Perviene a conclusioni diverse rispetto a quelle anzidette quella parte della dottrina che ritiene di poter individuare nell’oggetto del processo, non tanto la situazione giuridica fatta valere, quanto piuttosto direttamente il rapporto giuridico sulla cui base viene richiesto un determinato bene della vita337.
Gli aspetti caratterizzanti di tale indirizzo dottrinario sono stati tratteggiati nella prima parte di questo studio, in questa sede ci si limiterà pertanto a evidenziarne le implicazioni sulla teoria del giudicato.
Se l’oggetto di accertamento è costituito dal rapporto intercorrente tra la p.a e il ricorrente, nessuna delle parti potrà allora invocare una ricostruzione del fatto diversa da quella cristallizzata nella pronuncia giurisdizionale.
In altri termini dal giudicato amministrativo discenderebbe un effetto preclusivo analogo a quello discendente dal giudicato civile e racchiuso nella regola secondo la quale il giudicato copre le ragioni di fatto e di diritto concretamente dedotte in giudizio e quelle anche solo deducibili.
Tale effetto vale tanto per l’amministrazione la quale non può più rimettere in discussione il bene, l’utilità riconosciuta al ricorrente dalla sentenza passata in giudicato, quanto per il ricorrente il quale, una volta respinta la domanda per ragioni di merito, non potrà riproporla anche nel caso in cui essa si fondi su motivi diversi.
In definitiva, in base al principio del dedotto e deducibile, applicata al giudizio amministrativo, il ricorrente deve “spendere” nel ricorso tutti i motivi di invalidità dell’atto; la pubblica amministrazione deve dar conto nell’atto o nell’ambito del processo (integrando la motivazione originaria) di tutti gli elementi e le ragioni che valgono a giustificare l’atto. Se per entrambe le parti il non dedotto non è più deducibile successivamente, si realizza allora la desiderata stabilità del rapporto e l definitiva attribuzione del bene della vita alla parte vittoriosa in giudizio.
Nell’ottica del giudizio sul rapporto infatti sussiste “una certa fungibilità dei motivi dai quali viene fatta dipendere l’eliminazione degli effetti giuridici del negozio”.
Anche la tesi che individua l’oggetto del giudizio nel rapporto non è andata esente da critiche: la tesi in parola, per esplicita ammissione del suo massimo
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Come si è già detto nella prima parte di questo studio il contributo di maggiore rilievo sul punto è quello di A. Piras, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, op. cit., II, 140 ss.
sostenitore338, è concepita soprattutto con riguardo alle ipotesi di annullamento per vizi sostanziali, mentre si attaglia con fatica sia alle ipotesi di impugnativa per vizi solo formali, sia al caso di diniego espresso o tacito del provvedimento339.
L’applicazione della regola del dedotto e deducibile all’annullamento per vizi formali conduce infatti a due conseguenze entrambe sfavorevoli per il ricorrente: innanzitutto il ricorrente nel caso di annullamento dell0’atto per vizi di forma non può più contestare la legittimità sostanziale del provvedimento, a meno che non si tratti di vizi sopravvenuti o comunque non deducibili al momento del giudizio; secondariamente il giudicato di annullamento per vizi formali produce effetti favorevoli per l’amministrazione la quale potrà procedere alla rinnovazione dell’atto confidando nelle “certezza della legittimità sostanziale della sua azione”340 anche se in realtà la questione relativa alla legalità sostanziale del provvedimento non è stata oggetto di cognizione da parte del giudice.
In base a questo duplice risultato sembrerebbe pertanto che il rapporto giuridico acquisti stabilità solo dal lato del ricorrente, non potendo questi rimettere in discussione la legittimità sostanziale dell’atto, non per l’amministrazione resistente la quale al contrario sarà legittimata ad adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto rispetto a quello caducato confidando nella sua legittimità sostanziale.
Nel caso in cui il ricorso abbia ad oggetto il silenzio della p.a. l’accertamento dell’illegittimità del comportamento negativo tenuto dalla p.a. non implica di per sé l’accertamento dell’obbligo di emanare il provvedimento richiesto.
Tant’è che in questi casi si suole affermare che il giudizio ha ad oggetto non già il rapporto controverso, quanto piuttosto l’“ulteriore determinazione del rapporto”341, ovvero l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione che ha emanato l’atto negativo o che è rimasta silente a porre in essere il provvedimento richiesto dall’interessato.
Piuttosto la stabilità del rapporto è garantita in questi casi dall’applicazione della regola del dedotto e deducibile. Una volta ammesso che la pubblica amministrazione ha l’onere di dar conto in giudizio delle ragioni del proprio comportamento omissivo (ossia di tutte le ragioni che nella fattispecie concreta avrebbero giustificato un provvedimento negativo), ove tale onere non venga adempiuto, dovrà giocoforza farsi discendere il
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A. Piras, Interesse legittimo, op. cit., II, p. 452.
339
Tant’è che lo stesso Piras, Interesse legittimo, op. cit., II, p. 457, non esita ad instaurare una priorità tra vizi sostanziali e vizi meramente formali, ponendo in capo al giudice l’obbligo di accertare l’esistenza dei secondi soltanto dopo che sono state verificate le condizioni di validità sostanziale del provvedimento.
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Cfr. A. Piras, Interesse legittimo, op. cit., II, p. 582, nota 172.
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divieto per l’amministrazione di porre un nuovo rifiuto (questa volta espresso) fondato su ragioni e circostanze che potevano essere proposte nel corso del giudizio.
Le remore ad accettare la ricostruzione del giudizio amministrativo come promosso fondato sul rapporto hanno indotto la dottrina e la giurisprudenza più recenti ricercare altrove la desiderata stabilità della decisione di annullamento, ancorandola ad altre premesse più in linea con l’impostazione tradizionale del processo amministrativo.
4. Il legame tra procedimento e processo e l’onere per l’amministrazione di acclarare