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L’integrazione della motivazione in corso di causa e la soddisfazione dell’interesse sostanziale del ricorrente.

1. Presupposti sistematici della questione.

2.2 L’integrazione della motivazione in corso di causa e la soddisfazione dell’interesse sostanziale del ricorrente.

La soluzione sopra prospettata in ordine alla proponibilità di eccezioni in senso proprio o stretto nel processo amministrativo presuppone risolta in senso positivo la diversa questione attinente l’integrabilità in corso di giudizio della motivazione dei provvedimenti.

E’ evidente infatti che ove si ammetta la possibilità in capo all’amministrazione di dedurre in giudizio fatti diversi da quelli dedotti dal ricorrente a fondamento delle censure, tali fatti possano inerire anche a circostanze non esplicitate nella motivazione del provvedimento impugnato.

Com’è noto la giurisprudenza ha mantenuto fino ad oggi un atteggiamento di sostanziale chiusura nei confronti della possibilità per l’amministrazione di apportare in giudizio argomentazioni e produzioni difensive non esplicitate nel corpo del provvedimento impugnato.106

Le argomentazioni poste a sostegno del divieto sono tanto di ordine sostanziale107, che processuale.

Queste ultime a loro volta sono riconducibili a due ordini di considerazioni. In primo luogo, si afferma che la possibilità di integrazione postuma della motivazione contrasterebbe con la stessa struttura del processo di legittimità modellato sullo schema del ricorso avverso l’atto.

Nell’impostazione tradizionale, infatti, lo schema impugnatorio implicherebbe che la res litigiosa debba considerarsi cristallizzata nell’atto impugnato e

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Cons. Stato, sez. VI, 26 giugno 2003, n.3849, in Cons. St. 2003, I, 1422, che nega sia l’integrazione che l’interpretazione autentica della motivazione in corso di causa da pare dell’amministrazione; id. sez. IV, 29 aprile 2002, n. 2281 in Urb. E app., 2002, n. 935; Cons. Sta. Sez. I, 15 dicembre 1999, n. 1028/99, in Cons. st. , 1999, I, 1028; Tar Napoli, sez. II, 18 dicembre 2003, n. 15430, in Foro amm. – Tar, n. 12/20003, p. 3593; TRGA Bolzano, 30 agosto 2000, n. 253, in I tar, 2000, I, 4419; Cons. St., sez. IV, 23 novembre 202, n. 6435; nonché da ultimo Cons. St. sez. VI, 29 maggio 2008, n. 2555.

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Si fa rilevare che l’ammissibilità dell’integrazione c.d. postuma finirebbe per svilire il carattere innovativo contenuto nell’art. 3 L. 241/90, dal momento che la prescrizione in esso contenuta resterebbe priva di sanzione.

La degradazione della motivazione comporterebbe inoltre la stessa degradazione del provvedimento finale, in ragione della stretta correlazione tra motivazione procedimentale e motivazione. Più in generale si lamenta che l’ammissibilità dell’integrazione postuma incorso di causa innescherebbe una progressiva de quotazione dello stesso provvedimento, che potrebbe più considerarsi il momento finale del procedimento, in quanto resterebbe sempre aperta la possibilità per l’amministrazione di un’integrazione successiva dello stesso.

Infine il divieto di integrazione postuma della motivazione è stato fondato sul dato logico – temporale della necessaria preordinazione della motivazione nella parte dispositiva del provvedimento (Cons. St. sez. IV, 22 aprile 2002, n. 2281).

conseguentemente non possa più ritenersi modificabile a partire dal momento della notifica del ricorso giurisdizionale.

Secondariamente, si ritiene che la possibilità concessa alla sola amministrazione di incidere unilateralmente sull’oggetto del giudizio attraverso il mutamento della motivazione dell’atto si tradurrebbe in un’inammissibile violazione del principio, costituzionalmente rilevante, della parità delle parti nell’ambito del processo.

Inoltre la integrabilità postuma della motivazione alimenterebbe la prassi c.d. dei ricorsi al buio, ossia di ricorsi proposti avverso atti (carenti di motivazione) che potrebbero rivelarsi pienamente legittimi dopo l’instaurarsi del giudizio.108

Di fronte a siffatte argomentazioni la replica non può che essere costituita ancora una volta, dal rilievo dell’evoluzione avvenuta nelle caratteristiche del modello impugnatorio proprio del giudizio di legittimità, pacificamente riconosciuta dalla stessa giurisprudenza in varie occasioni, ma che con riferimento all’integrazione della motivazione in corso di causa non sembra sufficientemente percepita.

