria anglosassone godeva di ampi poteri di ricostruzione e valutazione del fatto sottoposto alla sua attenzione nel dibattimento, pubblico ed orale. Ciò si accompagnava ad una pretrial procedure sostanzialmente nelle mani private volta a raccogliere le prove che sarebbero state poi presentate al giudizio.

La Corte era composta da dodici giurati ed un giudice togato, le cui distinzioni non erano affatto nette.

Il rapporto tra laici, esponenti delle esigenze dei nuovi strati sociali più sensibili ai nuovi diritti, ed i togati era sbilanciato a favore di una prevalenza del giudice togato allorché i giurati non ritenessero di seguire le sue indicazioni. Infatti, la condanna, ritenuta secondo il giudice togato ingiustificata o non fondata per insufficienza di prove, era di regola seguita dalla grazia sovrana.

Ai giurati era invece riconosciuta la facoltà di qualificare in diritto il fatto sottoposto al loro esame e ciò permetteva loro di calibrare le circostanze della fattispecie alla pena da loro ritenuta più opportuna.

13 Se è relativamente pacifico che la regola dell’intime conviction derivi dalla

tradizione maturata nell’ambito del processo nel suolo anglosassone, il trapianto nel continente di tale disciplina non ha rappresentato un fenomeno unitario: natura del giudicante e criteri di giudizio sono stati considerati l’uno indipendentemente dall’altro. Cfr. RUGGIERI, La circolazione di “Libero convincimento e giuria”

all’epoca del primo codice unitario: gli equivoci di un trapianto sbagliato, Criminalia 2012, 231 ss.

(21)

21 Inoltre solo nei casi difficili la giuria avrebbe potuto riservarsi, su sollecitazione del giudice togato, uno speciale verdetto limitato esclusivamente al fatto.

Significativa è la vicenda legata al “seditious libel”, una delle fattispecie più utilizzate dal governo inglese per controllare la stampa e la pubblicità, riguardo cui il giudice togato attribuiva solitamente ai giudici giurati solo lo “special verdict”, ovvero il giudizio privo di alcuna valutazione in diritto.

Solo con il Fox’s Libel Act del 1792 fu attribuita nuovamente alla giuria la qualificazione del fatto nel suo complesso vincolando la stessa alla legge e vietando il ricorso allo special verdict14.

Uno dei punti cardine del programma di rinnovamento era rappresentato dalla valorizzazione della giuria, considerata il “veicolo per il superamento delle vecchie teorie probatorie”, poiché la scelta di affidare il giudizio ad una corte laica avrebbe inevitabilmente condotto “all'introduzione della ‘oralità’, della ‘immediatezza’ e del ‘convincimento intimo’, intesi come principi tra loro inscindibilmente connessi15”.

In altri termini, l'istituzione del giudice popolare costituiva il perno di un processo di riforma diretto fondamentalmente al recupero del processo di stampo accusatorio.

La riforma attuata in Francia dal 1789 al 1791 concretizza quindi il modello delineato dagli illuministi dando vita ad un sistema basato sull’accusa privata e sull’autonomia dei dibattimento, celebrato dinanzi

14 RUGGIERI, La circolazione di “Libero convincimento e giuria” all’epoca del primo codice unitario: gli equivoci di un trapianto sbagliato, Criminalia 2012, 234

ss.

15 NOBILI, Il principio del libero convincimento del giudice, Giuffrè, Milano,

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22 alla giuria, nel pieno rispetto dei canoni dell’oralità e dell’immediatezza, senza il condizionamento di pregresse acquisizioni probatorie16.

Quasi tutti i componenti della Assemblea Costituente individuavano nei “giurati che giudicano della verità del fatto” e nel “tribunale che in seguito applica la legge” un’asserita forma di garanzia che avrebbe caratterizzato tutti i successivi provvedimenti legislativi del decennio rivoluzionario17.

