• Non ci sono risultati.

Il Codice di procedura penale del 1930: l’impianto inquisitorio del sistema delle prove

L’eredità culturale del modello processuale napoleonico non è di poco momento.

Essa è entrata a pieno titolo nel codice del 1930 portando seco l’idea della certezza morale connessa a quella della probabilità, come fondamento necessario e sufficiente per provare il giudizio di fatto. Concezione questa cui viene assimilato il concetto di libero convincimento, come libertà di valutazione del giudice al di fuori ed al di sopra di criteri legali della formazione e della valutazione della prova. La decisione del giudice è affidata alla sua coscienza, e quindi ad un criterio “soggettivo, impalpabile, insindacabile32”.

Tra il 1880 ed il 1930 è venuto affermandosi un orientamento politico- giuridico che ha dato origine ad una teoria del processo che riflette il nuovo modo di intendere il rapporto tra individuo ed autorità.

Il tipo di processo delineato dal codice del 1930 è il risultato di correnti di pensiero incentrate sul connubio tra la teoria della difesa sociale, affacciatasi nel corso dell’Ottocento, le concezioni autoritarie di diritto pubblico e la correlata svalutazione dei diritti soggettivi dell’individuo33.

Tale processo è ispirato ad una ideologia nettamente contrapposta a quella elaborata dalla Scuola classica.

L’indirizzo classico infatti dava risalto soprattutto alla tutela dell’individuo contro possibili arbitrii della autorità rispetto all’interesse

32 PADOA SCHIOPPA, Italia ed Europa nella storia nel diritto, Il Mulino,

31 pubblico alla prevenzione dei reati. La tutela dell’individuo era garantita dal principio di presunzione di innocenza, dal metodo probatorio incentrato sul principio del contraddittorio e dagli altri corollari del processo che ne assicuravano un complessivo sistema probatorio libero da funzioni serventi a scopi meramente repressivi.

Invero, il mutamento della fisionomia del processo in funzione del primato della sicurezza e della difesa sociale è agevolato dal cambiamento istituzionale dello Stato fascista in senso autoritario, con conseguente riduzione degli spazi dei diritti soggettivi dell’individuo insieme agli approdi della scuola positiva e della dottrina giuridica dell’epoca, fortemente critiche nei confronti dei principi della scuola classica34.

Di codici processual-penali Rocco ne sono esistiti almeno due: l’originario e quello che ha attraversato quasi mezzo secolo repubblicano subendo continue modifiche35.

Prendiamo in esame il ‘codice delle origini’, forgiato dal regime ed applicato fino alla sua caduta, ancor privo delle modifiche introdotte nel 1944.

Il Codice del 1930 nasce con una ideologia precisa ed evidenzia la rottura con la tradizione liberal-garantista della scuola positiva e con il precedente codice del 1913, qualificato come ‘liberale’ e per questo incompatibile con ‘l’impronta dispotica del nuovo regime36’.

Ciò favorisce l’affermazione dell’indirizzo tecnico-giuridico, il cui metodo consiste nell’ “oscuramento del punto di vista assiologico esterno e fondazione autopoietica del diritto penale” ed affranca il diritto

34 BARGI, Cultura del processo e concezione della prova, in Aa.Vv., La prova penale, volume primo Il sistema della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica,

Torino, 2008, 34.

35 VASSALLI, Introduzione a L’inconscio inquisitorio. L’eredità del Codice Rocco nella cultura preprocessualistica italiana, a cura di L. GARLATI, Milano,

2010, 15.

36 FERRUA, Dal codice di rito del 1913 al codice del 1930, in Diritto penale XXI secolo, X, 2/2011, 445 e 446-51.

32 penale dall’ “onere della sua giustificazione esterna quale sistema di garanzie a tutela della sicurezza e delle libertà individuali37”.

Si afferma così il paradigma culturale incentrato sulla neutralità ed apoliticità del diritto, sul carattere tecnico ed avalutativo dell’interpretazione, sul carattere statocentrico del diritto pubblico e formalistico del diritto penale38.

In tale complessivo quadro assiologico trova spiegazione perciò la teorizzazione inquisitoria del processo e delle prove, con rovesciamento dei principi garantisti della ideologia illuministica.

Ciò determina la revisione del fine del processo, del metodo probatorio, della presunzione di innocenza e dei principi del contraddittorio, di oralità e di immediatezza del dibattimento, nonché dei criteri di formazione della decisone.

Un ruolo centrale in tale erosione del pregresso modello processuale e della concezione della prova spetta al principio di difesa sociale posto dalla dottrina giuridica di detta epoca quale giustificazione sia della preminenza dello Stato rispetto ai diritti processuali dell’individuo sia dell’abbandono della ‘teoria giuridica’ del processo che aveva contrassegnato lo Stato di diritto nella sua accezione liberal- democratica.

