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Il giudizio amministrativo come giudizio sul rapporto: la ricostruzione di Piras.

4. Le posizioni della dottrina.

4.3 Il giudizio amministrativo come giudizio sul rapporto: la ricostruzione di Piras.

La tesi, sviluppata con grande finezza d’argomentazione dall’illustre studioso, opera una sorta di ribaltamento della concezione tradizionale del processo amministrativo, ponendo al centro del processo non più l’atto amministrativo, bensì il rapporto giuridico che si instaura tra la p.a e il cittadino54.

Il ribaltamento dell’ottica tradizionale del processo è basata su uno sdoppiamento tra interesse protetto rappresentato dalla situazione giuridica soggettiva di favore ed interesse legittimo che sorge solo allorché l’emanazione di un atto amministrativo arrechi all’interesse protetto un pregiudizio.

La nozione di pregiudizio acquista così un’importanza centrale nella ricostruzione di Piras, assolvendo l’importante funzione di criterio di identificazione dell’azione.

Il pregiudizio diventa pertanto il momento di collegamento tra l’interesse materiale e il processo ed è definito come un situazione giuridica che nasce soltanto dopo l’emanazione dell’atto da cui deriva il pregiudizio e che ha per contenuto un potere di annullamento. Si tratta pertanto di una situazione a carattere strumentale posta in funzione di garanzia del ripristino della posizione antecedente all’emanazione dell’atto impugnato.

Il giudice amministrativo accerta il rapporto potestà-interesse legittimo preesistente all’esercizio dell’azione amministrativa, qualificando le relative posizioni sostanziali e individua così l’assetto definitivo che per legge tale rapporto avrebbe dovuto assumere.

Le parti, e in particolare l’amministrazione, sono vincolate da tale accertamento e sono tenute ad assumere tutti i comportamenti positivi o negativi, che l’accertamento stesso impone (es. adozione di un dato provvedimento), mentre l’annullamento dell’atto scaturisce come conseguenza ovvia ed automatica dalla circostanza che l’amministrazione ha fornito un assetto di interessi diverso da quello astrattamente previsto per legge ed accertato nel caso concreto dal giudice.

Secondo Piras la sentenza (ogni sentenza) va considerata essenzialmente come un “fatto di accertamento” dal quale discende la preclusione per le parti e il giudice di ricostruire il rapporto in termini diversi da quelli definiti dalla sentenza medesima.55

54

Interesse legittimo e giudizio amministrativo, Milano, 1962.

55

In questo consiste la c.d. efficacia preclusiva dell’accertamento nel “rendere giuridicamente impossibile vuoi per le stesse parti, vuoi per il giudice e per qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento, così il risalire

L’estensione dell’oggetto del giudizio all’intero rapporto intercorrente tra le parti, non può non riflettersi sulla ricostruzione dei limiti oggettivi del giudicato: se infatti l’oggetto del giudizio è esteso all’intero rapporto, vengono meno i limiti strutturali del giudicato amministrativo legati ai motivi di ricorso.56

Il giudice non conosce più del rapporto controverso attraverso il filtro dei motivi di impugnazione ma conosce e giudica direttamente sul rapporto, il giudicato amministrativo, pertanto, al pari di quello civile, sarà idoneo a coprire non solo i vizi fatti valere in giudizio dal ricorrente ma anche quelli soltanto deducibili, conferendo così alla sentenza stabilità di effetti.

Si giunge per tale via ad investire il giudice del potere di definire il rapporto amministrativo concreto sulla cui base viene richiesta la tutela, e dunque a dichiarare una volta per tutte quale debba essere l’assetto definitivo del rapporto.

Coerentemente con tale impostazione, Piras è portato a respingere le tesi tradizionali che individuano l’oggetto del processo nella situazione giuridica sostanziale variamente identificata nella mera questione di legittimità dell’atto57, nel potere (diritto) di annullamento dell’atto58, nell’esercizio del potere amministrativo, di cui l’atto non è che l’espressione finale59, infine nello stesso interesse legittimo leso, cumulativamente con la questione di legittimità dell’atto.60

Malgrado rappresenti tutt’oggi, per l’ampiezza di prospettiva, la profondità di indagine e la ricchezza di riferimenti teorici, il tentativo più importante di fondare su basi scientifiche nuove il sistema processuale amministrativo, la tesi in parola non ha trovato significative applicazioni in giurisprudenza né consensi unanimi in dottrina.