Dal 1791 tale duplice attribuzione alla componente laica e togata con la conseguente separazione tra fatto e diritto non è stata più cancellata. In tale tipo di giudizio, nel quale era la giuria popolare a valutare la prova dopo aver assistito alla sua formazione, la versione di libero convincimento più consona non poteva che essere la “intime conviction”, una sorta di “intuizione di verità” espressa nelle forme del verdetto immotivato.

La giuria sembrava attuare all’interno della attività giurisdizionale il principio della divisione dei poteri assicurando l’equidistanza dalle parti e dall’oggetto del processo, equidistanza che il giudice professionista del processo inquisitorio non poteva in alcun modo garantire.

La ricezione di tale criterio di giudizio nel nostro ordinamento è assai nota.

Esclusa da Napoleone l’opportunità di introdurre nel nostro Paese l’istituto della giuria18, il Codice del regno Italico promulgato a Milano l’8 Settembre 1807 “senza adottare il giurì” conservò tuttavia “tutto

16 DELLA MONICA, La parabola del principio del libero convincimento in

Aa.Vv., La prova penale, volume terzo La valutazione della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica, Torino, 2008, 234 ss.

17 RUGGIERI, La circolazione di “Libero convincimento e giuria” all’epoca del primo codice unitario: gli equivoci di un trapianto sbagliato, Criminalia 2012,

241.

18 NOBILI, op. cit. riporta tale dichiarazione pronunciata da Napoleone il 7

Giugno 1805 “non ho creduto che le circostanze nelle quali si trova l’Italia mi

permettessero di pensare allo stabilimento dei giurati; ma i giudici devono pronunciare come giurati dietro la sola convinzione e coscienza, senza abbandonarsi ad un sistema di semiprove”.

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23 quello che questa istituzione poteva avere di vantaggioso19” tra cui il principio del libero convincimento.

È solo successivamente all’introduzione dell’Intime conviction che nel 1848 in via eccezionale e nel 1859 in via generalizzata fu introdotto l’istituto della giuria in Italia.

Se pure la giuria nei sistemi di diritto continentale ha certamente contribuito alla diffusione del principio dell’intime conviction, la sua ricezione non è stata accompagnata da una riflessione in tema di prova analoga a quella che si è sviluppata nel medesimo periodo nei Paesi anglosassoni.

Infatti solo pochi autori continentali sono riusciti ad inquadrare correttamente il principio del libero convincimento ed a circoscriverlo, al fine di non ridurre la disciplina della prova ad una mera questione di libertà nella valutazione delle prove.

Sono infatti state mosse obiezioni.

Robespierre muove obiezioni garantistiche: “la legge non può lasciare alla sola coscienza del giudice il diritto di decidere arbitrariamente…Ella gli dice: ‘tu non condannerai se contro l’accusato non esistono prove più chiare della luce del giorno’. La legge ha stabilito inoltre talune regole per l’esame e l’ammissione delle prove; senza l’osservanza di queste regole i giudici non potrebbero condannare, sia qualsivoglia il loro convincimento… Bisogna dunque conciliare la fede dovuta alle prove legali con quella che merita l’intimo convincimento del giudice20”.

19 Sono le parole che l’ex Ministro di giustizia francese Abrial scrisse a

Napoleone alla conclusione dei lavori di stesura del codice cui aveva contribuito: il passo, ripreso da SCLOPIS in Storia della legislazione italiana è citato da M. NOBILI,

op. cit., 203 e ripreso da RUGGIERI, La circolazione di “Libero convincimento e giuria” all’epoca del primo codice unitario: gli equivoci di un trapianto sbagliato, Criminalia 2012, 254.

20 Cfr. CORDERO, Procedura penale, Giuffrè, Ottava edizione, Milano

2006, 601 e RUGGIERI, La circolazione di “Libero convincimento e giuria”

all’epoca del primo codice unitario: gli equivoci di un trapianto sbagliato, Criminalia 2012, 251.

