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La fondatezza della pretesa e il processo amministrativo

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Academic year: 2021

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ANNO ACCADEMICO 2008/2009

DIPARTIMENTO DI DIRITTO EUROPEO - STUDI GIURIDICI NELLA DIMENSIONE NAZIONALE, EUROPEA, INTERNAZIONALE

La fondatezza della pretesa e il processo amministrativo

TESI DI DOTTORATO IN DIRITTO AMMINISTRATIVO (XX CICLO)

DOTTORANDO: TUTOR:

(2)

La fondatezza della pretesa e il processo amministrativo.

Premessa.

Cap. I Il processo amministrativo e le pretese del ricorrente.

1. Caratteri storici dell’attuale sistema di giustizia amministrativa.

2. Interessi oppositivi e interessi pretensivi: i limiti del giudizio impugnatorio.

3. I principi costituzionali in materia di giustizia amministrativa: l’art. 24 Cost. e la logica della spettanza.

4. Le posizioni della dottrina.

4.1. La teoria dell’oggetto di giudizio nell’elaborazione di Nigro.

4.2. L’accertamento “autonomo” del rapporto nell’elaborazione di Greco.

4.3. Il giudizio amministrativo come giudizio sul rapporto: la ricostruzione di Piras. 5. Oggetto del giudizio e satisfattività del processo.

Cap. II Il giudice amministrativo e il sindacato sulla fondatezza della pretesa: il thema decidendum.

1. Presupposti sistematici della questione.

1.2. Ai primordi del processo amministrativo: giurisdizione di diritto soggettivo e fondatezza della pretesa.

2. La delimitazione del thema decidendum.

2.1 La proponibilità di eccezioni in senso proprio nel processo amministrativo. 2.1.1La domanda riconvenzionale.

2.2 L’integrazione della motivazione in corso di causa e la soddisfazione dell’interesse sostanziale del ricorrente.

3. La corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. 3.1 La prassi dell’assorbimento dei motivi.

3.2 La graduazione dei motivi di ricorso.

(3)

1. Gli strumenti probatori tipici del processo amministrativo consentono al g.a. di sindacare la fondatezza della pretesa?

1.1. L’istruzione probatoria nelle ipotesi di giurisdizione di merito. 1.2. Gli strumenti di prova nella giurisdizione esclusiva.

1.2.1. I mezzi di prova nella materia di pubblico impiego non privatizzato. 1.2.2. La preclusione delle prove legali.

1.3. I limiti dell’istruzione probatoria nel giudizio di legittimità: la prova testimoniale.

1.4. L’accesso al fatto e la consulenza tecnica d’ufficio: rapporti con il sindacato sulla spettanza. 2. Giudizio sulla spettanza e onere della prova.

3. Sindacato sulla pretesa sostanziale e tutela dei terzi: l’intervento “jussu judicis”.

Cap. IV La fase decisoria ed il soddisfacimento dell’interesse sostanziale.

1. Aspetti generali della questione: le azioni proponibili innanzi al giudice amministrativo e le pronunce adottabili.

2. Le azioni di accertamento.

2.1. L’accertamento del diritto controverso nelle materie di giurisdizione esclusiva. 2.2. Azione di accertamento e interesse legittimo.

2.3. La decisione sul silenzio.

a) L’ambito di applicazione del rito avverso il silenzio: in particolare la tutela dei diritti soggettivi.

b) Natura della pronuncia: verso l’azione di adempiemnto? c) Segue. I limiti della statuizione sul silenzio.

d) Pronuncia sul silenzio e istruttoria processuale: una possibile lettura evolutiva.

e) Natura e ruolo del commissario ad acta: in particolare il regime di impugnativa degli atti. 2.4. L’ “ordine” di esibizione nel diritto di accesso.

2.5. L’accertamento “in negativo” della fondatezza della pretesa nel regime dei vizi formali. 3. Le azioni costitutive.

3.1 L’azione di annullamento.

3.2. L’annullamento dell’atto negativo esplicito e la tutela dell’interesse pretensivo. 3.3. La caducazione degli atti consequenziali.

(4)

4. Le sentenze di condanna.

4.2 La condanna al risarcimento degli interessi pretensivi.

4.3. Risarcimento in forma specifica versus reintegra in forma specifica.

5. I tentativi di evoluzione del sistema in via pretoria: in particolare la declaratoria di cessazione della materia del contendere a seguito di annullamento dell’atto per vizi formali.

Cap. V L’esecuzione del giudicato.

1. Introduzione al tema. i “limiti oggettivi” del giudicato amministrativo nella dotrina e nella giurisprudenza tradizionali.

2. Le principali critiche alla concezione tradizionale del giudicato amministrativo. Il contributo di Nigro.

2.1 Segue: il giudicato amministrativo nell’ottica del giudizio sul rpporto.

3. Il legame tra procedimento e processo e l’onere per l’amministrazione di acclarare tutti i fatti che giustificano l’esercizio del potere.

4. La posizione della giurisprudenza.

4.1 La tesi del giudicato a formazione progressiva.

4.2 La soluzione elaborata dalla giurisprudenza tedesca dell’unica possibilità di scelta e le sue applicazioni in campo nazionale.

5. Pretesa del ricorrente, esecuzione del giudicato e potere pubblico.

Conclusione sistematica: Realizzazione della logica della spettanza e processualcivilizzazione del giudizio amministrativo.

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Premessa.

Nel 1976 Mario Nigro, prendendo in esame i principi costituzionali in materia di giustizia amministrativa, lamentava che la loro forza espansiva non era stata sufficientemente esplorata dalla dottrina e dalla giurisprudenza e anzi vissuta “con qualche temperamento” dalla stessa Corte costituzionale1.

Ancora oggi l’interprete si muove in un quadro d’insieme incerto.

Da una parte l’affermazione della piena “giustiziabilità” delle situazioni soggettive ad opera del legislatore costituzionale, dall’altra le scarne norme di diritto positivo che disciplinano il sistema di giustizia avverso gli atti e i comportamenti dell’amministrazione. Tra questi due poli opposti si agita la “perenne oscillazione”2 della giurisprudenza amministrativa tra aperture sostanzialiste e anacronistici ritorni al formalismo.

Al centro del quadro restano le parti del giudizio, ossia i destinatari ultimi nel cui nome la giustizia è amministrata, ma prima ancora il cittadino che al giudice chiede una “giustizia speciale” perché invocata non nei confronti di altro cittadino ma nei confronti dello Stato stesso.

Da questa specialità del sistema di giustizia amministrativa rispetto a quella ordinaria si suole fare discendere una serie di limitazioni del giudizio amministrativo che si traducono, secondo un diffuso sentire, in altrettante restrizioni di tutela per il ricorrente.

Ma viene da chiedersi con l’insigne Autore “che cosa è artificiosa amputazione di tutela e che cosa la conseguenza necessitata dallo stesso tipo di situazione giuridica tutelata”.3

L’impressione che si ha è che oggi, malgrado la copiosa opera ricostruttiva della dottrina e l’incessante lavorio della giurisprudenza, a quella domanda non si sia ancora fornita una risposta certa.

La tradizionale riluttanza del giudice della cognizione a estendere il proprio sindacato sino alla fondatezza della pretesa sostanziale avanzata dal ricorrente ha finito per svilire le potenzialità del giudizio amministrativo, frapponendo rilevanti ostacoli sistematici ad ogni istanza volta a superare la sua tradizionale configurazione di mero giudizio sull’atto.

1

M. Nigro, Giustizia amministrativa, 1976, p. 80.

2

L’espressione è di D.VAIANO, Pretesa di provvedimento e processo amministrativo, Milano 2002, pp. 29-30.

3

(6)

Alle “ingiustizie della giustizia amministrativa”4 la giurisprudenza amministrativa ha tentato di ovviare per un verso anticipando la soddisfazione dell’interesse sostanziale del ricorrente alla fase cautelare, per altro verso spostandola alla fase esecutiva.5

Sotto il primo profilo si sono ampliate le maglie della tutela cautelare (fino a non poco tempo fa ristrette alla mera sospensione del provvedimento impugnato) sino alla adozione di provvedimenti di contenuto positivo.