In un giudizio orientato al rispetto dei canoni costituzionali di effettività e pienezza della tutela giurisdizionale il ricorrente ha infatti ogni interesse ad ottenere l’emersione nel corso del giudizio di tutte le possibili ragioni che contrastano alla soddisfazione del proprio interesse sostanziale.

Tale interesse, ad avviso di chi scrive, sussiste peraltro tanto se si faccia valere in giudizio una posizione di interesse pretensivo che oppositivo.109

Nel primo caso la ragione è di intuitiva evidenza: il titolare di un interesse pretensivo ha tutto l’interesse ad ottenere l’emersione in giudizio, quanto più ampia possibile, delle ragioni di diniego opponibili dall’amministrazione avverso l’istanza di ampliamento della propria posizione giuridica, poiché quanto più esteso è il sindacato del giudice e l’accertamento compiuto sulla legittimità di tali ragioni, tanto più forte diverrà poi la loro posizione, in virtù del c.d. effetto conformativo prodotto dalla decisione di accoglimento del ricorso nei confronti della successiva attività amministrativa.

Anche nella seconda ipotesi, ossia allorchè il ricorrente vanti una posizione di interesse oppositivo, è preferibile un pronuncia di rigetto ad una (apparente) vittoria,

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A. Azzana, Natura e limiti dell’eccesso di potere amministrativo, Milano, 1968, 311-314.

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In senso parzialmente differente invece cfr. D. Vaiano, Pretesa di provvedimento, op. cit. 586, secondo il quale il problema dell’integrazione postuma della motivazione si pone con riguardo ai titolari di interessi pretensivi, atteso che i titolari di interessi oppositivi “possono quanto meno ritenersi interessati ad ottenere comunque l’annullamento dell’atto concretamente ed effettivamente lesivo del loro interesse materiale per qualsiasi motivo di illegittimità tale annullamento sia pronunciato (salvo a vederselo poi eventualmente nuovamente adottare dall’amministrazione emendato dal vizio riscontrato) …”.

che lascia impregiudicata la possibilità per l’amministrazione di adottare un nuovo provvedimento di contenuto sostanzialmente analogo a quello impugnato costringendo così il privato ad una spirale infinita di impugnative.

Sulla base di simili argomentazioni sembra incamminarsi un minoritario orientamento giurisprudenziale secondo il quale al divieto di integrazione postuma della motivazione “corrisponde non già un accrescimento delle garanzie e dei risultati perseguibili in sede processuale, ma una loro contrazione, giacché l’annullamento del provvedimento impugnato, visto come obiettivo, lascia all’amministrazione tanto più margine di movimento dopo la sentenza quanto minore è il sindacato della funzione che il provvedimento stesso consente e quanto minore è il contenuto in termini di accertamento e di indirizzo vincolante che i giudice è in grado di esprimere in ordine ala pretesa sostanziale”.110

L’integrazione della motivazione in corso di causa dunque non solo non lede il diritto alla difesa del convenuto, ma, altresì, deve ritenersi necessaria per attuare la vera essenza della funzione giurisdizionale che è quella di rendere giustizia a chi ha ragione.

La tesi favorevole alla modificabilità della motivazione dei provvedimenti in corso di causa sembra avvalorata dalla recente riforma del processo amministrativo che, tra l’altro, ha previsto la possibilità per il ricorrente di integrare il contenuto delle censure originariamente proposte avverso l’atto impugnato mediante la proposizione di “motivi aggiunti”.

Il rimedio processuale, che consente al ricorrente di articolare le censure diverse da quelle oggetto del ricorso originario, scaturenti dal tardivo apprezzamento delle reali motivazioni dell’amministrazione consente, infatti, di ritenere superato il pericolo di una violazione del principio della parità delle parti, violazione che potrebbe ricorrere ove il privato fosse costretto a subire una nuova motivazione senza possibilità di confutarla.

Ma ad avvalorare la possibilità di integrazione postuma della motivazione valgono ulteriori considerazioni.