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24 Secondo l’Incorruttibile quindi il principio dell’intime conviction non avrebbe potuto né dovuto essere sufficiente per pronunciare una condanna ma per arginare l’arbitrio del giudice sarebbe stato necessario prevedere comunque anche un sistema di prove legali, nell’ambito di un procedura che avrebbe dovuto rimanere scritta, in deroga al principio di oralità.

Significativa a tal proposito è l’elaborazione di un sistema di prove legali negative sviluppata dallo studioso napoletano Filangeri che nel 1785 sosteneva che una pronuncia di condanna avrebbe potuto seguire solo alla congiunta presenza delle prove richieste dalla legge e dalla certezza morale da parte del giudice21.

Per quanto riguarda la ricostruzione dei motivi che hanno condotto il riconoscimento del principio del libero convincimento anche al giudizio del magistrato togato non sussistono orientamenti univoci.

Probabilmente la principale causa deve essere rinvenuta nella diffusione di tale criterio di giudizio fuori dal suo originale contesto, svincolato dalle specifiche peculiarità che lo caratterizzavano in Inghilterra. Infatti, l’equivoca scissione tra qualità del giudicante e criterio decisorio ha consentito l’attribuzione al giudice togato del medesimo principio sviluppatosi a proposito della decisione del laico.

Anche in Francia ed in Germania le scelte dei legislatori si sono orientate per l’affermazione del principio del libero convincimento anche nelle decisioni dei giudici togati.

A ben vedere è quindi stata l’inesatta e limitata conoscenza del sistema inglese e la convinzione che l’asserita mancanza di prove legali nella common law fosse addirittura dovuta alla ampia libertà di decisione riconosciuta ai giurati, ad indurre i francesi ed i tedeschi ad esaltare il principio dell’intime conviction fino a giungere ad eccessi, volendo ad

21 CORDERO, Procedura penale, Giuffrè, Ottava edizione, Milano 2006,

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25 esempio in Germania obbligare i giudici a seguire, al pari dei giurati, soltanto il loro intimo convincimento22.

I fautori della riforma dovettero però faticare non poco per vincere la resistenza della fazione più tradizionalista, decisa a mantenere fermo il regime delle prove legali per non investire il giudice di una illimitata ed incontrollabile libertà decisoria.

La questione fu superata grazie al contributo scientifico della migliore dottrina del tempo23, decisamente schierata a favore dell'intimo convincimento in quanto il rischio di decisioni arbitrarie sarebbe stato scongiurato dal “comune buon senso” dei magistrati laici, i quali, non essendo esposti ai condizionamenti derivanti dalla stabile detenzione del potere giudiziario, disponevano di una naturale inclinazione ad esprimere giudizi razionali, esclusivamente fondati sugli elementi di valutazione che venivano loro offerti attraverso il confronto dialettico tra le parti in sede dibattimentale24.

1.2.D. Disgregazione del modello di matrice illuminista

Il modello processuale delineato dalla legislazione rivoluzionaria francese ebbe vita brevissima.

Già nel 1795 si diede corso in Francia ad una sostanziale inversione di tendenza attraverso la sperimentazione di un sistema ‘misto’ consistente nell’introduzione di una fase istruttoria scritta e segreta, affidata a magistrati togati e finalizzata alla preventiva acquisizione di elementi probatori che, non di rado, filtravano in dibattimento25.

22 RUGGIERI, La circolazione di “Libero convincimento e giuria” all’epoca del primo codice unitario: gli equivoci di un trapianto sbagliato, Criminalia 2012,

256.

23 Rappresentata, solo per citarne alcuni, da MONTESQUIEU, VOLTAIRE

e BECCARIA.

24 DELLA MONICA, Il principio del libero convincimento, in Aa. Vv. Prova penale e metodo scientifico, Utet giuridica, Torino, 2009, 162.

25 Era sicuramente questa l’innovazione più rilevante tra quelle introdotte dal Code des délits et des peines, approvato il 25.10.1795.

(26)

26 In tal contesto l’intimo convincimento non poteva conservare la sua originaria fisionomia, soprattutto perché la giuria non era più chiamata a decidere solo sulla base di prove rigorosamente formate secondo i canoni dell’oralità e dell’immediatezza.