Sotto il secondo aspetto la timidezza della cognizione, rispettosa fino all’eccesso del potere e incapace di penetrare la sostanza del rapporto, ha implicato un ispessimento del ruolo dell’ottemperanza alla quale è stata rinviata la statuizione in ordine alla spettanza del bene anelato.

Questo modo di operare oltre che destare perplessità sotto il profilo sistematico, si traduce in una deminutio di tutela per il cittadino il quale sarà costretto il più delle volte ad affrontare una serie lunga ed estenuante di ricorsi per giungere ad ottenere una risposta definitiva in ordine alla pretesa sostanziale fatta valere in giudizio.

Ma più ancora, denuncia un atteggiamento di pessimistica rassegnazione ai limiti (forse più presunti che reali) del processo amministrativo.

La mancata definizione di una linea di confine certa oltre la quale il giudice amministrativo non può spingersi ingenera inoltre un grave senso di incertezza presso gli utenti del sistema giustizia: il cittadino che si veda negato illegittimamente un bene della vita dalla pubblica amministrazione non è messo in condizione di conoscere al momento della proposizione dello strumento di tutela giurisdizionale quale tipo di tutela quel processo è in grado di assicurargli, in quali tempi e con quali modalità.

Ciò che occorre chiarire è in altre parole quali siano i “limiti di sistema” che impediscano al giudice amministrativo di conoscere e decidere della questione sostanziale prospettata e quali siano invece le superfetazioni della giurisprudenza.

Occorrerà innanzitutto verificare se il giudizio amministrativo nell’attuale connotazione consenta al giudice, almeno sotto il profilo sistematico, di verificare la fondatezza della pretesa sostanziale vantata dal ricorrente.

Si ritiene che la strada da seguire nel far ciò sia costituita dal raffronto con le norme che regolano il processo civile sui diritti.

4

MERUSI –SANVITTI, L’“ingiustizia” amministrativa in Italia, Bologna, 1986. Vengono in mente altresì le parole di M.S.GIANNINI, Discorso generale sulla giustizia amministrativa, I, in Riv. Dir. proc., 1963, p. 523 e ss. per il quale il sistema di giustizia amministrativa italiano è in realtà un “parasistema”, un “edificio sinistro e sinistrato”.

5

(7)

Occorrerà verificare a monte se il sistema di giustizia amministrativa costituisca un universo chiuso ed autosufficiente, ovvero se, come si ritiene, esso sia stato pensato sin dall’inizio in funzione complementare rispetto a quello che regola il processo sui diritti.

Una volta ammessa la generale applicabilità delle norme e dei principi che regolano il processo civile al giudizio amministrativo occorrerà verificare se vi siano e quali siano le specificità del giudizio amministrativo rispetto a quello civile e quali i punti di contatto.

Ci si soffermerà su alcuni dei caratteri tipici che configurano il nostro sistema di giustizia amministrativa, sin dai primordi, come modello a giurisdizione di tipo soggettivo, volto in via prioritaria alla tutela di interessi individuali, sia pure attraverso il diaframma della legittimità violata, nonché degli strumenti di reazione processuale a tal fine approntati.

Si tenterà uno studio trasversale del processo volto a verificare se il giudice amministrativo possa ampliare l’oggetto della propria cognitio alla pretesa vantata dal ricorrente, ovvero se – in un’ottica più tradizionale – debba limitarsi alla verifica della fondatezza dei motivi di ricorso, se possieda gli strumenti istruttori necessari a sindacare la spettanza della posizione giuridica azionata. Si tenterà di chiarire quali siano i limiti decisori del g.a. nei confronti della p.a. e, in particolare, quali siano i confini tracciati dal doveroso rispetto del principio della separazione dei poteri.

Infine si tenterà di chiarire quali siano i confini del giudicato amministrativo e della sua esecuzione. Se, in particolare, il giudicato amministrativo sia idoneo a rappresentare un accertamento idoneo a fare stato tra le parti, i loro eredi e aventi causa in ordine al rapporto controverso.

In altri termini occorrerà verificare se, nel rispetto della specificità della giurisdizione amministrativa, sia possibile far riconquistare al giudizio di cognizione gli spazi che gli sono propri senza, per ciò stesso, snaturare la funzione giurisdizionale e operare inopportune sovrapposizioni tra poteri.

(8)

Capitolo I

Il processo amministrativo e le pretese del ricorrente.

1. Caratteri storici dell’attuale sistema di giustizia amministrativa.

Com’è noto il dibattito parlamentare che condusse all’approvazione della Legge abolitiva del contenzioso del 1865 fu caratterizzato dal contrapporsi di due opposte visioni.

Su un primo versante si ponevano coloro (e costituivano la maggioranza) che proponevano l’abolizione dei “tribunali ordinari del contenzioso amministrativo”. Secondo costoro l’abolizione dei tribunali del contenzioso e la devoluzione del rispettive materie ai giudici ordinari si iscriveva “nell’ordine normale voluto indeclinabilmente in un Governo Costituzionale dalla separazione ed indipendenza dei poteri e della responsabilità dell’amministrazione”.6

Sul versante opposto un indirizzo minoritario osservava che proprio l’affermato principio della separazione dei poteri avrebbe dovuto condurre ad escludere possibili ingerenze dei giudici ordinari negli “affari” dell’amministrazione.7

I fautori del mantenimento degli organi del contenzioso amministrativo (Crispi, Cordova, Rattazzi), ossia di giudici speciali dell’amministrazione, soccombettero nel dibattito parlamentare nei confronti della maggioranza guidata da Minghetti, Macini, Boccompagni e Borgatti, favorevole all’abolizione del contenzioso.

L’abolizione dei tribunali del contenzioso lasciava così privo di tutela il cittadino a fronte di quella “immensa serie di atti e provvedimenti amministrativi sottratti alla competenza giudiziaria”8.

6

A. Salandra, La giustizia …, p. 379. Che la logica sottesa alla legge abolitrice del contenzioso amministrativo fosse quella di cercare un punto di equilibrio tra “libertà (diritto) del cittadino e libertà (potere) dell’amministrazione” (F. Benvenuti, Giustizia amministrativa, voce dell’Enc. Dir. Vol. XIX, Milano, 1970 p. 589 ss.) è comunemente rilevato nella dottrina dell’epoca. Cfr. M. S. Giannini-A. Piras, Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria nei confronti della pubblica amministrazione, voce dell’enc. Dir. Vol. XIX, Milano, 1970, p. 229 ss.; E. Cannada Bartoli, La tutela giudiziaria del cittadino verso la pubblica amministrazione, Milano 1956, p. 9 ss., ove si rileva come nel sisyema delineato dalla legge abolitiva “il termine interesse designava un’entità che, in contrapposto al diritto soggettivo, non riceveva protezione perché non esprimeva alcun valore …Tutta la riforma degli istituti si fondava sulla distinzione fra ciò che era giuridicamente rilevante, epperò degno di protezione –dell’unica protezione che allora poteva essere ritenuta tale: quella dell’autorità giudiziaria- e ciò che siffatta rilevanza non aveva e che, pertanto era logico chiamare semplicemente interesse”.

7

Entrambe le posizioni dottrinarie sono riportate da Salandra, op. cit- 316.

8

Così S. Spaventa nel celebre discorso pronunziato il 6 maggio 1880 nella sede dell’Associazione costituzionale di Bergmo. Osserva Mancini: “L’ultima e più lamentata lacuna, scorta nella esecuzione della legge del 1865, sta nel difetto di tutela rispetto alla immensa serie di atti e provvedimenti amministrativi sottratti alla competenza giudiziaria. Questa offesa ad interessi gravissimi, protetti se non da disposizioni positive di leggi, da consuetudini, da regolamenti, da ragioni intrinseche di equità e di giustizia. Codesti interessi trovarono presso noi un tempo… una certa tutela dinanzi ai tribunali del contenzioso

(9)

A tale lacuna si tentò di ovviare con la legge Crispi del 1889 istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato.

In particolare con la legge del 1889 si consentì al g.a. la possibilità – preclusa al g.o. dagli artt. 4 e 5 della L.a.C. – di annullare gli atti amministrativi lesivi di diritti e di condannare l’amministrazione ad ottemperare nel caso in cui la stessa non si fisse conformata spontaneamente al giudicato.