Un primo profilo di criticità attiene alla definizione dell’oggetto del giudizio come ”rapporto”.

direttamente alle fonti normative, come il ricostruire diversamente il fatto”. Solo un effetto preclusivo così configurato può soddisfare l’esigenza di garantire alla parte vittoriosa in giudizio il godimento del risultato del processo. Piras, Interesse legittimo, cit. II, p. 140 e pp. 147-148.

56

Piras, Interesse legittimo, op. cit. II, pp. 215-217.

57

Così A. Romano, La pregiudizialità nel processo amministrativo, Milano, 1958, p. 259 e ss; S. Cassarino, Le situazioni giuridiche e l’oggetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 1956, p. 339.

58

Così E. Allorio, L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giudiziale, in Problemi di diritto, I, Milano, 1957, p.112; E. Garbagnati, La giurisdizione amministrativa (concetto e oggetto), Milano, 1950, p. 67; M. Nigro, Giustizia amministrativa, op. cit. p. 240.

59

Questa tesi è stata proposta da M. Nigro, Problemi veri e falsi della giustizia amministrativa dopo la legge istitutiva dei tribunali regionali, in Riv. trim. dir. Pubb., 1972, p.1834; id. Giustizia amministrativa, op. cit. 264. In termini sostanzialmente analoghi G. Berti, Connessione e giudizio amministrativo, Padova 1970, p. 107 e ss.

60

Questa costituisce l’interpretazione più tradizionale dell’oggetto del giudizio amministrativo, sostenuta, tra gli altri, da R. Villata, L’esecuzione delle decisioni del Consiglio di Stato, Milano, 1971, p. 526 e P. Virga, La tutela giurisdizionale nei confronti della Pubblica Amministrazione, Milano, 1976, ed. II, p. 125.

Si è contestato innanzitutto che per indicare la relazione intercorrente fra l’amministrazione e il cittadino si possa parlare di “rapporto” in senso proprio e stretto, atteso che le parti poste in relazione non si trovano su un piano di parità, come invece la concezione civilistica di rapporto sembrerebbe richiedere.61

Secondariamente, anche ammesso che tra cittadino e amministrazione possa instaurarsi un rapporto in senso proprio, non appare chiaro tra quali elementi si instaurerebbe il “rapporto”: “tra il potere dell’amministrazione e l’attesa del cittadino? O tra il primo e i poteri strumentali del secondo?”62

Un’altra critica si incentra nel rilievo che la concezione in parola porterebbe ad un restringimento della tutela per il ricorrente per il caso in cui l’atto sia impugnato per soli vizi di forma.

In applicazione del principio secondo il quale il giudicato copre il dedotto e il deducibile, la mancata proposizione di motivi che di ricorso attinenti a vizi sostanziali (anche per ragioni non dipendenti dalla volontà del ricorrente) impedirebbe al ricorrente di contestare in altra occasione la legittimità sostanziale dell’atto impugnato. Nondimeno l’amministrazione, una volta rinnovato l’atto affetto da vizi di forma ha la “certezza della legittimità sostanziale della sua azione”.63

Lo stesso dicasi quando l’atto sia inficiato dal solo vizio di incompetenza: in questa ipotesi infatti il giudice sarebbe tenuto per espresso dettato normativo ad annullare l’atto rimettendo l’affare all’autorità competente (art. 45 T.U. n. 1054 del 1924 e art. 26, coma2, L. 1034 del 1971). Sicchè l’annullamento dell’atto non presuppone, né potrebbe presupporre l’accertamento del rapporto.64

Ma le critiche di maggior rilievo attengono alla difficile conciliabilità della tesi in parola con la struttura del processo amministrativo e con il suo oggetto così come definite dal dato normativo: non pare infatti che possa pervenirsi all’accertamento dell’intero rapporto amministrativo nel quadro del giudizio di annullamento senza operare un’evidente forzatura del dato normativo.

Le poche norme che disciplinano il processo amministrativo descrivono infatti un tipo di giudizio essenzialmente cassatorio, modellato sullo schema della vocatio iudicis, incentrato sulla denuncia di vizi di legittimità che rilevano quali motivi del ricorso.

61

M. Nigro, Giustizia amministrativa, cit. 240.

62

M. Nigro, op. ult. cit., 240.

63

Piras, Interesse legittimo, cit. II, p. 78.