Un ulteriore passo verso la disgregazione del modello di matrice illuministica fu compiuto con le leggi del 1801, che accentuarono il peso dell’istruttoria preliminare ampliando le possibilità di recupero dei suoi risultati in giudizio ed affidarono a giudici togati, sia pure in casi particolari, il compito di pronunciarsi all’esito del dibattimento. Il legislatore mantenne ferma, ancora una volta, la regola dell’intimo convincimento, ma in un contesto ad essa sempre più estraneo, essendo stato anche reciso quel legame, prima considerato indissolubile, tra libera valutazione delle prove e giuria popolare26.

Il processo involutivo avviato dalla riforma del 1795 raggiunse l’apice con l’approvazione, in pieno regime napoleonico, del Code d’instruction criminelle del 1808, caratterizzato dalla figura del giudice istruttore e dalla scelta di privilegiare la formazione della prova ante iudicium; esso recepiva sostanzialmente l’indirizzo tracciato dalla legislazione dell’ultimo decennio, riproponendo l’anomalo innesto dell’intimo convincimento in un sistema con tratti marcatamente inquisitori.

L’impianto codicistico varato dal regime napoleonico può essere considerato il punto di svolta nella parabola del libero convincimento, da allora in poi piegato alla logica di sistemi fortemente autoritari, che affidavano ad un giudice sostanzialmente privo di limiti cognitivi il compito di perseguire il preminente interesse dello Stato alla repressione

26 NOBILI, Il principio del libero convincimento del giudice, Giuffrè, Milano,

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27 dei reati, anche a discapito di una effettiva tutela delle garanzie individuali27.

1.3. Sistema processuale misto del codice napoleonico

Da tale orientamento culturale trae fondamento e giustificazione il codice di procedura napoleonico del 1808, varato al fine di garantire una rapida e sicura stabilità dell’ordine sociale attraverso un meccanismo di revisione radicale della procedura criminale teso a garantire al sistema repressivo il massimo grado di efficacia.

Il Codice è ispirato al sistema c.d. ‘misto’ caratterizzato dall’apparente combinazione dei due momenti fondamentali che riflettono le opposte culture dei periodi precedenti, da cui avevano tratto origine il sistema inquisitorio ed accusatorio.

Ad una fase istruttoria scritta e segreta informata ai principi del sistema inquisitorio e perciò rispondente ad esigenze tipicamente repressive segue una fase dibattimentale volta alla pretesa dell’oralità nell’assunzione della prova, alla presenza della difesa tecnica, al contraddittorio ed al principio del libero convincimento del giudice a base della decisone. La distinzione tra le due fasi non è altro che una fictio iuris poiché il dibattimento e lo stesso giudizio, ancorato al principio del libero convincimento, tendono ad assicurare i dritti dell’imputato solo in maniera meramente formale e tradiscono l’originaria funzione di garanzia rispetto alla fissità ed alla gerarchia delle prove legali.

Vengono così minate le fondamenta del sistema accusatorio, come sviluppato nella legislazione francese da parte della Costituente del 1791, secondo un modello che vedeva l’introduzione della giuria e del

27 DELLA MONICA, La parabola del principio del libero convincimento in

Aa.Vv., La prova penale, volume terzo La valutazione della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica, Torino, 2008, 261.

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28 libero convincimento del giudice nella valutazione della prova e la valorizzazione dell’oralità e dell’immediatezza del dibattimento28.

La soluzione del Codice napoleonico è perciò sbilanciata a favore del potere statuale, attribuendo al giudice un potere quasi illimitato in ordine alla prova essendo questo svincolato dalla presenza di criteri di valutazione certi e verificabili.

Si rafforza così la tendenza già manifestatasi nel Codice Merlin del 1795 di sostanziale arretramento della cultura garantista sottesa ai principi della Dichiarazione dei diritti del 1789, in vista del recupero di elementi di efficienza del rito criminale dell’Ancien régime.