La necessità di colmare il vuoto lasciato dalla L.A.C. era resa ancora più pressante, peraltro, dalla tendenza invalsa presso i giudici ordinari a declinare la propria giurisdizione di fronte ad un atto amministrativo, ancorché illegittimo9.

Tendenza quest’ultima avallata anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che a quell’epoca, e fino alla legge 31 marzo 1887, n. 3761 (che ha attribuito la risoluzione dei conflitti di attribuzione e di giurisdizione alla Corte di Cassazione), era giudice dei conflitti.10

Il sistema delineato dal combinato disposto dell’allegato E della L.A.C. e della legge Crispi del 1889 pertanto può sintetizzarsi in questi termini: i diritti soggettivi ricevevano tutela, di regola, innanzi al g.o. che si limitava disapplicare l’atto illegittimo eventualmente portato alla sua cognizione; la tutela di quegli stessi diritti spettava al g.a, tutte le volte in cui gli stessi fossero stati lesi da un provvedimento amministrativo.

In quest’ultimo caso la tutela apprestata dagli organi di giustizia amministrativa poteva estendersi alla caducazione dell’atto illegittimo.

Si trattava, in altri termini, di assicurare una tutela più efficace ai diritti soggettivi nei confronti degli atti amministrativi, e tra i diritti soggettivi in particolare ai diritti di libertà e di proprietà, ritenuti nella logica liberale del tempo degni di massima considerazione.11

amministrativo, la cui competenza non era circoscritta alla materia dei diritti violati , era più larga e più estesa di quella deferita ora ai tribunali ordinari. Ma in oggi, rimasti in balia dell’Autorità amministrativa, pare non abbiano sopra tutto fra le mutabilità e le influenze politiche, sufficiente guarentigia. Da qui le querimonie cui ho prima accennato e il bisogno generalmente sentito di provvedimenti che viemmeglio assicurino la giustizia nell’amministrazione”. Il brano lo si può leggere in V.E. Orlando, Contenzioso amministrativo, voce in Digesto italiano, vol. VIII, parte II, Torino , 1895-1898, p. 908.

9

Cass. 9 giugno 1880, in Rep. Gen. Giur., 1880, voce Competenza (materia civile), n. 313; Cass. S.u., 25 maggio 1886, in Foro it., 1886, I, 962; Corte App. Bologna 30 marzo 1869, in Giur. It., 1869II, 196, secondo la quale: “l’autorità giudiziaria può ben conoscere della legalità o no degli atti amministrativi per ricusarsi o no di applicarli, ma ciò solo quando la illegalità è denunciata in via di eccezione, non quando è dedotta in via di azione diretta e principale per farne dichiarare la conseguente nullità, ed impedirne la esecuzione”.

10

Cons. Stato, 12 giugno 1872, in Rep. Gen. Giur., 1876, voce Competenza amministrativa e giudiziaria, n.25; Cons. Stato 4 dicembre 1875, Rep. En. Giur., 1876, voce Competenza amministrativa e giudiziaria, n. 24.

11

Sul punto G. Greco, l’accertamento autonomo del rapporto, op. cit. 78, più di recente, si vedano gli studi condotti in occasione del centenario dell’istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato e fra questi in particolare, gli scritti di S. Sambataro, Il rifiuto del contenzioso amministrativo e la legge del 1865, di A.

(10)

Il sistema di giustizia amministrativa nasce dunque come completamento di quella civile, il che consente di superare le dispute esistenti al tempo in ordine alla natura giuridica della “nuova” giurisdizione amministrativa.

E’ infatti noto che, sin dal discorso di Silvio Spaventa di Bergamo del 1880 (una sorta di manifesto programmatico in ordine alle linee di fondo del modello di giustizia amministrativa che in quel periodo storico si andava delineando)12, si fronteggiarono due modelli di fondo in ordine al ruolo ed alla funzione in se del Giudice amministrativo:

- da un lato, un modello di Giudice deputato alla tutela di un interesse individuale (se pure, somministrata attraverso lo specchio riflesso dell’illegittimità attizia): al riguardo è evidente che il modello in questione contenesse in nuce gli elementi atti a delineare lo schema di un processo di parti, secondo il modello tipico della giurisdizione di diritto soggettivo13;

- dall’altro, un modello di Giudice deputato in via prevalente (se non esclusiva) alla salvaguardia della legalità nell’agire amministrativo, sia pure veicolata in giudizio attraverso lo snodo di una vicenda individuale (i.e.: secondo lo schema tipico della giurisdizione di diritto oggettivo)14.

E’ altresì noto che il legislatore (con la legge n. 5992 del 1889) sancendo che il sistema di giustizia è volto alla “tutela dell’interesse di individui o di enti morali giuridici” (ivi, art. 3) ha compiuto (per quanto in origine si registrassero pareri discordanti15) una Quartulli, L’istituzione della IV sezione, tra ragioni pratiche ed ideologiche, di R. Iannotta, Le condizioni politiche e sociali coeve alla istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato e le prospettive attuali, di F. Benvenuti, La IV sezione e la perdurante esigenza di tutela dei diritti soggettivi, di G. Paleologo, La prima Quarta sezione, tutti pubblicati nel vol. I, rispettivamente pp. 51 ss., 77 ss, 117 ss, 163 ss. 203 ss.

12

Il testo del discorso in questione (dal titolo ‘La giustizia nell’amministrazione’) può essere rinvenuto nel volume dei Discorsi parlamentari di S. Spaventa, edito a cura della Tipografia della Camera dei deputati nel 1913 (pag. 550 seg.).

13

Ed in questo modo esso fu delineato da F. CAMMEO nel suo Commentario alle leggi sulla giustizia amministrativa (Milano, 1910). Sul punto, v. anche F. ROVELLI, Sui caratteri delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, in: Riv. Dir. pubbl., 1914, I, 208.

14

All’indomani della promulgazione della legge Crispi del 1889 (e a dispetto dell’inequivoca formulazione testuale del suo art. 3), l’approccio in questione riscosse un diffuso favore in ambito dottrinale, fino ad essere autorevolmente sostenuto da V.E. ORLANDO (La giustizia amministrativa, in: Trattato Orlando, Milano, 1901, p. 728, ss.).

E’ altresì rilevante osservare che lo stesso ispiratore della legge istitutiva della Quarta Sezione del Consiglio di Stato (nonché primo Presidente della stessa), Silvio Spaventa, ebbe ad affermare che il proprium del nuovo organismo consistesse, appunto, nella verifica della legalità dell’azione amministrativa (sul punto: S. SPAVENTA, Discorso per l’inaugurazione del Consiglio di Stato, in: Riv. Dir. Pubbl., 1909, p. 290, ss.).

15

La tesi favorevole al riconoscimento della natura obiettiva della giurisdizione amministrativa fu sostenuta da V. E. Orlando, La giustizia amministrativa, cit., 728; da S. Spaventa, nel discorso (non pronunziato) per l’inaugurazione del Consiglio di Stato, edito in riv. dir. pubbl., 1909, 290; da A. Salandra, La giustizia

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precisa opzione in favore del modello soggettivistico segnando le linee di fondo del sistema di giustizia amministrativa giunto quasi inalterato sino ai nostri giorni.16

L’indagine storica ci consente così di superare l’apparente contraddizione di un sistema di tutela congegnato sul modello della giurisdizione di tipo soggettivo, ma al tempo stesso modellato sullo schema del giudizio di tipo impugnatorio.

