Le considerazioni svolte in ordine al ruolo che come si è visto viene sempre più assunto dal g.a. nell’ambito dell’istruzione probatoria, non possono tuttavia considerarsi esaurite solo con i rilievi, testé svolti, sulla necessità che questi possa servirsi del più ampio strumentario necessario valutare la fondatezza o meno della pretesa sostanziale fatta valere in giudizio.
Occorre altresì stabilire su chi incomba l’onere, o se si vuole, il rischio, di fornire al giudice, dotato ormai di adeguati poteri istruttori, la suddetta completa rappresentazione dei fatti.
Le questioni che si pongono all’interprete sul punto sono essenzialmente due. In primo luogo occorre verificare fino a che punto le tradizionali posizioni sul “metodo acquisitorio” nel processo amministrativo possano correttamente mantenersi anche in relazione alla nuova logica della spettanza.
Secondariamente, ma in vero la questione è strettamente connessa alla prima, ci si deve interrogare in ordine al contenuto e ai limiti dell’onere probatorio nel giudizio amministrativo.
Com’è noto il criterio della distribuzione dell’onere probatorio, consacrato dall’art. 2967 c.c., subisce nel processo amministrativo un’attenuazione incombendo sul ricorrente non un onere della prova, quanto piuttosto un “principio di prova”, che viene integrato mediante l’esercizio di poteri istruttori officiosi del giudice.
Questo più ridotto carico probatorio trova giustificazione nel rapporto giuridico sottostante: nell’ottica di un processo essenzialmente impugnatorio incentrato sulla verifica della legittimità di un atto anche le fonti di prova saranno costituite, di regola, da documenti.
Si comprende allora la ragione della deroga alla regola generale relativa al riparto dell’onere della prova.
Poiché gli elementi di prova sono generalmente nella disponibilità dell’amministrazione, un onere della prova che gravasse interamente sul ricorrente sarebbe iniquo.169
In questi casi la giurisprudenza ritiene sufficiente che il ricorrente fornisca un “principio di prova”170
, ossia che egli si limiti ad allegare il fatto principale posto a
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fondamento della pretesa, sulla base del quale il giudice facendo uso dei suoi poteri istruttori potrà raggiungere la prova piena.
La deroga al principio generale espresso dagli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. secondo il quale spetta a chi agisce in giudizio di indicare e provare specificamente i fatti posti a fondamento delle pretese avanzata, trova dunque fondamento e giustificazione nella “asimmetria informativa” che contraddistingue il rapporto tra amministrazione e cittadino.
Ove tale asimmetria non ricorra come nelle ipotesi in cui si facciano valere diritti soggettivi in sede di giurisdizione esclusiva vengono meno anche le ragioni della deroga.
Così tutte le volte in cui il giudizio sia rivolto alla soddisfazione dell’interesse sostanziale del ricorrente, la regola di riparto dell’onere di cui all’att. 2697 c.c. si riespanderà in tutto il suo vigore.
Con la conseguenza che il ricorrente sarà gravato dell’onere di fornire piena prova dei fatti posti a fondamento della pretesa sostanziale avanzata nei confronti dell’amministrazione, laddove quest’ultima sarà gravata dell’onere uguale e contrario di provare l’inefficacia di tali fatti, provare di provare i fatti estintivi o modificativi della posizione fatta valere.
Si pensi all’azione risarcitoria esercitabile ex art. 7, comma 3, l: 1034/71. In questo caso il ricorrente dovrà necessariamente allegare e dimostrare in giudizio l’esistenza di tutti gli elementi costitutivi della sua pretesa risarcitoria: la lesione di un situazione giuridica soggettiva protetta sul piano dell’ordinamento generale, il rapporto di causalità con un comportamento illegale posto in essere da una pubblica amministrazione, nonché, l’elemento soggettivo da intendersi, secondo la ricostruzione effettuata dalla nota decisione 500/99, come il comportamento imputabile all’amministrazione idoneo a concretare la violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione che si pongono quale limite esterno della discrezionalità.
La soluzione prospettata non appare contrastante peraltro con le conclusioni cui è giunta la dottrina processualcivilista in relazione all’ambito di applicazione del principio dispositivo nel giudizio civile.
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L’espressione è riconducibile a F. Benvenuti, L’onere del principio di prova nel processo amministrativo, in Giur. Compl. Cass. Civ., 1952, 776
Si è osservato171 sul punto che la disposizione di cui all’art. 2697 c.c. costituisce una “norma incompleta” il cui contenuto concreto va ricostruito in relazione alla fattispecie sostanziale fatta valere dall’attore.
In coerenza con tale impostazione può ritenersi dunque che la concreta ripartizione dell’onere della prova nel processo in genere, e nel processo amministrativo in particolare vada strettamente collegata alla fattispecie di volta in volta considerata.
Il metodo acquisitivo, secondo i principi, troverà applicazione pertanto laddove il ricorrente abbia allegato fatti, principali o secondari, ma non abbia la possibilità di provarli per la sua posizione di disparità sostanziale con l’amministrazione (ad. es. documenti detenuti dall’amministrazione).
Diversamente nelle ipotesi in cui la prova in ordine alla fondatezza della pretesa sostanziale vantata in giudizio sia costituita da fatti che rientrano nella piena disponibilità del ricorrente, in tal caso questi avrà l’onere di provarli, senza che l’inadempimento di tale onere possa essere in alcun modo supplito dall’esercizio dei poteri istruttori del giudice.
La soluzione proposta finisce per produrre effetti, com’è evidente, anche sui limiti oggettivi del giudicato amministrativo.172
Se infatti si ammette che l’amministrazione in giudizio sia gravata dell’onere di dimostrare, in via di eccezione, i fatti ostativi all’accoglimento della pretesa sostanziale fatta valere dal ricorrente, dovrà anche ammettersi che dal giudicato amministrativo discenda un limite per l’amministrazione di far valere le proprie ragioni fuori dal processo e segnatamente in sede di esecuzione del giudicato.
La questione verrà approfondita nell’ultima parte della presente indagine allorchè verranno presi in esame i profili afferenti il giudicato.
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A. Proto Pisani, Lezioni, di diritto processuale civile, III, ed., Napoli, 1999, 471.
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Uno dei punti cruciali nel raffronto tra processo civile e amministrativo è costituita dal diversa ricostruzione nei due processi dei limiti oggettivi del giudicato, ritenendo l’impostazione tradizionale che la regola del processo civile per la quale il giudicato compre i vizi dedotti e quelli solo deducibili non operi con riguardo al processo amministrativo. Per una efficace sintesi delle posizioni della dottrina sul punto cfr. M. Clarich, Giudicato e potere amministrativo, Padova, 1989; in senso favorevole alla piena applicazione del principio al processo amministrativo cfr. A. Piras, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, II, op. cit. 581-582.