Con il codice napoleonico si delinea la figura del giudice funzionario, distaccato, obiettivo ed imparziale caratterizzato dalla prevedibilità dei comportamenti e dalla sicurezza ottenuta attraverso il compito prevalente del rispetto delle regole del gioco.

In tale nuovo contesto culturale si svaluta il momento del convincimento del giudice e sono messi in ombra la sfera interna, la morale, il regno del probabile e del verosimile sui quali era stato costruito il mondo retorico della razionalità pratica29.

Il concetto di verità materiale, l’omologazione della prova giudiziaria alla prova scientifica, l’applicazione del principio “iudex non potest in facto supplere”, la prova dimostrativa, il trionfo della ragione formale e calcolante hanno contribuito a relegare in secondo piano il momento del convincimento e della soggettività del giudice rispetto al momento della conoscenza del fatto ed ad accentuare il divorzio tra l’uno e l’altro.

28 BARGI, Cultura del processo e concezione della prova, in Aa. Vv., La prova penale, volume primo Il sistema della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica,

Torino, 2008, 32.

29 DE LUCA, Profilo storico del libero convincimento del giudice, in Aa. Vv., Il principio del libero convincimento del giudice nel nuovo processo penale, QCSM,

(29)

29

1.4. Dalle codificazioni pre-unitarie al codice del 1988

Il primo codice di procedura dell’Italia pre-unitaria ricalcava il modello napoleonico ma con la particolarità che il giudizio sul fatto, prima di esclusiva competenza della giuria popolare, tornava ad essere prerogativa dei giudici togati, i quali non erano obbligati a motivare le loro decisioni od ad osservare criteri predeterminati di valutazione delle prove.

La totale assenza di argini alla libertà del giudicante rendeva concreto il rischio che l’intimo convincimento potesse trasmodare e risolversi in puro arbitrio. Svincolato dal “comune buon senso” della giuria e da ogni regola di valutazione della prova, il giudizio si trasformava, infatti, in un imponderabile atto di imperio, espressione di un potere istituzionale che il giudice esercitava senza la preoccupazione di dover giustificare il suo operato.

Il codice del regno di Napoli del 1819 introdusse la previsione dell’obbligo di motivazione che ridimensionò i pericoli paventati dalla dottrina. A seguito dell’unificazione politica, venne alla luce, nel 1865, il primo codice dello Stato italiano, che si presentava come una riedizione di quello promulgato dal regime “albertino” nel 184730.

Solo nel 1913 il Paese recepì almeno in parte le idee liberali con il Codice Finocchiaro-Aprile, travolto dopo pochi anni dalla repentina ascesa del regime fascista che impose una sua codificazione31.

Come abbiamo visto il Codice del 1930, di ispirazione dichiaratamente autoritaria, si pose come il simbolo di una ferma opposizione alle idee

30 Il codice del 1865 mostrava infatti segni inequivocabili di un pedissequo

ritorno al passato attuato recuperando l’istituto della giuria e riproponendo la tradizionale formula delle istruzioni impartite ai giudici popolari prima della decisione. Così in DELLA MONICA, La parabola del principio del libero convincimento in

Aa.Vv., La prova penale, volume terzo La valutazione della prova, a cura di GAITO,

Utet giuridica, Torino, 2008, 276.

31 Per tale ricostruzione cfr. DELLA MONICA, Il principio del libero convincimento, in Aa. Vv. Prova penale e metodo scientifico, Utet giuridica, Torino,

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30 illuministiche e liberali la cui filosofia di fondo condizionò anche il modo di intendere il principio del libero convincimento, destinato ad assecondare le istanze di difesa sociale propugnate dal regime.

1.5. Il Codice di procedura penale del 1930: l’impianto inquisitorio del sistema delle prove

L’eredità culturale del modello processuale napoleonico non è di poco momento.