Le difficoltà in cui si imbatte ancora oggi il processo amministrativo di legittimità derivano proprio da tale (apparente) contraddizione: dall’essere strutturato come processo su atti (art. 26 T.U. 1054/1929 e artt. 2 e 3, legge 1034/1971) mentre esso è il luogo di esercizio della giurisdizione preordinata alla tutela di pretese sostanziali (artt. 113 e 24 Cost.).17

Sarebbe stato forse più coerente con la predetta impostazione soggettivistica ammettere una forma di tutela ampia dell’interesse sostanziale. Si consideri peraltro che il sistema contenzioso ereditato dal Regno Sardo e rimasto in vigore fino alla legge abolitiva del contenzioso del 1865, conosceva già allora una più ampia tutela rispetto a quella che si esaurisce nella mera tutela impugantoria; una tutela che in termini attuali si potrebbe azzardare a definire “piena” in quanto diretta a lambire anche profili non strettamente giuridici dell’attività amministrativa, conferendo ai giudici poteri adeguati.18

Il lasso di tempo trascorso dopo la legge del 1865 avrebbe consentito in astratto di superare il giudizio di irrilevanza giuridica e politica degli interessi legittimi (dinamici) mosso dal Sen. Mancini. Tuttavia la dottrina non si era spinta al di là di generiche sollecitazioni della loro tutela giurisdizionale. Non si era approfondita la natura e struttura degli interessi, né di conseguenza, si erano studiate le forme di tutela ad essi più confacenti.19

La mancanza di un’elaborazione dottrinaria adeguata è da ricercarsi con ogni probabilità, nella circostanza che a quei tempi la categoria degli interessi dinamici amministrativa neo governi liberi, Torino, 1904, 848 e ss; da G. Chiovenda, Principi, op. cit., 358. la tesi era però smentita dalla stessa legge del 1889. A favore della natura subiettiva della giurisdizione si schierò la dottrina successiva, cfr. in particolare F. cammeo, Commentario alle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano 1910; F. Rovelli; Sui caratteri delle sezioni giurisdizionale del Consiglio di Stato.

16

Sul punto C. Contessa, Tendenze evolutive del processo amministrativo tra disponibilità delle parti e controllo di legalità, relazione al Convegno “Attualità della giustizia amministrativa” tenutosi a Lecce il 14 marzo 2008.

17

In questo senso V. Caianiello, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, 2003, p. 519.

18

Statuiva l’art. 31 R. D. 30 ottobre 1856 ch “le sentenze dei Consigli di Governo (organi giurisdizionali di primo grado) produrranno gli stessi effetti di quelle dei Tribunali civili e saranno esecutorie negli stessi modi”. Cfr. sul punto sul punto G. Stancanelli, i poteri di decisione del Consiglio di Stato, in La giustizia amministrativa a cura di Giovanni Miele, Vicenza, 1968, p. 71 e ss.; G. Miele, La giustizia amministrativa, ivi, p.25.

19

Lamenta la scarsa elaborazione V. E. Orlando, Contenzioso amministrativo, voce cit., p. 849 e ss. P. 887 e 910.

(12)

costituiva un fenomeno di dimensioni molto più limitate rispetto a quanto non lo sarebbe stato un futuro e fino ai nostri giorni in uno Stato a forte impronta sociale.20

Il limitato numero di concessioni e autorizzazioni amministrative sussistendo al momento dell’approvazione della legge Crispi non può nemmeno essere paragonato all’esplosione degli interventi amministrativi oggi conosciuti.

Come si è visto oltre che circoscritto quantitativamente il fenomeno degli interessi dinamici si presentava dai contorni piuttosto incerti, si parlava indifferentemente di interets a appracier di “diritti minori” o “condizionati”21, facendo richiamo a categorie e istituti di contenuto in realtà non sempre omogeneo.

Non è difficile comprendere allora perché la tutela giurisdizionale avverso gli atti della p.a. fu limitata dai compilatori della legge del 1889 alla mera forma della impugnazione di atti e provvedimenti: se non fu presa in considerazione altro tipo di tutela giurisdizionale anche avverso gli atti lesivi dei c.d. interessi statici, ciò è dovuto alle suddette ragioni storiche e agli indirizzi culturali dell’epoca che apparivano fortemente condizionati da un’interpretazione particolarmente rigorosa del principio della separazione dei poteri.

Non pare viceversa, che alla base della scelta operata dal legislatore del 1889 si ponesse alcuna insuperabile necessità dommatica22, alcun vincolo di sistema, ma piuttosto come ebbe a sottolineare illustre dottrina poco più che un “pregiudizio”, la comune opinione secondo la quale “l’imporre ad una autorità amministrativa una data linea di condotta, perché conforme al diritto, eccede dalla funzione giurisdizionale e rientra nel campo della stessa funzione amministrativa”.23

Da tale pregiudizio si è fatto discendere l’ulteriore corollario “che la giurisdizione in questa materia possa soltanto esplicarsi in via di annullamento o di inibizione, non mai per via di precetti positivi”.24

20

V. Bachelet, La giustizia amministrativa, cit. p. 20.

21

Così Cordova, I discorsi parlamentari, p. 434.

22

In questo senso G. Greco, L’accertamento autonomo del rapporto, Milano, 1980, p. 84.

23

F. Cammeo, Commentario, cit. p. 307.

24

F. Cammeo, op. ult. cit. p. 410. Così l’illustre Autore tratteggiava i caratteri della giurisdizione amministrativa, sul piano della teoria generale (p. 305): “Quando si tratta di rapporti di diritto amministrativo, la giurisdizione più perfetta e completa deve esplicare i suoi comandi in modo diverso a seconda dei diversi casi. Se si tratta di atti non discrezionali sul fondo del rapporto giuridico, essa deve ordinare all’amministrazione di fare o di non fare, di revocare determinati atti o di emetterne di nuovi, secondo che il diritto subiettivo del cittadino ha contenuto positivo o negativo (iscrizione nelle liste elettorali; esenzione da un’imposta e dal servizio militare). Allorché si ratti di atti, che contengono sul fondo del rapporto giuridico un elemento di discrezionalità, il giudice indaga se furono emessi: a) dall’autorità competente; b) con le forme prescritte; c) e nei casi previsti dalla legge. Se il vizio è di incompetenza o di forma, il giudice ordinerà l’annullamento dell’atto, salvo all’amministrazione il potere di rinnovare l’atto in sede competente e con le forme richieste. Se il vizio è di aver emesso l’atto fuori dei casi previsti, o

(13)

La breve ricostruzione storica, sin qui condotta delle origini del sistema di giustizia amministrativa consente di formulare alcune prime considerazioni sulle sue peculiarità.

La prima considerazione è che il sistema di giustizia amministrativa così come delineato dalla legge abolitrice del contenzioso amministrativo e dalle leggi istitutive degli organi di giustizia amministrativa più che costituire il “limite” della tutela giurisdizionale degli interessi costituisce il “contenuto”, o come meglio si cercherà di chiarire nel prosieguo, uno dei possibili contenuti della tutela giurisdizionale medesima.

Le limitazioni dei poteri cognitori e decisori del giudizio amministrativo andranno verificati, piuttosto, in via sistematica, tenendo conto dei principi fondamentali che governano il nostro ordinamento ed in particolare dei principi costituzionali.

La seconda considerazione è che tra il complesso delle norme che regolano il processo civile e quello amministrativo non vi sia separazione ma in un certo senso circolarità: l’indagine sulle origini del sistema di giustizia amministrativa induce a ritenere che tra la giurisdizione ordinaria sui diritti e quella amministrativa sugli interessi, vi sia una matrice comune denominata dall’esigenza di apprestare tutela alle situazioni di diritto lese dall’attività amministrativa autoritativa.

Scopo comune delle due giurisdizioni è dunque quello di assicurare giustizia al ricorrente e non di ripristinare la legalità violata, come sarebbe invece in un’ottica prettamente oggettivistica.

Se si muove da tale assunto può anche ritenersi che tra le regole che disciplinano il processo amministrativo e quelle che regolano il processo civile si instauri una sorta di osmosi che consenta, nella piena parità dei due processi, di attingere alle regole del processo civile laddove non ricorra alcuna “specialità” che imponga una deroga a quei principi.

In quest’ottica alla legge processuale civile andrebbe attribuita natura e funzione di legge generale sul processo per la tutela dei diritti, legge che subisce una limitazione tutte le volte in cui il diritto sia compresso dall’esercizio di un potere autoritativo.