In particolare la generalizzazione del rimedio risarcitorio, esteso dall’art. 7, comma 3 L. Tar al giudizio di legittimità fa sì che l’amministrazione debba essere posta in grado di far valere tutte le ragioni di interesse pubblico che possano individuarsi presenti o meno nella motivazione del diniego o dell’atto lesivo, quali cause impeditive

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del soddisfacimento della pretesa sostanziale fatta valere in giudizio in modo da circoscrivere la sua eventuale responsabilità.

Ancora, una conferma della tesi favorevole all’integrazione postuma della motivazione in corso di causa può trarsi dalla recente riforma del regime dei vizi formali introdotta dalla 15/05.

Se infatti la violazione dei vizi di forma, in caso di attività vincolata, non conduce all’annullamento del provvedimento impugnato tutte le volte in cui l’amministrazione provi che l’atto non avrebbe potuto avere un contenuto diverso (art. 21 octies, comma 2, legge 241/90), è evidente che deve riconoscersi all’amministrazione la possibilità di controdedurre sui vizi di forma adducendo anche ragioni sostanziali diverse da quelle esternate nel testo dell’atto.111

D’altra parte, come si è visto, l’onere per l’amministrazione di enunciare in giudizio tutte le ragioni che ostano alla soddisfazione dell’interesse sostanziale del ricorrente (attraverso l’adozione del provvedimento sperato ovvero la rimozione di quello lesivo), discende dal generale criterio di riparto dell’onere della prova di cui all’at. 2967 c.c. secondo il quale l’amministrazione, al pari di qualsiasi soggetto convenuto (o resistente), ha l’onere di dimostrare in giudizio i fatti impeditivi, estintivi o modificativi della posizione fatta valere dall’attore-ricorrente.

In conclusione non sembra sussistano ostacoli né di ordine sostanziale, né di ordine processuale all’emersione in giudizio di tutti i motivi astrattamente idonei a

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In questo senso Tar Campania, Napoli, sez.IV, 20 novembre 2006, n. 9984. La giurisprudenza sul punto non è giunta in vero a soluzioni univoche. In particolare, secondo un primo orientamento (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 9 novembre 2005, n. 3501) anche dopo l’introduzione dell’art. 21 octies, comma 2, deve essere esclusa la possibilità di una motivazione postuma che consenta all’Amministrazione di esternare nel corso del giudizio le ragioni sottese al provvedimento di diniego impugnato, perché tale possibilità è incompatibile con la natura demolitoria del processo amministrativo, che impone di fare esclusivo riferimento al contenuto dell’atto, e perchè anche nel caso di atti vincolati il venir meno di ogni margine di apprezzamento discrezionale non esonera l’Amministrazione dall’obbligo di rendere conoscibili i presupposti della determinazione adottata, corredando l’atto di un congruo supporto motivazionale, la cui assenza non può

essere valutata alla stregua di un mero vizio formale.

In direzione opposta muove altra parte della giurisprudenza (T.A.R. Abruzzo Pescara, 14 aprile 2005, n. 185; 13 giugno 2005, n. 394; T.A.R. Campania Salerno, Sez. I, 4 maggio 2005, n. 760), secondo la quale in caso di provvedimenti vincolati il tradizionale principio del divieto di motivazione postuma (già scalfito dall’affermazione della responsabilità della pubblica Amministrazione per lesione di interessi legittimi e dalla codificazione dell’istituto dei motivi aggiunti) deve considerarsi definitivamente superato alla luce dell’art. 21 octies, comma 2. In particolare secondo tale orientamento - premesso che il difetto di motivazione non si configura, di per sé, come un vizio sostanziale (che, ove sussistente, conduce all’annullamento del provvedimento impugnato), bensì come uno dei vizi sulla forma degli atti cui fa riferimento l’art. 21 octies, comma 2 - deve ritenersi che attraverso l’introduzione della regola del raggiungimento dello scopo si sia realizzata una trasformazione del processo amministrativo da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto, sicché l’Amministrazione intimata può oggi rappresentare in corso di giudizio ogni elemento utile per evidenziare la palese infondatezza della pretesa del ricorrente.

sorreggere una decisione sfavorevole al privato; al contrario ragioni di giustizia sostanziale impongono di ritenere tale evenienza non solo possibile, ma doverosa.

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