Essa è entrata a pieno titolo nel codice del 1930 portando seco l’idea della certezza morale connessa a quella della probabilità, come fondamento necessario e sufficiente per provare il giudizio di fatto. Concezione questa cui viene assimilato il concetto di libero convincimento, come libertà di valutazione del giudice al di fuori ed al di sopra di criteri legali della formazione e della valutazione della prova. La decisione del giudice è affidata alla sua coscienza, e quindi ad un criterio “soggettivo, impalpabile, insindacabile32”.

Tra il 1880 ed il 1930 è venuto affermandosi un orientamento politico-giuridico che ha dato origine ad una teoria del processo che riflette il nuovo modo di intendere il rapporto tra individuo ed autorità.

Il tipo di processo delineato dal codice del 1930 è il risultato di correnti di pensiero incentrate sul connubio tra la teoria della difesa sociale, affacciatasi nel corso dell’Ottocento, le concezioni autoritarie di diritto pubblico e la correlata svalutazione dei diritti soggettivi dell’individuo33.

Tale processo è ispirato ad una ideologia nettamente contrapposta a quella elaborata dalla Scuola classica.

L’indirizzo classico infatti dava risalto soprattutto alla tutela dell’individuo contro possibili arbitrii della autorità rispetto all’interesse

32 PADOA SCHIOPPA, Italia ed Europa nella storia nel diritto, Il Mulino,

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31 pubblico alla prevenzione dei reati. La tutela dell’individuo era garantita dal principio di presunzione di innocenza, dal metodo probatorio incentrato sul principio del contraddittorio e dagli altri corollari del processo che ne assicuravano un complessivo sistema probatorio libero da funzioni serventi a scopi meramente repressivi.

Invero, il mutamento della fisionomia del processo in funzione del primato della sicurezza e della difesa sociale è agevolato dal cambiamento istituzionale dello Stato fascista in senso autoritario, con conseguente riduzione degli spazi dei diritti soggettivi dell’individuo insieme agli approdi della scuola positiva e della dottrina giuridica dell’epoca, fortemente critiche nei confronti dei principi della scuola classica34.

Di codici processual-penali Rocco ne sono esistiti almeno due: l’originario e quello che ha attraversato quasi mezzo secolo repubblicano subendo continue modifiche35.

Prendiamo in esame il ‘codice delle origini’, forgiato dal regime ed applicato fino alla sua caduta, ancor privo delle modifiche introdotte nel 1944.

Il Codice del 1930 nasce con una ideologia precisa ed evidenzia la rottura con la tradizione liberal-garantista della scuola positiva e con il precedente codice del 1913, qualificato come ‘liberale’ e per questo incompatibile con ‘l’impronta dispotica del nuovo regime36’.

Ciò favorisce l’affermazione dell’indirizzo tecnico-giuridico, il cui metodo consiste nell’ “oscuramento del punto di vista assiologico esterno e fondazione autopoietica del diritto penale” ed affranca il diritto

34 BARGI, Cultura del processo e concezione della prova, in Aa.Vv., La prova penale, volume primo Il sistema della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica,

Torino, 2008, 34.

35 VASSALLI, Introduzione a L’inconscio inquisitorio. L’eredità del Codice Rocco nella cultura preprocessualistica italiana, a cura di L. GARLATI, Milano,

2010, 15.

36 FERRUA, Dal codice di rito del 1913 al codice del 1930, in Diritto penale XXI secolo, X, 2/2011, 445 e 446-51.

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32 penale dall’ “onere della sua giustificazione esterna quale sistema di garanzie a tutela della sicurezza e delle libertà individuali37”.

Si afferma così il paradigma culturale incentrato sulla neutralità ed apoliticità del diritto, sul carattere tecnico ed avalutativo dell’interpretazione, sul carattere statocentrico del diritto pubblico e formalistico del diritto penale38.

In tale complessivo quadro assiologico trova spiegazione perciò la teorizzazione inquisitoria del processo e delle prove, con rovesciamento dei principi garantisti della ideologia illuministica.

Ciò determina la revisione del fine del processo, del metodo probatorio, della presunzione di innocenza e dei principi del contraddittorio, di oralità e di immediatezza del dibattimento, nonché dei criteri di formazione della decisone.