Tra legge processuale civile e amministrativa si instaura così un rapporto da genere a specie: le regole dettate dalle leggi processuali amministrative si applicano per quegli

l’annullerà puramente e semplicemente allorché altro non c’è da fare e non cui siano altri casi in cui l’atto possa essere emanato; o constatando che il caso comporti un diverso provvedimento in virtù di altra autorizzazione legislativa, provvederà in modo positivo, e come occorre. Sempre, poi, ordinerà che gli effetti passati dell’atto illegittimo siano riparati, e che gli effetti futuri cessino immediatamente. E la riparazione sarà in natura: ove sia possibile, e mediante equipollenti, specialmente pecuniari, nel caso opposto”.

(14)

aspetti del processo connotati da specialità, salvo il riespandersi la regola generale tutte le volte in cui tale “specialità” non ricorra.25

La possibilità per il giudice amministrativo di superare i rigidi confini della tutela meramente impugnatoria andranno verificate nel corso della trattazione con riguardo alle singole fasi del processo. Ma sin d’ora può trarsi una prima conclusione: non vi sono limiti strutturali che impediscano al giudice amministrativo di assicurare una tutela sostanziale dell’interesse azionato in giudizio che si esprima nelle forme diverse dalla mera caducazione dell’atto viziato.

25

(15)

2. Interessi oppositivi e interessi pretensivi: i limiti del giudizio impugnatorio.

L’espressione “interesse” esprime un concetto relazionale in virtù del quale un soggetto propende verso un bene suscettibile di arrecargli una utilità (reale o anche solo presunta). Caratteristica dell’interesse è peraltro che l’attività desiderata è suscettibile di essere ostacolata o vanificata dagli altri membri della collettività ovvero da forze naturali.

In questo senso si suole affermare comunemente che l’intererse evoca l’idea della tensione dello sforzo, del conflitto, della rivalità o competizione.26

L’interesse legittimo in particolare si caratterizza per l’assenza in capo al titolare del potere decisionale circa la realizzazione dell’interesse giuridicamente protetto, che spetta al titolare della potestà.27

L’indisponibilità della posizione soggettiva vale a distinguere l’interesse legittimo dal diritto soggettivo caratterizzato, invece, dalla circostanza che l’ordinamento accorda al suo titolare pieni poteri in ordine alla realizzazione dell’utilità desiderata.

Anche i diritti soggettivi conoscono la distinzione tra diritti assoluti e relativi, i primi caratterizzati dal fatto che la realizzazione dell’interesse dipende dal solo comportamento del titolare, i secondi dalla necessità che a tale realizzazione collabori un secondo soggetto.

In quest’ultimo caso però la realizzazione dell’interesse sostanziale del titolare del diritto discende da un “comportamento” di un altro soggetto posto in situazione di soggezione, comportamento eventualmente coercibile da parte del titolare con appositi strumenti accordati dall’ordinamento.

La realizzazione dell’interesse legittimo, invece, è rimessa all’esercizio di un potere facente capo all’amministrazione che nell’esercitarlo è libera di compiere una scelta di tipo comparativistico tra l’interesse vantato dal singolo e la restante massa di interessi facenti capo alla collettività.

L’evoluzione dello stato di diritto dalle forme dello stato liberale a quelle dello stato sociale ha consentito alla dottrina di individuare all’interno dell’ampio genus degli interessi legittimi gli interessi di tipo oppositivo da quelli di tipo pretensivo.

La partizione, che com’è noto è da attribuire a Mario Nigro,28 si fonda sul tipo di interesse protetto.

26

G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, Torino 2006, 146.

27

M. S. Giannini, Diritto amministrativo, II, Milano, 1993, p. 80.

28

(16)

Negli interessi che rientrano nel primo tipo (interessi oppositivi) il nucleo centrale è costituito dall’interesse alla “conservazione di un bene”, negli interessi di tipo pretensivo, nell’interesse all’“acquisizione di un bene”.

La diversità contenutistica riflette a ben vedere la diversa posizione del soggetto titolare del medesimo interesse rispetto al potere amministrativo.

Nel primo caso, il cittadino si limita a resistere all’amministrazione e ad opporsi ad essa; nel secondo caso, invece, egli si attende qualcosa dalla p.a., si aspetta qualcosa da essa.

La partizione solo in parte come si diceva corrisponde a quella nota ai civilisti tra diritti assoluti e relativi: l’interesse infatti, anche quando si presenta nelle forma statica si confronta sempre con l’esercizio di un potere. Nondimeno l’accostamento presenta una qualche utilità dal momento che gli interessi oppositivi, come i diritti assoluti, aspirano solo all’omissione di ogni turbamento nel godimento del bene, mentre gli interessi pretensivi, al pari dei diritti relativi, anelano ad un comportamento specificamente satisfattivo.

Gli interessi oppositivi hanno trovato ampia diffusione nello stato liberale: nell’ideologia liberale la funzione principale dell’esecutivo era infatti quella di assicurare, in via preventiva oltre che repressiva, l’ordine sociale.

Gli interessi pretensivi al contrario hanno avuto piena diffusione con l’emersione dello stato sociale.

Con la riscoperta dei diritti naturali, con l’affermarsi dei diritti fondamentali dell’individuo con la costituzione americana dapprima, e con la Carte dei diritti dell’uomo francese successivamente, con il passaggio da un’economia essenzialmente rurale a quella industriale, da uno stato monoclasse ad un o pluriclasse, lo Stato viene chiamato a svolgere numerose prestazioni alle quali in precedenza provvedevano i singoli.

Ai “nuovi” doveri pubblici corrispondono altrettante situazioni soggettive giuridicamente rilevanti facenti capo ai singoli.

Nell’ottica dello stato sociale i diritti di libertà e i valori ad essi sottesi non solo debbono essere riconosciuti e tutelati dall’ordinamento, ma, ed è questa la vera conquista del liberalismo, vanno altresì promossi attraverso azioni positive volte alla cura degli interessi concreti.

Di qui, altresì, la denominazione di tali interessi come dinamici in quanto espressione di un rapporto di tensione tra un soggetto e un bene in contrapposizione agli interessi statici finalizzati alla tutela di beni già appartenenti alla sfera giuridica del titolare.

(17)

Con ogni probabilità proprio agli interessi dinamici intese far riferimento Silvio Spaventa nel discorso pronunciato il 6 maggio 1880 nella sede dell’Associazione costituzionale di Bergamo in occasione dell’apertura dei lavori preparatori che avrebbero condotto all’approvazione della legge Crispi del 1889, laddove richiama l’attenzione sulla necessità di apprestare tutela a quegli interessi che “comunque non tocchino propriamente un diritto, possono tuttavia recare offesa ad interessi gravissimi, protetti se non da leggi, da consuetudini, da regolamenti, da ragioni intrinseche di equità e di giustizia”.

Il sistema di tutela congegnato dalla legge Crispi appariva, peraltro, non pienamente adatto a garantire la piena soddisfazione dell’interesse sostanziale vantato dal ricorrente sia che egli agisse a tutela di un interesse oppositivo29, che di un interesse pretensivo.

L’annullamento dell’atto per vizi formali e per quella particolare violazione di legge rappresentata dall’incompetenza all’adozione dell’atto, lascia pressoché impregiudicata la discrezionalità della p.a. nell’adozione di un nuovo atto parimenti lesivo dell’interesse sostanziale vantato dal ricorrente, anche se fondato su ragioni differenti rispetto a quelle previste nell’atto originario.

Sotto tale profilo emerge un primo limite del giudizio amministrativo che è quello di non consentire l’estensione dell’oggetto del giudizio a motivi diversi da quelli dedotti dal ricorrente.

Secondo l’impostazione tradizionale infatti nel processo amministrativo non è dato sollevare eccezioni in senso proprio, ciò in quanto l’eccezione porta alla cognizione del giudice elementi differenti rispetto a quelli dedotti dall’attore, producendo l’effetto, anche se indiretto, di ampliare l’oggetto originario del giudizio.

Gli effetti di tale principio sul piano della tutela sostanziale del ricorrente sono evidenti. Quand’anche l’amministrazione fosse stata a conoscenza di profili di illegittimità diversi e ulteriori rispetto a quelli fatti valere come motivi di ricorso dal ricorrente, la stessa non avrebbe potuto in alcun modo esternarli in giudizio.