La logica sottesa all’impianto codicistico e probatorio si rinviene nella Relazione del Guardasigilli al Progetto Preliminare di un nuovo codice di procedura penale (1929)39 in cui Alfredo Rocco afferma che “il codice non interrompe la continuità della tradizione giuridica italiana pur

37 FERRAJOLI, La cultura giuridica nell’Italia del novecento, Ed. Laterza,

Bari, 1999, 32.

38 BARGI, Cultura del processo e concezione della prova, in Aa.Vv., La prova penale, volume primo Il sistema della prova, a cura di GAITO, Utet giuridica,

Torino, 2008, 35.

39 Relazione del Guardasigilli al Progetto Preliminare di un nuovo Codice di Procedura Penale, in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, vol. VIII, Roma 1929, 7.

33 innovandola” rassicurando al contempo sia nostalgici liberali ed ardenti fautori della Rivoluzione fascista40.

L’impianto complessivo del codice dimostra che il diritto di difesa era compromesso dalla struttura stessa del processo: il difensore doveva essere presente obbligatoriamente nel dibattimento mentre era esclusa la sua partecipazione agli atti istruttori, che si configuravano come il momento cruciale nella formazione della prova.

I diritti processuali dell’imputato erano, dunque, piegati alla finalità della difesa sociale.

Di qui lo svuotamento della funzione giurisdizionale, delineata come “funzione dello Stato diretta ad accertare in concreto l’esistenza e la misura della pretesa punitiva statale ossia ad applicare ai casi concreti la legge penale astratta41”; i poteri del giudice, piuttosto che espressione di diritti e di doveri, divengono quindi funzionali alla difesa sociale, o meglio dello Stato42, che informa la concezione unitaria del processo. Nel celebre discorso tenuto a Perugia il 30 Agosto 1925 Alfredo Rocco sosteneva inoltre che alla formula delle dottrine liberali, democratiche e

40 Celebre l’espressione con la quale il Ministro liquida la presunzione di

innocenza ed ogni altra tendenza favorevole ai delinquenti come frutto di un ‘sentimentalismo aberrante e morboso’ che tanto aveva indebolito la repressione e favorito il dilagare della criminalità.

Concetto espresso anche da Manzini, estensore materiale di quel codice, il quale, nel suo Trattato del 1931, sottolinea come il processo penale non rappresenti una diatriba accademica per accertare astrattamente un punto controverso di diritto né una indagine etica tendente alla approvazione della condotta morale di un individuo, ma abbia come obiettivo fondamentale quello di realizzare la pretesa punitiva dello Stato contro l’imputato.

Al contrario non vi è alcun interesse alla proclamazione dell’innocenza o della rettitudine dell’incolpato.

Lo scopo del processo secondo Manzini doveva essere eminentemente pratico, attuale, giuridico, sganciato dal principio di presunzione di innocenza che costituiva ‘nulla di più goffamente paradossale, irrazionale, ed incongruente’.

Al tempo stesso il processo non poteva essere diretto alla tutela dell’innocenza perché ciò avrebbe destituito di fondamento i sospetti di colpevolezza contro gli indiziati e non avrebbe giustificato la detenzione preventiva. Cfr. MANZINI, Trattato di diritto

processuale penale secondo il nuovo codice, vol. I, Torino, 1931.

41 VANNINI, Manuale di diritto processuale penale italiano, Giuffrè,

Milano, 1979, 53.

34 socialiste, per le quali ‘la società è per l’individuo’, il fascismo aveva sostituito la massima ‘l’individuo per la società’. Inoltre proseguiva sostenendo che la concezione fascista della ‘libertà’ consisteva sì nel garantire all’individuo le condizioni necessarie per lo sviluppo delle sue facoltà escludendo ogni forma di mortificazione della personalità individuale “ma ciò non perché [lo Stato moderno] riconosca un diritto dell’individuo alla libertà superiore dello Stato, ma perché crede che lo sviluppo della personalità umana sia un interesse dello Stato…La libertà, pertanto, è stata all’individuo ed ai gruppi nell’interesse sociale. Come tutti i diritti individuali, anche la libertà è una concessione dello Stato43”.

Nel nuovo modello processuale, dunque, i principi del contraddittorio, dell’oralità, della difesa e della pubblicità sono stati ridotti a meri orpelli formali con il fine dichiarato della repressione del reato, mediante una procura libera da inutili formalismi ed ispirata alla rapida punizione del reo.

1.6. Struttura del procedimento secondo il c.p.p. del Trenta: un rito