Un ruolo centrale in tale erosione del pregresso modello processuale e della concezione della prova spetta al principio di difesa sociale posto dalla dottrina giuridica di detta epoca quale giustificazione sia della preminenza dello Stato rispetto ai diritti processuali dell’individuo sia dell’abbandono della ‘teoria giuridica’ del processo che aveva contrassegnato lo Stato di diritto nella sua accezione liberal-democratica.

La logica sottesa all’impianto codicistico e probatorio si rinviene nella Relazione del Guardasigilli al Progetto Preliminare di un nuovo codice di procedura penale (1929)39 in cui Alfredo Rocco afferma che “il codice non interrompe la continuità della tradizione giuridica italiana pur

37 FERRAJOLI, La cultura giuridica nell’Italia del novecento, Ed. Laterza,

Bari, 1999, 32.

38 BARGI, Cultura del processo e concezione della prova, in Aa.Vv., La prova penale, volume primo Il sistema della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica,

Torino, 2008, 35.

39 Relazione del Guardasigilli al Progetto Preliminare di un nuovo Codice di Procedura Penale, in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, vol. VIII, Roma 1929, 7.

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33 innovandola” rassicurando al contempo sia nostalgici liberali ed ardenti fautori della Rivoluzione fascista40.

L’impianto complessivo del codice dimostra che il diritto di difesa era compromesso dalla struttura stessa del processo: il difensore doveva essere presente obbligatoriamente nel dibattimento mentre era esclusa la sua partecipazione agli atti istruttori, che si configuravano come il momento cruciale nella formazione della prova.

I diritti processuali dell’imputato erano, dunque, piegati alla finalità della difesa sociale.

Di qui lo svuotamento della funzione giurisdizionale, delineata come “funzione dello Stato diretta ad accertare in concreto l’esistenza e la misura della pretesa punitiva statale ossia ad applicare ai casi concreti la legge penale astratta41”; i poteri del giudice, piuttosto che espressione di diritti e di doveri, divengono quindi funzionali alla difesa sociale, o meglio dello Stato42, che informa la concezione unitaria del processo. Nel celebre discorso tenuto a Perugia il 30 Agosto 1925 Alfredo Rocco sosteneva inoltre che alla formula delle dottrine liberali, democratiche e

40 Celebre l’espressione con la quale il Ministro liquida la presunzione di

innocenza ed ogni altra tendenza favorevole ai delinquenti come frutto di un ‘sentimentalismo aberrante e morboso’ che tanto aveva indebolito la repressione e favorito il dilagare della criminalità.

Concetto espresso anche da Manzini, estensore materiale di quel codice, il quale, nel suo Trattato del 1931, sottolinea come il processo penale non rappresenti una diatriba accademica per accertare astrattamente un punto controverso di diritto né una indagine etica tendente alla approvazione della condotta morale di un individuo, ma abbia come obiettivo fondamentale quello di realizzare la pretesa punitiva dello Stato contro l’imputato.

Al contrario non vi è alcun interesse alla proclamazione dell’innocenza o della rettitudine dell’incolpato.

Lo scopo del processo secondo Manzini doveva essere eminentemente pratico, attuale, giuridico, sganciato dal principio di presunzione di innocenza che costituiva ‘nulla di più goffamente paradossale, irrazionale, ed incongruente’.

Al tempo stesso il processo non poteva essere diretto alla tutela dell’innocenza perché ciò avrebbe destituito di fondamento i sospetti di colpevolezza contro gli indiziati e non avrebbe giustificato la detenzione preventiva. Cfr. MANZINI, Trattato di diritto

processuale penale secondo il nuovo codice, vol. I, Torino, 1931.

41 VANNINI, Manuale di diritto processuale penale italiano, Giuffrè,

Milano, 1979, 53.