Le ragioni sostanziali che ostano alla soddisfazione della pretesa sostanziale vantata dal ricorrente non possono pertanto emergere nel corso del processo, ma sono rinviate alla riedizione, in sede procedimentale, dell’esercizio del potere amministrativo.

La declaratoria di illegittimità per quanto detto dovrà limitarsi ai soli vizi dell’atto dedotti senza poter “far stato” per quelli solo deducibili; il che rende il giudicato

29

(18)

amministrativo asfittico facendogli assumere il valore del noto apostrofo guicciardiano che separa i due segmenti del fluire dell’attività amministrativa.30

Il giudizio sull’atto appare tanto meno idoneo ad incidere sulla futura attività amministrativa quanto minori sono i possibili profili di impugnazione (ossia le ragioni esternate dall’amministrazione), fino al paradosso del comportamento inerte che lascia alla p.a. piena libertà di determinarsi con riguardo alla attività futura.

La situazione è aggravata dalla prassi giurisprudenziale dell’assorbimento dei motivi in base alla quale la valutazione della ricorrenza dei vizi formali ed in particolare del vizio di incompetenza conducendo all’annullamento dell’atto impugnato esime il giudice dall’esame delle censure sostanziali.

I limiti del giudizio amministrativo emergono con la maggiore evidenza quando si faccia valere in giudizio un interesse pretensivo.

Chi agisce in giudizio a tutela di un interesse pretensivo, lamenta un danno che gli deriva da un comportamento inerte ovvero da un atto di diniego espresso opposti dall’amministrazione ad un’istanza diretta al conseguimento di un risultato, realmente o presuntivamente favorevole, al richiedente.

Il cittadino leso da un comportamento inerte o dal diniego non lamenta dunque l’illegittimità dell’atto di diniego o dell’inerzia, ma agisce al fine di ottenere il bene della vita cui inerisce la pretesa avanzata e rimasta inevasa.

La sentenza che “annulla” il silenzio o che dichiara illegittimo il provvedimento negativo esplicito, non preclude all’amministrazione di continuare a rifiutare l’atto richiesto dal ricorrente per ragioni diverse da quelle censurate dal ricorrente, anche se già esistenti al tempo in cui veniva emesso il provvedimento originario.

Il che finisce per innescare un meccanismo a catena in virtù del quale il ricorrente sarebbe onerato ad impugnare di volta in volta i provvedimenti di diniego adottati dall’amministrazione per ragioni differenti rispetto a quelle esplicitate nel precedente provvedimento e dunque non coperte dal giudicato.

30

Il principio della stretta correlazione tra giudicato e vizi dedotti è stato sostenuto dalla giurisprudenza e dalla dottrina tradizionali. Tra i primi sostenitori del principio E. Guicciardi, La giustizia amministrativa, Padova, 1954, 248 e ss. E F. Benvenuti, voce Giudicato, (dir. Am.) in Enc. Del Dir., vol. XVIII, Milano, 1969, p. 893. successivamente la giurisprudenza è pervenuta ad un temperamento della posizione iniziale ammettendo l’operatività della regola processualcivilistica secondo la quale il giudicato si estende a tutti i vizi dell’atto impugnato, dedotti o anche solo deducibili, per tutte cons. stato, sez. IV, 14 settembre 1984, n. 678.

(19)

L’indagine sin qui condotta spiega, ma non giustifica, l’originaria ritrosia del giudice amministrativo a lambire la fondatezza sostanziale della pretesa azionata in giudizio dal ricorrente.

E ciò con riguardo non solo agli interessi c.d. dinamici, che come si è visto apparivano estranei alla sfera originaria di applicazione del giudizio amministrativo, ma anche con riguardo agli interessi statici, ovvero a quegli interessi posti a tutela dei diritti di libertà e di proprietà offesi dall’attività amministrativa illegittima.

Ciò che occorrerà verificare e allora se le tradizionali limitazioni della tutela giurisdizionale amministrativa siano conciliabili con i dettami costituzionali, se la Costituzione “lega” la tutela contro gli atti della pubblica amministrazione alle forme e ai contenuti del giudizio di impugnazione, ovvero consente, o pretende altri tipi di processo e altre forme di tutela.31

31

(20)

3. I principi costituzionali in materia di giustizia amministrativa: l’art. 24 della Costituzione e la logica della spettanza.

Probabilmente appare eccessivo voler trovare nella Costituzione un’opzione circa il tipo di processo; nondimeno se proprio la si vuole interrogare è indubbio che essa solleciti l’adozione di quelle forme che – sia in ordine alla natura del comportamento sindacabile (sindacabilità non dei soli atti in senso stretto, ma anche dei comportamenti tenuti dall’amministrazione e finanche delle semplici omissioni), sia in ordine ai poteri del giudice (possibilità non solo di emettere sentenze di annullamento, ma anche di condanna a tenere un certo comportamento o di sostituzione dell’amministrazione inerte), sia in ordine all’efficacia e all’esecuzione della decisione – siano idonee a rafforzare ed ampliare la tutela dei singoli.

Com’è noto l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana è stata accompagnata da un ampio dibattito relativo all’impatto della legge fondamentale sul sistema di giustizia amministrativo così come delineato dalla disciplina vigente.

In proposito si sono affacciate due diverse opzioni interpretative.

Secondo un primo indirizzo (Miele) il complesso delle norme costituzionali in materia di giustizia avrebbe consolidato il precedente sistema caratterizzato da una netta distinzione, che si riflette in diverse modalità, forme e gradi di tutela, tra diritti soggettivi e interessi legittimi.

Secondo altra opinione invece agli artt. 24, 103 e 113 Cost. andrebbe attribuito valore fortemente innovativo rispetto alla disciplina precedente (Cannada Bartoli, Berti).

Acanto alle due diverse opzioni ermeneutiche, come sempre avviene, si è poi affermato un terzo filone interpretativo, secondo il quale il testo costituzionale anche se nella sostanza ha consolidato il sistema di giustizia delineato in precedenza, ha concorso al completamento e al miglioramento di esso “rinnovandone” per così dire lo spirito.32

Di tutto rilievo appaiono in tal senso i principi della pari dignità delle giurisdizioni di cui all’art. 113 Cost, il principio della pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale degli interessi di cui all’art. 24 Cost., la piena parità e dignità delle posizioni soggettive di diritto e di interesse ricavabile dalla medesima disposizione, la completezza della tutela giurisdizionale che ai sensi dell’art. 113 non può essere limitata a particolari atti o a particolari mezzi di impugnazione.

32

(21)

Accanto alle norme che specificamente riguardano la giustizia la costituzione contiene una serie di prescrizioni per così dire neutre destinate a trovare applicazione a prescindere da un particolare settore di interesse. Le norme costituzionali sulla giustizia amministrativa vanno dunque integrate da una parte con i principi del pluralismo e del garantismo personalistico di cui all’art. 2 Cost., dall’altra con le direttive di completamento dello stato sociale e con il precetto di uguaglianza sostanziale dei cittadini di fronte all’ordinamento evincibili dall’art. 3 Cost.

L’art. 24 della Costituzione nell’enunciare il principio secondo il quale “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi” rende ragione di quelle ricostruzioni che aveva riservato all’interesse una posizione degradata rispetto al diritto.

Vengono in rilievo in particolare le tesi che a vario titolo avevano configurato l’interesse legittimo come situazione soggettiva a tutela occasionale33 ovvero come situazione giuridica di natura meramente processuale34 o ancora, secondo una diversa variante di quest’ultima tesi, quale mero potere di reazione processuale attribuito al soggetto per la tutela del suo interesse leso dall’attività amministrativa35.

Come è stato osservato, l’art. 24 Cost. nel porre al centro della garanzia costituzionale la posizione giuridica dei cittadini, si mostra di portata più ampia rispetto al successivo art. 113 Cost.36

L’art. 24 infatti nel garantire incondizionatamente tutela giuridica alle posizioni di interesse vieta non solo di operare discriminazioni tra diritti e interessi, ma altresì di introdurre disparità di trattamento tra le diverse categorie di interesse.

L’art. 24 Cost. ci consegna il principio della piena parità dei due ordini di giurisdizione, principio che va letto in combinato con l’art. 113, comma 2, secondo il quale “la tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti”.