64

Inoltre la tesi che identifica l’oggetto del giudizio nel rapporto amministrativo si innesta sempre in un giudizio impugnatorio diretto all’annullamento di un atto amministrativo che si assume lesivo della posizione soggettiva del ricorrente.

Inoltre la ricostruzione dell’oggetto del processo in termini di giudizio sul rapporto non varrebbe a superare i imiti del giudizio di impugnazione con riguardo agli interessi pretensivi lesi dal silenzio della p.a o da un provvedimento di diniego esplicito.

In quanto in tali ipotesi non è sufficiente annullare il diniego o dichiarare illegittimo il silenzio, ma occorrerebbe rendere coercibile l’obbligo dell’amministrazione di provvedere nel senso richiesto dal ricorrente.65

In realtà, com’è stato messo in luce da attenta dottrina66 nessuna delle argomentazioni sopra sinteticamente riportate sembra assumere portata dirimente.

Alla prima critica relativa alla configurabilità di un rapporto intercorrente tra p.a. e cittadino è agevole controbattere che per rapporto giuridico deve intendersi ogni “conflitto di interessi regolato dal diritto”67

e che tale qualificazione prescinde dalla natura giuridica degli interessi coinvolti.68

Quanto all’efficacia della sentenza di accoglimento resa per soli vizi di forma, che si tradurrebbe secondo la tesi riferita in un giudicato favorevole per l’amministrazione, potrebbe eccepirsi che l’efficacia del giudicato si estende non già a tutti i vizi dell’atto, ma solo ai vizi che potevano essere dedotti al momento della proposizione del ricorso. Ne consegue che nel caso la sentenza di accoglimento per vizi formali potrà fare stato nel rapporto tra cittadino e amministrazione solo con riguardo ai vizi che il ricorrente conosceva (o avrebbe potuto conoscere) al tempo della proposizione del ricorso, ancorchè di fatto non siano stati dedotti, ossia con riguardo ai vizi astrattamente deducibili.

65

Lo stesso Piras sembra ammettere i limiti cui conduce la teoria dell’oggetto del processo modellato sullo schema del giudizio sul rapporto laddove prevede che la sentenza che decide sul silenzio o sull’atto di diniego debba statuire anche in ordine all’”ulteriore determinazione del rapporto”, non potendosi limitare a ripristinare la situazione esistente al momento dell’azione, ma dovrà contenere altresì l’accertamento positivo dell’obbligo dell’amministrazione a porre in essere il provvedimento richiesto. A. Piras, Interesse legittimo, cit. II, 563, nota 132. In realtà nell’ottica del giudizio sul rapporto l’obbligo per l’amministrazione di provvedere nel senso voluto dal ricorrente discenderebbe dal principio secondo il quale il giudicato copre il dedotto e il deducibile. In altri termini l’amministrazione non potrebbe negare nuovamente il provvedimento sperato adducendo motivi già esistenti al momento della proposizione del ricorso o sopravvenute nel corso del giudizio.

66

Per tutti, V. Caianiello, Manuale, op. cit., 509.

67

La definizione è di F. Carnelutti, Sistema del diritto processuale civile, Padova, 1936, 1, 25 e ss.

68

Quanto alla presunta incompatibilità del giudizio sul rapporto con la struttura dell’attuale processo amministrativo, basterà richiamare in questa sede quanto già detto con riguardo ai caratteri storici del processo amministrativo.

Come si è già anticipato la connotazione impugnatoria del giudizio amministrativo è dipesa da contingenze storiche ben precise, che non valgono ad escludere di per sé una connotazione diversa. In questo senso si è affermato che la tutela annullatoria costituisce la tutela minima per le posizioni di interesse.

Infine non appare dirimente l’argomentazione secondo la quale la ricostruzione dell’oggetto del processo in termini di rapporto non varrebbe a superare i limiti del giudizio di impugnazione con riguardo ai c.d. interessi pretensivi lesi dal silenzio o dall’atto di diniego.

In realtà nell’ottica del giudizio sul rapporto l’obbligo per l’amministrazione di provvedere nel senso voluto dal ricorrente discenderebbe dal principio secondo il quale il giudicato copre il dedotto e il deducibile: l’amministrazione non potrebbe così negare nuovamente il provvedimento sperato adducendo motivi già esistenti al momento della proposizione del ricorso o sopravvenuti nel corso del giudizio.

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