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34 socialiste, per le quali ‘la società è per l’individuo’, il fascismo aveva sostituito la massima ‘l’individuo per la società’. Inoltre proseguiva sostenendo che la concezione fascista della ‘libertà’ consisteva sì nel garantire all’individuo le condizioni necessarie per lo sviluppo delle sue facoltà escludendo ogni forma di mortificazione della personalità individuale “ma ciò non perché [lo Stato moderno] riconosca un diritto dell’individuo alla libertà superiore dello Stato, ma perché crede che lo sviluppo della personalità umana sia un interesse dello Stato…La libertà, pertanto, è stata all’individuo ed ai gruppi nell’interesse sociale. Come tutti i diritti individuali, anche la libertà è una concessione dello Stato43”.

Nel nuovo modello processuale, dunque, i principi del contraddittorio, dell’oralità, della difesa e della pubblicità sono stati ridotti a meri orpelli formali con il fine dichiarato della repressione del reato, mediante una procura libera da inutili formalismi ed ispirata alla rapida punizione del reo.

1.6. Struttura del procedimento secondo il c.p.p. del Trenta: un rito misto con prevalenze inquisitorie

Il rito del 1930 distingueva tra una fase preliminare, destinata alla ricerca degli elementi occorrenti per l’inizio dell’azione penale; l’istruzione vera e propria, a sua volta ripartita in ‘formale’ e ‘sommaria’, avente per oggetto la valutazione degli elementi in base ai quali decidere se dar luogo o meno al giudizio; ed il dibattimento in cui avveniva la discussione delle prove e la pronuncia di una sentenza su di essa fondata.

Con la divisione tra ‘sommaria’ e ‘formale’ si era scelto di abbandonare il principio della separazione delle funzioni processuali a favore di un

43 ROCCO, La dottrina del fascismo ed il suo posto nella storia, Roma 1925,

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35 sistema in cui p.m. e giudice istruttore cogestivano in segreto la raccolta delle prove nei confronti dell’imputato.

Infatti la differenza tra ‘istruzione formale’ e ‘istruzione sommaria’, entrambe segrete, risiedeva nel soggetto agente: pubblico ministero o giudice istruttore.

Il pubblico ministero poteva procedere all’istruzione sommaria quando la prova fosse, a suo insindacabile giudizio, evidente44. La prova in questo caso rilevava nella scelta della tipologia di rito da esperire ed il p.m. si rendeva arbitro del destino del processo essendo assegnata alla sua esclusiva discrezionalità la scelta tra rito formale e sommario45. Il giudice istruttore era invece titolare della fase istruttoria ‘formale’ (art. 296 c.p.p.) con “l’obbligo di compiere tutti e soltanto gli atti che in base agli elementi raccolti ed allo svolgimento dell’istruzione appaiono necessari per l’accertamento della verità” (art. 299 c.p.p.).

Ad attenuare il senso di contaminazione tra funzioni si sottolineava come l’istruzione ‘sommaria’ rappresentasse l’eccezione (secondo la prescrizione dell’art. 389 c.p.p.) e quella ‘formale’ la regola, nei casi stabiliti dall’art. 295 c.p.p.

Era altresì vero che in quella ‘formale’ era il p.m. ad investire il g.i. dell’azione penale mediante richiesta (art. 296, 1°co., c.p.p.) vincolandolo sulla obbligatorietà di avvio ma non sul titolo di reato che il g.i. poteva modificare secondo le risultanze istruttorie.

44 Cassazione, I sezione, 29 Febbraio 1932, in Giustizia penale, 1933, IV, 50. 45 TONINI, La scelta del rito istruttorio nel processo penale, Giuffrè, Milano,

1974, 93: fino alla sentenza della Corte Costituzionale del 28 Novembre 1968, che pronunciò l’illegittimità dell’art. 389, 3° comma del c.p.p.1930 ed alla legge 7 Novembre 1969 n. 780, il p.m. cumulava i poteri di “esercitare l’azione penale, di accertare i presupposti di scelta del rito istruttorio, di condurre l’istruzione sommaria e di decidere sulla necessità di rinvio a giudizio.

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