Quale che sia la portata che si voglia attribuire al principio, appare innegabile la forza espansiva che esso è in grado di esercitare sul sistema di giustizia amministrativa.

Un sistema di tutela coerente con il dato costituzionale sarà allora quello in grado di fornire, attraverso forme di tutela necessariamente differenti, lo stesso grado di

33

Ranelletti, Le guarentigie della giustizia della pubblica amministrazione, Milano 1934, 161 ss.

34

Guicciardi, Concetti tradizionali e principi ricostruttivi nella giustizia amministrativa, in Arc. Dir. Pubbl., 1937, 56 ss.),

35

A. Piras, Interesse legittimo e processo amministrativo, Milano, 196, II, p.19, nota 24, p. 24, nota 29 e p. 37

36

(22)

utilità, ossia la medesima utilità finale tanto al titolare di un diritto soggettivo che di un interesse legittimo.

Potrà eccepirsi che in quest’ultimo caso la soddisfazione dell’interesse finale è necessariamente mediata dall’attività amministrativa. L’eccezione non sembra però cogliere nel segno.

L’attività amministrativa si pone quale condizione irrinunciabile per la soddisfazione dell’interesse nella fase fisiologica del rapporto, ossia allorché il cittadino abbia avanzato un’istanza volta all’ampliamento della propria situazione soggettiva.

Una volta che tale fase si sia conclusa senza che l’amministrazione abbia provveduto ovvero ove abbia adottato un provvedimento negativo esplicito, non potrà opporsi al cittadino che ricorra avverso il silenzio o l’atto di diniego ancora la riserva di esercizio funzionale del potere, in quanto ciò si tradurrebbe in un diniego di tutela in violazione di quanto sancito dall’art. 24 Cost.

La forza espansiva dei principi costituzionali in materia di giustizia amministrativa probabilmente non è stata sufficientemente esplorata neanche dallo stesso Giudice costituzionale se è vero che in un precedente sul finire degli anni ’80 si legge che “gli interessi legittimi correlati all’azione amministrativa non hanno una soglia costituzionalmente garantita”.

Per contro l’entrata in vigore della costituzione repubblicana rende ancora più pressanti alcuni interrogativi in ordine all’idoneità del sistema di giustizia amministrativa a garantire piena tutela al cittadino nei confronti dell’amministrazione.

Viene da chiedersi infatti cosa significhi pienezza della tutela se si ammette che il giudice amministrativo possa adottare nei confronti della p.a. alcuni tipi di provvedimenti e non altri, cosa significhi effettività della tutela se la pronuncia che accerti l’illegittimità di un atto per vizi di forma, ovvero del diniego o del silenzio lasci impregiudicata la possibilità per l’amministrazione di adottare un nuovo atto sostanzialmente reiterativo del precedente.

La soluzione al quesito è stringente. O l’intero sistema di giustizia amministrativa deve essere sospettato di illegittimità costituzionale, ovvero devono trovarsi delle alternative, in via interpretativa, per assicurare al ricorrente che agisca in giudizio lamentando la lesione di un proprio interesse sostanziale la stessa utilità finale che egli sarebbe in grado di ottenere dal processo ove egli fosse titolare di una posizione di diritto.

(23)

Né appare possibile, come pure si è tentato di fare in passato, l’utilizzazione degli strumenti del processo civile dinanzi al g.o.

Anteriormente alle recenti riforme del processo amministrativo che, tra l’altro, hanno accresciuto i poteri cautelari del giudice amministrativo si era ritenuto che per colmare le lacune di tutela cautelare del modello impugnatorio potesse farsi ricorso al rimedio di cui all’art. 700 c.p.c per garantire la conservazione della situazione in attesa della pronuncia di merito.

Il tentativo ha interessato due ordini di controversie: quelle in materia di diritto o pretese nascenti dal pubblico impiego e quelle in materia di emittenza televisiva. Sia nell’uno che nell’altro caso numerose ordinanze pretorili hanno accordato protezione ex art. 700 c.p.c. per assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale voluta dall’art. 24 Cost.

La soluzione prospettata in via pretoria si è mostrata però profondamente lesiva del principio costituzionalmente rilevante della dualità delle giurisdizioni come fu rilevato dalle numerose decisioni con le quali la corte di Cassazione ha annullato le ordinanze pretorili per difetto di giurisdizione del g.o.37

L’unica alternativa possibile appare allora quella di fare applicazione nel processo amministrativo delle regole e delle forme di tutela del processo civile.38

Se si accetta la tesi secondo la quale la legge processuale civile costituisce la legge generale del processo per la tutela delle situazioni soggettive e le leggi processuali siano leggi speciali, senza che ciò comporti alcuna limitazione alla pari dignità dei due processi, nulla impedisce di attingere alle regole del processo civile laddove nessuna “specialtà” ricorra39

.

La giurisprudenza amministrativa ha già in varie occasioni fatto applicazione degli strumenti processuali civilistici all’interno del processo amministrativo; valga per tutti il riferimento alla tutela dei diritti dei lavoratori attratti nella giurisdizione esclusiva del g.a.

37

Per la materia del pubblico impiego v. Cass. Civ., s.u., 25 ottobre 1979, n. 5557; id. 16 marzo 1981, n. 1484; id. 17 gennaio 1986, n.277. per la materia televisiva cfr. Cass. Civ. s.u. 1 ottobre 1980, nn. 5335 e 5336.

38

G. Corso, Processo amministrativo e tutela esecutiva, cit. p. 917, il quale rileva che all’infuori dei casi in cui norme specifiche disciplinino in modo autonomo aspetti del processo amministrativo, il ripudio in blocco delle regole del processo civile non ha ragion d’essere e sembra piuttosto risolversi in un a”petizione di principio”.

39

(24)

Nella giurisdizione di legittimità, basti pensare alla poderosa opera giurisprudenziale che anteriormente alla riforma del 2000 ha ampliato sul modello della tutela cautelare propria del processo civile i poteri del giudice della cautela.

Non si tratta peraltro di operare un mero trapianto delle regole che disciplinano il processo sui diritti al processo sugli interessi, ma di applicare regole che sono fondate direttamente o indirettamente sui precetti costituzionali.

La disciplina del processo civile, come si dirà meglio in seguito, contiene regole e principi fondati più o meno direttamente sul precetto costituzionale.40

Così ad es. la regola del contraddittorio enunciata dall’art. 101 c.p.c intesa come imprescindibile esigenza di consentire ai destinatari del provvedimento del giudice di influire sul contenuto di tale provvedimento va inteso come espressione del principio dell’uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. e del diritto alla difesa che l’art. 24 Cost. definisce ”inviolabile”.

Ancora il precetto costituzionale di cui all’art. 111 che vuole il giusto processo “regolato dalla legge”, segna il confine tra cognizione piena (imprescindibile per la tutela dei diritti e degli interessi) e cognizione sommaria sottraendo al giudice ogni discrezionalità circa le modalità di realizzazione del contraddittorio.41

In questo senso il tentativo attuato dalla giurisprudenza di spostare il giudizio sulla fondatezza della pretesa da una fase processuale a contraddittorio pieno, quale quella di cognizione ad una fase a contraddittorio limitato quale quella dell’ottemperanza appare difficilmente conciliabile con il dettato costituzionale.

Così, ancora, principi quali quello della disponibilità della tutela giurisdizionale, nonché il principio della domanda e il principio della disponibilità dell’oggetto del processo 42 sono funzionali all’attuazione di un sistema di giustizia di tipo soggettivistico volto alla tutela di diritti e interessi così come imposto dall’art. 24 Cost.

40

Per un esame approfondito dei singoli principi in relazione al loro grado di attuazione nella costituzione, v. Trocker, Processo civile e costituzione, Milano, 1970; per un’esposizione sistematica dei principi del processo civile in relazione ai precetti costituzionali v. Andolina-Vignera, Il modello costituzionale del processo civile italiano, Torino 1990; L. P. Comiglio I modelli di garanzia costituzionale del processo, in Riv. trim. dir. e proc. Civ. 1991, p. 673 e ss.; A. Proto Pisani; Il nuovo art. 11 Cost. e il giusto processo civile, in Foro it., 2000, V, 242 ss.

41

In questo senso C. Mandrioli, diritto processuale civile, Torino, 2005 p. 490 ; A. Proto Pisani, Giusto processo e valore della cognizione piena, in Riv. Dir. Proc. Civ., 2002, p. 265 e M. Bove, Art. 111 Cost. e giusto processo civile, in Riv. Dir. Proc., 2002, p. 479 ss.

42

Principi rispettivamente espressi dall’art. 2907 c.c. secondo il quale “alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria ordinaria”, dall’art. 81 (per agire in giudizio occorre avervi interesse), 99 (chi vuol far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente) e 112 c.p.c. (“il giudice deve decidere su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa”).

(25)

Ugualmente sono fondati sulla costituzione e sostanzialmente operanti nel nostro sistema di giustizia i principi dell’imparzialità e indipendenza dei giudici (artt. 101, 107 e 108 Cost), nonché quello per il quale ogni provvedimento di un giudice deve essere motivato e conforme a diritto (art. 11 e 113 Cost. e art. 113 c.p.c.) e deve poter essere assoggettato a controlli idonei a garantire questa conformità (art. 11, comma 7 Cost).43

Su un piano diverso si pongono invece i principi per i quali non può ravvisarsi un fondamento diretto nella Carta costituzionale, nemmeno come conseguenza imprescindibile dei suoi dettami.

Si tratta essenzialmente i criteri tecnici volti a dare attuazione a determinati orientamenti di politica legislativa anche se per molti di essi come si vedrà è possibile trovare un collegamento o quanto meno una correlazione con gli orientamenti costituzionali.

Tipico tra questi ultimi è il principio della congruità delle forme allo scopo o della strumentalità delle forme, che pur costituendo un orientamento di tecnica legislativa appare riconducibile all’esigenza di garantire una giustizia rapida e non formalistica, esigenza alla base di molte disposizioni costituzionali in materia di giustizia.

La stessa cosa può dirsi del principio di libera valutazione delle prove, che per certi versi può ritenersi un corollario del principio di autonomia del giudice in contrasto con la tendenza medioevale di legare il giudice ad una valutazione automatica delle prove. 44

43

Sul fondamento costituzionale dei principi vigenti nel processo civile e sulla loro attuazione, v. Andolina-Vignera, op. cit. p. 61 e ss., 101 e ss., 147 e ss. Cfr. anche L. P. Comoglio, I modelli di garanzia, cit., p. 680.

44

L’accoglimento del principio della libera valutazione della prova così come quello della disponibilità della prova rappresenta però nel nostro ordinamento solo una tendenza. Tanto l’art. 115 in materia disponibilità della prova che l’art. 116 c.p.c. in materia di disponibilità della valutazione della prova contengono infatti ampie clausole di salvezza per i “casi in cui la legge dispone altrimenti” ossia di casi in cui la disponibilità della prova è sottratta alle parti e csi in cui le prove vincolano pienamente il giudice (c.d. prove legali).

(26)

4. Le posizioni della dottrina.

La dottrina tradizionale ha mostrato assoluta indifferenza al problema della effettività della tutela giurisdizionale degli interessi legittimi fino alla metà del secolo scorso.

La questione veniva posta in termini semplici e alternativi: se l’interesse è tutelato dall’ordinamento esso dà luogo ad un diritto munito dell’azione giudiziaria, se si trattava di un interesse-non diritto vantato nei confronti della p.a. “…i titolari di siffatti interessi possono domandarne in vari modi e con diversi effetti la tutela, ma non possono pretendere che questa si risolva nella loro soddisfazione”.45

Più a monte l’idea stessa dell’interesse legittimo come interesse solo occasionalmente protetto ovvero di rilievo meramente processuale sembrava eliminare in radice qualsivoglia problema di “effettività” della tutela giurisdizionale.

In coerenza con tali premesse il proprium del processo amministrativo veniva individuato nel mero annullamento dell’atto, dal quale discendeva il duplice effetto eliminatorio e preclusivo, quest’ultimo limitato alle censure dedotte dal ricorrente e ritenute fondate dal giudice.

Dopo un iter talvolta lungo il processo amministrativo approda dunque al misero risultato di riportare le parti alle reciproche posizioni di partenza, ovvero alle posizioni che avevano al tempo della proposizione dell’istanza. Nel caso di ius superveniens la sentenza dichiarativa non approda neanche a tale risultato.

L’esigenza di ovviare alle manchevolezze del modello impugnatorio puro hanno indotto la dottrina a cercare soluzioni atte a garantire una tutela più efficace al cittadino leso da atti o da comportamenti della p.a.

45

Santi Romano, Corso di diritto amministrativo. Principi generali, Padova, 1932, p. 156-157; nello stesso senso F. Cammeo, Corso di diritto amministrativo, ed. del 1917, ristampa con note di aggiornamento a cura di G. miele, Padova, 1960, p. 539 secondo il quale “nel nostro ordinamento positivo è diritto un interesse protetto dalla legge con l’intenzione di tutelarlo nella persona del subbietto, con tutela precisa, dipendente dalla valutazione di fatti semplici e tale che l’interesse medesimo possa essere integralmente soddisfatto, escluso ogni apprezzamento discrezionale; è interesse legittimo un interesse tutelato dalla legge o occasionalmente cioè in riguardo all’utile pubblico, anziché all’utile del soggetto, o capace di imperfetta soddisfazione, perché tutelato da norme che segnano i limiti di facoltà discrezionali”; ancora si legga G. Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, op. cit. p. 357-358 secondo il quale “il ricorso (a tutela degli interessi n.d.r.) non è accolto perché si riconosca un bene al ricorrente … (poiché) la legittimità degli atti amministrativi non è un bene garantito al singolo in sé ma alla collettività”.

(27)

4.1. L’oggetto del giudizio amministrativo nell’elaborazione di Nigro.

L’illustre Autore identifica l’oggetto del processo amministrativo nella verifica dell’affermazione dell’attore di aver diritto al mutamento giuridico da lui richiesto, ovvero di avere un potere di provocare il mutamento stesso.46

Il potere “processuale” di chiedere l’annullamento dell’atto, non sarebbe doppiato, secondo la riferita posizione, da un corrispondente potere o diritto “sostanziale” che dovrebbe essere rivolto non più verso il giudice, ma verso l’autorità amministrativa.

Cosa che appare esclusa, secondo la tesi in parola, dall’assenza di un corrispondente obbligo (che dovrebbe sussistere ove all’interesse all’annullamento si attribuisse natura di interesse sostanziale) facente capo all’amministrazione di annullare d’ufficio gli atti amministrativi viziati.

Tuttavia l’interesse materiale pur non doppiando l’interesse processuale entra a far parte dell’oggetto del processo sempre attraverso la lente dell’impugnazione dell’atto: l’unica utilità che il ricorso può attribuire all’interesse materiale vantato dal ricorrente è quello connesso alla caducazione dell’atto, le uniche ragioni che potrà vantare il ricorrente sono solo le censure che si potranno rivolgere all’atto sotto forma di motivi di ricorso.

In quest’ottica l’effetto principale della sentenza amministrativa sarà quello di eliminazione dell’atto viziato, effetto al quale si aggiunge quello di ripristinazione delle situazioni giuridiche su cui aveva inciso l’atto annullato.

Ma a differenza della sentenza civile, caratteristica del processo amministrativo, e conseguentemente della sentenza, è quella di inserirsi nel flusso dell’attività amministrativa come momento intermedio tra l’esercizio passato e l’esercizio futuro della potestà”.47

La sentenza amministrativa oltre a riportare la situazione giuridica ad uno stadio anteriore all’eliminazione dell’atto viziato, produce pertanto anche l’effetto di vincolare l’attività amministrativa successiva alla sentenza.

E ciò che l’Autore chiama effetto conformativo della sentenza amministrativa, ossia quel particolare effetto, noto alla giurisprudenza amministrativa, che consente alla sentenza di fissare la corretta sistemazione degli interessi, e dunque di soddisfare la pretesa sostanziale del ricorrente.

46

M. Nigro, Giustizia amministrativa, op. cit., pp. 240-241.

47

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